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Autore: NeverThink    15/02/2011    12 recensioni
Sapevo che era sbagliato, terribilmente sbagliato. Eppure non riuscivo a toglierli gli occhi di dosso.
Lo vidi uscire, camminare sulla sabbia chiara, dirigendosi verso me. Il sole si rifletteva sulle goccioline d’acqua salata che scivolavano lungo il suo corpo statuario, sui muscoli dell’addome e delle braccia ben delineati.
Corrugò la fronte a causa del sole. La pelle aveva oramai assunto un colore ambrato dopo la prima settimana di vacanza passata su quell’isola dei Caraibi.
Deglutii rumorosamente e voltai il capo, scostando lo sguardo dal suo corpo, dal suo viso, ma, soprattutto, dai suoi occhi color del ghiaccio.
La sua vista, per quanto fosse gradevole ai miei giovani occhi, era fonte di sofferenza.
(..)«Helen!»
Mi voltai e lo vidi avanzare verso la battigia, correndo. Entrò in acqua senza curarsi di bagnarsi i jeans e le scarpe. Si inginocchiò e mi sorresse, poggiando una mano su un fianco e una sul collo, scostandomi i capelli per metà bagnati.
«Ehi…» mormorò e il suo viso al chiaro di luna era ancor più bello. Inebetita l’osservai.(..) Istintivamente alzai una mano, sfiorandogli la mascella con i polpastrelli.
«Sei così cambiato, Ian.» mormorai.
Per te.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 14.


 

~Passing by you light up my darkest skie.
Passandomi vicino illumini i miei cieli più oscuri.~



                                                                                                                                                        

