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Autore: Daphne S    15/02/2011    4 recensioni
Fan Fiction Momentaneamente Sospesa
Nathan, figlio di una potente famiglia londinese, decide di evadere dalla falsità della sua vita.
Daphne, ragazza di campagna stanca delle offese ricevute dagli zii, decide di allontanarsi dalla monotonia del piccolo paese in cui vive.
Le loro vite si incrociano sul treno per Brighton della mezzanotte.
«Credi nel destino?» Le domandò, fissando il mare.
«Penso che ci siano le coincidenze.» Ribatté, passandosi una mano fra i capelli castani.
«Quindi pensi che sia una pura coincidenza il fatto che ci siamo ritrovati sullo stesso treno e nello stesso vagone?»
«Penso che sia stata fortuna.»
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MidnightTrain

CapitoloSesto.



testo



Nathan guardò Daphne per dei lunghi, interminabili istanti e si perse completamente nel blu dei suoi occhi. Perché gli stava facendo quella domanda? Perché lo voleva mettere così tanto in difficoltà? Chiuse gli occhi, sospirando poi sonoramente.

Cos'è quella cicatrice?

L'aveva notata, come l'avevano notata in molti in quell'ultimo periodo, però per una ragione a lui non chiara non riusciva a risponderle, a mentirle come aveva mentito a tutti gli altri che gli avevano posto la stessa domanda. Lei era diversa, se ne era reso conto dalla prima volta che aveva incrociato il suo sguardo su quel treno.

«Chi è Simon?» Quelle parole scivolarono con una estrema fluidità dalle sue labbra e, per una volta, benedì il suo parlare senza pensare: l'aveva decisamente distolta dalla sua domanda primaria, in quando Daphne era arrossita violentemente ed aveva abbassato lo sguardo. «Hai detto il suo nome più volte mentre dormivi.» Aggiunse, leggendo lo smarrimento nei suoi occhi. Lei sbatté le palpebre un paio di volte, passandosi poi le mani fra i capelli castani. Le ciocche di capelli si infilavano sinuosamente fra le sue dita lunghe e sottili, come quelle di un pianista.

Daphne cominciò a tremare con più forza, non appena colse lo sguardo di Nathan insistere. Non poteva scoprirsi in quel modo, non con lui. Non poteva lasciare cadere tutte le sue barriere, tutta la sua apparente forza e rivelare quel suo, forse, unico punto veramente debole e vulnerabile. Nathan era lì a pochi centimetri da lei, seduto con le gambe incrociate sul letto, con le mani posate sulle proprie cosce, in attesa di un qualsiasi cenno. Senza che se ne accorgesse, delle lacrime cominciarono a rigarle velocemente le goti, come se le parole che stava soffocando a forza dentro di sé stessero venendo fuori in quella forma liquida.

«Ehi, tranquilla...» Mormorò Nathan, prendendole all'istante le mani e tirandola verso il proprio petto, contro il quale la spinse poi dolcemente, passando le braccia intorno alla sua schiena. Daphne inspirò profondamente, nel tentativo di adottare una vecchia tecnica per trattenere le lacrime ma fallì miseramente in quanto non solo cominciò a piangere più violentemente, ma il profumo della felpa che indossava Nathan la inebriò profondamente, rendendola definitivamente ed incurabilmente assuefatta a quell'odore. Stava cedendo, se ne rendeva perfettamente conto, e non riusciva a raccogliere le forze per riscattarsi da quella situazione. «Daphne, calmati.» Nathan le prese il viso fra le mani, costringendola a guardarlo dritto negli occhi. «Non è successo niente, tranquilla.» Aggiunse in un roco sussurro.

Daphne annuì con vigore, passandosi poi una mano sul viso nel tentativo di scacciare le lacrime. Non osava immaginare come era il suo viso in quel momento; Nathan sicuramente non l'aveva fatta struccare quando erano tornati dalla discoteca e le lacrime probabilmente avevano fatto diventare il suo mascara un perfetto acquarello a cui il suo viso aveva fatto da base.

