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Autore: StilledAnima    17/02/2011    5 recensioni
Sana scappa in America dopo un presunto tradimento di Akito. I due si lasciano senza spiegazione alcuna e dopo cinque anni una telefonata spinge Sana a riconsiderare il passato mai dimenticato. Sarà un viaggio di ritorno nel paese natale, ma anche un nuovo inizio per la sua storia d'amore? ( Questa fic era stata già precedentemente pubblicata, ma per motivi personali mi ero decisa a cancellarla. Adesso ve la ripropongo, corretta e revisionata.) Buona Lettura!:)
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Altro Personaggio, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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_Beautiful Disaster -

di StilledAnima
 

 
                                                                   Alla moglia amante del viola e del nero:

 Perché per due anni ci sei sempre stata  mentre io non c’ero.








 

And I miss you
Been far away for far too long
I keep dreaming you'll be with me
and you'll never go
Stop breathing if
I don't see you anymore

On my knees, I'll ask
Last chance for one last dance

( Nickelback, "Far away" )

 
 
( Pov Akito)
 


Nei momenti in cui capisco, ho sempre paura.
Dev’essere perché finora ogni volta che ho avuto la sensazione di capire qualcuno, le cose non sono mai andate come dovevano. 
La verità è che questi  momenti potrebbero fare ancora la differenza, non c’è niente di scritto nel futuro.
Ma i miei piedi non si muovono, l’aria non arriva con regolarità ai polmoni.
L’unica cosa che riesco a fare è fissare quel telefono abbandonato sul pavimento chiedendomi se sia solo un altro brutto incubo, uno dei tanti che mi tengono compagnia quando lei non c’è.
 

Sana non può ferirmi, andarsene via così.


Non è nel suo carattere scappare di fronte a un problema, non è nella sua indole lasciarsi il passato alle spalle senza dare spiegazioni.

Deve trattarsi di uno scherzo, un’altra delle tante stramberie che quella pazza della signora Kurata ha architettato per farmi perdere il sonno.

Cerco di convincermi, di stringere i denti di fronte all’evidenza finché non mi accorgo che qualcosa comincia a cambiare. Una specie di reazione chimica su cui non ho nessun controllo: entra lenta in circolazione, pompa sangue nelle vene, fa disperdere quella patina che mi impedisce di vedere la realtà per quella che è.

L’attesa scivola via come un nastro tirato e quello che mi ritrovo davanti agli occhi è un destino talmente doloroso da mozzarmi il respiro e farmi piegare in avanti sulle ginocchia.
Come la caduta precipitosa di un fiammifero in una polveriera, il dolore di un bacio non dato, lo strappo allo stomaco di un salto vertiginoso ad alta quota.

 
Ci sono solo immagini a descrivere quest’istante,  frammenti di colore che vorticano impazziti e portano tutti ad un’unica conclusione: lo straziante suono della mancanza.


 
Mi ritrovo in strada senza accorgermene, una sciarpa legata malamente attorno al collo e le falde del cappotto a nascondere il pigiama.
Inizio a correre verso l’aeroporto, per le vie già piene dei primi pendolari mattutini e sotto gli ultimi raggi di questa luna dai colori opachi.

Vetri, asfalto, la luce del sole sulle punte più alte dei grattaceli, le mie unghie infilzate a viva forza nei palmi. Non c’è altro in questa mattina di dicembre, se non la consapevolezza che questa vita sta correndo troppo in fretta persino per me.

Il fianco inizia a pulsare per lo sforzo proprio nel momento in cui metto un piede in fallo e crollo in avanti, le mani che si sbucciano nel tentativo di frenare la caduta.
È come se il peso del mondo si riversasse in tempesta sopra di me, impedendomi di riacquistare lucidità e rigando le mie guance con le prime stille salate di quel dolore a stento trattenuto.
Perché le sento arrivare, quelle ondate di sofferenza. Strisciano sotto pelle, silenziose, aggirano il cuore e mi cementano su questo marciapiede senza darmi la possibilità di alzarmi.

