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Autore: StilledAnima    22/09/2010    6 recensioni
Sana scappa in America dopo un presunto tradimento di Akito. I due si lasciano senza spiegazione alcuna e dopo cinque anni una telefonata spinge Sana a riconsiderare il passato mai dimenticato. Sarà un viaggio di ritorno nel paese natale, ma anche un nuovo inizio per la sua storia d'amore? ( Questa fic era stata già precedentemente pubblicata, ma per motivi personali mi ero decisa a cancellarla. Adesso ve la ripropongo, corretta e revisionata.) Buona Lettura!:)
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Altro Personaggio, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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     _Beautiful Disaster -

     di StilledAnima









" Where are you and I'm so sorry
I cannot sleep I cannot dream tonight
I need somebody and always
This sick strange darkness
Comes creeping on so haunting every time..."

( I Miss You, Blink 182)






( Pov Akito )

La luce in quella stanza era di un bianco abbagliante, fastidioso.  Mi avevano sistemato su un letto duro e irregolare, con i cuscini piatti e bitorzoluti tutti intorno.
Attento ad evitare strappi o movimenti troppo bruschi, cercai di mettermi a sedere, la benda legata sotto la spalla che mi impediva di riposare.
Il braccio pulsava terribilmente. Potevo sentire la carne sotto la fasciatura animarsi di vita propria, un continuo rigonfiamento dove risuonava lontano il battito del cuore.
A occhi chiusi percepivo il lento – bip!- delle macchine ospedaliere, l’ago della flebo che pungeva opprimente dentro di me.

Non mi accorsi della porta della camera che si apriva lentamente, dei passi che si avvicinavano al letto.

Mi sorreggevo la fasciatura appoggiato contro uno di quegli scomodi cuscini, e pensavo.
Il dottore era stato chiaro: il polso difficilmente sarebbe tornato quello di un tempo, i legamenti sarebbero rimasti rigidi e avrei fatto fatica anche a compiere gesti elementari quali reggere una penna o provare a mangiare.
L’unica soluzione era la clinica di Atlanta, in America.

Mi lasciai sfuggire un sospiro,  le palpebre chiuse su di un futuro che non volevo neanche immaginare.
Sapevo bene che cosa sarebbe successo.
Partire significava lasciare casa, i miei amici…
Significava lasciare lei.
 
Strinsi un lembo del lenzuolo con la mano, artigliandolo.
  Non osavo pensarci.
Ero certo che non ce l’avrei fatta, non senza il suo aiuto. La lontananza sarebbe stata insopportabile, anche se avremmo cercato ogni espediente possibile per  tenerci in contatto.
Ma telefonate e lettere non possono colmare il vuoto del cuore, non sono sufficienti per sentirsi vicini.
Non bastano mai…


-    “  Akito…” -  


Qualcosa scosse il silenzio, ma all’inizio non mi resi conto di che cosa.
Non aprii gli occhi, avevo troppa paura di far svanire quella tenera illusione.

Il mio nome.  Il mio nome pronunciato da lei.  

Decisi di rischiare.

Mi voltai lentamente verso la porta e la vidi appoggiata alla tenda del corridoio.
I capelli raccolti in due code laterali, il giacchetto appoggiato sulle piccole spalle, i candidi denti a tormentare con ansia il labbro inferiore.
Mi fissava, gli occhi gonfi e pieni di lacrime che le tracciavano in silenzio le candide guance.


Non ci fu un momento preciso, un attimo in cui stabilimmo di incontrarci a metà strada.

Sentii le sue braccia chiudersi attorno alle mie spalle, il suo corpo tremare e aggrapparsi al mio. Allungai il braccio sano per avvicinarla a me e coccolarla sul mio petto.

La camera d’ospedale sembrò sparire in un bolla d’ovatta, tutto il dolore patito dopo l’intervento acquietarsi  e passare.

Non c’era altro, solo quel dolce peso a gravare sulle mie ossa stanche.  Solo quel calore, quel profumo delicato di pelle e lacrime, che era tutto ciò di cui avevo bisogno per continuare a respirare.

Piccoli singhiozzi trattenuti a stento mi solleticavano il collo, la mano che la stringeva a me persa tra quei capelli castano ramati.
Cercai di calmarla, di cullarla con tenerezza  accettando il suo sfogo.

-    “ Sana” -  

Il cuore le batteva troppo velocemente per non poterlo udire.

-    “ Sana”-

Cercai il suo viso, portando due dita a sollevarle il mento. Volevo vederla sorridere, dimenticarsi delle lacrime.

-    “ Sana”-


Alzai gli occhi su di lei e ne rimasi sconvolto.

