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Autore: RobTwili    18/02/2011    7 recensioni
'Candy' è una spogliarellista di un Night Club che ha problemi con la droga e non solo.
Robert è a Baton Rouge per le riprese di BD.
Se senza volerlo lui aiutasse lei a salvarsi dal baratro nel quale sta volontariamente cadendo?
Se involontariamente Candy aiutasse Robert senza che nessuno se ne accorga?
Dal primo capitolo: '«Ma che cosa stai cercando di fare? Chi sei? Che cosa vuoi da me?». Il suo tono così brusco mi lasciò esterrefatto.
Sembrava quasi inorridita dall’idea che io volessi aiutarla.
«Io voglio aiutarti, non voglio farti del male». Con il telefono in mano mossi un passo verso di lei.
«Aiutarmi? Tu vuoi aiutare me? Io non devo essere aiutata! Io sto bene come sono!». Rise sarcastica infilandosi le scarpe.'

STORIA BETATA
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'My Redemption is Beside you'
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1 AVVERTENZE: questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista (ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad alzarlo.
 
 


 
 




«Ti ho già detto che non faccio sesso con due o più persone assieme! Possono guardare se vogliono, ma non tutti assieme, mi dispiace!». Incrociò le braccia al petto e mise il broncio.
«Aileen» dissi con un tono arrabbiato e stanco.
Ricominciava con la solita storia.
«Oh, scusa!». Si portò una mano davanti alle labbra quasi con fare teatrale. «Non ruota tutto attorno a quello che ho tra le gambe». Alzò la mano come se avesse voluto scusarsi e capii che mi stava prendendo in giro.
«Vedo che ti ricordi quello che ti ho detto questa mattina. Mi fa piacere, sappi che non mi rimangio nulla». La guardai, serio, e lei si sistemò meglio sul letto incrociando le gambe nude.
«Sì, mi ricordo tutto. E sappi che non mi rimangio nulla nemmeno io!». Mi sembrò una piccola bambina testarda.
Forse però era meglio coprirla, c’erano anche Jackson e Kellan in quella stanza e loro non la conoscevano tanto da capire che per Aileen non c’erano problemi a mostrarsi nuda senza imbarazzo.
«Tieni, mettiti questi». Le lanciai un paio di pantaloncini che indossò dopo aver sbuffato.
«Dunque, di che cosa mi dovete parlare? Dovete fare un festino? Posso procurarvi le ragazze. Quante ne volete? Due a testa? Tre? Mi dite anche come, che così le recluto». Cominciò a parlare e Kellan tossicchiò in imbarazzo.
«Aileen, non si tratta del tuo lavoro. Dobbiamo parlarti di cose serie». Parlai lentamente osservandomi le mani un po’ in agitazione per poi alzare il viso e guardarla.
«Non dobbiamo parlare di affari?». Aggrottò le sopracciglia pensierosa e io scossi la testa.
«No. Vogliamo aiutarti». Indicai anche Jackson e Kellan che annuirono.
«Aiutarmi?». Mi guardò come se avessi sbagliato a parlare.
«Sì, aiutarti. Hai un problema Aileen, uno bello grosso». Mi fermai per vedere come l’avrebbe presa ma sembrò continuare a non capire.
«Perché non ho più una casa? Andrò da un’altra parte, non ci sono problemi. Non voglio dormire su un hotel di lusso, non mi interessa». Si lamentò, ma non era quello che io avevo inteso.
Era difficile per me dirglielo.
Più che altro perché temevo che rifiutasse l’aiuto e scappasse, abbandonando me, l’unica persona di cui si fidava.
Forse non era stata una buona idea, forse l’avrei solo delusa.
Forse era troppo presto per parlarne, in fin dei conti aveva perso la sua migliore amica poche ore prima.
«Aileen, il tuo problema è la droga». Mi bloccai di nuovo.
Improvvisamente parlare era diventato difficilissimo.
Non mi rispose e alzai lo sguardo per vedere la sua reazione.
