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Autore: Luli87    20/02/2011    9 recensioni
Dopo "Un'operazione sotto copertura", ecco un nuovo caso per Beckett e Castle. Spero di non deludere nessun lettore/lettrice, anche questa volta mi baserò molto sullo stile del telefilm: poco miele, il giusto. Un assassino, omicidi e suspance. Buona lettura!
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4. UN ALTRO OMICIDIO

Cat Rock era da sempre un posto incantevole. Per chi amava il climbing, le giornate di sole regalavano spettacolari paesaggi, specialmente in primavera. Ma non quella mattina: quell’angolo di paradiso si era trasformato in un inferno.
“Bambino, 9 anni. Tommy McCaffrey.  Ritrovato circa un’ora fa dal padre.” Spiegò Lanie all’arrivo di Beckett e della squadra.  
 “Quanto andrà avanti ancora?” chiese la Detective, preoccupata, avvicinandosi ad osservare il bambino. Piccolo, biondo, riccio, un angelo. Ricordava molto la prima vittima, Sarah.  
Beckett continuò nel suo ragionamento: “L’assassino ha colpito ancora in Central Park, ancora un bambino. Ha solo cambiato sesso. Prima una femmina, ora un maschio. Com’è successo questa volta?”
“Strangolamento, di nuovo.” Disse Lanie, mostrando alla collega i lividi sul collo del bambino.
“Il padre, il Signor McCaffrey,  è insegnante di climbing. Stamattina verso le 10 erano qui ad allenarsi insieme, poi tra una cosa e un’altra il signor McCaffrey non l’ha più visto e…” Disse Esposito, abbassando la testa.
“La madre non è ancora stata avvertita. Il signor McCaffrey la chiamerà tra poco e li accompagno io al distretto. Ci vediamo là.” Aggiunse Ryan, raggiungendo il padre della vittima.
Esposito guardò la collega: “Beckett, ci pensi tu ad interrogarli più tardi?”
Kate si voltò in cerca di Castle: le serviva uno sguardo d’aiuto, un sostegno.
Ma lo scrittore non si era avvicinato. Era rimasto all’altezza della striscia gialla che aveva posizionato la scientifica. Pur volendo aiutare la sua musa nell’indagine, nel trovare indizi, nell’entrare nella mente dell’assassino (o meglio, del bastardo), restò immobile, lontano.
Beckett annuì ad Esposito, chiese a Lanie di dare assoluta precedenza alle autopsie dei bambini e la pregò di informarla al più presto su ogni possibile indizio.  Poi raggiunse Castle.
“Ehi” gli disse.
“Scusa, non ce l’ho fatta a raggiungerti.” Le rispose, provato.
“Non preoccuparti, ti capisco. Il mio lavoro in questi casi è impossibile.”
“Sì beh, ma tu sei straordinaria.”
“No, lo sarò solo se prenderò l’assassino. Ora devo andare al distretto, i signori McCaffrey arriveranno tra poco e devo fargli alcune domande sul piccolo Tommy. Te la senti di…?”
Castle la interruppe: “Sì, certo che me la sento. Posso aiutarti.”
“Lo so.” Gli disse Kate, e aggiunse: “Forza allora, andiamo al distretto.”
 
Ore 17.30
 
Beckett si trovava nell’ufficio del capitano a parlare da quasi 3 ore, dopo la conversazione avuta qualche ora prima con la signora Vox, madre della prima vittima, era stato il turno dei signori McCaffrey. Tra un pianto e l’altro non aveva trovato nessun possibile indizio su cui poter basare le indagini. I genitori di Tommy, entrambi pasticceri, non avevano alcun nemico: né fratelli invidiosi della loro attività, né sorelle invidiose della loro felicità. E Tommy era un bambino gentile, ben educato, allegro, come tutti i bambini di 9 anni.
Kate non riuscì a formulare alcuna ipotesi riguardo al movente dell’omicidio, anzi,  di entrambi gli omicidi.
Due bambini, due famiglie senza scheletri nell’armadio, due vittime nel giro di meno di 24 ore.
 
Quando uscì dalla sala, si diresse alla lavagna bianca e iniziò a studiarla, con il pennarello in mano, appoggiandosi alla scrivania, tenendo le braccia conserte e lo sguardo fisso.
Una linea temporale. Un omicidio tra le 23 e le 2, una bambina. Ritrovamento alla pista di pattinaggio Lasker Rink and Poolin Central Park. Un altro omicidio, tra le 10 e le 11, un bambino. Ritrovato a Cat Rock, sempre in Central Park. Entrambe le vittime, strangolate.
“Esposito!” chiamò la detective.
Quello, con Ryan al seguito, arrivò di corsa: “Beckett, scoperto qualcosa?”
“No. Ma voglio una lista di tutte le persone che lavorano in Central Park.”
“Ma come facciamo? È un parco immenso!”
“LO SO! Ma da qualche parte dobbiamo pur partire no?”
Esposito le appoggiò una mano sulla spalla: “Respira Detective, cattureremo questo bastardo.”
Ryan annuì.
“Ok ragazzi. Esposito, informati se Lanie ha scoperto qualcosa. Impronte, residui di DNA, qualsiasi cosa. Poi, per favore, fatemi avere quella maledetta lista. La voglio entro domani mattina. Io mi occupo di rendere sicura, almeno per quanto possiamo, l’area di Central Park.” Rispose Beckett, riponendo il pennarello. Poi aggiunse: “E Castle dov’è?”
I due colleghi fecero spallucce: “Non lo so!” Risposero in coro.
Appena si girarono, Ryan sussurrò al collega: “Coprire tutto Central Park? Neanche tutti i poliziotti di New York basterebbero!”
 
