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Autore: Many8    20/02/2011    14 recensioni
Bella afflitta da un trauma che ha segnato il suo presente e il suo passato,cercherà di dimenticare quest'ultimo, ma si sa dimenticare è difficile se quasi impossibile; un Edward umano, conoscerà la nostra protagonista e... Riuscirà il nostro invincibile supereroe a cambiare almeno il futuro della nostra piccola e dolce Bella? AH- OOC- raiting ARANCIONE.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Vorrei dire grazie alle persone cha hanno commentato, grazie, ai lettori silenziosi che crescono sempre di più, a coloro che mi hanno inserito negli autori preferiti!

Vorrei puntualizzare una cosa prima di lasciarvi al capitolo:
più volte mi è stato detto che Bella ed Edward non meritano l'altro. Bella è stata stupida a lascialo andare così, ma soprattutto a rimettersi con Jake. Io vi vorrei dire una cosa: per Bella non è facile stare a contatto con gli uomini, non dimenticate le violenze che ha subito, le delusioni, le paure che ha. Entrate nella psicologia dei personaggi, come se foste loro.

E adesso Buona Lettura.

Forse non ero in grado di calmare il mio cuore. Ero del tutto impazzito, correva veloce, troppo veloce, tanto da farmi male il petto.
Un brivido velocemente percorse tutto il perimetro della mia schiena, scuotendomi, rimettendo in moto una parte del mio cervello che sembrava intorpidita dal sonno, che era rimasta muta, aveva taciuto per oltre tre mesi, che era stata buona aspettando il momento giusto per rimettersi in moto.
Quella parte ci cervello mi sussurrava di trovare le sue braccia, abbandonarmi ad esse, di inspirare il suo buonissimo profumo, quello di miele.
In quel momento compresi davvero quanto fossi stata stupida, superficiale, orgogliosa, in quei mesi, mi resi conto che quella brutta situazione sarebbe potuta cambiare, magari poteva essere del tutto evitata.
Sicuramente i miei occhi brillavano, le mie mani tremavano dalla voglia di cercarlo, toccarlo. I miei sensi non facevano altro che indirizzarmi a lui.
Ma malgrado tutto non mi avvicinai. Lui guardava davanti a sé, immobile, come una statua di ghiaccio.
Se non avesse voluto abracciarmi? se davvero per lui fossi stata solo un'amica? O addirittura, cosa ancor più grave, quello fosse solo un sogno? Mi sarei svegliata diversamente dalle altre volte, avrei pianto lo stesso, ma non per la paura, ma per la delusione, come se qualcosa che fosse così tanto vicino mi sarebbe scappata dalle mani, mi sarei svegliata a letto nel monolocale.

