14.
~Passing
by you light up my darkest skie.
Passandomi
vicino illumini i
miei cieli più oscuri.~
Varcai
la soglia della grande vetrata e, a passo svelto, camminai lungo il
viale che
portava in spiaggia. Stavo scappando, patetico, umiliante, ma al
momento mi
sembrava l’unica soluzione.
Mi chiesi se Ian provasse i miei stessi sensi di colpa, se anche lui
era in
balia di una tempesta d’emozioni; se una parte lo attrasse
verso me, come poli
di una calamita di segno oppoto, mentre l’altra era respinta,
come poli uguali.
Scossi il capo ed accelerai ancor di più il passo, fino a
corre. Corsi sulla
spiaggia fino a che i polmoni non presero a bruciarmi ed il cuore a
battermi
furiosamente in gola. Mi fermai con le gambe dolenti. Mi sporsi in
avanti,
divaricandole appena e poggiamo le mani sulla ginocchia. Chiusi gli
occhi e per
alcuni istanti rimasi, così, immobile
a
riprendere fiato. Quando mi misi in posizione eretta, passandomi una
mano fra i
capelli ondeggianti per il vento mi resi conto di essermi terribilmente
allontanata dall’albergo. Non c’era nessuno sulla
spiaggia.
Sospirai e mi avvicinai alla palma più vicina, mi sedetti
sulla sabbia poggiandomi
al tronco.
Osservando il dolce andirivieni delle onde, il sole riflettersi sui
granelli
della sabbia bianca e udendo lo stormire delle foglie, mi chiesi
nuovamente
cosa avrei fatto. L’idea di dire tutto ad Abby di dilaniava,
l’idea di perdere
Ian mi dilaniava. In qualunque modo avrei sofferto, ed avrebbe sofferto
qualcun
altro. Avrei voluto comandare sugli affetti del cuore, ma non potevo.
Avrei
voluto non provare nulla, anche solo per un secondo, cancellare il
passato,
ricominciare… a quell’idea comunque provai una
fitta di dolore perché una vita
senza Ian… scossi il capo, cancellandone l’idea.
Tutto era concatenato, ogni
evento, ogni emozione, ogni pensiero. Il mio cervello era immerso nel
caos, il
mio cuore nelle fiamme.
Poggiai la testa al tronco e chiusi gli occhi, cercando di mettere a
tacere il
mormorio nella mia testa… con grande insuccesso. Era come se
ogni pensiero
avesse voce propria e trovare tranquillità in quel
chiacchiericcio era quasi
impossibile.
Non so quanto tempo rimasi, lì, immobile.
Mugugnai e battei il capo al tronco fino a che una voce estranea, ma
familiare,
richiamò la mia attenzione. In quel momento, il mormorio
cessò, mentre il cuore
mi balzò in gola.
Mi voltai e lo vidi, lì,
in piedi,
bello come il sole che illuminava gli occhi cielo. Indossava una
t-shirt bianca
e dei bermuda di jeans. Le labbra appena dischiuse, la fronte
aggrottata.
«Cosa ci fai qui?» chiesi con voce atona.
«Hai camminato parecchio.» rispose inclinando il
capo di lato.
«In realtà ho corso.» risposi voltando
il capo per guardare il mare. L’acqua
s’increspava con dolcezza, riflettendo i raggi del sole.
«Non ti facevo così atletica.»
Abbozzai un sorriso. «Simpatico.»
«Cosa ci fai qui, Ian?» chiesi senza guardarlo,
perché sapevo che, in quel
preciso istante l’avessi guardato, le mie difese sarebbero
crollate non avrei
desiderato altro che baciare quelle
labbra che mi mancavano terribilmente.
«Lo sai, Helen.» rispose e lo sentii avanzare verso
me.
«Dovresti essere con Abby.»
«Oh, al diavolo Abby! E’ qui che desidero essere
ora.» rispose.
A quelle parole sentii il cuore riscaldarsi e non potei non sorridere.
«Per quanto possa essere sbagliato, sono contenta che tu sia
qui.» dissi
voltandomi a guardarlo. Lui mi sorrise teneramente e si sedette accanto
a me.
Il suo profumo mi inondò i polmoni.
«Come facevi a sapere che ero qui?»
«Ho chiesto in giro. “Mi scusi ha per caso visto la
più bella ragazza del mondo
passare di qui?”» Feci un risolino, dandogli una
leggera spallata.
