Premessa.
Durante la lettura
del primo volume dei “Diari di Stefan” (una sorta di Prequel della serie TV),
ho meditato parecchio sulla figura di Damon in versione umana: il Damon che
aveva deciso di non nutrirsi dopo essere stato ucciso dal padre. Il Damon che
era deciso a lasciarsi morire. Ho cercato di rinchiudere in queste poche
parole, quello che penso potrebbe aver provato prima che Stefan lo forzasse a
completare la sua trasformazione.
Buona lettura!
He was like a young Deer.
Damon Salvatore chinò
appena la schiena per cingersi le ginocchia con le braccia: le iridi di
ghiaccio erano intrappolate nel colorito scarlatto del tramonto, diluito fra i
tratti dell’orizzonte: perfino il cielo portava il colore del sangue.
Il vento scompigliò i
ciuffi di capelli corvini che ricadevano ribelli sul volto del giovane uomo. Damon
accarezzò con gesti meccanici il folto mantello d’erba su cui era seduto, contemplando
la piacevole sensazione di freschezza emanata da quel contatto. Era
incantevole avvertirne la delicatezza sui suoi polpastrelli; la pelle gli
bruciava dolorosamente e il suo cuore era come congelato: paralizzato da un
dolore troppo grave. Ma le sue dita percepivano la tenerezza di quei
frammenti di verde, riportandolo con nostalgia alle corse sul prato di quando
era piccolo. Alle
risate, ai giochi condivisi con i ragazzi del villaggio.
Con suo fratello
Stefan.
E in seguito con
Katherine.
Ma Katherine non
c’era più.
Damon strinse le mani
a pugno, intrappolando manciate di terra e foglie ormai prive di linfa vitale.
Avvertì le chiazze di terriccio farsi strada fra le sue mani pallide
e schegge di polvere infilarsi sotto le sue unghie. Per
lui, l’eterno ribelle che aveva in odio le costrizioni, la sensazione al tatto
era quasi piacevole: gli ricordava un’infanzia trascorsa a marinare le funzioni
della domenica e a rotolarsi nel fango come un cane di strada.
Un tenue sorriso fece
capolino sul suo volto esangue e, per un attimo, quel sottile brandello di
umanità che ancora lo manteneva in vita vibrò tremulo in un angolo appartato
del suo petto. Non
era più vivo, ma nemmeno privo di esistenza.
I fantasmi di un
passato ormai separato dall’istante che stava vivendo incominciarono a
rincorrersi fra le ombre della sua testa.
Ricordò con una punta
di divertimento il volto insoddisfatto di suo padre, quando il giovane Damon
tornava a casa da una delle sue scorribande con i vestiti sdruciti e la camicia
slacciata.
Evocò con tenerezza il
timbro allegro della voce di sua madre: delicato e fragile, proprio come lei.
Lo sguardo della
signora Salvatore si era sempre soffermato sui lineamenti malandrini del suo
primogenito con affetto e amorevole dolcezza.
Con un brivido, Damon
avvertì la certezza che avrebbe rivisto presto il suo volto.
E Katherine: si,
avrebbe rivisto anche lei.
Il pensiero delle due
uniche donne che lo avevano amato fin dal primo istante, senza mai esitare o
essere colte da alcun dubbio, lo aiutò a scacciare via la paura di quell’ultima
notte che stava facendo capolino verso di lui.
Con un sorriso e una
lacrima, Damon pensò a quanto avrebbe rimpianto il cielo: quel gigante imponente,
ma benevolo che si estendeva libero sopra la sua testa.
Si accoccolò
sull’erba, avvertendo con un brivido d’inquietudine l’aria farsi sempre più
rarefatta e tagliente, contro la sua pelle ormai in frantumi.
Ma non pianse:
non più.
Sorrise.
E chiuse gli occhi,
Damon Salvatore.
Immaginò cosa avrebbe
trovato al suo risveglio, al posto di quella radura spoglia. Di quel silenzio
carico di dignità e rispetto. Di quella solitudine che picchiettava nel suo
petto.
E per un attimo, solo
un attimo, Damon avvertì la tenerezza in quel frangente, in aperto
contrasto con la rigidezza spettrale del suo passato.
Sarebbe stato libero,
si disse. Libero come aveva sempre desiderato essere.
Leggero.
Forse vuoto, ma
questo avrebbe implicato un’assenza di qualsiasi tipo di fardello.
E felice.
Per la prima volta da
giorni, il ragazzo accarezzò l’attesa del suo domani, ignorando i brividi di
freddo che torturavano la sua pelle dilaniata.
Sì: Damon Salvatore
sarebbe stato felice.
Il cervo era scappato via e
il proiettile aveva colpito il cucciolo di cerbiatto al ventre.
Stavo per precipitarmi in
suo soccorso, ma mio padre me l'aveva impedito.
"Gli animali sanno
quando è giunta la propria ora. Concedigli almeno la serenità di morire da
solo".
Aveva detto mio padre,
costringendomi a proseguire la marcia.
Mi ero messo a piangere, ma
lui era stato irremovibile.
In quel momento, osservando
Damon, avevo capito.
Lui era come il giovane
cervo.
"Addio, fratello".
Sussurrai.
Da Il Diario del Vampiro. La
Genesi.
Nota dell’autrice.
Se sono affascinata dal Damon vampiro, lo sono forse
ancora di più da questo Damon catturato nel limbo: a metà tra la vita e la
morte.
La citazione a fine racconto è uno dei passi che mi ha
colpito maggiormente del libro citato. Il rimando di questo frammento nel
titolo mi è sembrato d’obbligo.
Un abbraccio
Laura