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Autore: Seiko    21/02/2011    5 recensioni
"La fenice è un animale mitologico, si dice che sia capace di risorgere dalle proprie ceneri per vivere altri mille anni."
Le abitudini aiutano a conoscere una persona per i gesti che compie solitamente. Ecco perché quando anche un solo dettaglio muta si riesce a coglierlo con solo uno sguardo.
Qualcosa in Marco cambierà, ma nessuno sembrerà accorgersene a parte Ace.
Long-fic; [Marco/Ace]; Angst!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marco, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Creatures of  Habit

 

 

Vivendo a bordo della Moby Dick come parte della famiglia, Ace aveva notato delle sottigliezze che nei primi tempi gli erano sfuggite, nonostante le avesse sotto gli occhi ogni giorno. Aveva le sue ragioni del resto.

Ora, invece, placidamente seduto a tavola aveva modo di osservare i suoi nuovi compagni, i suoi nuovi fratelli. Erano tutti assolutamente unici a modo loro, tutti così diversi tra loro, eppure, così legati. Forse era proprio quella strana sensazione di familiarità, quella particolare intimità tra così tante persone, un’unione che nemmeno i legami di sangue poteva comparare che l’aveva spinto ad entrare in quella ciurma.

Voleva appartenere anche lui a quel mondo così diverso dagli altri.

Così, mentre il suo sguardo osservava svogliatamente i pirati che lo circondavano, notava che ogni persona su quella nave aveva le sue particolari abitudini.

C’era chi si presentava a colazione con uno spazzolino ancora stretto fra i denti, chi non si svegliava senza quel sano goccio di rhum nel latte, chi puntualmente aveva un brusco incontro tra la propria fronte e la porta ancora chiusa, chi mangiava prima degli altri e per quell’ora era già sul ponte a svolgere le mansioni quotidiane, chi invece, nonostante il piatto vuoto, continuava a perdere tempo chiacchierando. Insomma l’originalità non mancava a nessuno, ma solo un’abitudine l’aveva incuriosito decisamente più delle altre.

Il suo sguardo sorvolò le varie figure nella stanza, trasformandole temporaneamente in ombre indistinte, mentre cercava la persona soggetto attuale dei suoi pensieri. Del resto la sua testa si riconosceva facilmente, si limitò a constatare mentre un ghigno divertito gli piegava le labbra.

Ed eccolo là infatti, un ananas che troneggiava fra un paio di teste dai tratti più anonimi.

Marco la fenice, il capitano della prima divisione, il braccio destro di Barbabianca, un titolo dietro l’altro a rimarcare quanto fosse uno degli uomini più temuti a questo mondo. Un pirata di prima classe volendo tirare le somme.
La prima volta che l’aveva incontrato non aveva fatto molto caso a lui, la sua mente era decisamente impegnata altrove e Marco non appariva nulla di più rispetto a molti altri pirati. Era ben mescolato nella ciurma, anche se poi, porgendo più attenzione era stato impossibile non notare quello strano senso di potere che emanava, una forza lasciata a riposo.

A tutti gli effetti la prima volta che aveva, davvero, notato la sua presenza era stata la sera di quella festa, quando, in mezzo al caos, si era chinato su di lui porgendogli una ciotola di minestra.
Gli aveva parlato con tono posato, in grado però di trasmettere per vie secondarie lo strano calore che c’era in quella famiglia, il tenue pallore di una felicità che allora si ostinava ad osservare da fuori. Quel sorriso, non l’aveva dimenticato.

Ma tornando alla questione principale; le abitudini. Anche il più influente fra gli uomini di Barbabianca ne aveva una, ed Ace l’aveva scoperta per puro caso.
La prima volta era accaduto in modo accidentale, un bisogno impellente l’aveva colto poco prima dell’alba e per i corridoi aveva incrociato Marco, con una mano sul viso a trattenere uno sbadiglio, mentre si avviava pacifico verso il ponte della nave.

Non ci aveva affatto dato peso inizialmente, anzi si era ritrovato a pensare quasi logicamente che si era addormentato ubriaco in qualche corridoio la sera prima e svegliatosi al mattino cercava soltanto di tornare alla sua stanza. Il pensiero cambiò quando cominciò a vederlo praticamente ogni giorno alla stessa ora.

La vera e propria conferma la ebbe un mattino, durante uno dei turni di guardia...

 

 

Quella mattina soffiava nell’aria una brezza leggera, che portava con sé l’odore salmastro dell’oceano quel tanto che basta da arrivare a pizzicare il naso. Ace dal canto suo, fuori ormai da qualche ora, si era ormai largamente abituato a quel profumo vagamente pungente.

Il panorama era piuttosto piatto, nessuna strana onda a minacciare la nave, nessun nuvolone ad annunciare un bel temporale e tanto meno la possibilità di un imminente ciclone. Il mare era piatto, mosso solo in un tenue oscillare sospinto dal vento.