«I miei zii per guadagnare un po' di soldi avevano preso in affidamento un ragazzo che aveva rischiato di andare in riformatorio, Simon.» Mentre la voce usciva con estrema naturalezza dalle sue labbra, Daphne si domandava se si fosse completamente impazzita ad esporsi a Nathan in quella maniera. «Io avevo otto anni e lui quindici, lo conoscevo praticamente da quando ero nata visto che stava in affidamento dai miei zii da quando aveva otto anni.» Sospirò, guardando poi di sfuggita Nathan e rimanendo elettrizzata dall'intensità dello sguardo che le stava riservando: quasi non respirava e nei suoi occhi si poteva leggere pura preoccupazione. «I miei genitori ed i miei zii uscivano sempre insieme il pomeriggio e solitamente io e Simon restavamo a casa insieme, lui mi aiutava sempre a fare i compiti.» Si passò una mano fra i lunghi capelli castani, scompigliandoli leggermente. «Simon mi ripeteva sempre che ero una bellissima bambina e che adorava i miei occhi azzurri; io mi vergognavo sempre perché comunque lui era più grande e poi avevo sempre avuto una cotta segreta, la cotta da scuola elementare insomma.» Un altro sospiro. Un'altra occhiata di Nathan. «Un pomeriggio comincio a sfiorarmi, ad abbracciarmi, a provare a baciarmi. Ero piccola, non capivo neanche quello che mi faceva, e scappavo, cercavo sempre di correre lontana da lui.» Un singhiozzo ruppe all'improvviso la voce di Daphne. «Lui mi afferrava sempre per le gambe, mi buttava a terra, diceva che voleva solamente giocare un po' con me... Io mi rialzavo e scappavo nuovamente.»

«Lui ti ha mai fatto qualcosa?» Domandò Nathan con voce roca, mentre sentiva una rabbia crescente impadronirsi di lui. Non era un ragazzo violento e poche volte si era trovato coinvolto in delle risse serie, l'ultima quella sera, ma se pensava che qualcuno aveva osato avvicinarsi a Daphne e farle del male, istintivamente le sue mani si stringevano in dei serrati pugni.

«No.» Mormorò Daphne, ricambiando il suo sguardo. Anche Nathan tremava e la sua presa sicura sulle sue spalle, sul suo viso, la facevano sentire incredibilmente protetta, al sicuro, come se tutto il mondo potesse essere racchiuso improvvisamente in un unico, dolce, intenso abbraccio. «Io riuscivo sempre a scappare, ero piccola e veloce.» Abbozzò un leggero sorriso. «Lui provava a minacciarmi, diceva che se non uscivo dal mio nascondiglio lui avrebbe raccontato a tutti che avevo una cotta per lui.» Si accorse in quel momento che le sue dita avevano stretto incredibilmente forte la maglia che portava Nathan. Lasciò la presa, senza però spostare la mani dal petto del ragazzo. Le mani di Nathan scesero dalle guance di Daphne al suo collo, alle sue spalle, alle sue braccia ed infine si posarono su quelle di lei, stringendole piano. «Un giorno mentre stavo scappando da Simon, uscii di casa e corsi, corsi nel pieno della campagna, corsi diretta a Reading e per strada incontrai un poliziotto in borghese che mi portò nella stazione e non so come, non so perché vuotai il sacco. Mi sentivo incredibilmente stupida ricordo, pensavo che mi sarebbero scoppiati a ridere in faccia, invece presero seri provvedimenti.»
Per qualche lungo, interminabile istante, calò fra loro il silenzio, intercalato da sospiri, singhiozzi e brevi ma intensi sorrisi. I loro occhi sembravano liquefarsi nel momento in cui si incrociavano, come una danza sconosciuta agli uomini, talmente bella da essere indimenticabile. Daphne si strofinò la mano sugli occhi, cercando quasi di rimuovere con la forza le righe lasciate dalle lacrime. Si era mostrata esageratamente fragile ai suoi occhi.
«Scusami, io non volevo...» Mormorò, mordendosi poi il labbro inferiore.

Nathan la guardò intensamente negli occhi, chiudendo poi morbidamente le sue palpebre con i polpastrelli. La strinse con dolcezza a sé come aveva fatto infinite volte quella sera e la sentì tremare contro il suo petto, abbandonandosi con dolce violenza a lui, quasi lottando contro il proprio desiderio di abbandonarsi completamente. Non ebbe il coraggio né di chiederle altro, né di domandarle perché si era avvicinata così fastidiosamente a quel Harris. Fastidiosamente, quello era l'avverbio corretto. Aveva provato un fastidio diffondersi per le sue membra quando l'aveva vista così stretta a lui.