Ma poi improvvisamente, a bloccare i miei pensieri fu la sua voce. Chiara, cristallina, incantevole come sempre.
"La prima volta che sono venuto qui avevo più o meno dieci anni." dissse, il suo sguardo era ancora lontano, perso nell'oscurità della notte.
Tacqui, restando immobile.
"Non ti ho parlato ancora del mio passato, Bella," in quell'esatto momento si girò verso di me, guardandomi negli occhi. I suoi non sembravano verdi, ma lo stesso erano profondi, tanto da potermici perdere. Mi osservò per una frazione di secondo, e sul suo viso si aprì un grosso sorriso, il tempo che potessi accorgermene e portò la sua visuale di nuovo sulla città. "E credo sia arrivato il momento di svelarlo." aggiunse, infine.
Un altro brivido, un nuovo tremore, e la voglia di avvicinarmi aumentò.
"Tu l'hai fatto con me, ti sei aperta, raccontandomi il tuo passato, ti sei sfogata e mi hai reso partecipe della tua vita, credo sia arrivato il momento che lo faccia anche io, amici o qualcosa in più voglio farlo." iniziò, le sua mani erano sulle ginocchia piegate al petto. La sua schiana poggiava su una colonna dietro di lui, e la testa era piegata in avanti, alternava lo sguardo dal sue grembo, alla città.
"Ti ho raccontato qualcosa di me, anzi pochissimo, non me ho avuto il tempo, e credo che quello che ti ho detto non rispecchi la pura verità," appoggiò anche la testa alla colonna, guardando il cielo stellato, sopra di noi. "Ti ho detto che sono stato adottato quando era molto piccolo, nella prima infanzia, che non ricordo nemmeno il volto dei miei genitori, ma non è così." si fermò, prendendo un profondo respiro. Vedevo il suo petto alzarsi e abbassarsi ritmicamente, ad una velocità più eleveta di una respirazione normale. Era agitato.
"Ti ho mentito perchè non ero pronto, o almeno non ancora, ma adesso saprai tutto," sussurrò. "Inizierò da poco prima che arrivassi in famiglia con Esme e Carlisle."
Intrappolai meglio le mani nelle tasche della giacca, per fermarle, per impedirle che facessero dei momenti istintivi.
"Mia madre-" lo vidi chiudere gli occhi, e ricominciare. "Mia madre si chiamava Elizabeth, Elizabeth Masen, invece mio padre aveva il mio stesso nome, Edward Masen." incominciò. "Eravamo una famiglia felice, nella norma, mio padre era avvocato, mentre mia madre si impegnava nei lavori domestici. Avevo nove anni e mezzo quando sono morti, ed ho visto torgliergli la vita, ho sentito le loro urla, che la notte mi trovano ancora, ho sentito le loro voci sussurrare il mio nome, il loro ultimo sospiro. Ho visto tutto, e non ho potuto fare altro che chiudere gli occhi e soffocare le mie lacrime."
I miei occhi si sgranarono, sentivo le braccia molli.
"Ti va davvero di sentire la mia storia, Bella?" domandò. "Non è per nulla a lieto fine." aggiunse.
Annuì energicamente, per poi sussurrare un debole 'sì'.
"Quella notte faceva freddo, era gennaio, la sera pranzammo come sempre tutti insieme, avevo la febbre, e ricordo che non mangiai praticamente nulla. Mentre mia madre metteva a posto la cucina io e mio padre guardammo un film in tv, non ricordo cosa, molti ricordi li ho cancellati, e non so perchè ma sono quelli piacevoli dell'ultima sera." si schiarì la voce, per ricominciare a parlare."Dopo poco, ci raggiunse anche mia madre, mi portò dei pop corn, in una ciotola rossa,"
Edward non tralasciava nulla, raccontava di ogni piccolo dettaglio, che potesse arricchiere il suo racconto. Molto probabilmente, le volte che lo aveva raccontato a voce erano talmente poche, che pronunciarlo davvero era come dare voce a tutte le immagini, perchè fino a quel momento i suoi occhi avevano solamente continuato a vedere ripetutamente la scena. Dirlo a voce alta era come ricordare meglio, immagazzinare altre informazioni, rinnovare la versione.
"Eravamo seduti sul divano, loro ai miei lati, mi ricordo che improvvisamente mi addormentai, o almeno ero nel dormiveglia quando sentì le braccia di mio padre lasciarmi a letto, nel mio piccolo letto. Mi aggrappai ancor di più a lui, stringendo il suo collo. Mi destai dal mio sogno lamentandomi che volevo dormire con loro, volevo sentire il loro calore." si fermò un attimo. "E credo che se fossi rimasto in camera sarei morto anche io quella notte."
Il mio cuore smise di battere per qualche secondo a quelle parole. Sentivo le lacrime spingere ai lati degli occhi.
"Fecero come gli avevo chiesto, mi portarono nel loro letto, intimandomi che quella sarebbe stata l'ultima volta che mi fossi intrufolato nel loro letto. Sussurraono che ormai ero diventato grande, e che non ci potevamo stare tutti e tre, nel letto." la sua voce si incrinava qualche volta, ma si fermava, riassestandola, o almeno provandoci, e poi ricominciava."Abbracciai mia madre, infilando la testa nell'incavo del suo collo, e dormii inspirando il suo profumo." Intravidi, per quello concesso, un sorriso, uno di quelli amari, dolorosi. "Ricordo ancora adesso il suo profumo, dolce, quasi quanto il tuo." si voltò nuovamente verso di me, guardandomi fugacemente.