Cominciò a ridere di gusto distendendosi perfino sul letto.
Mi voltai a guardare prima Kellan e poi Jackson che rimasero immobili a fissarla.
«Aileen?». La chiamai leggermente furioso per il suo modo di reagire.
«Sì, sì scusami». Si alzò togliendosi una lacrima dagli occhi che le era scesa per il troppo ridere. «Ora dimmi seriamente di che cosa mi vuoi parlare». Mi guardò e sentii il sospiro di Jackson per la stanza.
«Di questo. Aileen tu sei dipendente dall’eroina. Sei giovane e non puoi rovinarti la vita con quella merda che ti brucia il cervello». Le mie parole non sembrarono avere l’effetto voluto.
«Io non vedo che problemi ci siano. Il cervello è il mio, non il tuo». Ribatté candidamente facendomi sentire ridicolo.
«Aileen, andiamo. Si può guarire, non ti serve l’eroina per essere felice. La vita è bella». Conclusi la frase mordendomi la lingua per la stronzata che avevo detto.
«Certo. La vita è bella per te che prendi un fottio di soldi solo per ridere e parlare davanti a una telecamera. La vita fa schifo e sì, trovo un po’ di felicità solo quando sono fatta. Volete condannarmi per questo?». Ci fissò uno alla volta e io rimasi in silenzio non sapendo che cosa rispondere alle sue parole.
Aveva ragione.
Aveva dannatamente ragione ma avevo ragione anche io.
Non poteva bruciarsi il cervello con quella merda.
«Aileen, potresti ascoltarmi un attimo soltanto?”». Era stato Jackson a parlare e Aileen si voltò verso di lui.
«Sentiamo». Sbuffò sistemandosi i capelli dietro la schiena.
«Tralasciando il fatto che la vita è bella». Si girò per guardarmi male e capii di aver usato le parole sbagliate «quello che noi vogliamo dire è che non è giusto che tu ti rovini facendo uso di droghe. L’ho visto quello che succede più si va avanti, credimi che l’ho visto. C’era un mio amico che si faceva di eroina e l’ho visto peggiorare ogni giorno, vivere solo di quello dimenticandosi di mangiare. Diceva che non sarebbe mai morto per la droga, invece è successo. Ha provato tante volte a disintossicarsi ma ha sempre fallito. So che è difficile, ma credimi, mi piacerebbe che tu ci provassi davvero. È per il tuo bene, non per il nostro». Sperai che quella confidenza potesse farle tornare un po’ di buon senso.
«Quanti anni aveva?». Lo fissava, rigida, ma non mostrava segni di cedimento.
«Ventidue, quando è morto». Jackson si schiarì la voce piuttosto emozionato al ricordo.
«Mi dispiace». Aileen rimase seduta; sembrava essere davvero dispiaciuta per lui.
«Allora, che ne dici?». La guardai quasi speranzoso e Aileen si voltò a incontrare il mio sguardo.
«Anche se io dicessi di sì, che garanzia mi date voi? Mi tenete la mano sulla fronte quando vomiterò anche l’anima? Mi legherete al letto quando vorrò con tutta me stessa farmi una dose? Per quanto rimarrete qui ancora? Un mese e mezzo? Due? E poi? E chi mi darà i soldi per vivere se non posso più lavorare? È troppo». Scrollò le spalle.
Non mi sembrava totalmente contraria all’idea però.
Questo spiraglio di luce mi diede ancora più forza.
C’era però la mazzata finale.
Qualcuno doveva dirgli che andava portata in una clinica.
Solo lì potevano aiutarla.
«I soldi non sono un problema. In ogni caso avremmo bisogno di aiuto. Da soli non possiamo farcela, capisci?». Il suo sguardo si fece confuso.
«Chiamerai la tua mamma?». Mi canzonò. Non mi rimaneva che dirle tutto.
«No, dovresti andare in una clinica di recupero Aileen». Rimasi a fissarla e lei rise.