Daphne aprì gli occhi e nuovamente si ritrovò in una stanza che non assomigliava minimamente alla sua. Si rigirò fra le coperte e quando si voltò verso l'armadio, sperò di vedere Nathan ma, per suo disappunto, scoprì ben presto di essere da sola nella stanza.

Si alzò dal letto stropicciandosi gli occhi e lanciando un'occhiata all'orologio: mezzogiorno. Dannazione, aveva perso la lezione di politica! Si sedette sul letto, mentre nella sua mente riaffioravano tutte le parole che aveva detto a Nathan, tutti i segreti sul suo passato che gli aveva rivelato, ed un amaro le invadeva la bocca ed un formicolio si impadroniva delle sue membra: che fosse paura? Paura di cosa? Del fatto che si potesse allontanare da lei?

Scosse la testa, alzandosi nuovamente. Si avvicinò lentamente allo specchio, strofinandosi poi energicamente gli occhi nel tentativo di togliere tutto il mascara che, colando, aveva disegnato dei ghirigori. L'aveva vista in quelle condizioni? Maledizione, ecco perché non c'era più nella stanza, probabilmente si era spaventato di quella visione: sembrava decisamente indemoniata. Si passò le mani fra i capelli, andandosi poi a sciacquare il viso in bagno.

Calma. Doveva stare assolutamente calma. Nathan l'aveva salvata da una brutta situazione la sera precedente e, probabilmente, aveva capito le motivazioni che l'avevano ridotta in quello stato. Gli aveva pianto addosso. Probabilmente si era addormentata piangendo. Eppure nonostante l'imbarazzo che le stava facendo avvampare le guance, il suo profumo sembrava essersi impresso nelle sue narici, nella sua mente, nei suoi ricordi. Profumava come i boschi, un profumo silvestre incredibilmente penetrante e indimenticabile.

All'improvviso un rumore invase la stanza, sopraffacendo i suoi ricordi notturni. Si voltò di scatto, andando diretta verso la camera da letto. Sembrava una... vibrazione? Ma da dove proveniva? Inizialmente rovistò fra le coperte, mettendo sotto sopra il letto e, poi, si avvicinò alla scrivania. Dopo aver spostato un paio di libri di economia e storia dell'economia, trovò fra dei fogli scritti il cellulare.

Lauren.

Lauren? Chi era Lauren? Fissò il telefonino sbigottita finché non smise di suonare e, solo dopo, si accorse che aveva anche due messaggi non letti. Mittente: Lauren. Rigirò il cellulare fra le mani per qualche istante, indecisa sul da farsi.

«Tesoro, perché sei scappato così? Stavamo così bene fra le coperte...»

No, non era possibile. Fu sul punto di posare il telefono sulla scrivania, quando un impulso di autolesionismo la convinse a leggere anche il secondo messaggio.

«Mi sei mancato questa notte... Ci vediamo domattina per colazione? :)»

Perché se la stava prendendo così? Infondo fra loro non c'era assolutamente niente . Era liberissimo di portarsi a letto tutte le ragazze che desiderava, giusto? Perché non era convinta neanche di mezza parola che usciva dalle sue labbra? Perché?

Quando la sua mano fu a due centimetri dalla scrivania di mogano, pronta a lasciare l'iPhone, il cellulare vibrò nuovamente. Nuovamente Lauren.

«Grazie per la colazione! ;)»

Quello era decisamente troppo. Tornò vicino al letto e prese una felpa a caso; le importava ben poco di privare Nathan di una sua firmatissima e splendente felpa. La indossò, coprendo a malapena il vestito corto e si guardò allo specchio. Perché i suoi occhi erano così rossi e lucidi ? Cosa si era aspettata? Scosse la testa, avvicinando a grandi falcate alla porta e posò la mano sulla maniglia dorata; in quello stesso istante la porta si aprì e si ritrovò faccia a faccia con Nathan.

«Sei sveglia!» Il suo sorriso era così schifosamente largo e felice da sembrare incredibilmente...

«Ipocrita!» Urlò di rimando Daphne, sbattendo contro il suo petto l'iPhone bianco. «E' andata bene la colazione con Lauren?»