Trattenne l’ennesimo sbadiglio in una smorfia a denti stretti, mentre una mano si allungava a stropicciare gli occhi nell’inutile tentativo di tenerli aperti. Mai un attacco di narcolessia quando aveva l’assoluto bisogno di una valida scusa.

Fu in quel momento che, con ancora in bocca l’acre sapore di un sonno interrotto, sentì nell’aria un aroma diverso. Un vago mix di alcool e carta. Probabilmente fu a causa di quello strano accostamento che decise di sporgersi, sapendo già chi avrebbe trovato a passeggiare sul ponte a quell’ora.

Non fu difficile distinguere il ciuffo biondo di Marco che, a passi, lenti si dirigeva verso la polena. Non si avvicinò quel giorno limitandosi a seguire i suoi movimenti con lo sguardo.

Probabilmente il vicecapitano l’aveva notato, non era certamente uno sprovveduto, ma, in ogni caso, non lo diede a vedere continuando per la sua strada.

Mancava ormai poco all’alba, il cielo si stava già schiarendo all’orizzonte quando lo vide sedersi a prua con lo sguardo rivolto all’oceano. Stava aspettando.

Ace l’aveva intuito dalla calma che emanava in quel momento, era particolare, diversa dalla solita,una quiete d’animo che sembrava dedicare solo a quell’unico istante.

Una strana stasi impregnava l’aria, come se l’immobilità del biondo stesse influenzando anche l’ambiente circostante, l’acqua era inerte e le nuvole avevano fermato il loro placido muoversi. Per quanto si sforzasse non riusciva a distogliere lo sguardo da quella scena.

Chissà perché l’aveva visto sorridere al di là di quelle spalle.

Il tempo tornò come un flusso, una clessidra rotta che disperde in un attimo tutti gli istanti che aveva arrogantemente cercato di trattenere. Erano i primi raggi del sole che si frammentavano in un abbagliante contrasto con l’acqua.

Non era uno spettacolo nuovo per chi è abituato a vivere per mare, eppure Marco restava lì, catturando con lo sguardo quella luce che, sollevandosi verso l’alto, appariva sempre più eterea.

Fu solo quando il sole si era ormai issato in cielo che lo vide alzarsi. Si stiracchiò quel mattino, come se avesse passato la notte fra le carte nautiche e si ritrovasse ad andare a dormire solo allora. Lo scoprì soltanto più tardi, ma il più delle volte era proprio quello che succedeva.

Nel percorrere il ponte verso le camerate il vice sollevò lo sguardo, lasciando Ace in vedetta con un ultimo ghigno divertito. Una semplice conferma del fatto che aveva notato la presenza del moro fin dall’inizio.

Si lasciarono così quel giorno, senza un perché o una spiegazione, con l’unica certezza che avevano fatto un passo avanti nel mondo dell’altro; le sicurezze e i pregiudizi crollavano lentamente, lasciando a spazio a dubbi e domande ancora senza risposta.

 

 

A riportarlo alla realtà fu una mano che veniva sventolata allegramente davanti al suo sguardo.

- Finirai per consumarlo se continui a fissarlo in quel modo. –

La conosceva bene quella voce. Oh se la conosceva. Nel breve tempo trascorso sulla Moby Dick non aveva ancora avuto l’occasione di non sentirla e godersi un po’ di silenzio.

Satch, il comandate della quarta flotta, e per quello che aveva avuto modo di capire, fino a quel momento, uno dei pirati più logorroici e indiscreti in cui aveva avuto la sfortuna di imbattersi.

- Tranquillo, te lo consegno come nuovo per il tuo turno. – ghignò in risposta.

Sapeva per abitudine che esitando nella risposta ad una simile affermazione sarebbero facilmente nate voci rosa confetto pronte a fare il giro delle orecchie di tutta la ciurma.

La risata non lo colse impreparato, segnale inequivocabile che il suo nome non sarebbe finito tra le labbra dei pettegoli che si raccontavano l’ultimo succulento gossip della nave.

- Hai pure la lingua di fuoco tu, eh? – rispose l’altro ancora ridacchiando.

Satch non gli dispiaceva come persona, per quanto a volte avrebbe veramente voluto staccargli via la lingua, quel suo carattere gioviale rallegrava l’atmosfera. Vicino a lui provava davvero quella strana sensazione dell’essere in famiglia.