"Improvvisamente, però, sentì mia madre che mi scuoteva, che con voce agitata mi sussurrava di nascondermi."chiuse gli occhi, portando la mano destra alla testa.
"Non dimenticherò mai quella voce, gli occhi spalancati dalla paura, mio padre che guardava me e mia madre ancora più timoroso. Mi baciarono entrambi sulla fronte, prima di farmi accovacciare in un baule. Era piccolo rispetto al mio corpo, e la testa faceva in modo che non si chiudesse bene, ma che rimanessero, credo, almeno due centimetri. Lo spazio necessario per i miei occhi di vedere il letto matrimoniale dei miei genitori, e vedere loro. Si stesero a letto facendo finta di dormire, ma quasi percepivo i loro battiti cardiaci accellerati nell'aria, sentivo i miei, ero spaventato, assonnato, confuso, impaurito. Avevo gli occhi sgranati, osservavo i miei genitori fingere di dormire, e mi chiedevo perchè di quel comportamento. Poi me ne accorsi-" prese un bel respiro, "Dei rumori, arrivavano dal corridoio, si stavano avvicinando, aprirono la porta, entrando. Erano due. Vestiti di nero, avevano il passamontagna, e una piccola torcia spenta. Girarono intorno al letto lentamente e senza far rumore, rovistarono nei cassenti di mia madre, e poi in quelli di mio padre, quest'ultimi non si muovevano. Ed io neanche. Ero completamente agghiacciato. Trattenni il respiro per non so quanto tempo, e non mi mossi." La mano dalla testa torna sul torace, a far compagnia all'altra.
Mi sarei voluta avvicinare, prendergli la mano e fermare il suo racconto. Stava male, ed io non volevo, volevo consolarlo, allontanarlo dai ricordi.
Ma non lo feci. Lasciai che continuasse, he mi raccontasse di quella notte.
"Molto probabilmente non trovarono quello che volevano, si guardarono negli occhi, ed uno dei due prese una pistola la puntarono prima su mio padre e spararono. Non fece rumore, molto probabilmente avevano un silenziatore con loro. Mia madre urlò, il mio nome, quello di mio padre, prima che sparassero anche a lei." si girò verso di me, guardandomi.
Ricacciai giù le lacrime, o almeno cercai di farlo. Qualcuna riuscì a ribellarsi, e rigare la mia gote.
"In quel momento seppi che la mia vita non sarebbe stata più la stessa. Stavo per piangere, ma soffocai i singhiozzi, sarei morto anche io con loro se non lo avessi fatto. Non si accorsero di me, non posarono mai lo sguardo sul baule. Dopodiché quello che aveva sparato mise la pistola in vita, e uscirno dalla stanza, facendo cadere a terra un vaso. Sentì bene il rumore della ceramica che si rompeva, mai come in quella notte i rumori erano distinti, forti, amplificati. Sentì successivamente la porta che sbatteva, e fui sicuro di essere rimasto solo. In quella notte la mia vita era cambiata drasticamente. I miei genitori non c'erano più, ero rimasto orfano. Tutto per colpa di qualcosa che io non sapevo cosa fosse, qualcosa di futile, forse soldi, forse qualche documento di mio padre. Sapevo solamente che in quel baule ci sarei voluto restare finchè non fossi morto." La sua voce era addolorata, come se stesse ancora aspettando di ricongiungersi con i suoi genitori.
"Il tempo trascorreva velocemente, o almeno a me così sembrò, sebravo dormissi,come se quello fosse solamente un incubo e che da un momento all'altro mi sarei svegliato tra le braccia di mia madre, che avrei sentito di nuovo la sua voce, avrei sentito il suo profumo invadermi le narici. E poi mio padre, avrei sentito le sue forti pacche sulle spalle tranquillizzarmi. Ma non era così, e lo sapevo." i suoi pugni erano chiusi, riuscivo quasi a distinguerne le nocche bianche. Mi ero avvicinata, forse, incosapevolemte a lui.
Ero rimasta scioccata dalle parole di Edward, e sapevo che la sua storia ancora dovesse terminare.
"Improvvisamente sentì altre persone in casa, e il sangue mi si gelò nuovamente nelle vene. In quel momento ero solo, mi avrebbero trovato, era ciò che pensavo," l'espressione del suo viso era contratta, "Entrarono in camera dei miei genitori, li vidi abbassarsi su di loro, toccarli ed infine dire 'sono morti'. Lo sapevo, ne ero consapevole, ma sentirlo dire dalla voce altrui era come consolidarlo, rendere la notizia ufficiale. Era far morire la speranza che si era creata in me, quella che mi spingeva a pensare che fosse solo un incubo. Poi uno di loro sussurrò il mio nome, ma io non mi mossi, sapevo che non mi avrebbero fatto del male, ma ero sotto shock, e non riuscivo nemmeno a muovermi. Mi cercano per tutta la casa, sentivo continuamente ripetere il mio nome, uno di loro entrò in camera, si guardò intorno, soffermandosi sul telo che avevano disposto sui miei genitori. Sospirò, portandosi una mano sugli occhi, si girò verso il baule, e quando lasciò scivolare il braccio lungo il finaco, si accorse che ero lì." le nocche non erano più bianche, le mani non erano strette a pugno.
