Creatures of Habit
Vivendo
a bordo della Moby Dick come parte della famiglia, Ace aveva notato delle
sottigliezze che nei primi tempi gli erano sfuggite, nonostante le avesse sotto
gli occhi ogni giorno. Aveva le sue ragioni del resto.
Ora,
invece, placidamente seduto a tavola aveva modo di osservare i suoi nuovi
compagni, i suoi nuovi fratelli. Erano tutti assolutamente unici a modo loro,
tutti così diversi tra loro, eppure, così legati. Forse era proprio quella
strana sensazione di familiarità, quella particolare intimità tra così tante
persone, un’unione che nemmeno i legami di sangue poteva comparare che l’aveva
spinto ad entrare in quella ciurma.
Voleva
appartenere anche lui a quel mondo così diverso dagli
altri.
Così,
mentre il suo sguardo osservava svogliatamente i pirati che lo circondavano,
notava che ogni persona su quella nave aveva le sue particolari abitudini.
C’era
chi si presentava a colazione con uno spazzolino ancora stretto fra i denti, chi
non si svegliava senza quel sano goccio di rhum nel latte, chi puntualmente
aveva un brusco incontro tra la propria fronte e la porta ancora chiusa, chi
mangiava prima degli altri e per quell’ora era già sul ponte a svolgere le
mansioni quotidiane, chi invece, nonostante il piatto vuoto, continuava a
perdere tempo chiacchierando. Insomma l’originalità non mancava a nessuno, ma
solo un’abitudine l’aveva incuriosito decisamente più delle
altre.
Il
suo sguardo sorvolò le varie figure nella stanza, trasformandole temporaneamente
in ombre indistinte, mentre cercava la persona soggetto attuale dei suoi
pensieri. Del resto la sua testa si riconosceva facilmente, si limitò a
constatare mentre un ghigno divertito gli piegava le
labbra.
Ed
eccolo là infatti, un ananas che troneggiava fra un paio di teste dai tratti più
anonimi.
Marco
la fenice, il capitano della prima divisione, il braccio destro di Barbabianca,
un titolo dietro l’altro a rimarcare quanto fosse uno degli uomini più temuti a
questo mondo. Un pirata di prima classe volendo tirare le somme.
La prima
volta che l’aveva incontrato non aveva fatto molto caso a lui, la sua mente era
decisamente impegnata altrove e Marco non appariva nulla di più rispetto a molti
altri pirati. Era ben mescolato nella ciurma, anche se poi, porgendo più
attenzione era stato impossibile non notare quello strano senso di potere che
emanava, una forza lasciata a riposo.
A
tutti gli effetti la prima volta che aveva, davvero, notato la sua presenza era
stata la sera di quella festa, quando, in mezzo al caos, si era chinato su di
lui porgendogli una ciotola di minestra.
Gli aveva parlato con tono posato,
in grado però di trasmettere per vie secondarie lo strano calore che c’era in
quella famiglia, il tenue pallore di una felicità che allora si ostinava ad
osservare da fuori. Quel sorriso, non l’aveva dimenticato.
Ma
tornando alla questione principale; le abitudini. Anche il più influente fra gli
uomini di Barbabianca ne aveva una, ed Ace l’aveva scoperta per puro caso.
La prima volta era accaduto in modo accidentale, un bisogno impellente
l’aveva colto poco prima dell’alba e per i corridoi aveva incrociato Marco, con
una mano sul viso a trattenere uno sbadiglio, mentre si avviava pacifico verso
il ponte della nave.
Non
ci aveva affatto dato peso inizialmente, anzi si era ritrovato a pensare quasi
logicamente che si era addormentato ubriaco in qualche corridoio la sera prima e
svegliatosi al mattino cercava soltanto di tornare alla sua stanza. Il pensiero
cambiò quando cominciò a vederlo praticamente ogni giorno alla stessa
ora.
La
vera e propria conferma la ebbe un mattino, durante uno dei turni di
guardia...
Quella
mattina soffiava nell’aria una brezza leggera, che portava con sé l’odore
salmastro dell’oceano quel tanto che basta da arrivare a pizzicare il naso. Ace
dal canto suo, fuori ormai da qualche ora, si era ormai largamente abituato a
quel profumo vagamente pungente.
Il
panorama era piuttosto piatto, nessuna strana onda a minacciare la nave, nessun
nuvolone ad annunciare un bel temporale e tanto meno la possibilità di un
imminente ciclone. Il mare era piatto, mosso solo in un tenue oscillare sospinto
dal vento.
Trattenne
l’ennesimo sbadiglio in una smorfia a denti stretti, mentre una mano si
allungava a stropicciare gli occhi nell’inutile tentativo di tenerli aperti. Mai
un attacco di narcolessia quando aveva l’assoluto bisogno di una valida
scusa.
