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Autore: Ely79    20/02/2011    5 recensioni
Harry è morto. Il doppiogioco di Piton è stato smascherato. Lord Voldemort ha trionfato ed i Mangiamorte con lui. Qualcuno però non si arrende e continua a mettere in difficoltà i seguaci del Maestro, aleggiando funesto sulle vite dei suoi adepti e sui sogni dei giovani Purosangue.
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Rabastan Lestrange, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'Rabastan Lestrange'
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III
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III

4 agosto 2017
Sala degli Arazzi, Lestrange Hall, Cornovaglia

«I nostri informatori dicono che Griffinheart è stato visto un paio d’ore fa in un’apoteca a North Berwick. Ho già provveduto a mandare una squadra in incognito».
Rabastan annuì. Quel giorno non aveva troppa voglia di discutere di lavoro. Sua figlia si era appena fidanzata ufficialmente con uno dei rampolli più promettenti della società magica e gli invitati fremevano per i festeggiamenti del suo compleanno. Quando però a muoversi era il nemico per eccellenza, sapeva di dover mettere da parte l’uomo e le sue priorità, in favore della sicurezza del suo mondo.
«Dovremmo avere notizie entro breve» specificò Balmer, sorseggiando avidamente un calice di vino. «Forse questa è la volta buona. Non è mai uscito tanto allo scoperto».
«Si porta dietro la sua donna, quella traditrice filoBabbana coi capelli rossi. L’abbiamo ferita e nessun ospedale o guaritore l’ha accolta fino ad oggi. Le sue condizioni devono essere peggiorate, spingendo Griffinheart a darsi da fare in prima persona. Avrebbe dovuto lasciarla morire in qualche tugurio. È davvero un idiota!» ghignò Yaxley.
«Ne convengo. Paciock non è mai stato un esempio d’intelligenza. Dico bene, servo?» fece Draco Malfoy, il volto sottile tirato in una smorfia arrogante.
Nascosto accanto alla pensante tenda di velluto, Ron aveva ascoltato ogni sillaba senza fiatare. Sapeva che il Neville di North Berwick non era quello vero. Si trattava di un membro dell’Ordine sotto Polisucco, che aveva il compito di farsi seguire per depistare i Mangiamorte. Neville aveva un altro programma e gli occorreva che lo sguardo dell’Oscuro Signore e dei suoi tirapiedi fosse rivolto altrove.
«Assolutamente, padrone» assentì suo malgrado.
«E la sua compagna… un’autentica rovina, no? Lo sa anche lui, per questo non l’ha sposata. Una mentecatta che si prostituisce con traditori e NatiBabbani, per insozzare il mondo con i loro bastardi. Non è così?» rincarò.
Ron tacque, stringendo i pugni dietro la schiena.
«Ho detto, non è così?» ripeté avvicinandosi.
«C-certo, padrone. È come dite voi. Solo una sgualdrina».
Quelle parole gli costarono uno sforzo sovrumano, che non riuscì a nascondere. Gocce di sudore gl’inumidirono l’attaccatura dei capelli, diradati dall’età e dai dispiaceri.
Draco si chinò in avanti, scrutandolo con cattiveria.
«Che ti prende, servo?» domandò, rimarcando sull’appellativo.
«S-sono nervoso, padrone» si giustificò.
«Sei nervoso» finse di stupirsi Malfoy, scambiando sorrisi divertiti con i presenti. «E perché mai? Ti porti addosso qualche indicibile segreto?»
Domanda sciocca: il Mors Mordre impresso a fuoco sulla parte sinistra del suo volto indicava l’assoluzione dai suoi trascorsi di ribelle. Il Segno era impossibile da nascondere, come qualunque altra cosa lo riguardasse.
«N-no. Mi dispiace, padrone. Ma… la… mia presenza… non vorrei mettervi in imbarazzo» si schermì.
«Cosa che fai comunque» osservò sarcastico Malfoy.
Uno scroscio di risa riempì la stanza. Ron avrebbe voluto poter colpire Draco con un incantesimo o con le proprie mani, per fargli rimangiare quel che aveva detto. Insultare Ginny era solo un modo per ferire lui, per rinfacciargli l’aver abiurato la sua amicizia con Harry, il suo essere stato un avversario. Malfoy non faceva altro da quando aveva preteso di averlo al suo servizio. Ed ogni volta, Ron inghiottiva il rospo. Non lo faceva per salvarsi la pelle, bensì per poter seguitare a mantenersi abbastanza vicino ai piani alti del mondo magico, per aiutare l’Ordine a sopravvivere e, chissà, a vincere. Un giorno.