«Comunque, ho davvero chiesto se qualcuno aveva visto passare
una ragazza.»
disse giocherellando con una ciocca dei miei capelli. Quel gesto, anche
se
minimo, minò la mia concentrazione.
«Oh… ehm… Abby?» chiesi in
una smorfia.
«Ti ha vista uscire. Le ho detto che ci avrei pensato
io.» mormorò facendo
scivolare le dita lungo il mio braccio. Tremai.
«Tutto bene?» chiese alzando un sopracciglio.
Mi voltai di scatto. «Non riesco a mettere insieme una frase
di senso compito
se fai così.»
Sorrise malizioso. «Così come?» chiese
facendo scorre le dita sulle mie gambe
nude.
«Così!» dissi puntando
l’indice contro la sua mano. Le sue dite, presero ad
accarezzarmi il braccio.
«Ma non ti opponi.»
«Come potrei…» soffiai chinando il capo
e chiudendo gli occhi per imprimere il
suo tocco.
«Oh… Helen…»
mormorò lui intrufolando la mano fra i miei capelli ed
attirandomi
a sé.
Mi voltai e le sue labbra furono sulle mie. Un tocco leggero quanto
quello di
un petalo di rosa che galleggia sull’acqua, ma tanto intenso
da scatenarmi una
tempesta dentro.
Mi allontanai lentamente e poggiai la fronte sulla sua spalla. Capii,
in quel
momento, che non avrei potuto rinunciare mai a lui, nonostante amassi
mia
cugina. Capii che lui era l’altra
metà
della mela, e che nutrivo per lui un amore tanto forte che
aveva piantato
le sue radici
nel
mio essere.
«Mi spiace per questa mattina.» gemetti
aggrappandomi alla sua maglietta.
«Ssst… non fa niente.»
mormorò circondandomi le spalle con un braccio, mentre
io cercavo rifugio nel suo petto.
«Ho paura.» dissi dopo alcuni istanti di silenzio.
Lui prese ad accarezzarmi i capelli, mentre io mi strinsi ancor di
più a lui,
all’ombra dell’alta palma.
«Vorrei che capissi che, al disopra di ogni cosa, voglio te,
che ho bisogno di
te.» mormorò con voce calda.
Cullata dal suo respiro, sorrisi, mentre il mio cuore accelerava i suoi
battiti. In quel momento i lembi della ferita che mi squarciava il
petto si
riunirono.
«Sei ossigeno.» dissi solamente, chiudendo gli
occhi e godendomi quei pochi
istanti con Ian in un paradiso terrestre.
«Credo sia meglio andare.» dissi dopo qualche
minuto.
«No, ancora un po’.» mugugnò
lui stringendomi ancor di più.
Risi, cercando di divincolarmi dalla sua stretta ferrea. «No,
è meglio andare.»
«Ancora un po’.», la sua risata
tuonò nel suo petto.
«Ian… si staranno chiedendo che fine abbiamo
fatto.» protestai girandomi sulla
schiena e stendendomi sulla sabbia, poggiandomi con la testa sulle sue
gambe.
Lui mi carezzò con dolcezza il viso, seguì con i
polpastrelli il profilo della
mia guancia, della mandibola, l’attaccatura dei capelli. Mi
baciò le palpebre
chiuse, la punta del naso, l’angolo delle labbra. Poi il suo
tocco sparì e
corrugai la fronte, senza aprire gli occhi.
«Allora?»
«Cosa?»
«Hai saltato un punto.» mormorai reprimendo un
sorriso.
«Sul serio? Quale?»
Mi portai l’indice sulle labbra, pochi istanti dopo fu
sostituito dalle sue
labbra che morbide di mossero piano su esse.
Aprii gli occhi ed incontrai i suoi, tanto limpidi da mozzarmi il fiato.
«Ben tornata, Helen.» soffiò serio.
«Mi sei mancata.»
Fu allora che capii. Le immagini dei giorni precedenti si susseguirono
nella
mia mente tanto chiare che apparirmi reali. Rividi la rabbi, le
lacrime,
l’irritazione, sentimenti che non erano mai stati dominanti
in me, fino a
quando non vidi Ian baciare mia cugina, fino a quando non decidemmo di
cominciare quella vacanza.