Fu
in quel momento che, con ancora in bocca l’acre sapore di un sonno interrotto,
sentì nell’aria un aroma diverso. Un vago mix di alcool e carta. Probabilmente
fu a causa di quello strano accostamento che decise di sporgersi, sapendo già
chi avrebbe trovato a passeggiare sul ponte a
quell’ora.
Non
fu difficile distinguere il ciuffo biondo di Marco che, a passi, lenti si
dirigeva verso la polena. Non si avvicinò quel giorno limitandosi a seguire i
suoi movimenti con lo sguardo.
Probabilmente
il vicecapitano l’aveva notato, non era certamente uno sprovveduto, ma, in ogni
caso, non lo diede a vedere continuando per la sua
strada.
Mancava
ormai poco all’alba, il cielo si stava già schiarendo all’orizzonte quando lo
vide sedersi a prua con lo sguardo rivolto all’oceano. Stava
aspettando.
Ace
l’aveva intuito dalla calma che emanava in quel momento, era particolare,
diversa dalla solita,una quiete d’animo che sembrava dedicare solo a quell’unico
istante.
Una
strana stasi impregnava l’aria, come se l’immobilità del biondo stesse
influenzando anche l’ambiente circostante, l’acqua era inerte e le nuvole
avevano fermato il loro placido muoversi. Per quanto si sforzasse non riusciva a
distogliere lo sguardo da quella scena.
Chissà
perché l’aveva visto sorridere al di là di quelle
spalle.
Il
tempo tornò come un flusso, una clessidra rotta che disperde in un attimo tutti
gli istanti che aveva arrogantemente cercato di trattenere. Erano i primi raggi
del sole che si frammentavano in un abbagliante contrasto con l’acqua.
Non
era uno spettacolo nuovo per chi è abituato a vivere per mare, eppure Marco
restava lì, catturando con lo sguardo quella luce che, sollevandosi verso
l’alto, appariva sempre più eterea.
Fu
solo quando il sole si era ormai issato in cielo che lo vide alzarsi. Si
stiracchiò quel mattino, come se avesse passato la notte fra le carte nautiche e
si ritrovasse ad andare a dormire solo allora. Lo scoprì soltanto più tardi, ma
il più delle volte era proprio quello che succedeva.
Nel
percorrere il ponte verso le camerate il vice sollevò lo sguardo, lasciando Ace
in vedetta con un ultimo ghigno divertito. Una semplice conferma del fatto che
aveva notato la presenza del moro fin dall’inizio.
Si
lasciarono così quel giorno, senza un perché o una spiegazione, con l’unica
certezza che avevano fatto un passo avanti nel mondo dell’altro; le sicurezze e
i pregiudizi crollavano lentamente, lasciando a spazio a dubbi e domande ancora
senza risposta.
A
riportarlo alla realtà fu una mano che veniva sventolata allegramente davanti al
suo sguardo.
-
Finirai per consumarlo se continui a fissarlo in quel modo. –
La
conosceva bene quella voce. Oh se la conosceva. Nel breve tempo trascorso sulla
Moby Dick non aveva ancora avuto l’occasione di non sentirla e godersi un po’ di
silenzio.
Satch,
il comandate della quarta flotta, e per quello che aveva avuto modo di capire,
fino a quel momento, uno dei pirati più logorroici e indiscreti in cui aveva
avuto la sfortuna di imbattersi.
-
Tranquillo, te lo consegno come nuovo per il tuo turno. – ghignò in
risposta.
Sapeva
per abitudine che esitando nella risposta ad una simile affermazione sarebbero
facilmente nate voci rosa confetto pronte a fare il giro delle orecchie di tutta
la ciurma.
La
risata non lo colse impreparato, segnale inequivocabile che il suo nome non
sarebbe finito tra le labbra dei pettegoli che si raccontavano l’ultimo
succulento gossip della nave.
-
Hai pure la lingua di fuoco tu, eh? – rispose l’altro ancora
ridacchiando.
Satch
non gli dispiaceva come persona, per quanto a volte avrebbe veramente voluto
staccargli via la lingua, quel suo carattere gioviale rallegrava l’atmosfera.
Vicino a lui provava davvero quella strana sensazione dell’essere in
famiglia.
-
Allora, come mai te ne stai qui da solo, osservando da lontano Marco con lo
sguardo languido da innamorato? -
Era chiaramente una provocazione.
-
Perché sono follemente innamorato di lui, mi pare ovvio. – ridacchiò in
risposta. – Ma so perfettamente di non avere alcuna chance, del resto la vostra
relazione è fondata su solide basi. –
-
Non dirmelo. – disse l’altro, parlando a stento fra le risa. – Ti sei
addormentato un’altra volta mentre mangiavi. –
Ottima
scusa. E dopo aver messo su una faccia da “Non ti si può nascondere nulla”, Ace
ebbe la certezza che le malizie, almeno per oggi, si sarebbero concluse
lì.