"Si avvicinò cautamente, aprendo il baule. La luce mi colpì il viso, e portai le mani alle orecchie, chiusi gli occhi, come per proteggermi sia da quella perona che dalla luce. Mi accarezzò i capelli, facendomi togliere le mani dalle orecchie. Avevo ancora gli occhi chiusi, restai in quel modo per alcuni minuti, prima di farmi forza e aprirli. Guardando meglio la persona davanti a me. Era un maschio, i capelli biondi, e gli occhi azzurri, quasi glaciali. Quello sguardo mi tranquillizzò. Mi prese tra le braccia, appoggiai la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi nuovamente. Li aprii prima di uscire dalla stanza, l'unica cosa che vidi fu solamente il telo bianco sulle due forme umane." I suoi tratti si erano rilassati un pò. "Mi portò nell'autombulanza, e mi fece sedere su una barella, sedendosi di fronte a me. Mi osservava mentro io avevo lo sguardo basso. Quando lo guardai negli occhi così rassicuranti scoppiai a piangere, mi strinse a sé, per la prima volta. Le sue braccia erano così calde, quasi paragonabili a quelle dei miei genitori, era uno sconosciuto, ma mi strinsi a lui come se lo conoscessi da tempo."
Abbozzò quasi un sorriso, e guardò me. "Tra le sue braccia mi sono trovato benissimo fin dal primo istante, come se mi avessero aspettato da tempo. Quel medico era Carlisle." spostò il busto verso di me, portando le ginocchia davanti a lui e sedendosi. "Mi portò in ospedale, fui seguito da psicologi sia fuori che dentro l'ospedale. Nessuno dei parenti che avevo mi poteva ospitare a casa propria, e Carlisle mi disse che se avessi voluto avrei potuto vivere con lui e sua moglie." il suo sguardo non era più afflitto, pian piano ritornava normale. "Due mesi dopo mi portò a casa sua, ero in suo affidamento, che poi è diventata adozione vera e propria."
Ero a pochi centimetri da lui, vedevo le sue labbra muoversi e tutte le cellule del mio corpo non facevano altro che portarmi a lui, una vocina nella mia testa mi sussurrava di baciarlo.
"La mia adolescenza non è stata affatto facile. Anzi. Continuavo ad andare da uno psicologo, mi ha seguito fino all'età di diciasette anni. Ogni notte sognavo sempre la stessa scena, sognavo i miei genitori morire, urlare, sentivo continuamente spari. Finchè smisi anche di sognare. Prendevo dei calmanti la sera per dormire. Non ho reso facile diventare genitori ad Esme e Carlisle. Sono stato sempre grato a loro due, mi hanno cresciuto come se fossi stato davvero loro figlio, con tantissima pazienza, con orgoglio. E' grazie a loro che sono diventato quello che sono, se sono medico, se sono uomo." Terminò, scese dal muretto, mettendosi d'innanzi a me.
Durante il suo racconto avevo pianto abbastanza, ed in quel momento i miei occhi mi pizzicavano. Spostò il cappello, portando le sue mani sulla mia testa. A quel gesto il mio cuore iniziò a battere sempre più veloce.
S' accorse del livido, e con la sua mano sinistra lo carezzò, l'altra invece si posizionò sulla mascella, sfiorandola delicatamente con il pollice. I suoi occhi s'alternavano a guardare nei miei e ad osservare le mie labbra. Si avvicinò lentamente, i suoi occhi verdi erano ancora scossi dal ricordo, ne vedevo la tristezza, il dolore, ma allo stesso tempo scorgevo la felicità, l'appagamento.
Le nostre labbra, finalmente, si toccarono, assoporandosi a vicenda, chiusi gli occhi, mettendo le mani nei suoi capelli. Il baciò durò a lungo, finchè non ci staccammo per riprendere fiato.
Quella era la prova che l'amicizia non poteva esistere tra due innamorati, era la prova che io ed Edward amici non lo saremmo mai stati. Qualcosa in più, sì.
Ansante mi sussurrò a pochi centimetri dal volto:
"Sono in ritardo, scusami." sul suo volto angelico si aprì un sorriso meraviglioso.
Scossi la testa, le mani di Edward scesero sul collo.
"No, sei in perfetto orario," iniziai. "E' stato un terribile errore lasciarti, Edward, non avrei dovuto lasciare Seattle. E' stato un terribile errore, venire qui con Jacob. Non so come abbia fatto a resistere fino ad oggi, dopo tre mesi senza di te. Mi sei mancato tantissimo, Edward."
"Anche tu mi sei mancata, ed io sono stato uno stupido a fare ciò che ho fatto, a non seguirti, a non venire qui prima e riportarti con me. Sono stato un vigliac-"
"Sht-sht" lo fermai, non volevo che continuasse. "Adesso siamo insieme. Conta questo." dissi, mettendo il capo sul suo petto e stringendomi a lui.
"E' questo l'importante, davvero." mi baciò il capo.
Ci staccammo ed osservammo entrambi il panorama davanti a noi.
Rimanemmo in silenzio per un pò, limitandoci a fissare la città.
"Quando hai scoperto questo posto?" chiese dopo molto, cingendomi da dietro i fianchi.
"Una settimana dopo essere arrivata qui." risposi, sorridendo e ricordando. "E' davvero un bellissimo posto," continuo. "Venivo qui perchè mi sentivo più vicina a te, era
come se stessi accanto a me semrpre, anche se sapevo che non era così."