Ma non ero pronta a parlarne, non volevo ricordare gli orribili momenti
in cui
le labbra di Ian, in cui il suo viso erano lontani anni luce da me. Mi
godetti
il presente, carezzando il suo viso scultoreo.
Sorrisi. «Su, andiamo.» dissi cercando di cambiare
argomento per non riaprire
vecchie ferite.
Scattai in piedi e gli porsi la mano, lui
l’afferrò e, quando fu in piedi
dinanzi a me, mi bacio a fior di labbra.
Scossi il capo e mi incamminai scrollandomi la sabbia di dosso.
In cuor mio sapevo che, di lì a poco, quella
felicità, quella tranquillità
sarebbero state sostituite dai rimorsi e dai rimpianti.
Camminammo sulla spiaggia, avvicinandoci all’albergo e quindi
al centro
abitato. La spiaggia diventava pian piano più affollata.
Spesso mi voltavo
verso Ian che camminava alla mia sinistra, osservandone i lineamenti e
spesso i
suoi occhi incontravano i miei, rivelandomi muti sentimenti che piano
preparava
a celare in fondo al cuore. Sì, perché presto
avremmo rivisto Abby, e lui
sarebbe tornato ad essere Ian, il ragazzo di Abby, con mia grande
sofferenza.
Capitava che, camminando sulla sabbia, perdessi appena
l’equilibrio e la mia
mano andava a sfiorare la sua. La mia pelle pareva prendere fuoco
all’istante, mentre
lo stomaco si attorcigliava su se stesso.
Un’orribile sensazione mi aveva chiuso la bocca della stomaco
e fu allora che
ricordai di non aver fatto colazione, questo spiegava il
perché delle vertigini
che di tanto in tanto mi facevano sbandare sulla sabbia e, certamente,
il sole
del tardo mattino non mi aiutava. Cominciavo a sudare e non era una
cosa
positiva.
Chiusi gli occhi e mi fermai un attimo.
«Ehi, tutto okay?» mi chiese Ian premuroso,
poggiandomi una mano su una spalla
e l’altra sul collo.
«Fa solo molto caldo.»
«Togliti la canotta, no?»
Alzai il capo, immergendomi nei suoi occhi. «Non ho il
costume.»
«Oh. E non ha fatto colazione.» annuii pensieroso.
Alzai gli occhi al cielo. «Dio, non ti sfugge mai nulla,
eh?» dissi cercando un
elastico nella borsa e legandomi i capelli in una coda di cavallo.
«No, se si tratta di te.»
Pensai al mio amore nascosto. Eppure
qualcosa ti è sfuggito…
Alzai il capo di scatto e fremetti. «Lo stai facendo
ancora.» sentenziai
riprendendo a camminare e dirigendomi verso l’albergo che,
oramai, distanziava
poco. Potevo scorgere gli ombrelloni di foglie di palme.
«Cosa?» chiese affiancandomi e rivolgendomi un
sorriso sghembo.
«Minare la mia concentrazione.»
Lui rise e la sua risata mi riempii il cuore. Mi voltai a guardarlo e
ogni
molecola del mio copro era attratta da lui, come se esso volesse
fondersi al
suo, la mia anima abbracciare ed amare ininterrottamente la sua. Avrei
dovuto
esserci abituata, ma ancora mi risultava difficile comprendere un
sentimento
tanto complesso come quello.
L’espressione sul suo viso non fece che rafforzare il
desiderio di amarlo a
lungo, in silenzio, con una tale passione da corrodermi e consumarmi
lentamente, come le braci di fuoco. I suoi occhi languidi mi guardavano
con
gentilezza, con tenerezza e dolcezza, esattamente con avevano fatto in
sala da
pranzo.
Voltai il capo, tornando a guardare dinanzi a me. Cercai di scorgere
qualcuno
in spiaggia e così fu. Stese su una sdraio, Shelly ed Abby,
prendevano il sole.
Mi fermai di colpo e sgranai gli occhi. Tutto, intorno a me, svanii
mentre i
sensi di colpa si facevano avanti divorandomi il fegato. Mi sentii
tanto infima
da essere fonte di disgusto per me stessa, un traditrice che non
coglieva
occasione per amoreggiare con il ragazzo della cugina, una cugina che
considerava una sorella.
«Come posso farle questo?» mormorai più
a me stessa che a Ian. «Come posso?»
E sentimenti contraddittori si abbatterono su di me.