Varcai la soglia della grande vetrata e, a passo svelto, camminai lungo il viale che portava in spiaggia. Stavo scappando, patetico, umiliante, ma al momento mi sembrava l’unica soluzione.
Mi chiesi se Ian provasse i miei stessi sensi di colpa, se anche lui era in balia di una tempesta d’emozioni; se una parte lo attrasse verso me, come poli di una calamita di segno oppoto, mentre l’altra era respinta, come poli uguali.
Scossi il capo ed accelerai ancor di più il passo, fino a corre. Corsi sulla spiaggia fino a che i polmoni non presero a bruciarmi ed il cuore a battermi furiosamente in gola. Mi fermai con le gambe dolenti. Mi sporsi in avanti, divaricandole appena e poggiamo le mani sulla ginocchia. Chiusi gli occhi e per alcuni istanti rimasi, così, immobile  a riprendere fiato. Quando mi misi in posizione eretta, passandomi una mano fra i capelli ondeggianti per il vento mi resi conto di essermi terribilmente allontanata dall’albergo. Non c’era nessuno sulla spiaggia.                                                   
Sospirai e mi avvicinai alla palma più vicina, mi sedetti sulla sabbia poggiandomi al tronco.
Osservando il dolce andirivieni delle onde, il sole riflettersi sui granelli della sabbia bianca e udendo lo stormire delle foglie, mi chiesi nuovamente cosa avrei fatto. L’idea di dire tutto ad Abby di dilaniava, l’idea di perdere Ian mi dilaniava. In qualunque modo avrei sofferto, ed avrebbe sofferto qualcun altro. Avrei voluto comandare sugli affetti del cuore, ma non potevo. Avrei voluto non provare nulla, anche solo per un secondo, cancellare il passato, ricominciare… a quell’idea comunque provai una fitta di dolore perché una vita senza Ian… scossi il capo, cancellandone l’idea. Tutto era concatenato, ogni evento, ogni emozione, ogni pensiero. Il mio cervello era immerso nel caos, il mio cuore nelle fiamme.
Poggiai la testa al tronco e chiusi gli occhi, cercando di mettere a tacere il mormorio nella mia testa… con grande insuccesso. Era come se ogni pensiero avesse voce propria e trovare tranquillità in quel chiacchiericcio era quasi impossibile.
Non so quanto tempo rimasi, lì, immobile.
Mugugnai e battei il capo al tronco fino a che una voce estranea, ma familiare, richiamò la mia attenzione. In quel momento, il mormorio cessò, mentre il cuore mi balzò in gola.
Mi voltai e lo vidi, , in piedi, bello come il sole che illuminava gli occhi cielo. Indossava una t-shirt bianca e dei bermuda di jeans. Le labbra appena dischiuse, la fronte aggrottata.
«Cosa ci fai qui?» chiesi con voce atona.
«Hai camminato parecchio.» rispose inclinando il capo di lato.
«In realtà ho corso.» risposi voltando il capo per guardare il mare. L’acqua s’increspava con dolcezza, riflettendo i raggi del sole.
«Non ti facevo così atletica.»
Abbozzai un sorriso. «Simpatico.»
«Cosa ci fai qui, Ian?» chiesi senza guardarlo, perché sapevo che, in quel preciso istante l’avessi guardato, le mie difese sarebbero crollate  non avrei desiderato altro che baciare quelle labbra che mi mancavano terribilmente.
«Lo sai, Helen.» rispose e lo sentii avanzare verso me.
«Dovresti essere con Abby.»
«Oh, al diavolo Abby! E’ qui che desidero essere ora.» rispose.
A quelle parole sentii il cuore riscaldarsi e non potei non sorridere.
«Per quanto possa essere sbagliato, sono contenta che tu sia qui.» dissi voltandomi a guardarlo. Lui mi sorrise teneramente e si sedette accanto a me. Il suo profumo mi inondò i polmoni.
«Come facevi a sapere che ero qui?»
«Ho chiesto in giro. “Mi scusi ha per caso visto la più bella ragazza del mondo passare di qui?”» Feci un risolino, dandogli una leggera spallata.
«Comunque, ho davvero chiesto se qualcuno aveva visto passare una ragazza.» disse giocherellando con una ciocca dei miei capelli. Quel gesto, anche se minimo, minò la mia concentrazione.
«Oh… ehm… Abby?» chiesi in una smorfia.
«Ti ha vista uscire. Le ho detto che ci avrei pensato io.» mormorò facendo scivolare le dita lungo il mio braccio. Tremai.
«Tutto bene?» chiese alzando un sopracciglio.
Mi voltai di scatto. «Non riesco a mettere insieme una frase di senso compito se fai così.»
Sorrise malizioso. «Così come?» chiese facendo scorre le dita sulle mie gambe nude.
«Così!» dissi puntando l’indice contro la sua mano. Le sue dite, presero ad accarezzarmi il braccio.
«Ma non ti opponi.»
«Come potrei…» soffiai chinando il capo e chiudendo gli occhi per imprimere il suo tocco.
«Oh… Helen…» mormorò lui intrufolando la mano fra i miei capelli ed attirandomi a sé.
Mi voltai e le sue labbra furono sulle mie. Un tocco leggero quanto quello di un petalo di rosa che galleggia sull’acqua, ma tanto intenso da scatenarmi una tempesta dentro.
Mi allontanai lentamente e poggiai la fronte sulla sua spalla. Capii, in quel momento, che non avrei potuto rinunciare mai a lui, nonostante amassi mia cugina. Capii che lui era l’altra metà della mela, e che nutrivo per lui un amore tanto forte che aveva piantato le sue radici                                                                                                                 nel mio essere.
«Mi spiace per questa mattina.» gemetti aggrappandomi alla sua maglietta.
«Ssst… non fa niente.» mormorò circondandomi le spalle con un braccio, mentre io cercavo rifugio nel suo petto.
«Ho paura.» dissi dopo alcuni istanti di silenzio.
Lui prese ad accarezzarmi i capelli, mentre io mi strinsi ancor di più a lui, all’ombra dell’alta palma.
«Vorrei che capissi che, al disopra di ogni cosa, voglio te, che ho bisogno di te.» mormorò con voce calda.
Cullata dal suo respiro, sorrisi, mentre il mio cuore accelerava i suoi battiti. In quel momento i lembi della ferita che mi squarciava il petto si riunirono.
«Sei ossigeno.» dissi solamente, chiudendo gli occhi e godendomi quei pochi istanti con Ian in un paradiso terrestre.


