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Autore: Lorelei95    21/02/2011    9 recensioni
All'Ospedale Psichiatrico Giudiziario gli ospiti sono speciali, tanto violenti quanto fragili, corrotti dalle loro menti malate.
Al Manicomio Criminale nessun infermiere si può ritener sano, avendo a che fare con sociopatici, schizofrenici e disturbati.
A Konoha, tra la gente “normale”, sorge un edificio oscuro, che tiene lontani i bambini e affretta i passi dei viandanti.
Qui, quando un uomo entra, una nuova camicia di forza viene ordinata.
Ma tu, ragazza, sei sicura di essere “sana”?
Terremo una camicia anche per te...
(Seconda classificata al Contest: Wicked and....lovely, pericoloso e incantevole, indetto da "the forgotten dreamer")
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akasuna no Sasori , Sakura Haruno, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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mi chiamavano pazzo
Autore: Lorelei95
Frase scelta: Se il corpo prova esilio è nella pelle
Titolo: Mi chiamavano Pazzo
Personaggi: Sasori Akasuna, Sakura Haruno, Un po' tutti
Paring(s): SasoSaku
Genere: Drammatico, Dark
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, One-shot
Note dell'autore: A volte ti chiamano genio, complimentandosi con te per le parole che hai usato per descrivere una determinata situazione. Ma pochi sanno quanto invece la bravura sia una reazione al sostegno di amici e lettori. Per questo io ringrazio scarlett666, per avermi aiutato ad intraprendere un lavoro così arduo e faticoso, assecondandomi nonostante il mio essere assillante(e di questo chiedo scusa). E le mie amiche che leggono, con perizia, i miei infiniti scritti.
Grazie.






Mi chiamavano Pazzo

La ragazza si distese sul letto, guardando il soffitto grigio di quella soffocante stanza.
Udiva le urla agghiaccianti provocate dai sogni agitati di alcuni pazienti, oppressi da un passato che li torturava e da mostri invisibili che li strangolavano.
Provava una forte empatia per loro, vedendo forte il desiderio di vivere negli occhi stanchi ed incavati di quegli uomini e di quelle donne che non potevano più farlo, perchè dannosi per loro stessi e per gli altri, abbandonati dalla società che li aveva visti nascere e crollare.
Per questo Sakura Haruno voleva diventare una psicoterapeuta, per assistere coloro che non sapevano chiedere aiuto, che non ci riuscivano, in quanto traviati dalle loro menti che li aveva trasformati in mostri assetati di sangue.
Esisteva però un giovane ricoverato nel padiglione C che la sconvolgeva sempre, sebbene ormai non provasse più soggezione per quell'area dell'istituto riservata agli assassini pluriomicidi.
La presenza di Sasori Akasuna era irreale: seduto, nell'angolo della sua “prigione”, così amava lui definirla quando pronunciava parola, con le braccia a raccogliere le ginocchia al petto e il mento su di esse. Gli occhi erano scuri e vivi, nonostante sembrassero persi in un mondo che solo loro potevano raggiungere.
Il suo delicato volto da bambino, incorniciato dai vispi capelli rossi, sembrava impossibile da scalfire, impenetrabile e disanimato come un cuore di pietra incapace di pulsare.
Invece, talvolta, sorrideva allegro, cercando di non farsi scorgere, come se fosse geloso d'un segreto d'amore: così era quando vedeva i suoi genitori, mentre lo accompagnavano nel corso dei suoi giorni, visibili soltanto nella sua immaginazione.
Gli psichiatri e gli psicoterapeuti avrebbero voluto credergli, ma avevano il compito di fargli accettare la realtà, che ostinatamente aveva sempre rifiutato.

“I tuoi genitori sono morti, Sasori, stai mentendo a te stesso da quando eri bambino.”