«Con chi?» Alzò un sopracciglio e la sua faccia sbigottita fece indiavolare maggiormente Daphne che, con rabbia, lo spinse lontano dalla porta.

«Hai ancora il coraggio di mentirmi? Basta! Ho letto i messaggi!»

«Daphne, di cosa diavolo stai parlando? Sono stato a lezione!» Tirò fuori dalla tracolla dei libri e dei quaderni, buttandoli poi a terra. «Che diavolo hai?» Poi prese il cellulare in mano e, dopo averlo osservato qualche istante, scoppiò a ridere, buttando poi di scatto tutti i libri a terra, seguiti dal cellulare. Daphne sobbalzò, facendo poi un paio di passi indietro; l'espressione di Nathan cominciava a farle paura.

«Punto primo: questo non è il mio cellulare, ma quello di Thomas Ichter, il portiere della squadra. Ha l'abitudine di venire in camera mia prima di andarsi a scopare Lauren. Lauren Hales è del primo anno, ha dei capelli neri che sembrano paglia e mi fa davvero tanto schifo. Punto secondo: se anche fosse stato il mio cazzo di cellulare ed io mi fossi fatto Lauren Hales, tu che diritto avresti avuto di farti i fatti miei e venirmi a giudicare? Possibile che sai solo ed esclusivamente giudicare nella tua cazzo di vita?»

Daphne restò in silenzio, guardando Nathan negli occhi e desiderando di potessi scavare una fossa da sola. Possibile che non combinava altro che guai? Perché, perché qualsiasi cosa facesse non faceva altro che deteriorare il suo rapporto con lui, lui che era l'unico che in quel periodo le era stato accanto? Lui che... che conosceva il suo più profondo segreto?

«Nathan, scusami.» Mormorò, alzando le mani quasi a volergli sfiorare il viso in una gentile carezza.

«Non mi toccare.» Con un brusco movimento allontanò le sue braccia. Aprì nuovamente la tracolla, tirando fuori una busta di carta bianca. «Questa era la cazzo di colazione che non ho fatto perché volevo fare con te.» Buttò la busta a terra, facendo fare infine la stessa fine alla borsa.

«Nathan, io...» Lui la zittì con un cenno della mano.

«Daphne, ti prego, vattene adesso, non ho voglia di parlare adesso.» La sua voce era pesante, quasi delusa? Si sedette sul letto, portando le mani alla testa. Daphne restò in piedi ferma, immobile alla porta e continuò a guardare incessantemente i movimenti di Nathan: sembrava infinitamente inquieto, nervoso, perché lo aveva toccato tanto? Era stato solo un malinteso.

«Non ho mai raccontato a nessuno della cicatrice che ho.» Disse con voce leggermente roca, alzando poi lo sguardo ed incrociando lo sguardo di Daphne. «A nessuno.» Ripeté con voce leggermente più bassa, alzandosi poi in piedi e cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza. «Questa notte avrei voluto veramente raccontarti tutto perché io mi fidavo... io mi fido di te.»

«Nathan, anche i...» La zittì nuovamente con un movimento.

«Non ti fidi di me, Daphne.» Scosse la testa, avvicinandosi alla ragazza e poggiando una mano sulla sua guancia. La guardò negli occhi blu; era leggermente più bassa e da quella distanza poteva sprofondare nei suoi occhi che sembravano essere l'oceano, l'oceano più bello, più blu. «Non ti fidi.» Si allontanò dandole le spalle.

Daphne tremava, inchiodata in quel del pavimento, incapace di fare un passo, incapace di pensare, parlare. Possibile che lo avesse deluso?

«Io ti ho raccontato tutto di me, io...» Si morse il labbro inferiore, facendo poi un passo nella sua direzione ma tornando nuovamente indietro. «Sei il primo a cui l'ho raccontato.» Aggiunse in un leggero mormorio.

«Allora sono io a non fidarmi più della persona che sei; evidentemente non sei la Daphne a cui ero pronto a dire tutto.» La sua sentenza pesò come un macigno su Daphne che, per poco, non si sentì mancare nuovamente il pavimento sotto i piedi. «Scusami ma non ho voglia di continuare questa conversazione, sono abbastanza stanco.»