Non era quel sorriso che conoscevo  e che amavo a piegarle le labbra, ora.

C’era qualcosa di diverso, di stonato: un calore che se ne era andato ancora prima di illuminarle gli occhi, un’ombra scura che rimaneva agli angoli e che pesava più di tutto il resto.

Poi accadde tutto molto velocemente.

Sana si districò dal mio abbraccio, arretrando verso la porta, guardandomi con dolore.

Se ne stava andando.

-    “ Sana, aspetta!” –

L’urlo che uscì dalle mie labbra era rauco e flebile, troppo debole per riuscire a trattenerla.

-    “ Sana, non andartene! Ti prego!” –

Ma lei continuava a camminare, ancora quel sorriso amaro dipinto sulle labbra. Sembrava che l’oscurità stesse piombando lenta nella stanza. Il suo volto era già nell’ombra.
Confuso e disorientato, in un ultimo gesto disperato, provai ad alzarmi, ignorando il dolore lancinante della ferita.
Stesi il braccio nella sua direzione…

-    “ Sana! ” –
Mi risveglio di soprassalto, spalancando gli occhi.
Le pareti della mia camera tornano al loro posto, la luce grigia e smorta filtra attraverso le imposte della finestra come ogni mattina.
Il braccio al di là del lenzuolo è teso verso l’alto, ad afferrare l’aria sopra di me.
Lentamente, come se mi provocasse di nuovo dolore, lo abbasso sopra le coperte, immobile.
Mi metto a sedere con fatica, lo sguardo attirato dalla luce verdognola della sveglia sul comodino.
Le cinque del mattino.
Con un sospiro mi prendo la testa fra le mani, appoggiando la fronte sulle ginocchia scoperte.

Era un sogno. Un altro maledetto sogno.

Con le mani che ancora tremano, mi avvicino alla finestra, aprendola con calma.
Un’ alba dai colori smorti ricambia il mio sguardo, mentre l’aria frizzantina del primo mattino mi colpisce impietosa. 

È  ciò che ci vuole per riuscire a scuotermi dagli ultimi ricordi, da quelle immagini così realistiche.
Stavolta  è stato peggio, il peggiore fra gli incubi che in queste ultime settimane non sembrano darmi pace.
Era così vivido che, per certi versi, ho creduto di ritrovarmi davvero in quel letto d’ospedale.
Solo quando l’ho vista, qualcosa è scattato.

La Sana del mio sogno era l’immagine della ragazzina di tredici anni con la zazzera corta, il corpo snello, gli occhi grandi e ridenti.  
Un persona diversa dalla donna che meno di tre mesi fa riposava fra le mie braccia dopo una notte d’amore.

Un fremito mi coglie al pensiero di quel corpo perfetto, longilineo, dolce come solo lei può esserlo: i capelli più lunghi, leggermente ondulati, sempre sciolti a ballarle sulle piccole spalle; le labbra rosee e piene, gli occhi espressivi, allegri, innamorati.

È la Sana di sempre, così piena di voglia di vivere, sbocciata in una bellissima giovane donna.
Una donna che amo con tutto me stesso, che si è donata a me senza riserve. Che ho allontanato per sbaglio, per un’incomprensione assurda.

Stringo gli occhi, appoggiandomi con i gomiti sul bordo della finestra.
Non voglio crederci ancora. Al pensiero, il vuoto di questi giorni torna a scavarmi dentro più forte e duro che mai.
Vorrei scusarmi con lei, spiegarle come sono andate veramente le cose, ma non mi vuole ascoltare, tanto meno vedere.
Mi passo una mano sul viso, come a scacciare quell’ episodio che ha fatto precipitare ogni cosa. L’ho sognato così tante volte, ormai, che è diventato impossibile rilegarlo in un angolo della mente.
Mi perseguita, senza lasciarmi un attimo di tregua: il suono del campanello, il mio sguardo sorpreso nel trovarmi davanti Fuka in lacrime. Il suo bisogno di confidarsi con qualcuno dopo l’ennesimo tradimento del marito. Quel bacio inaspettato e pieno di tristezza che non sono riuscito ad evitare.
E poi i suoi occhi, gli occhi di Sana.  
La sua espressione ferita, piena di cosa?
Delusione, rabbia. Incredulità, forse.

Poi, solo frammenti concitati, dettati da un cuore pieno di paura e impotenza.
La mia corsa nel traffico per tentare di raggiungerla, persa fra la folla. Stare appostato sotto casa sua ad aspettarla, pronto a spiegarle ogni cosa.
La sua ombra dietro le tende della finestra si stagliava nitida, mentre la Signora Kurata giurava che non era in casa.
Solo quando “Occhiali da sole” mi ha intimato di andarmene prima di chiamare la polizia, mi sono dovuto arrendere.