Allora lui alzava la testa e li fissava smarrito, scuotendo la testa per cancellare quel pensiero orribile, mentre le labbra, leggermente socchiuse, sembravano volessero emettere un singhiozzo che non giungeva mai. Ripeteva, in una lenta litania provocata dall'ansia, che erano dei bugiardi, che si divertivano a farlo soffrire, e poi scattava in piedi, preda dell'ira, e cercava di colpire, di ferire, con le unghie e coi denti, finendo nuovamente legato con quella camicia che non avrebbe ceduto alla sua forza bruta, soffocante coi suoi mille lacci e ganci.
Dopo lo sfogo, tornava a guardarli con delusione, con una richiesta nello sguardo che, sapevano, non avrebbero mai potuto esaudire perchè non era lui la vittima, lui era la carnefice che aveva spaventato il mondo. Lui rappresentava le bassezze umane: uno squilibrato assassino, falso quando, davanti ai giudici e ai parenti delle vittime, negava i suoi disturbi mentali.
Un essere violento ma capace di grande persuasione, di un fortissimo carisma che sopprimeva il logico discorrere di Sakura, facendola pendere dalle sue labbra nonostante la ragazza sapesse che era sbagliato, riprovevole, deleterio.
La prima volta che l'aveva visto si era sentita trafiggere dai suoi occhi vuoti, così ricolmi d'un cieco rancore e di un'immensa follia, che l'avevano smossa nell'animo, costringendola a recuperare tutta la lucidità e la calma degne di una dottoressa.
Il puro terrore le si era diffuso nelle vene tuttavia non aveva ceduto, aveva aspettato che il ragazzo chinasse il capo, ormai dimentico della scintilla di curiosità che gli si era accesa in petto.
Col tempo Sakura aveva imparato a riconoscere i suoi silenzi, densi d'appassionati discorsi, o il lieve movimento del capo quando riteneva un argomento irritante od inutile.
Era estremamente posato, in ogni suo movimento, come se l'azione stessa fosse dettata ad un unico scopo preciso.
Imperturbabile quando un compagno di reparto impazziva, per nulla scalfito dai suoi collerici comportamenti o dallo scorrere di quei momenti di pura agitazione.
Momenti che lui non percepiva.
Non comprendeva la concezione del tempo che, inesorabile e fatale, dettava, coi suoi cupi rintocchi, l'effimero periodo che un uomo deve passare su questa nuda e fredda terra.
La parola “fine” non rientrava nel suo vocabolario, come anche “morte”.
Aveva la certezza che la morte non l'avrebbe scalfito, perchè non l'accettava, e così lui era uno dei pochi uomini non spaventati da essa.
Per lui esisteva solamente l'eternità, ove tutto regnava all'infinito, come anche i suoi genitori che, mancati, riconquistavano il loro spirito e tornavano a percorrere le strade di quel mondo, del quale unicamente Sasori aveva la chiave.
Era pericoloso e incantevole, impossibile per Sakura resistergli.
Era come uno scorpione, perfetto nella sua corazza esteriore, capace di difenderlo dal caldo torrido del deserto, ma mortale col suo pungiglione sempre pronto a colpire.
Lei sapeva che doveva rimanere immobile per non essere avvelenata, resistendo alla paura di essere nella stessa stanza con una tale creatura.
Sakura respirò profondamente, scossa dai brividi che quelle immagini le procuravano.
Sapeva che avrebbe dovuto parlarne con qualcuno, che non era normale quello che percepiva in presenza di Sasori, ma cosa, in quel luogo, avrebbe potuto definire “normale”?
Con una lentezza esasperante, chiuse gli occhi, rannicchiandosi su se stessa come un debole feto, e poggiando sulla scrivania la documentazione medica di quei volti che ogni giorno la osservavano, senza vederla realmente.



Sasori Akasuna= soffre di disturbo antisociale di personalità con alterazione della coscienza e selettiva perdita del contatto con la realtà di origine traumatica