Daphne lo guardò un'ultima volta, ma lui né si voltò, né aggiunse altre parole. La ragazza si voltò silenziosamente, uscendo poi in fretta dalla stanza. Voleva allontanarsi da quella stanza nella quale aveva rivelato il suo segreto a Nathan. Voleva allontanarsi da quella stanza dove le era venuta la malsana idea di farsi gli affari di qualcuno leggendo i messaggi. Voleva allontanarsi da quella stanza dove Nathan sembrava aver decisamente posto i paletti della loro relazione in un verso decisamente negativo e differente da quello che aveva desiderato, da quello che aveva sognato. Le dava fastidio tutto del Keble College. Il colore delle felpe; come il colore delle felpe di Nathan. Le davano fastidio le foto della squadra del college appese su ogni muro di ogni corridoio; Nathan faceva parte della squadra. Le dava fastidio il fatto che il Keble College fosse rinomato per il suo corso di Economia e Management; Nathan era iscritto a quella facoltà. Le dava fastidio ogni singolo angolo, ogni singola voce, ogni singola persona che incontrava. Ma soprattutto le dava fastidio quel profumo silvestre che sembrava perseguitarla. Perché aveva rovinato nuovamente tutto?


«Daphne, mangia su.» Victoria sventolò una busta piena di biscotti davanti il viso della ragazza che, per l'ennesima volta, non fece altro che scuotere la testa sconsolata.

«Non è successo nulla, dai.» Neanche Evan sembrava convinto mentre pronunciava quelle parole, tentando di infilare un biscotto nella bocca della ragazza. Daphne si portò le mani sul viso, scuotendo ancora la testa.

Erano nella caffetteria della biblioteca e, a due giorni dalle ultime parole che si erano rivolti Nathan e Daphne, la situazione non sembrava aver fatto altro che precipitare. Nonostante Victoria stesse con Damien che era il migliore amico di Nathan, quest'ultimo aveva cominciato ad evitare tutti i luoghi comuni che aveva sempre frequentato.

«Evan, mi passi il mio libro di anatomia?» Rebecca si intromise nella conversazione con un ampio sorriso.

«Reb, non mi sembra il momento.» Rispose Evan, facendo un cenno con la mano.

«Ma la smettete di torturarla?» Sbottò di rimando la ragazza, portandosi scocciata le mani sui fianchi e sbuffando.

«Ma cosa vuoi saperne tu!» Evan non si lasciò di certo sfuggire l'ennesima occasione per scatenare un battibecco.

«Di sicuro ne so più di te su molte cose, testa di zucca.»

«Senti,...»

«ZITTI!» Daphne sbottò, alzandosi di colpo dal divano di pelle e raccogliendo frettolosamente le sue cose dal tavolino e dalla poltrona. «Mi sono rotta di sentire i vostri continui, stupidi ed inutili battibecchi! Chiudetevi in una stanza e risolvete i vostri diverbi in un altro modo, no? Tanto siete abituati!» Rebecca spalancò gli occhi ed Evan dovette trattenere una risata.

«Non ti permettere.» Sibilò Rebecca, non abbassando di un millimetro lo sguardo. Daphne accettò quella silenziosa sfida.

«Mi permetto eccome. Lasciate in pace me e fatevi una ricca sc...» La sua ultima parola fu coperta dagli insulti che cominciò a sputare a raffica Rebecca. Evan la dovette trattenere per le braccia per evitare che andasse a finire contro Daphne. Quest'ultima invece dopo essersi sistemata, si allontanò in fretta dalla biblioteca.

Cosa le stava succedendo? Possibile che quel suo litigio con Nathan avesse avuto un tale effetto sulla sua quotidianità? Erano passati solo due giorni infondo. Due soli maledettissimi giorni. Non poteva lasciare che la condizionasse così tanto, non poteva lasciare che arrivasse addirittura al punto di minare la sua concentrazione nello studio, i suoi rapporti interpersonali, i suoi impegni fuori dall'università.

«Girano voci che c'entri la Monroe.» Disse una voce a lei conosciuta.

Si fermò, avvicinandosi all'angolo che stava per voltare, appiattendosi praticamente contro la parete. Era Madison Linton quella che parlava.
«Monroe? Daphne Monroe? Quella sfigata campagnola castana?» Parlò una voce che non aveva mai udito prima. Daphne respirava, tentando di trattenere i suoi istinti.

«Nathan non ha mai picchiato nessuno, figuriamoci se si macchiava le mani per una Daphne Monroe.» Intervenne una terza ragazza. Che simpatica combriccola.