«Complimenti!». Batté le mani per sottolineare l’ironia della faccenda. «Diciamole che la aiutiamo e la rinchiudiamo in una clinica così ci liberiamo di lei. Piano perfetto! Peccato che io non voglia andarci!». Piegò il capo di lato e si concentrò su Kellan. «E tu, che cosa devi dire per convincermi, eh?». Lo fissò ridendo e tutti gli occhi si spostarono su di lui.
«Qualsiasi cosa io dica non servirà a nulla, no? Tanto sei tu a decidere, la vita è la tua. Se per te va bene fotterti in questo modo, be’, allora non so che dire». Rimasi a guardarlo colpito dalla durezza delle sue parole.
«Be’, forse questo ha funzionato più degli altri. Il senso di colpa». Ammise.
«Aileen, che discorsi stai facendo? È solo per il tuo bene, forse non riesci a capirlo, ma lo sto facendo solo perché mi interessa di te». Ridacchiò alle mie parole e io trattenni un moto di rabbia.
«No. Di me non ti importa un cazzo, questa è la verità. Tu vuoi rinchiudermi in una cella imbottita dove non mi sentiranno urlare per chiedere della roba solo perché così non ti sentirai in colpa, di’ la verità, andiamo!». Rimasi quasi ferito dalle sue parole.
«Sai qual è la verità? Che sono deluso da te, dal fatto che tu non ti fidi di me anche se io mi sono fidato di te e te l’ho dimostrato più volte. Questa è la verità!». Rigido, in piedi, mi ero sporto in avanti per fronteggiarla, stavo urlando la mia rabbia.
«Va bene! D’accordo! Andrò in questa cazzo di clinica e vi farò contenti tutti! Ne uscirò pulita, dopo di che, tre mesi dopo ricomincerò a bucarmi!». Si alzò di scatto anche lei e cercò di sfidare la mia furia anche se non mi arrivava nemmeno al mento.
«Perché? Perché devi sempre pensare in negativo? Perché porca puttana?» gridai e mi venne voglia di scuoterla.
«Perché la mia vita è sempre stata una merda. Non ho mai avuto nulla e non mi è mai capitato niente di bello, forse me la merito una vita di merda, non ci hai mai pensato?». La vidi stringere i pugni e mi arrabbiai ancora di più, ma cercai di mantenere il tono della voce normale.
«Be’, nel caso tu non te ne sia accorta, questa è la tua possibilità, una cosa bella che ti è capitata nella vita! Prova a cogliere l’occasione!». Non abbassai lo sguardo, ancora nel suo; Aileen respirava affannosamente.
«Chi cazzo credi di essere? Pensi che io possa redimere tutta la mia vita solo perché andrò a disintossicarmi in una clinica? O pensi che questa sia una sorta di tua redenzione? L’eroe senza macchia che salva la puttanella?». Mi spinse, cercando di farmi cadere e io reagii malamente, scostandole le braccia in malo modo.
«Hai ragione, sai? Chi cazzo sono io per impuntarmi? Chi sono io per darti ordini? Puoi prendere le tue cose e andartene a questo punto. Se vuoi rimanere qui allora sappi che andrai in clinica, se non accetti queste condizioni, quella è la porta e puoi andartene. Non cercarmi più però, da me non avrai più nemmeno un dollaro. Ti ricordo che sono l’unica persona che ti è rimasta, visto che la tua migliore amica è stata assassinata dagli spacciatori che ti danno l’eroina». La fissai, sibilando la frase, e la vidi spalancare gli occhi spaventata.
«Va bene. Andrò in questa cazzo di clinica così la smetterete di rompermi i coglioni. Posso andare a fare una pisciata ora, o non mi è permesso?». Si rivolse verso il bagno, e io sospirai stancamente, esasperato ed esausto, come se avessi recitato per più di dodici ore di fila.
Si diresse verso la porta, con il cipiglio fiero, e sbatté i piedi per terra per protesta.