Sakura correva spaventata verso il padiglione C.
Non sapeva immaginare quale fosse stata la miccia che aveva alimentato la collera di Deidara ma temeva per i suoi pazienti. Temeva per l'incolumità di Sasori.
Era stata avvertita dallo stesso direttore dell'incidente e ora sperava che le condizioni del ragazzo non fossero irrimediabili; in fondo erano tutti assassini psicolabili.
Se uno impazziva, gli altri con lui e ciò poteva determinare un'unica conseguenza: violenza gratuita.
Arrivò impaurita nella stanza di Sasori e lo trovò seduto sulla branda, con un grande livido nero a decorare l'occhio e il sangue ormai coagulatosi dal sopracciglio rotto.
Sospirò rincuorata ed allontanò gli infermieri dalla stanza: non era permesso loro alcun contatto con il malato, se non in casi estremi, come quello accaduto durante la notte.
Sakura si accucciò dinanzi al giovane e lo chiamò.
Lui concentrò lo sguardo fosco negli occhi verdi di lei, sentendosi nominare, ma poi tornò a fissare il muro.
-Sasori, ti devo pulire le ferite. Non ti farò male; mi raccomando non muoverti.-
Con cura prese il disinfettante, datogli precedentemente dagli inservienti, e cominciò a pulire il taglio sul sopracciglio, attenta a non fare cadere il liquido bruciante nell'occhio.
Dopo pochi minuti aveva già terminato l'operazione, grazie soprattutto all'immobilità totale di Sasori.
-Hai altri lividi?-
Lui non rispose e lei glielo richiese, proprio come un bambino capriccioso che non vuole rispondere alla sua mamma, solo che stavolta il suo comportamento era tutto frutto della psicosi.
Sasori allora annuì, sempre osservando la parete di fronte a sé, come custodisse i segreti di questo mondo.
Sakura notò i segni viola sulle braccia e li spalmò con cautela di pomata.
Nonostante fossero stati causati dalla furia poteva notare benissimo il pallore della sua pelle, così liscia e vellutata al tocco e così sottile e fragile nelle giunture. Eppure conosceva la potenza di Sasori, abbastanza da poter affermare che il suo intero essere era una marionetta indistruttibile, pronta a distruggere senza alcuna pietà.
-Perchè non ti sei difeso, Sasori? So che ne hai la forza...-
La ragazza lo domandò più a se stessa che a lui e quindi si stupì quando sentì la sua voce bassa e rauca.
-Sai, per me sarebbe stato inutile...Perchè proteggere qualcosa di cui voglio fare a meno?-
Sakura lo guardò scioccata, pregando che continuasse a parlare, per poter provare ancora quei piacevoli tremiti provocati solamente da LUI.
Lui l'accontentò e si avvicinò al suo viso, in modo tale da perdersi in quegli oceani d'erba mentre lei affogava nei suoi deserti di terra arida.
-Se il corpo prova esilio è nella pelle...
Il corpo non è altro che un contenitore fatto di muscoli e ossa, vuoto se al suo interno il sangue non scorre.
Il corpo è un essere vivente, costretto in determinato individuo invece che in un altro.
La pelle è la nostra prima difesa, la pelle ci difende dall'esterno e ci chiude dall'interno.
La pelle è il nostro carcerario, non essendo disposto a lasciarci andare.
Non possiamo toglierla, non possiamo disfarcene perchè sennò saremo solo un mucchio di poltiglia rossa con filamenti neri e articolazioni snodabili.
Siamo obbligati a viverci sempre e comunque.
Io sono nato prigioniero e anche tu.
Che fai? Non ti spelli viva per essere libera dalla tua prigione?
Vuoi sapere perchè sono qui? Perchè questo io l'ho compreso e l'ho accettato.
Ma quando toccherà a te non saprai come reagire, urlerai e ti divincolerai.
E poi mi verrai a riferire cosa dicono di te.
Mi chiamavano pazzo, semplicemente perchè vedevo oltre il tempo.
E anche ora non temo la fine, perchè essa non giungerà...
Quando il mio corpo diverrà vecchio e debole la mia anima sarà pronta ad alzarsi in volo e solo allora sarò un uomo libero, senza catene.
L'eternità mi attende, vuoi vederla con me?-
Sakura non seppe cosa dire.
L'unica sua certezza era la gola secca per l'agitazione e lo sconvolgimento per quel discorso.
Qualcos'altro era certo però: il sorriso di Sasori.
Appena accennato ma c'era, ed era solo per lei.
Sarebbe potuto sembrare un sorriso carico di perversione e pazzia ma Sakura ne vedeva solo la bellezza, fugace e perfetta.
E nella sua mente l'immagine veniva riprodotta mille volte e, con essa, la sua sensazione di appagamento.
Voleva riportare indietro il tempo e osservarlo meglio, poterne catturare tutte le mille sfaccettature, i mille significati nascosti e così si ripromise di farlo sorridere di nuovo, con qualsiasi suo mezzo.
Per Sasori avrebbe fatto tutto, ed era proprio ciò che Sasori desiderava.



Deidara= affetto da disturbi degli istinti con comportamenti esplosivi e/o piromani
Itachi =sofferente di schizofrenia paranoide con confabulazione* post-traumatica
Tobi= afflitto da ipomania** con disturbi dell'affettività



Sakura poggiò le mani sul lavandino, specchiandosi con agitazione.
Da un po' si chiedeva quale fosse il motivo che l'aveva portata lì, visto che ormai tutti i suoi sogni galleggiavano in un nero mare chiamato oblio.
Stentava a riconoscersi.
Con calma apparente si accarezzò la guancia, percependola soffice e puntellata di un rosso spento.
La sua carnagione stava diventando sempre più chiara, mentre i suoi capelli rosati perdevano lucentezza.
Ciò che le faceva maggior paura erano gli occhi: profondi pozzi d'acqua marina.
Aveva il timore che qualcuno, se l'avesse osservata più a lungo del dovuto, avrebbe potuto scoprire i segreti che ivi custodiva.
Segreti che, rivelati, le avrebbero impedito di fare ciò che più desiderava, decretandola non più sana.
Per questo si era fatta più schiva, rifiutando il contatto di medici e infermieri.
Avrebbe continuato quell'insulso gioco di maschere per stare accanto all'unica persona che amava: Sasori.
Perchè, ne era certa, lui contraccambiava il suo sentimento, narrandole misteri di cui era venuto a conoscenza prima di essere rinchiuso nel manicomio criminale.
E Sakura sospirava pensando a lui e ai momenti in cui si faceva sfiorare dalle sue mani immortali.
Non provava più né paura né soggezione in sua presenza, ma solo un'infinita voglia di apprendere le sue storie e le sue teorie.
Esisteva però una sinistra sensazione che l'accompagnava in ogni istante della sua giornata: l'inquietudine della sua prigionia.
La sua pelle coatta la disgustava e non riusciva più a conviverci.
Dopo quanto imparato da Sasori, sapeva di essere una semplice schiava della vita e non gustava più quelle piccole situazioni che prima l'avrebbero fatta sorridere.
Voleva di più, voleva l'eternità, ma sapeva di non essere abbastanza per quel mondo.
Solo Sasori avrebbe avuto la forza per salvarla.
Sakura quindi rise, graffiandosi il palmo con un rasoio e osservando il sangue fuggire dal suo contenitore maledetto, sapendo che il suo amore l'avrebbe condotta verso una nuova esistenza.