«Ogni volta che torna da Londra dopo lunghi periodi è sempre così strano.» Commentò Madison, sospirando poi. «Gli fanno davvero il lavaggio del cervello.»

«A proposito, cosa ci va a fare a Londra ogni santa volta? L'anno scorso non stava mai a lezione.»

«L'anno scorso stava in Iraq e non ha perso l'anno solo ed esclusivamente perché il padre ha sborsato una cifra spropositata di soldi. Vi siete mai domandate perché all'improvviso è comparsa una libreria nuova al Keble?» Dette quelle parole, si allontanò insieme al suo seguito e Daphne restò totalmente tramortita a fissare la riproduzione di un quadro di Hayez che era appeso alla parete di fronte a quella contro cui si era poggiata.

Iraq. Era andato in Iraq, quindi, magari procurandosi lì quella cicatrice. Sospirò, tentando di far calmare il suo cuore che aveva cominciato a battere all'impazzata; Iraq. Quel nome continuava a martellarle il cervello, sembrava essere sul punto di collassare. Iraq. Quella notte voleva raccontarle tutto. Le avrebbe raccontato quella mattina, quando era intenzionato a fare colazione insieme. Aveva rovinato tutto. Come si sarebbe sentita lei se improvvisamente avesse scelto di aprire un profondissimo segreto ad una persona e quella persona l'avesse in modo ugualmente repentino delusa?


Daphne stava in piedi immobile davanti l'ingresso principale del Keble College. Teneva le braccia incrociate al petto ed i suoi piedi erano immersi in buona parte nella neve. Quarantotto ore prima era in una delle stanze di quell'edificio stretta fra le braccia di Nathan. Il solo pensiero di quei momenti riusciva a scaldarla facendole dimenticare di essere inglobata dal gelido clima invernale dell'Inghilterra. Doveva parlargli. Doveva vederlo. Non sapeva cosa volesse dirgli per l'esattezza ma sapeva solamente di avere la folle necessità di vederlo, di parlargli, era sicura che le parole sarebbero venute da sé.

«Monroe! Che ci fai qui? Hai perso la via di casa?» I biondi capelli svolazzanti di Madison furono in quattro e quattr'otto davanti a Daphne, coprendole completamente la visuale del Keble. La squadrava con la sua aria di superiore e masticava con poco eleganza un chewing-gum.
«No, stavo semplicemente aspettando una persona.» Rispose, affrontando coraggiosamente il suo sguardo. Madison ridacchiò, passandosi poi una mano fra i capelli.

«Stai aspettando Nathan? Sei arrivata un po' in ritardo...» Rise nuovamente, mentre i suoi occhi lasciavano passare un'espressione di sadismo puro. «Potresti aspettarlo inutilmente giorni, settimane, mesi... anni, a questo punto.» Daphne alzò un sopracciglio, mentre la sua espressione sorpresa dava l'occasione a Madison di sorridere soddisfatta per la propria vittoria.

«Dov'è?» Domandò, non abbassando lo sguardo.

«Mmh, potrebbe essere ovunque a quest'ora...» Ovunque? Il cuore di Daphne batteva all'impazzata. Era partito così all'improvviso senza dire nulla? Senza dirle nulla? No, non era assolutamente possibile. «Sta andando alla stazione, è uscito poco fa.» Per poco Daphne non si lasciò cadere sulla soffice neve che riempiva lo spiazzo davanti l'entrata del college.

Senza dire nulla voltò le spalle alla ragazza e cominciò a correre a perdifiato verso quella maledetta stazione. Era impazzito? Perché tutto d'un tratto aveva deciso di voler andare a Londra? Per causa sua? Non era possibile. Non poteva andare così. Non poteva avere avuto un impatto così grande su di lui. No. E poi, non poteva andarsene in quella maniera. Doveva chiedergli talmente tante cose, doveva rendersi partecipe del suo mondo, delle sue parole, delle sue fragilità. Voleva essere un punto di riferimento per lui. Voleva dirgli che lei si fidava di lui, si fidava veramente di lui.


I was made to believe I'll never love somebody else again,

Made a plan, stay the man, who can only love himself,

Lonely was the song I sang 'till the day you came,

Showing me another way and all that my love can bring.