Ho perso, non riuscirò a fermarla neanche stavolta.

Precipito giù, le dita ad artigliare la stoffa dei pantaloni, il petto scosso dai primi singulti. L’aria mattutina si trasforma improvvisamente in un vento gelido che tocca le ossa come neve, i pallidi colori che si perdono nel grigiore di una speranza che se n’è andata e non tornerà più.

Non c’è, è andata via.

Persino i passanti diventano figure sfocate e distratte in continua lotta con il tempo, tutti troppo impegnati con le loro vite per fermarsi ad ascoltare il rumore di quel  vuoto tra le costole.  Riesco a rimettermi in piedi a fatica, le dita a cancellare quelle prime tracce di debolezza quando all’improvviso riesco a distinguere un volto tra i tanti. Non so perché colgo quell’espressione, non so perché tra le tante persone che affollano questa strada  mi incanto a fissare proprio quei grandi occhi.

C’è una bambina sul seggiolino posteriore di una bicicletta ferma al semaforo. Avrà più o meno cinque anni e, del tutto indifferente al caos che la circonda, sposta la sua attenzione su ogni oggetto in movimento, l’aria trasognata di chi sta seguendo qualcosa di bello.

È un attimo, e poi i suoi occhi incontrano i miei per la prima volta.

Uno sguardo discreto, incredibilmente adulto e disincantato, gli occhi di una bambina abituata a guardare il mondo dalla sua piccola sfera personale.
Qualcosa di insolito inizia a pizzicare i bordi ingialliti dei miei ricordi e in un attimo lungo un sospiro mi rendo conto di dove ho già visto quello sguardo, dove ho già intravisto quella franchezza ingentilita da un sorriso.
Era un altro viso, erano capelli lunghi spettinati dal vento, quella gioia di vivere che così spesso le avevo invidiato.


“- Allora uccidimi.
-Come si può chiedere una cosa del genere? È così stupido!
-Non hai mai voluto morire?
-No, mai!”

 
Non so cosa sia la speranza, ma ammesso che da qualche parta esista, come qualcosa di luminoso e ancora intatto, capisco solo che qui la sua energia non potrebbe respirare. Non c’è in questa città e nemmeno negli occhi delle persone che vedo per strada. Non ce n’è la minima traccia alla televisione o nelle vetrine dei negozi, neppure nel mondo dove sono cresciuto.

L’unica speranza che mi è rimasta, la sola vera luce in fondo al tunnel  che mi resta, sta per andarsene con un aereo internazionale.
 
E io non sono ancora disposto a lasciarla volare via da me.
 

Come un automa, ricomincio a correre  nel traffico di Tokyo sollevando grida e insulti ogni volta che travolgo qualcuno. Non mi fermo, inciampo, prendo vie laterali e scorciatoie per evitare le lunghe file di auto. Proprio quando sento di nuovo le forze venire meno, l’entrata del aeroporto si apre davanti a me come un porto di mare e vengo risucchiato dalla folla in partenza.

Mi precipito verso le lunghe code, ignorando le occhiate curiose dei turisti e le risate di qualche gita di passaggio.

“Sana!”

Qualche donna si volta, probabilmente richiamata dal suono dello stesso nome. Ma solo lei è l’unica che voglio, l’unica che cerco e non riesco a trovare. Salgo a due a due i gradini della scala mobile, correndo come un pazzo verso i terminal.

“Sana!Sa…”

L’urlo mi muore fra le labbra non appena riesco a scorgerla fra questo fiume di persone.
Se ne sta aggrappata alle spalle di Occhiali da Sole dandomi le spalle, i lunghi capelli liberi sulla schiena. Non ci sono parole per descriverla, chiusa in quell’abbraccio di affetto con le guance rigate di lacrime: è solo la cosa più bella che abbia mai visto in tutta la mia vita.
Porta degli occhiali che avevo sempre visto su di un viso diverso e questo mi fa spostare l’attenzione sul suo manager : lo sguardo triste, quelle lacrime silenziose senza un perché.