«Credo sia meglio andare.» dissi dopo qualche minuto.
«No, ancora un po’.» mugugnò lui stringendomi ancor di più.
Risi, cercando di divincolarmi dalla sua stretta ferrea. «No, è meglio andare.»            
«Ancora un po’.», la sua risata tuonò nel suo petto.
«Ian… si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto.» protestai girandomi sulla schiena e stendendomi sulla sabbia, poggiandomi con la testa sulle sue gambe.
Lui mi carezzò con dolcezza il viso, seguì con i polpastrelli il profilo della mia guancia, della mandibola, l’attaccatura dei capelli. Mi baciò le palpebre chiuse, la punta del naso, l’angolo delle labbra. Poi il suo tocco sparì e corrugai la fronte, senza aprire gli occhi.
«Allora?»
«Cosa?»
«Hai saltato un punto.» mormorai reprimendo un sorriso.
«Sul serio? Quale?»
Mi portai l’indice sulle labbra, pochi istanti dopo fu sostituito dalle sue labbra che morbide di mossero piano su esse.
Aprii gli occhi ed incontrai i suoi, tanto limpidi da mozzarmi il fiato.
«Ben tornata, Helen.» soffiò serio. «Mi sei mancata.»
Fu allora che capii. Le immagini dei giorni precedenti si susseguirono nella mia mente tanto chiare che apparirmi reali. Rividi la rabbi, le lacrime, l’irritazione, sentimenti che non erano mai stati dominanti in me, fino a quando non vidi Ian baciare mia cugina, fino a quando non decidemmo di cominciare quella vacanza.
Ma non ero pronta a parlarne, non volevo ricordare gli orribili momenti in cui le labbra di Ian, in cui il suo viso erano lontani anni luce da me. Mi godetti il presente, carezzando il suo viso scultoreo.
Sorrisi. «Su, andiamo.» dissi cercando di cambiare argomento per non riaprire vecchie ferite.  
Scattai in piedi e gli porsi la mano, lui l’afferrò e, quando fu in piedi dinanzi a me, mi bacio a fior di labbra.
Scossi il capo e mi incamminai scrollandomi la sabbia di dosso.
In cuor mio sapevo che, di lì a poco, quella felicità, quella tranquillità sarebbero state sostituite dai rimorsi e dai rimpianti.