-
Allora, come mai qui Satch? – chiese assumendo un tono vagamente serio. – Non ti
sarai preso il disturbo di venire fino a questo tavolo solo per svegliarmi.
–
Satch
voltò lo sguardo, osservandolo con minuziosa attenzione mentre si portava
l’ultimo boccone alle labbra. Attendeva il momento giusto per parlare, aveva la
bizzarra premura di evitare i discorsi seri mentre si
mangiava.
Quando
il piatto fu finalmente vuoto le sue labbra si mossero in modo quasi
impercettibile.
-
Incontreremo presto una nave della marina; a quanto pare i pezzi grossi hanno
mandato qualche pesciolino nelle nostre acque per salvaguardarsi la faccia. –
sembrava quasi divertito a raccontarlo. – Il babbo vuole che la seconda flotta
si schieri in prima linea, e vuole che sia tu a rappresentarli temporaneamente.
–
Ci
fu un momento di silenzio, nel quale Ace ebbe pure il tempo di stupirsi nel
vedere l’altro tenere la bocca chiusa.
-
Vuole che sia il comandante della seconda flotta? –
Aveva
cercato di trattenere la sorpresa nella voce, ma a giudicare dall’accenno di
risata sulle labbra del rosso non gli era riuscito granché bene.
-
Temporaneamente. – sottolineò
riassumendo il tono vagamente formale di prima. – Come ben sai la flotta di cui
fai parte è, attualmente, senza un comandante e il babbo è curioso di vederti
all’opera. –
-
Mi pare giusto, affidarmi un’intera flotta solo per “provarmi”. – sbottò in
risposta.
La
risata questa volta si sentì ben chiara.
-
Non essere ridicolo, non avrai una simile responsabilità al tuo primo lavoro
serio. – il tono faticava a restare posato mentre parlava. – Non è nostra
abitudine sottovalutare gli avversari, gli altri comandanti con le rispettive
flotte saranno pronti ad intervenire in qualunque momento, il tuo compito è solo
quello di guidare il primo attacco. –
Annuì
vagamente a quelle parole, non era affatto male come idea. Sarebbe finalmente
entrato in azione come un pirata di Barbabianca, e non più come capitano dei
pirati di Picche.
-
Ti interessa allora? –
Satch
lo stava ormai squadrando da un pezzo in attesa di risposta; le labbra erano
piegate in un sorriso divertito.
Un
ghigno si dipinse sul volto del moro.
-
Puoi scommetterci. –
-
Marco, ti ricordi la mia prima battaglia contro la marina? –
-
Un disastro.-
Un
sorriso indulgente comparve sulle labbra del biondo alla bianca luce
dell’alba.
Era
ormai tardo pomeriggio quando le navi della marina iniziarono ad apparire
all’orizzonte.
Si
disponevano per intrappolarli sotto l’aspra luce del tramonto, mentre nell’aria
risuonava la risata di loro padre.
Ace
era agitato, seduto su una delle balaustre era intento a fissare le imbarcazioni
all’orizzonte, mentre sottili lingue di fuoco si contorcevano lungo la pelle.
Era uno strano effetto collaterale che ancora non riusciva a controllare, come
se il suo stesso corpo cercasse di dar sfogo alle pressioni interne
materializzandole in una forma visibile.
Aveva
avuto l’intera giornata per organizzarsi con i “suoi uomini”, eppure quello che
riuscì a cavare fuori fu soltanto una tremenda ansia da prestazione. Si sentiva
messo su un banco di prova, ma a cosa avrebbe portato un eventuale
fallimento?
Aveva
pensato ad ogni eventualità, anche il venir cacciato dalla nave, e per qualche
ragione al solo pensiero sentiva lo stomaco chiudersi in una morsa. Ora che
aveva trovato una famiglia, era terrorizzato all’idea di
perderla.
Abbandonato
nei propri pensieri non aveva fatto caso alla fenice che si era posata al suo
fianco, per cui nel momento in cui, in una combinazione di fiamme blu , aveva
visto apparire Marco per poco non finì in acqua. Questo ovviamente suscitò la
risata divertita del compagno.
-
Troppi pensieri, eh? – disse voltando lo sguardo verso il
moro.
Aveva
ragione, e non ebbe bisogno di dirglielo a parole, sapeva che l’altro l’aveva
già capito.
Se
c’era qualcosa che l’aveva colpito di lui, fin dal primo momento, era
sicuramente quella muta capacità di comprendere le persone con uno sguardo, si
relazionava direttamente con le emozioni degli altri, sapendo quali limiti non
superare e cosa invece gli era concesso.