Non riesco a capire e non riesco neppure a fare un altro passo verso di loro. C’è qualcosa di sbagliato in quella stretta, qualcosa di definitivo che mi fa paura.
 

“Avviso per il volo Tokyo- Los Angeles: preghiamo i gentili passeggeri di affrettarsi al gate numero sette per l’imbarco. Grazie per l’attenzione, il personale vi augura un buon viaggio.”

 
Le parole che feriscono di più sono sempre quelle che non si riescono a dire.

Non  ci sono spazi bianchi in quelle dita che si cercano con tenerezza, fra quelle lacrime che cadono giù insieme a tante altre.
Solo quando Sana si separa con un ultimo abbraccio dal suo accompagnatore riesco a percepire quella scossa nell’aria.

Arriva con la forza di un proiettile, come quell’ultimo sguardo lanciato indietro.

È il mio cuore ad udire per primo ogni sillaba della parola “fine”, pur essendo sordo.
Quattro lettere piombate su un pavimento come schegge di vetro in frantumi, noncuranti dei dolorosi sentimenti che risvegliano dal loro letargo.
Questo non è un arrivederci, un saluto affrettato prima di un breve viaggio.
È molto peggio, inqualificabile per il male che fa: non ci sono passi indietro, nessuna possibilità di replica.
È dentro quello sguardo, in quelle lacrime accennate, in quello spettro di sorriso…
 

A volte vorrei tanto proteggerti da te stessa. Ma vedi, il fatto è che da te non so difendermi nemmeno io.
 
 
È un addio.
 
 
In un attimo mi lancio in avanti con un scatto, cercando di farmi strada tra la folla impassibile.

“ Sana!”

Urlo con tutto il fiato in gola, ma la voce si perde, coperta dal baccano.

“Sana, no!”

Riesco ancora a vederla, ma lei non può sentirmi. Continua  a camminare lenta, le mani artigliate sui gomiti e lo sguardo basso perso nel vuoto.

“Sana, ti prego!”

Cerco di attirare la sua attenzione sbracciandomi, continuando a gridare, ma è tutto inutile. Lei non reagisce, non si muove: si fa portare via dalla calca di persone in partenza, lasciandosi guidare dalla fretta degli altri. Solo una volta accenna uno sguardo indietro, ma è troppo debole per poter fare la differenza.
 
Il tempo di un sospiro, un battito di ciglia e la sua figura di spalle viene sommersa dalla folla.


 
Sana non c’è più.
 



Il sipario si chiude con un sibilo, veloce proprio come di solito si apre, e lascia un sogno intatto al suo cospetto.
Un sogno meraviglioso che porta il nome di lei.

Ed è proprio allora che me ne accorgo.

A volte quando si entra in un labirinto come questo  tutto appare lontano ed esteriore, e gioia e dolore svaniscono insieme al senso della realtà.
Chiudo gli occhi, scivolando lentamente a terra, e nel momento in cui poso il palmo della mano sul volto sento uno scroscio caldo di lacrime attraversare il cielo dentro di me.

È solo l’inizio, ma va bene lo stesso.
Rimango immobile, sdraiato su un fianco mentre la gente attorno a me comincia a notarmi.
 

“Qualcuno chiami un’ambulanza, presto!”
 

Mani preoccupate si avvicinano, una voce calda e professionale cerca di farmi rialzare.
Riesco ad aprire a fatica gli occhi, focalizzando l’attenzione sulla persona accanto a me.
Occhiali da Sole è inginocchiato al mio fianco, in silenzio, e continua a stringere la mano che avevo abbandonato inerte nella sua.  La giacca grigia del completo spiegazzato, la barba appena accennata, lo sguardo stravolto che non si separa dal mio: sta lì, immobile, una muta consapevolezza sul fondo di quegli occhi scuri.