Il vento che mi sfiora la punta delle dita è terribilmente freddo, adesso.

Mi rannicchio contro il vetro della finestra, la fronte appoggiata al muro, gli occhi chiusi per non vedere più niente.  Prendo due bei respiri, prima di voltarmi e chiudere la finestra.
Rimango a guardare fuori per un altro po’, finché il primo sole del mattino non colora di arancione i tetti del vicinato.
Sono così concentrato sui profili degli edifici, i pensieri persi su ricordi troppo dolci e amari, che in un primo momento non ci faccio caso.
Solo dopo alcuni istanti il rumore del telefono al piano di sotto sembra rimbombare tra le mura silenziose di questa casa.
Sobbalzo dalla sorpresa, guardando subito verso l’orologio: le cinque e mezzo.
Chi può essere a quest’ora?

Un fiotto di speranza mi fa sobbalzare, mentre senza che me ne renda conto, mi trovo già a correre e inciampare per le scale.
Con il fiatone, riesco ad agguantare la cornetta prima degli ultimi squilli, le mani che iniziano a tremare per lo sforzo di contenermi.
-    “ Pronto? Qui casa Hayama, chi parla?” –

Tento di schiarirmi la voce impastata dal sonno,  mentre il cuore prende a battere più forte ogni secondo che passa.
-    “ Hayama? Sono la madre di Sana”-

Il sangue si gela nelle vene, mentre mille domande prendono a vorticarmi in testa nel giro di mezzo secondo. Perché è sua madre che chiama? Che le sia successo qualcosa?
La presa sul telefono si fa più salda, le nocche bianche per lo sforzo.

-    “ Signora Kurata, che cosa c’è? Perché mi chiama a quest’ora? Sana st..?”-

Deglutisco, non appena  mi rendo conto che al di là del filo, la madre di Sana sta piangendo sommessamente, come a nascondere qualcosa. Qualcosa di duro e pesante, ne sono certo.

-    “ Scusami Hayama, forse non ho fatto bene a chiamarti. Ma ormai sei l’unico che ci può riuscire, a cui può dare ascolto. Devi fare in fretta…”-

La testa gira a vuoto, le mani tremano per la paura della frase che verrà. Rimango in silenzio, aspetto con ansia, inizio a preparare il cuore per ciò che sentirò fra poco.
Ma quando la voce strozzata della Signora Kurata riprende a parlare dall’altro capo, capisco che non sempre si può essere preparati per certe cose, non sempre si riesce ad attutire il colpo all’anima che ne deriva.

Un ultimo battito, la cornetta che cade a terra con un tonfo.
E solo quelle parole, nel silenzio opprimente dell'alba.

-    “ Sta partendo, Akito. “-  





Piccola nota al capitolo:


L'episodio che apre il capitolo si riferisce al momento in cui, nel manga, Akito viene ferito da un suo compagno di scuola ed è costretto a volare in America per curarsi. C'è pure la scena in cui Sana va a trovare Akito in ospedale, qui trattata in maniera un po' più personale.


Angolo Autrice:


Prima cosa, mi scuso subito del ritardo di questi giorni. Avrei dovuto pubblicare lunedì come stabilito, ma ho avuto dei problemi con l'html che sono riuscita a risolvere solo oggi.
Scusate l'attesa, cercherò di evitare in futuro!^^''
Secondo, voglio ringraziare tutti coloro che hanno letto il primo capitolo, che hanno aggiunto la storia fra i preferiti/ seguiti e ricordati, e in particolare un caloroso abbraccio virtuale alle due ragazze che hanno lasciato un commento al primo capitolo:

- sailorm: Benvenuta!Ti ringrazio per i complimenti, sono felice che la mia storia ti interessi e, sì, consiglio spassionato da autrice a lettrice: armati di una bella scatola di fazzoletti, sono famosa per il mio sadismo nel batocchiare i miei poveri personaggi,ahah!:D Un abbraccio, e Grazie!

- Bettinellina: Benvenuta anche a te!Come già detto, ti consiglio di armarti di dosi industriali di fazzoletti perché per la povera Sana quello era solo l'inizio,ahimé!Ti ringrazio per i complimenti, cercherò di aggiornare sempre con regolarità per non deludervi,promesso!Un abbraccio, Grazie ancora!

Bene, per il momento vi lascio!
Ci vediamo lunedì prossimo col prossimo aggiornamento!
Baci!

StilledAnima
   
 
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