- Allora, come mai te ne stai qui da solo, osservando da lontano Marco con lo sguardo languido da innamorato? -
Era chiaramente una provocazione.
- Perché sono follemente innamorato di lui, mi pare ovvio. – ridacchiò in risposta. – Ma so perfettamente di non avere alcuna chance, del resto la vostra relazione è fondata su solide basi. –

- Non dirmelo. – disse l’altro, parlando a stento fra le risa. – Ti sei addormentato un’altra volta mentre mangiavi. –

Ottima scusa. E dopo aver messo su una faccia da “Non ti si può nascondere nulla”, Ace ebbe la certezza che le malizie, almeno per oggi, si sarebbero concluse lì.

- Allora, come mai qui Satch? – chiese assumendo un tono vagamente serio. – Non ti sarai preso il disturbo di venire fino a questo tavolo solo per svegliarmi. –

Satch voltò lo sguardo, osservandolo con minuziosa attenzione mentre si portava l’ultimo boccone alle labbra. Attendeva il momento giusto per parlare, aveva la bizzarra premura di evitare i discorsi seri mentre si mangiava.

Quando il piatto fu finalmente vuoto le sue labbra si mossero in modo quasi impercettibile.

- Incontreremo presto una nave della marina; a quanto pare i pezzi grossi hanno mandato qualche pesciolino nelle nostre acque per salvaguardarsi la faccia. – sembrava quasi divertito a raccontarlo. – Il babbo vuole che la seconda flotta si schieri in prima linea, e vuole che sia tu a rappresentarli temporaneamente. –

Ci fu un momento di silenzio, nel quale Ace ebbe pure il tempo di stupirsi nel vedere l’altro tenere la bocca chiusa.

- Vuole che sia il comandante della seconda flotta? –

Aveva cercato di trattenere la sorpresa nella voce, ma a giudicare dall’accenno di risata sulle labbra del rosso non gli era riuscito granché bene.

- Temporaneamente. – sottolineò riassumendo il tono vagamente formale di prima. – Come ben sai la flotta di cui fai parte è, attualmente, senza un comandante e il babbo è curioso di vederti all’opera. –

- Mi pare giusto, affidarmi un’intera flotta solo per “provarmi”. – sbottò in risposta.

La risata questa volta si sentì ben chiara.

- Non essere ridicolo, non avrai una simile responsabilità al tuo primo lavoro serio. – il tono faticava a restare posato mentre parlava. – Non è nostra abitudine sottovalutare gli avversari, gli altri comandanti con le rispettive flotte saranno pronti ad intervenire in qualunque momento, il tuo compito è solo quello di guidare il primo attacco. –

Annuì vagamente a quelle parole, non era affatto male come idea. Sarebbe finalmente entrato in azione come un pirata di Barbabianca, e non più come capitano dei pirati di Picche.

- Ti interessa allora? –

Satch lo stava ormai squadrando da un pezzo in attesa di risposta; le labbra erano piegate in un sorriso divertito.

Un ghigno si dipinse sul volto del moro.

- Puoi scommetterci. –

 

 

- Marco, ti ricordi la mia prima battaglia contro la marina? –

- Un disastro.-

Un sorriso indulgente comparve sulle labbra del biondo alla bianca luce dell’alba.

 

 

Era ormai tardo pomeriggio quando le navi della marina iniziarono ad apparire all’orizzonte.

Si disponevano per intrappolarli sotto l’aspra luce del tramonto, mentre nell’aria risuonava la risata di loro padre.

Ace era agitato, seduto su una delle balaustre era intento a fissare le imbarcazioni all’orizzonte, mentre sottili lingue di fuoco si contorcevano lungo la pelle. Era uno strano effetto collaterale che ancora non riusciva a controllare, come se il suo stesso corpo cercasse di dar sfogo alle pressioni interne materializzandole in una forma visibile.

Aveva avuto l’intera giornata per organizzarsi con i “suoi uomini”, eppure quello che riuscì a cavare fuori fu soltanto una tremenda ansia da prestazione. Si sentiva messo su un banco di prova, ma a cosa avrebbe portato un eventuale fallimento?

Aveva pensato ad ogni eventualità, anche il venir cacciato dalla nave, e per qualche ragione al solo pensiero sentiva lo stomaco chiudersi in una morsa. Ora che aveva trovato una famiglia, era terrorizzato all’idea di perderla.

Abbandonato nei propri pensieri non aveva fatto caso alla fenice che si era posata al suo fianco, per cui nel momento in cui, in una combinazione di fiamme blu , aveva visto apparire Marco per poco non finì in acqua. Questo ovviamente suscitò la risata divertita del compagno.

- Troppi pensieri, eh? – disse voltando lo sguardo verso il moro.

Aveva ragione, e non ebbe bisogno di dirglielo a parole, sapeva che l’altro l’aveva già capito.

Se c’era qualcosa che l’aveva colpito di lui, fin dal primo momento, era sicuramente quella muta capacità di comprendere le persone con uno sguardo, si relazionava direttamente con le emozioni degli altri, sapendo quali limiti non superare e cosa invece gli era concesso.