Si strinse ancora di più a me, bacinadomi il capo.
Mi abbandonai alle sue carezza, alle sue coccole, gustando il suo tocco caldo, il suo profumo.
"Edward?" chiesi.
"Dimmi."
"Hanno mai scoperto il motivo per cui hanno ucciso i tuoi genitori?" cercai di essere più cauta possibile.
"Sì, ma non l'ho mai voluto sapere. Carlisle me ne voleva parlare ma io ho preferito non saperlo."
Avrei voluto chiedergli il perchè, ma non lo feci.
"posso chiederti una cosa io, invece?" domandò, con tutta la gentilezza di questo mondo.
"Sì," dissi, nello stesso momento in cui annuii."Puoi chiedermi ciò che vuoi."
"Te l'ha fatto Jacob, questo?" disse, portando la sua mano sulla tempia sinistra, sul mio livido.
Sospirai prima di dargli la risposta che aspettava.
"Sì, è stato lui." lo sentì irrigidirsi e subito aggiunsi:"Edward, Jacob è lontano, ormai." dissi. Quelle parole dovevano significare tutto per lui. Dovevano fargli capire che non
c'era più nulla che ci univa, che era lontano in tutti i sensi. Sia fisicamente che dai miei ricordi, dai miei pensieri.

"Vorrei spaccargli la faccia per quello che ti ha fatto." parlò, e nel contempo sospirò.
Mi girai verso di lui. Guardandolo negli occhi, nel mare verde.
"Non serve, e non mi importa nulla di lui, e non voglio che tu abbia a che fare con lui." dissi, scandendo le parole una per una.
Scrollò le spalle afflitto.
"Dobbiamo andare prima che la biblioteca chiudi." mi disse all'orecchio. "Prima che ci chiudano qui su."
Annuì. " anche se l'idea di restare qui da sola con te non mi dispiace affatto." sorrisi, come lui.
"Andiamo." aggiunse.
Per mano ci incamminammo verso l'uscita e lentamente, senza farci sentire, uscimmo dall'edificio.
Appena fuori Edward si fermò.
"Tu dove alloggi?" chiedemmo all'unisono.
"Io," iniziai, "Poco distante da qui. Ho in affitto un monolocale. Tu, invece?"
"In un albergo appena svoltato l'angolo," riflettè per un pò prima di sentenziare. "Andiamo a prendere le tue cose?"
Lo guardai confuso. In subbuglio interiore.
"Cosa?" chiesi.
"Vieni con me, no?!" domandò retorico.
"Ma dove?" chiesi, sorpresa."Domani mattina torneremo a Seattle, tu devi rimanere ancora qui?"la sua espressione si era intristita.
"No, torno anche io." sussurrai.
Sorrise, abbraccinadomi. "Andiamo a recuperare le tue cose, signorina Swan?"
"Andiamo, Cullen."

Quindi dopotutto questo NON è un sogno.

Scrivere questo capitolo è stato un pò difficile, chi mi sostiene?!!

   
 
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