Forse i fantasmi del passato stavano dando la loro ultima dimostrazione di forza.
 
Chiudo di nuovo gli occhi, abbandonandomi sul pavimento proprio nel momento in cui le ruote di una barella si fermano sfrigolando accanto a me.

In quell’attimo lungo un battito accelerato, spero di poter raggiungere un altrove qualsiasi.
Tutto pur di non rimanere ancorato sul questo cemento, a respirare quel mondo storto.
Nel cuore, solo un cielo vuoto.
Un cielo privo del suo sole che cerca tra le stelle un calore che ormai non troverà più.
 

 
 
“ Il treno passa una volta sola, e io l’ho perso.
Mi caricherò queste parole non dette sulle spalle e camminerò fin quando non sarò giunto di fronte a te.
Con il respiro mozzato, gli occhi stanchi e un sorriso sul cuore, te le scaraventerò  addosso, facendoti male.
Mi svuoterò le viscere di queste emozioni violente, che scalciano senza sosta dentro di me.
E sarà lì, in quel momento che accadrà:
Tu mi ascolterai.”
 
 
 
 
 
 
 
Piccole note al capitolo:
Ok, non mi piace. Non mi piace, non mi piace e non mi piace!Ma che posso farci, è voluto nascere così e non c’è stato versi di poterlo modificare.  Non solo perché è triste, ma soprattutto perché quando si tratta di far parlare Akito ho sempre un sacco di difficoltà. Siate spietate e fatemi sapere se sono andata un po’ troppo oltre con i pensieri del protagonista, ci tengo che i miei personaggi rimangano quanto più possibile IC.  Grazie in anticipo per la pazienza e l’aiuto!:)
Altre cose importanti:

  • Le frasi scritte in corsivo sono tutti pensieri di Akito;
  • La canzone a inizio capitolo è “Far Away” dei Nickelback e oltre ad essere una canzone stupenda, vi consiglio di metterla di sottofondo mentre leggete. A me ha dato l’ispirazione per scrivere tutto questo.
  •  Ultimo, il pezzo in corsivo dove Sana e Akito parlano della morte di lui è tratto da un episodio del manga, dove Akito porge un coltello a Sana per farsi uccidere e lei si rifiuta.
 
Angolo Autrice:
Ehm, probabilmente adesso starete lì ad architettare la morte della sottoscritta dato il mostruoso ritardo per questo capitolo( è possibile sperare in qualcosa di rapido e indolore?  vi prego, abbiate pietà!!xD ) * coff coff*
Sul serio, non ho scusanti!Ho avuto un sacco di impegni con l’università e tante altre cose, e le poche volte che mi sono messa a scrivere ho cambiato e ricambiato ottanta volte questo benedetto capitolo, una tragedia insomma!

Ma bando alle ciance, voglio ringraziare tutte le persone che in questi mesi hanno iniziato a seguire questa storia. Ringrazio chi ha letto, chi ha aggiunto Beautiful tra le fic da seguire/ricordare e tra i preferiti(addirittura? Ma io vi amo!).

E in particolare un abbraccio virtuale alle lettrici che hanno lasciato una recensione( poiché adesso il sito lo permette, risponderò a tutte voi  individualemente appena postato questo aggiornamento,promesso!):

sailorm- elenafire- Natasha- Bettinellina- Strange_ Girl.

Gentilissime, davvero!
Annuncio già da ora( e vi prego, non impugnate i forconi, please!xD) che dalla prossima settimana tornerò all’università e non potrò postare aggiornamenti prima di sabato. Cercherò di essere più costante possibile e se mi riesce, di postare anche in settimana dalla facoltà, promesso!

Un bacione a tutti,
A presto!
StilledAnima.
   
 
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