- Ace. – era un richiamo all’attenzione. – La difficoltà nell’essere comandate di una flotta non sta nell’ottenere la fiducia dei propri uomini; quello che rende difficile questo ruolo è riuscire a fidarsi di loro. –

Ripercorse più volte quel viso con lo sguardo, studiandone l’espressione autorevole tipica di chi parla per propria esperienza. Sapeva che quelle parole gli sarebbero servite nella missione che stava per affrontare.

- La ciurma di Barbabianca è una famiglia e nessuno diffiderà mai di una scelta presa da nostro padre, perché la sua persona è alla base della coesione che esiste fra tutti noi, il nostro punto in comune. Loro hanno fiducia in te, sta a te ora fidarti di loro. –

E l’avrebbe ascoltato ancora, fremeva dal bisogno di sapere cosa lo aspettava una volta iniziata la battaglia, ma Marco non sembrava intenzionato a continuare oltre quel discorso. Si era sollevato in piedi sulla balaustra, quasi fosse pronto a prendere il volo da un momento all’altro, mentre il suo sguardo scrutava l’orizzonte ormai buio.

Le navi della marina stavano accendendo i primi fuochi, mentre sul mare si disperdeva l’ultimo rosso raggio di sole.

- Sta per iniziare. –

Avrebbe voluto dirgli molte cose in quel momento, fargli domande su cosa lo attendeva e su come avrebbe dovuto comportarsi, ma sapeva di aver esaurito il tempo a sua disposizione.

Solo una parola, sapeva di dovergliela nonostante tutto.

- Grazie. –

Sorrise.

- Buona fortuna. –

La fenice prese il volo fra le fiamme blu raggiungendo la propria postazione. Ace seguì quella strana luce con lo sguardo, concedendosi un ultimo attimo di leggerezza, un attimo in cui era soltanto un pirata, senza alcuna responsabilità.

Fu solo quando i piedi del vicecapitano si posarono a terra che si alzò camminando con passo sicuro verso la sua flotta. Una sicurezza che voleva mostrare, i suoi uomini non dovevano vedere quel torbido vortice di preoccupazioni che gli attanagliava il fiato in gola.

Chiuse gli occhi, ripetendo ad ogni passo la stessa nenia. “Sono soltanto marine.”

Quando fu di fronte agli altri sorrise, poteva farcela, doveva sentirlo e doveva crederci, per loro.

Alzò gli occhi verso l’orizzonte; le fiammelle che illuminavano biecamente le navi della marina creavano una sorta di atmosfera lugubre, nessuno si sarebbe stupito se proprio in quel momento la nebbia avesse deciso che era ora di alzarsi. Sentì un brivido gelido lungo la schiena.

Sono soltanto marine.

Eppure, in quella strana quiete che precede le tempeste, quelle parole sembravano altisonanti, troppo lontane per poterlo anche solo sfiorare. Le fiamme che  serpeggiavano fra le dita non erano che la conferma.

Il fischio del primo cannone lo riportò alla realtà, il tempo dei pensieri era finito, dovevano agire.

Una mano si sollevò verso l’alto, le dita si piegarono in un gesto secco.

L’avanzata era appena iniziata.

 

 

 

 

 

Note d’autrice:

... ehm... ciao... bella giornata vero?

Non riesco a sfangarla così vero? *sospira e si siede da brava bimba*

Ed eccoci qua alla fin fine, la mia prima Marco/Ace, non ho resistito alla tentazione di provare questi due sull’onda della passione (e così fa tanto telefilm alla beautiful;

Prossimamente sui vostri schermi Sull’onda della passione, riuscirà Ace a farsi una vita?

Traffy: No.).

Ok... sto decisamente delirando, lasciatemi perdere.

 

C’è veramente poco da dire su questo capitolo, voglio solo anticipare che in questa storia non mancherà l’angst anche se siamo partiti piuttosto tranquilli.

La storia in sé si basa su un ragionamento che ho fatto nei riguardi di Marco e del suo potere, unendoci le informazioni che sono riuscita a raccogliere sulla leggenda della fenice, beh avrete questa storia. Nei capitoli successivi poi spiegherò man mano le citazioni della leggenda che farò.

Spero davvero di non essere finita OOC, ho aver sbagliato qualcosa, essendo la prima volta che tratto questi personaggi, ho seriamente paura di aver combinato qualche disastro.

 

Bene direi che le note d’autrice si concludono qui per vostra fortuna. Ci tengo davvero a ringraziare chiunque leggerà questa storia o passerà da queste parti anche solo per sbaglio.

Grazie davvero a tutti i miei lettori e commentatori, vi voglio un sacco di bene, oso dire che continuo a scrivere solo grazie a voi, ragion per cui tutti i miei più sentiti ringraziamenti.

Kis~

Seiko

   
 
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