Quando arrivò davanti al borsone di fronte alla porta del bagno, per ribadire il concetto del suo umore, lo calciò dentro.
Non le dissi nulla, scossi solamente la testa e quando si chiuse la porta del bagno alle spalle mi girai verso i ragazzi per guardarli.
«Wow. Ma voi parlate sempre in questi toni?». Kellan era sconvolto dal nostro modo di ‘discutere’.
«E non hai sentito nulla. Quando è arrabbiata seriamente è molto peggio di così. Sono rose e fiori ora». Lo informai e lui sghignazzò, impressionato.
«Che cosa secondo te l’ha fatta cedere così facilmente?». Jackson era stupito, ma se aspettava una risposta chiara, non l’avrebbe avuta. Non ne avevo la più pallida idea.
«Non lo so. Forse perché ha capito che voglio farlo per il suo bene» azzardai e sentii la porta del bagno aprirsi.
Aileen cominciò a correre verso la porta della camera e l’aprì.
Quando mi resi conto che stava scappando iniziai a correre per seguirla, incurante di essere ancora a petto nudo.
«Aileen!» gridai, ma si voltò appena, solo per capire la distanza tra noi.
«Non mi servi tu! Ce l’ho fatta da sola fino ad adesso!» urlò urtando una signora per le scale senza chiedere nemmeno scusa.
«Rob! Rob fermati!». Jackson mi raggiunse, e tentò di fermarmi prima che prendessi la decisione di scendere le scale.
«No! Devo raggiungerla! Ha solo me, non può andarsene!». Feci per scendere ma la sua stretta sulla spalla si fece più forte.
«Robert, prova a pensarci. Forse è meglio così. Forse è giusto che lei faccia come meglio crede». La sua mano era come un macigno che non mi permetteva di muovermi.
Sarebbe bastato poco per scrollarmi Jack di dosso e raggiungere Aileen, ma Jack aveva ragione.
Senza dire una parola mi voltai e cominciai a camminare verso la mia stanza; dietro di me Jackson non parlava, ma sentivo la sua presenza costante.
Arrivai in camera arrabbiato per tutto, mi accorsi però che entrando avevo peggiorato il mio stato d’animo.
Il pavimento ancora macchiato del vomito di Aileen, il letto sfatto, la porta del bagno aperta con il suo borsone svuotato dentro.
Mi aveva preso in giro, l’aveva fatto apposta.
Aveva calibrato tutto affinché, da stupido, la lasciassi andare in bagno per poi scappare.
Probabilmente si era presa i suoi soldi e aveva lasciato lì tutti i vestiti.
Aveva fatto come credeva meglio per lei, no?
Tirai un pugno alla porta del bagno che si chiuse di colpo e fece sussultare Jackson e Kellan che continuavano a rimanere in silenzio urtando ancora di più i miei nervi già troppo tesi.
«Dite qualcosa, cazzo!» sbraitai verso di loro, arrabbiato con me stesso e con tutti.
«Rob, lo so che sei arrabbiato con noi perché pensi che sia colpa nostra, ma devi capire che forse è meglio così, non credi? Forse non voleva veramente guarire, altrimenti avrebbe accettato l’aiuto che le abbiamo offerto». Kellan cercava solo di calmarmi, ma non poteva capire, non poteva lontanamente comprendere il motivo per cui ero furioso.
Ma io sì.
«No. Lei si fidava di me e io ho tradito la sua fiducia. Ho sbagliato ed è stata tutta colpa mia». Aprii il balcone per far ossigenare la stanza.
«Smettila di fare il martire e di addossarti tutte le colpe, perché non è vero. Non è colpa tua se lei non ha avuto una vita facile e non è colpa tua se lei non ha accettato l’aiuto. Tu ci hai provato, tu hai la coscienza pulita. Devi dimenticarla». Jackson parlava con un tono calmo e duro che riuscì a gelarmi dentro.
Ero pronto a dimenticarla?
Che cosa mi aveva fatto Aileen?