-
Ace. – era un richiamo all’attenzione. – La difficoltà nell’essere comandate di
una flotta non sta nell’ottenere la fiducia dei propri uomini; quello che rende
difficile questo ruolo è riuscire a fidarsi di loro. –
Ripercorse
più volte quel viso con lo sguardo, studiandone l’espressione autorevole tipica
di chi parla per propria esperienza. Sapeva che quelle parole gli sarebbero
servite nella missione che stava per affrontare.
-
La ciurma di Barbabianca è una famiglia e nessuno diffiderà mai di una scelta
presa da nostro padre, perché la sua persona è alla base della coesione che
esiste fra tutti noi, il nostro punto in comune. Loro hanno fiducia in te, sta a
te ora fidarti di loro. –
E
l’avrebbe ascoltato ancora, fremeva dal bisogno di sapere cosa lo aspettava una
volta iniziata la battaglia, ma Marco non sembrava intenzionato a continuare
oltre quel discorso. Si era sollevato in piedi sulla balaustra, quasi fosse
pronto a prendere il volo da un momento all’altro, mentre il suo sguardo
scrutava l’orizzonte ormai buio.
Le
navi della marina stavano accendendo i primi fuochi, mentre sul mare si
disperdeva l’ultimo rosso raggio di sole.
-
Sta per iniziare. –
Avrebbe
voluto dirgli molte cose in quel momento, fargli domande su cosa lo attendeva e
su come avrebbe dovuto comportarsi, ma sapeva di aver esaurito il tempo a sua
disposizione.
Solo
una parola, sapeva di dovergliela nonostante tutto.
-
Grazie. –
Sorrise.
-
Buona fortuna. –
La
fenice prese il volo fra le fiamme blu raggiungendo la propria postazione. Ace
seguì quella strana luce con lo sguardo, concedendosi un ultimo attimo di
leggerezza, un attimo in cui era soltanto un pirata, senza alcuna
responsabilità.
Fu
solo quando i piedi del vicecapitano si posarono a terra che si alzò camminando
con passo sicuro verso la sua flotta. Una sicurezza che voleva mostrare, i suoi
uomini non dovevano vedere quel torbido vortice di preoccupazioni che gli
attanagliava il fiato in gola.
Chiuse
gli occhi, ripetendo ad ogni passo la stessa nenia. “Sono soltanto
marine.”
Quando
fu di fronte agli altri sorrise, poteva farcela, doveva sentirlo e doveva
crederci, per loro.
Alzò
gli occhi verso l’orizzonte; le fiammelle che illuminavano biecamente le navi
della marina creavano una sorta di atmosfera lugubre, nessuno si sarebbe stupito
se proprio in quel momento la nebbia avesse deciso che era ora di alzarsi. Sentì
un brivido gelido lungo la schiena.
“Sono soltanto marine.”
Eppure,
in quella strana quiete che precede le tempeste, quelle parole sembravano
altisonanti, troppo lontane per poterlo anche solo sfiorare. Le fiamme che serpeggiavano fra le dita non erano che
la conferma.
Il
fischio del primo cannone lo riportò alla realtà, il tempo dei pensieri era
finito, dovevano agire.
Una
mano si sollevò verso l’alto, le dita si piegarono in un gesto
secco.
L’avanzata
era appena iniziata.
Note
d’autrice:
... ehm... ciao...
bella giornata vero?
Non riesco a sfangarla
così vero? *sospira e si siede da brava bimba*
Ed eccoci qua alla fin
fine, la mia prima Marco/Ace, non ho resistito alla tentazione di provare questi
due sull’onda della passione (e così fa tanto telefilm alla beautiful;
Prossimamente sui
vostri schermi Sull’onda della passione, riuscirà Ace a farsi una vita?
Traffy:
No.).
Ok... sto decisamente
delirando, lasciatemi perdere.
C’è veramente poco da
dire su questo capitolo, voglio solo anticipare che in questa storia non
mancherà l’angst anche se siamo partiti piuttosto
tranquilli.
La storia in sé si
basa su un ragionamento che ho fatto nei riguardi di Marco e del suo potere,
unendoci le informazioni che sono riuscita a raccogliere sulla leggenda della
fenice, beh avrete questa storia. Nei capitoli successivi poi spiegherò man mano
le citazioni della leggenda che farò.
Spero davvero di non
essere finita OOC, ho aver sbagliato qualcosa, essendo la prima volta che tratto
questi personaggi, ho seriamente paura di aver combinato qualche
disastro.
Bene direi che le note
d’autrice si concludono qui per vostra fortuna. Ci tengo davvero a ringraziare
chiunque leggerà questa storia o passerà da queste parti anche solo per sbaglio.
Grazie davvero a tutti
i miei lettori e commentatori, vi voglio un sacco di bene, oso dire che continuo
a scrivere solo grazie a voi, ragion per cui tutti i miei più sentiti
ringraziamenti.
Kis~
Seiko