Camminammo sulla spiaggia, avvicinandoci all’albergo e quindi al centro abitato. La spiaggia diventava pian piano più affollata. Spesso mi voltavo verso Ian che camminava alla mia sinistra, osservandone i lineamenti e spesso i suoi occhi incontravano i miei, rivelandomi muti sentimenti che piano preparava a celare in fondo al cuore. Sì, perché presto avremmo rivisto Abby, e lui sarebbe tornato ad essere Ian, il ragazzo di Abby, con mia grande sofferenza.
Capitava che, camminando sulla sabbia, perdessi appena l’equilibrio e la mia mano andava a sfiorare la sua. La mia pelle pareva prendere fuoco all’istante, mentre lo stomaco si attorcigliava su se stesso.
Un’orribile sensazione mi aveva chiuso la bocca della stomaco e fu allora che ricordai di non aver fatto colazione, questo spiegava il perché delle vertigini che di tanto in tanto mi facevano sbandare sulla sabbia e, certamente, il sole del tardo mattino non mi aiutava. Cominciavo a sudare e non era una cosa positiva.
Chiusi gli occhi e mi fermai un attimo.
«Ehi, tutto okay?» mi chiese Ian premuroso, poggiandomi una mano su una spalla e l’altra sul collo.
«Fa solo molto caldo.»
«Togliti la canotta, no?»
Alzai il capo, immergendomi nei suoi occhi. «Non ho il costume.»
«Oh. E non ha fatto colazione.» annuii pensieroso.
Alzai gli occhi al cielo. «Dio, non ti sfugge mai nulla, eh?» dissi cercando un elastico nella borsa e legandomi i capelli in una coda di cavallo.
«No, se si tratta di te.»
Pensai al mio amore nascosto. Eppure qualcosa ti è sfuggito…
Alzai il capo di scatto e fremetti. «Lo stai facendo ancora.» sentenziai riprendendo a camminare e dirigendomi verso l’albergo che, oramai, distanziava poco. Potevo scorgere gli ombrelloni di foglie di palme.
«Cosa?» chiese affiancandomi e rivolgendomi un sorriso sghembo.
«Minare la mia concentrazione.»
Lui rise e la sua risata mi riempii il cuore. Mi voltai a guardarlo e ogni molecola del mio copro era attratta da lui, come se esso volesse fondersi al suo, la mia anima abbracciare ed amare ininterrottamente la sua. Avrei dovuto esserci abituata, ma ancora mi risultava difficile comprendere un sentimento tanto complesso come quello.
L’espressione sul suo viso non fece che rafforzare il desiderio di amarlo a lungo, in silenzio, con una tale passione da corrodermi e consumarmi lentamente, come le braci di fuoco. I suoi occhi languidi mi guardavano con gentilezza, con tenerezza e dolcezza, esattamente con avevano fatto in sala da pranzo.
Voltai il capo, tornando a guardare dinanzi a me. Cercai di scorgere qualcuno in spiaggia e così fu. Stese su una sdraio, Shelly ed Abby, prendevano il sole. Mi fermai di colpo e sgranai gli occhi. Tutto, intorno a me, svanii mentre i sensi di colpa si facevano avanti divorandomi il fegato. Mi sentii tanto infima da essere fonte di disgusto per me stessa, un traditrice che non coglieva occasione per amoreggiare con il ragazzo della cugina, una cugina che considerava una sorella.
«Come posso farle questo?» mormorai più a me stessa che a Ian. «Come posso?»
E sentimenti contraddittori si abbatterono su di me.
Ian non proferii parola, forse conscio a che lui di quanto basse fossero state le nostre azioni.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi, inumidirli fino ad offuscarmi a vista, al che fui costretta a passarci sopra il dorso della mano, asciugandoli.
Perché rovinare un sentimento talmente puro? Non siamo noi a decidere di chi innamorarci, scegliere colui o colei da amare incondizionatamente. E’ l’amore che sceglie noi. Succede e basta.
«Vieni, andiamo.» mormorò lui poggiandomi una mano sulla schiena.
A quel tocco mi divincolai e mi camminai lungo il vialetto, desiderosa di andare in camera.
«Helen, aspettami!» esclamò Ian dietro di me. Svoltai nel vialetto, al sicuro dietro un’alta siepe del resto incrociai le braccia al petto e mi voltai a guardarlo.
«Cosa c’è?» chiesi con tono duro e voce malferma.
«Cosa ti prende?»
«Non ce la faccio, Ian. Non ce la faccio a guardarla in volto. Il solo pensiero di guardarla negli occhi mi disgusta. Io mi disgusto.»
Lui aprì appena la bocca ed annuì piano col capo, prima di ridere con leggera isteria. «Così ti disgusta ciò che abbiamo fatto.»
«No, no!» esclamai scuotendo il capo. «Non volevo dire questo. E’ solo che… lei non sa… e…», il mio respirò accelerò, nel panico.
«Ehi, Helen, ehi… ascoltami.» mormorò lui prendendomi il viso fra le mani. «Respira, okay? Respira con me.»
I miei occhi vagavano fra le siepi e sul muretto del retro, dove non v’era nessuno.
«Guardami. Guardami, ho detto!» esclamò strattonandomi con dolcezza, afferrandomi la mandibola con una mano. «Uno… due… tre…»
Con gli occhi fissi sulle sue labbra seguii il suo respirò, fino a che non si fu calmato. A quel punto chiusi gli occhi e poggiai la fronte sul suo petto. Le sue braccia mi circondarono le spalle e mi strinsero teneramente a sé, mentre mi carezzava il capo.
In quel momento, fra le sue braccia, lasciai che qualche lacrima mi rigasse il viso. Era assurdo, me ne rendevo conto, tutto così irreale. Avevo tanto desiderato durante gli ultimi mesi essere cullata e calmata dalle sue braccia, per quell’amore, infondo, mai negatomi.
«Ti accompagno in camera.»
Scossi il capo. «Sto meglio.» dissi guardandomi in volto.
Alzò un sopracciglio. «Certo.» rispose asciugandomi le lacrime. «Lo vedo.»
Scossi il capo. «Ian…» protestai. «Non è il caso. Ti prego, lasciami andare da sola.»
Scosse il capo. «No.»
Premetti il palmo della mia mano sulla sua guancia. «Ian… ti prego…» mormorai.
Sospirò abbassando lo sguardo prima di posarlo nuovamente sul mio viso. Porto le mani sul mio viso e prese ad accarezzarmi le guance.
«Okay. Ci vediamo in spiaggia.»
Schioccai la lingua.
«Helen!» mi riprese lui.
«Come posso guardarvi insieme, Ian.» gemetti.
«Non sarai costretta a farlo.»
«Sì, invece. Non ti prometto che verrò. Magari andrò in piscina… chiederò ad Anthony e Ryan di accompagnarmi.»
«Posso raggiungerti.»
Sorrisi. «Potresti raggiungerci.»
«Ripeto: posso raggiungerti.» disse amabilmente baciandomi la fronte.
«Mi mancherai.» mormorai chiudendo gli occhi e affondando il viso nell’incavo del suo collo.
«Mi mancherà non poterti sfiorare.» rispose lui baciandomi la spalla nuda.
Alzai il capo e strofinai la mia guancia contro la sua, ad occhi chiusi, imprimendo la sensazione della sua pelle sulla mia, poi mi voltai e sparii oltre le siepi.

*

Eccomi ancora qui.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento…
Grazie di cuore ha chi ha recensito lo scorso capitolo e che ha letto senza farlo.
Come al solito, risponderò alle recensioni ogni qual volta verranno lasciate… se verranno lasciate.

Con immenso affetto,
                                Panda.

 



   
 
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