Scese dall'autobus numero 82 e si precipitò verso l'ingresso della stazione. Treni per Londra. Treni per Londra. Il prossimo era in partenza fra nove minuti. In pochi istanti fu sulla banchina a guardarsi intorno nel tentativo di vedere un ragazzo in divisa ma non lo trovò. Forse era già partito?

Half of my heart's got a real good imagination

Half of my heart's got you

Half of my heart's got a right mind to tell you

That half of my heart won't do

«Daphne? Che ci fai qui?»

Daphne si voltò di scatto e nel momento in cui il suo sguardo incrociò quello di Nathan, il suo cuore balzò così forse nella gabbia toracica che per poco non ebbe un infarto lì davanti a lui. Sentì i propri occhi riempirsi di lacrime di gioia ed istintivamente buttò le braccia al suo collo, abbracciandolo energicamente.

«Mi rifiuto di credere che tu voglia arruolarti nuovamente solo perché io sono una povera idiota che si costruisce storie immaginarie per un messaggio. Mi rifiuto di pensare che tu voglia tornare in Iraq per un'idiozia simile. Mi rifiuto di pensare che io abbia potuto scatenare tutto questo. Mi rifiuto di credere che...»

«Daph, respira» Posò le mani sulle guance della ragazza come aveva fatto molte volte e la costrinse a guardarlo negli occhi. «Non indosso neanche la divisa.» Daphne sbatté un paio di volte le palpebre, notando poi che indossava un cappotto e dei semplici jeans. Arrossì visibilmente, sentendo le proprie goti avvampare per il contatto con le mani fredde di Nathan.

«Io mi fido di te. Non ho mai raccontato di Simon a nessuno e l'ho raccontato a te che fino a pochi mesi fa eri uno sconosciuto. Mi fido di te.» Si morse le labbra, sospirando poi. «Ero gelosa. Ero follemente gelosa di quella fantomatica Lauren perché pensavo che tu provassi qualcosa per me, perché pensavo che ci fosse qualcosa fra noi dopo quella notte, perché pensavo che tu ricambiassi i miei sentimenti... E quei messaggi, quei messaggi hanno demolito le mie illusioni ma non la mia idea di te.» Disse tutto d'un fiato, notando con piacere che Nathan era rimasto in silenzio, ammutolito dalle sue parole. «Poi ho sentito Madison parlare di te, dell'anno scorso, dell'Iraq e... E non andare, ti prego.» Posò le proprie mani sulle sue, notando con piacere che si intrecciarono con dolcezza.

Nathan deglutì, beandosi di quel leggero contatto che c'era fra loro. Leggero fisicamente ma tagliente e profondo da un punto di vista spirituale. Si sentiva magnetizzato dai suoi occhi, dalle sue parole, dalle buffe espressioni che assumeva quando si dimenticava di respirare fra una frase e l'altra, era come se la sua anima fosse stata intrappolata, catturata e legata con forza a quella di Daphne. Era come se si fosse creato un legame più forte di quelle stupide litigate, di quelle parole che si erano detti per rabbia.

«Sto andando a Londra perché è passato esattamente un anno da quando mio cugino è morto in Iraq ed io ero con lui in quel momento.» Disse, notando come le parole scivolavano con facilità fuori dalla sua bocca. «Mi ha salvato la vita.»

Il rumore del treno in avvicinamento li fece voltare ed i loro sguardi si posarono sui vagoni che si materializzarono davanti i loro occhi.

«Ci vediamo quando torni allora.»

Non fece in tempo a terminare la frase che le labbra di Nathan si posarono sulle sue. La trascinò in un bacio improvviso, pieno di parole, pieno di sentimenti. La strinse a sé passando le braccia dietro la sua schiena, poi sui suoi fianchi, poi nuovamente sul suo viso. Si allontanò da Daphne per prendere fiato e, mentre lasciava dei delicati baci a stampo sulle sue labbra accaldate, la guardò negli occhi, stupendosi per l'ennesima volta dell'effetto che gli facevano.

«Vieni con me.» Mormorò, sistemandole poi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«A Londra?» Daphne sembrava essere appena stata colpita da un getto di acqua gelida.

«Sì. Voglio che tu sia parte del mio presente e, per esserlo, devi conoscere il mio passato.» Sorrise, prendendole poi la mano. «Mi fido di te.»

   
 
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