Perché qualcosa dentro di me mi faceva capire che non sarei riuscito a dimenticarla?
Non era amore, era qualcosa di diverso.
Preoccupazione.
Il volerla salvare a tutti i costi.
Il volerle dare una seconda possibilità.
Sì, forse c’era anche una piccola scintilla d’amore che però continuava a essere superata dall’istinto di proteggerla.
Tolsi le lenzuola dal pavimento e disfeci il letto aiutato da Jackson e da Kellan.
Lavai la chiazza di vomito sul pavimento e gettai la siringa dentro al cestino in bagno.
Riposi di nuovo tutti quei suoi perizomi dentro al borsone che aveva svuotato in fretta in cerca dei soldi.
«Questo lo butto?». Kellan indicò il borsone, ma io non volli.
L’avrei buttato via il giorno dopo.
O il giorno dopo ancora.
C’era tempo.
Una parte di me continuava a dirmi che quel borsone non l’avrei mai gettato, per ricordarmi di lei, ricordarmi che era esistita e che da qualche parte, probabilmente sotto a qualche ponte o in qualche strip-club, esisteva ancora.
Candy.
Aileen.
Lei.
I ragazzi abbandonarono la stanza in silenzio mentre mi stavo rifacendo il letto.
Quella giornata era volata, non mi ero nemmeno reso conto che il tempo era passato troppo velocemente.
Mi distesi a letto senza nemmeno farmi una doccia.
Ero troppo stanco per lavarmi.
Ero troppo stanco per mangiare.
Ero troppo stanco anche per dormire.
Rimasi a fissare il soffitto per ore, probabilmente nemmeno riuscii a prendere sonno.
Pensai ad Aileen e a come se n’era andata senza nemmeno dirmi grazie.
Forse aveva fatto bene.
Forse Jackson aveva ragione e non si meritava il mio, il nostro, aiuto.
Cercai di dormire convincendomi che di Aileen non mi importava assolutamente nulla.
Quando mi alzai dal letto il mattino dopo continuai a convincermi che avevo fatto la scelta giusta, che Aileen aveva decretato di non salvarsi e toccava a lei decidere la sua sorte.
Andai velocemente a farmi una doccia pronto per un nuovo stressante giorno di lavoro.
Dovevo concentrarmi su quello.
Una miriade di fan aspettava con ansia gli ultimi capitoli della saga, in più le vacanze di Natale sarebbero arrivate tre giorni dopo.
Dovevo resistere per tre giorni, poi sarebbe stato tutto più facile, avrei cambiato aria, sarei tornato a Londra tra Tom e agli altri e dopo due birre non mi sarei ricordato più nulla, nemmeno il suo nome.
Quando sentii bussare alla porta un sorriso mi spuntò sulle labbra.
Dovevo fingere per Jackson e Kellan, mi avevano aiutato quando avevo chiesto il loro aiuto e di sicuro in quel momento erano preoccupati per me.
In fin dei conti ero un attore, no?
Un sorriso finto e tutto sarebbe finito.
«Arrivo Jack!» gridai infilandomi una maglia a caso e corsi verso la porta.
La aprii di scatto ma il mio sorriso finto vacillò.
«Va bene. Accetto».



Salve ragazze! :)
Bwuahah, sadica al massimo lo so…
Questo era l’ultimo capitolo e il prossimo sarà l’epilogo, però non vi dirò se ci saranno salti temporali o altro, sarà tutta una sorpresa.
Allora, che dire? Forse in questo capitolo ci son andata giù pesante con le parole di entrambi, il fatto che si sono urlati dietro e forse Robert, quello che ho sempre tenuto nascosto perché era lui che parlava è uscito per mezzo di Jackson e Kellan.
Il Rob martire che vuole a tutti i costi sacrificarsi pur di fare felici gli altri, forse non è la verità ma mi piace pensarla così.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, come sempre un commentino non mi dispiacerebbe! :)
Alla prossima settimana con l’epilogo! :)
Un bacio!

 

   
 
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