«Ora smettetela, per favore» li zittì una voce femminile. «State trattenendo oltre misura uno dei festeggiati di oggi e gli ospiti lo reclamano».
Gli uomini s’inchinarono rispettosamente, levando i calici all’indirizzo della padrona di casa e della donna che l’accompagnava.
«Avete ragione, Lady Lestrange. E dubito che qualcuno oserebbe contraddire una persona cui il nostro Signore deve molto» rispose ossequioso Yaxley, riassumendo il pensiero di tutti.
Elanor, Bellatrix e Narcissa erano state più volte citate nei discorsi di Lord Voldemort, come esempi per tutte le giovani streghe Purosangue. La loro dedizione alla causa, seppur in modi differenti, aveva condotto alla vittoria, permettendo di smascherare un traditore, decimare le schiere nemiche e uccidere Potter.
«Perdonatemi, ma mio marito è reclamato altrove. Quest’oggi i suoi doveri di festeggiato sono ben più importanti di ogni vostro parlamentare».
«Veramente…» cominciò Rodolphus, deciso ad allontanarla dalla conversazione.
«Andiamo, Ministro» intervenne la strega accanto ad Elanor. «Siate buono. Dopo tutto, è una giornata di festa».
L’uomo la squadrò, titubante. Era difficile non prestare ascolto alla voce di Regina Borgia: la sua famiglia aveva appoggiato la salita al potere di Lord Voldemort, muovendosi in Europa per scovare i contatti di cui i Mangiamorte necessitavano per incrementare le schiere dei propri sostenitori. Ignorarla, anche solo per una facezia, poteva essere estremamente pericoloso e il Signore Oscuro non avrebbe perdonato un incidente diplomatico di quel calibro.
Si fece da parte, allargando il braccio per permettere al fratello di seguire la moglie. Alcuni dei presenti mascherarono sorrisi di scherno, nel vedere il possente capo dei Mangiamorte vinto dalle frivole pretese di una donna.
«Parleremo dopo. Griffinheart può attendere» mormorò Rabastan, passandogli accanto.
Scambiarono una rapida occhiata d’intesa, poi, il Capo della Polizia Segreta uscì dalla stanza, seguito dagli altri convenuti. Tra gli arazzi con scene eroiche dei maghi dell’antichità rimasero solo Draco e Regina. Ron era stato allontanato bruscamente, con la scusa di tener sotto controllo la signora Malfoy e la sua insana passione per i dolci al rabarbaro, che le stava costando la linea.
«Sei una persona orribile, Draco. Parlar male di tua moglie persino con un servitore» commentò aspra.
Lui fece una smorfia vaga, attirandola a sé.
«C’è molta gente» bisbigliò la donna, cercando di allontanarlo dalle sue labbra senza troppa convinzione.
«E tu sei sola. Il tuo adorato maritino è rimasto a curare gli interessi della magia italiana. Sarei scortese a non far compagnia ad una cara amica» replicò baciandola e ritraendosi con un sorriso perfido sul viso.
«Avevo detto così alla Parkinson, l’ultima volta che l’ho vista» ridacchiò crudelmente Regina.
La relazione extraconiugale fra Draco e Regina andava avanti da tempo. Lei, stanca di un marito assente, aveva riallacciato i rapporti con l’amico d’infanzia, appena nominato Responsabile per i Rapporti Internazionali. Lui, stanco di una moglie più interessata alla vita mondana che al figlioletto, aveva accolto quell’occasione come una liberazione. L’attrazione fra loro si era palesata dopo pochi incontri, tuttavia erano stati abili a mantenere la cosa sotto silenzio. Almeno finché Pansy Parkinson, habitué di Villa Malfoy,  non aveva cominciato a sospettare qualcosa. Aveva tentato di ricattarli per risollevare le magre finanze, disastrate da ingenti perdite alle corse dei Pixie ed ai Tarocchi Maledetti. Regina era stata abile nel raggirarla con una scenata carica di lacrime e pentimento, durante la quale aveva giurato sarebbe tornata dal marito come la migliore delle consorti. Pansy, convinta dalla contrizione e dalla promessa di una lauta donazione, aveva accettato di prendere un the con lei. L’indomani era stata trovata in casa propria, vittima - così dissero le autorità - dei seguaci di Griffinheart. Le doti di creatori di veleni dei Borgia non avevano pari, al punto che le tracce di alcuni loro elisir spesso venivano scambiate con quelle di incantesimi da bacchetta.