Castle non aveva partecipato agli interrogatori. Non riusciva ancora a sopportare l’idea di un assassino di bambini. Era rimasto per tutto il tempo nella sala bar, seduto davanti ad una tazza di caffè. Fermo, con lo sguardo fisso nel vuoto, non riusciva a pensare a nulla, se non alla sua Alexis quando, ancora bambina, sorrideva felice sull’altalena che lui stesso aveva costruito su un albero, con una ruota e una corda.
“Chi mai può strangolare due bambini innocenti? E perché poi?” Chiese il capitano Montgomery, entrando, interrompendo i suoi pensieri felici.
“Non lo so. È così assurdo”, rispose.
“Benvenuto nella cruda realtà di New York, Castle. Come vedi, il macabro non c’è solo nei tuoi romanzi gialli.”
“Già…”
Il capitano notò che lo scrittore era troppo silenzioso, non era il solito Castle: non una parola, non una battuta, non un movimento, non un’ipotesi da scrittore del macabro. Così si preparò un caffè e si sedette di fronte a lui.
“Che succede, vuoi parlarne?”
“Capitano, non succede nulla, ho solo un po’ di pensieri per la testa. Dalla scorsa operazione sotto copertura per arrestare Sergei a questi omicidi… Insomma, sempre di bambini si tratta.”
“Sì. Ma, Castle, ti ricordo che questo tuo seguire Beckett nei suoi casi è una scelta che hai fatto di tua volontà. Voglio dire, non sei obbligato a restare sai?”
“E invece sono obbligato. Sto scrivendo di Nikki Heat e ho basato tutto, tutto, su Kate. Vorrei capire come fa, come ha fatto a sopportare tutto e a continuare nel suo lavoro. Così sicura di sé, così preparata, così rassicurante. Ne ha passate di brutte, davvero brutte, e anche oggi con due omicidi così terrificanti, è riuscita a non cedere, a restare ferma e professionale. In più sa rassicurare, sa non farti impazzire, e sa come parlare con i genitori delle vittime in un modo così…confortante.”
“E’ una detective molto brava, è in gamba nel suo lavoro. Ma, Castle, è anche il miglior detective che io conosca. Perché ha cuore. È quello che la distingue da tutti i miei detective. È brava nel suo lavoro ma anche al di fuori di questo. È una brava ragazza, sensibile. Sa come comportarsi.”
 
Mentre parlavano delle doti di Kate, entrambi non si accorsero che il soggetto del loro discorso era proprio sulla porta e aveva sentito tutto.
Prese fiato ed entrò nella sala.
“Capitano, Lanie avrà tutti i risultati delle autopsie per domani. Per stasera ho finito, mi serve una notte di riposo. Se Esposito e Ryan avranno bisogno mi chiameranno. Ho mandato squadre speciali di sicurezza in tutto Central Park, speriamo non sia solo uno spreco di uomini. Castle, io sto uscendo. Vuoi un passaggio a casa?” li interruppe.
“Beckett. Sì grazie, te lo volevo giusto chiedere.” Le rispose.
 
Durante il tragitto in auto, la detective non rivelò di avere sentito la conversazione del capitano insieme allo scrittore. Non disse nulla riguardo al caso, cercò di distogliere l’attenzione dagli omicidi di quella mattina.
“Alexis come sta?” chiese.
“Bene, stasera restava da un’amica per cena e chissà a che ora rientrerà.”
“E Martha?”
“Oggi è con Chet. Anche lei non so a che ora tornerà. Non so nemmeno se tornerà prima di domattina!”
Kate, vista l'espressione di Castle, lo invitò a casa sua: “Vuoi restare da me per cena stasera? Un’insalata veloce, quattro chiacchiere, passiamo un po’ di tempo a farci compagnia a vicenda?”
Avevano proprio bisogno di non pensare a quei terribili omicidi, di non avere davanti agli occhi le immagini dei corpi di quei bambini. Avevano bisogno di sentirsi due persone normali, di vivere in una realtà parallela almeno per qualche ora, una realtà serena, tranquilla, in cui si riusciva a respirare senza difficoltà.
“Detective, grazie dell’invito, lo accetto volentieri.”
  
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