Ian non proferii parola, forse conscio a che lui di quanto basse
fossero state
le nostre azioni.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi, inumidirli fino ad offuscarmi a
vista, al
che fui costretta a passarci sopra il dorso della mano, asciugandoli.
Perché rovinare un sentimento talmente puro? Non siamo noi a
decidere di chi
innamorarci, scegliere colui o colei da amare incondizionatamente.
E’ l’amore
che sceglie noi. Succede e basta.
«Vieni, andiamo.» mormorò lui
poggiandomi una mano sulla schiena.
A quel tocco mi divincolai e mi camminai lungo il vialetto, desiderosa
di
andare in camera.
«Helen, aspettami!» esclamò Ian dietro
di me. Svoltai nel vialetto, al sicuro
dietro un’alta siepe del resto incrociai le braccia al petto
e mi voltai a
guardarlo.
«Cosa c’è?» chiesi con tono
duro e voce malferma.
«Cosa ti prende?»
«Non ce la faccio, Ian. Non ce la faccio a guardarla in
volto. Il solo pensiero
di guardarla negli occhi mi disgusta. Io mi disgusto.»
Lui aprì appena la bocca ed annuì piano col capo,
prima di ridere con leggera
isteria. «Così ti disgusta ciò che
abbiamo fatto.»
«No, no!» esclamai scuotendo il capo.
«Non volevo dire questo. E’ solo che…
lei
non sa… e…», il mio respirò
accelerò, nel panico.
«Ehi, Helen, ehi… ascoltami.»
mormorò lui prendendomi il viso fra le mani.
«Respira, okay? Respira con me.»
I miei occhi vagavano fra le siepi e sul muretto del retro, dove non
v’era
nessuno.
«Guardami. Guardami, ho detto!» esclamò
strattonandomi con dolcezza,
afferrandomi la mandibola con una mano. «Uno…
due… tre…»
Con gli occhi fissi sulle sue labbra seguii il suo respirò,
fino a che non si
fu calmato. A quel punto chiusi gli occhi e poggiai la fronte sul suo
petto. Le
sue braccia mi circondarono le spalle e mi strinsero teneramente a
sé, mentre
mi carezzava il capo.
In quel momento, fra le sue braccia, lasciai che qualche lacrima mi
rigasse il
viso. Era assurdo, me ne rendevo conto, tutto così irreale.
Avevo tanto
desiderato durante gli ultimi mesi essere cullata e calmata dalle sue
braccia,
per quell’amore, infondo, mai negatomi.
«Ti accompagno in camera.»
Scossi il capo. «Sto meglio.» dissi guardandomi in
volto.
Alzò un sopracciglio. «Certo.» rispose
asciugandomi le lacrime. «Lo vedo.»
Scossi il capo. «Ian…» protestai.
«Non è il caso. Ti prego, lasciami andare da
sola.»
Scosse il capo. «No.»
Premetti il palmo della mia mano sulla sua guancia.
«Ian… ti prego…» mormorai.
Sospirò abbassando lo sguardo prima di posarlo nuovamente
sul mio viso. Porto
le mani sul mio viso e prese ad accarezzarmi le guance.
«Okay. Ci vediamo in spiaggia.»
Schioccai la lingua.
«Helen!» mi riprese lui.
«Come posso guardarvi insieme, Ian.» gemetti.
«Non sarai costretta a farlo.»
«Sì, invece. Non ti prometto che verrò.
Magari andrò in piscina… chiederò ad
Anthony e Ryan di accompagnarmi.»
«Posso raggiungerti.»
Sorrisi. «Potresti raggiungerci.»
«Ripeto: posso raggiungerti.» disse amabilmente
baciandomi la fronte.
«Mi mancherai.» mormorai chiudendo gli occhi e
affondando il viso nell’incavo
del suo collo.
«Mi mancherà non poterti sfiorare.»
rispose lui baciandomi la spalla nuda.
Alzai il capo e strofinai la mia guancia contro la sua, ad occhi
chiusi,
imprimendo la sensazione della sua pelle sulla mia, poi mi voltai e
sparii
oltre le siepi.
*
Eccomi
ancora qui.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento…
Grazie di cuore ha chi ha recensito lo scorso capitolo e che ha letto
senza
farlo.
Come al solito, risponderò alle recensioni ogni qual volta
verranno lasciate… se
verranno lasciate.
Con immenso affetto,
Panda.