«Comprendi il valore di un’amicizia nel momento del bisogno o quando questa viene a mancare» sentenziò Malfoy, giocherellando con i ricci corvini dell’amante. «Ed io ho sempre bisogno di te, amica mia» soggiunse a bassa voce, carezzando eloquente i lacci del corsetto.
Alcuni passi nel corridoio li obbligarono a dividersi. Oltre i battenti accostati passò Cesar, assorto nei propri pensieri.
«Io invece ho bisogno di un’Acquaviola» ribatté la strega, fingendosi spazientita. «Tutti questi vostri dolci inglesi mettono sete».

***

4 agosto 2017
Giardino, Lestrange Hall, Cornovaglia

La festa procedeva tra tappi di champagne che saltavano, fette di torta, chiacchiere frivole ed elfi domestici puniti a ripetizione.
Stanchi d’essere tempestati di domande, auguri, pacche e abbracci affettuosi, Portia e Vincent se n’erano andati a fare due passi nel grande giardino della dimora. Era la prima volta che restavano soli e la ragazza aveva fantasticato a lungo su quella passeggiata e su ciò che avrebbe voluto far accadere.
«Vince?» chiamò timidamente. «Posso chiamarti Vince, vero?»
Lui annuì. Dal volto squadrato non traspariva alcuna particolare emozione.
«Ecco… ci frequentiamo solo da tre mesi e non so ancora molto di te» disse, gli occhi bassi per l’imbarazzo. «So che tuo padre è il primo editore del mondo magico e che porti il nome di tuo zio, un eroe morto nella Stanza delle Necessità per…»
«Balle» tagliò corto il giovane.
«Come?»
«Mio zio. Non è un eroe. Mio zio era un idiota, che ha avuto la pessima idea di usare un incantesimo troppo potente e che non era in grado di padroneggiare. Non sono fiero di portare il suo nome».
«Ma… è morto per la causa!»
«Nessuno gliel’ha chiesto» fu il commento lapidario.
Vincent aveva imparato ad odiare la versione epica della storia. Preferiva credere alle parole di sua madre, che ricordava il fratello maggiore come “un Erumpent con i paraocchi, troppo concentrato a cercare la gloria o i pasticcini, per curarsi delle cose davvero importanti”. Suo padre non lo diceva chiaramente, ma era d’accordo. Aveva voluto bene a suo zio, era stato il suo migliore amico, ma non era servito a farlo desistere dal compiere una sciocchezza.
Il giovane sedette su una panca di pietra e lei lo imitò. Dentro di sé sperava che, lontano dalla ressa e da sguardi indiscreti, Vincent l’avrebbe baciata. Moriva dalla voglia di veder realizzato ciò che leggeva con le amiche nei romanzi d’amore che giravano nel dormitorio di Serpeverde.
Qualcosa cadde nella fontana. Una volta. Due volte. Sassolini.
Un cane abbaiò poco lontano, attirando la loro attenzione e facendo sfumare il romantico sogno della fanciulla.
Accanto alla vasca di pietra c’era una ragazzino pallido e magro, dai capelli biondo cenere. Se fosse calata d’improvviso la notte, lo si sarebbe potuti scambiare per un fantasma, tanto era smunto. E gli abiti chiari, insieme alla sua innata eleganza, gli conferivano un aspetto ancor più etereo.
«Scorpius» disse Portia sottovoce.
«Quel piccoletto mi fa pena» fece Vincent.
«Anche a me. Quando viene qui, passa le ore a gironzolare in giardino con i cani. Non parla molto».
«Non parla per niente. Ed è sempre triste, come se gli mancasse un pezzo dell’anima».
Portia guardò stupita il fidanzato. Che Scorpius Malfoy fosse croce e delizia dei suoi genitori era risaputo: intelligente e garbato, ma anche apatico, sfuggente, distante. Arrivare ad una tale affermazione era ben diverso dal riportare le comuni dicerie sul suo conto, che lo volevano soggiogato da qualche complessa fattura lanciatagli da Griffinheart in persona.
«Cosa vuoi dire?»
«Ho letto un libro di Divinazione Avanzata e…»
Si morse la lingua. Non aveva raccontato nemmeno al suo migliore amico di questa sua passione per la Divinazione! Cosa gli era saltato in mente di condividere quel segreto con lei? D’accordo, era la sua fidanzata, ma sapeva che le ragazze avevano la tendenza a spifferare certi dettagli, specie quando parlavano tra di loro. E con Mabel Lestrange in giro, c’era poco da stare allegri.
«E…?» lo esortò Portia.
Ora che la guardava con attenzione però, Vincent si rese conto che non era la richiesta di una pettegola ingolosita da una rivelazione. Era interesse puro e semplice, sincero.
«Parlava di una teoria chiamata “Dei mondi paralleli o alternativi”. Spiegava che può capitare che determinati eventi modifichino il corso delle esistenze, a nostra insaputa, e si creino infiniti nuovi mondi. A volte è un bene, altre volte è un male. S’incontrano persone più o meno importanti, possono accadere cose mai immaginate. L’umanità può correre su un binario completamente diverso da quello a noi noto. E questo influisce sulla nostra anima e sulla nostra vita. Questo spiegherebbe alcuni malesseri a cui i medimaghi non sanno porre rimedio, perché un’anima spezzata – ce lo insegna il Grande Lord – non la risani con un colpo di bacchetta. Se manca una parte di te stesso lo senti, te ne accorgi. Il tuo aspetto muta e anche il carattere, gli atteggiamenti, i gusti. E sono dettagli che si notano».
I due fidanzati tornarono a guardare il ragazzino, ora seduto sull’orlo della fontana. Un levriero gli teneva il muso sulle ginocchia, preso dalle distratte carezze che l’undicenne gli riservava. Gli occhi grigi erano come ciechi, vuoti, senza luce e la sua mano pareva muoversi seguendo un invisibile filo.
«Quindi, secondo te… Scorpius potrebbe essere vittima di un evento di questo tipo? Credi che manchi qualcosa nella sua vita?» azzardò lei.
«Chi lo sa. Non sono un Indovino professionista» ammise.
Era un sogno nel cassetto, che tale sarebbe rimasto. Quale unico erede dei Goyle, a lui spettava di portare avanti l’impero editoriale costruito da suo padre e da suo nonno. Dilettarsi con i fondi del the o leggere i tarocchi non erano considerate occupazioni degne di un così rispettabile membro dell’elite magica inglese. Sarebbero rimasti semplici passatempi, taciuti a tutti. Tranne a Portia, il cui sguardo luminoso declamava il suo voler esserne resa partecipe.
«Perché mi guardi così?»
La risposta fu preceduta da un sorriso carico d’ammirazione e dolcezza.
«Per due motivi. Primo: non avevi mai parlato tanto a lungo e con tanto fervore di qualcosa. Secondo: credo tu abbia ragione».
«Su Scorpius?»
«No. Sul fatto che capitano cose che incidono sulle nostre vite».
Con quelle poche parole riuscì a far scaturire un accenno di sorpresa nel giovane.
«Io sono stata fortunata: ho incontrato te» spiegò arrossendo. «Non penso che potesse esserci qualcun altro nella mia vita. Tu sei la persona giusta per me».
Vincent non si era mai visto in quella luce. Sapeva solo che Portia non gli era mai stata indifferente, ed essere definito una specie di mago del destino gli pareva troppo. Anche se, doveva ammetterlo, non era mai riuscito ad immaginarsi con un’altra.
«Puoi anche non essere fiero di tuo zio, ma senza il suo sacrificio, o senza quello di gente come Vitalij Dolohov… In che mondo saremmo stati costretti a vivere? Se avessimo perso, forse sarei stata costretta a sposare un NatoBabbano o peggio, un Babbano! Solo per compiacere quei traditori e le loro leggi. Ti rendi conto di cosa avrei dovuto sopportare? Quali umiliazioni? Che vita avrei potuto fare? Lavorare in uno di quei negozi da due zellini? Partorire maghi indegni? Essere infelice perché chi mi aveva chiesta in moglie odiava la purezza del mio sangue?»
Le sfuggì un singhiozzo. Ripensò al signor Dolohov, a quante volte le aveva detto di ringraziare Merlino, Morgana e Lord Voldemort se aveva l’onore di vivere in quei tempi di rinascita. Non riusciva a concepire un’esistenza diversa e il fatto che Griffinheart tentasse di stravolgere quanto faticosamente conquistato era spaventoso.
«Invece ho te, Vince. Il mio Vincent, che credevo essere un silenzioso paladino come mio padre e che ho scoperto essere un erudito in Divinazione, che sa leggere nel cuore delle persone» sospirò rapita. «Sono davvero molto fortunata» concluse, gettandogli le braccia al collo.
«Dici un sacco di stupidaggini, Portia» sbuffò, fingendosi annoiato e ricambiando l’abbraccio. «Forse è meglio che trovi il modo di farti stare zitta. Per quando diventerai la signora Goyle» soggiunse cercando le sue labbra.
   
 
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