Nagato= soffre di disturbi d'ideazione e d'associazione, con intossicazione da stati depressivi incrementati da disturbi degli istinti con perdita dell'istinto vitale
Konan= affetta da disturbi dell'affettività con crisi isteriche causate da sindromi ossessive
Zetsu= afflitto da disturbi della coscienza con sdoppiamenti di personalità



La ragazza camminava silenziosa nell'edificio, scrutando il buio intorno a sé.
Sapeva perfettamente quali erano i corridoi sgombri di inservienti, conosceva il momento migliore per far fuggire Sasori.
Ci aveva riflettuto a lungo; Sasori era solamente suo ma non aveva alcun diritto di non far conoscere ad altra gente il suo pensiero.
La società doveva conoscere la realtà e finalmente il caos di quell'era si sarebbe ristabilito, ridando nuova luce a tutti quei reietti che semplicemente avevano scoperto il vero significato della vita, anche se in modi diversi.
Digitò i codici necessari per aprire la porta della stanza del ragazzo, sempre respirando pianissimo per captare qualsiasi rumore.
Non temeva però che la scoprissero; aveva regalato agli inservienti una bottiglia di vino, dove precedentemente aveva miscelato del valium.
Per essere la prima volta che faceva qualcosa di così pericoloso le era andata bene, ma anche l'immagine costante di Sasori nella sua testa le aveva dato coraggio.
Non era stato difficile procurarsi il medicinale necessario; era bastato diminuire le dose agli altri pazienti del settore C durante le crisi.
Effettivamente solo un pazzo avrebbe agito in questo modo, conoscendo le potenzialità distruttive di quei pazienti, ma ormai Sakura non era più la stessa.
Era il pupazzo preferito di Sasori e niente l'avrebbe fatta rinsavire.
L'assassino le aveva inculcato nella mente, con la precisione che solo un psicopatico come lui poteva avere, immagini e situazioni che non si sarebbero realizzate.
Sakura sperava di poter rimanere al suo fianco per l'eternità ma Sasori non l'avrebbe permesso.
Lui era un essere stabile e rigido ed il cambiamento portato da Sakura avrebbe minato il suo ideale equilibrio. Con gli anni, lei sarebbe invecchiata ed il tempo che lui non aveva mai percepito sarebbe divenuto palpabile perchè incessantemente presente davanti ai suoi occhi.
E ciò non sarebbe accaduto.
Sakura lo trovò sveglio ad osservarla con una strana luce nello sguardo.
Lei si chinò davanti a lui e gli prese le mani gelide, baciandole sul dorso.
-Vedrai, Sasori, non lascerò che tu marcisca qui dentro. Tu devi far conoscere al mondo ciò che hai insegnato a me, il tuo sapere non deve essere sepolto come un tesoro dimenticato, ma riportato alla luce e sotto gli occhi di tutti.-
Il giovane dai capelli rossi continuò a scrutarla senza dire niente.
-Vieni, Sasori,- riprese la ragazza -andiamocene da questo inferno, insieme.-
Sakura si alzò e lo prese per mano ma Sasori non reagì, anzi, la tirò verso di sé e l'abbracciò.
Gli occhi verdi di lei si spalancarono per la sorpresa e la gioia; non l'aveva mai fatto.
L'aveva toccata, e più di una volta, ma non l'aveva mai abbracciata in quel modo.
Il ragazzo nascose il viso nei suoi capelli rosa e sussurrò, mentre le carezzava la guancia con la mano non legata alla sua.
-Sakura, io non posso saperti incatenata nella tua prigione.
La sola idea mi uccide.
Io non posso permettere che un animo innamorato soffra in una galera di carne.
Tu meriti di più.
Voglio che tu ti libri in cielo, non costretta più in un burattino capace solo di camminare sulla terra.
Sarai libera, sarai ciò che vuoi essere.
Fallo per me.-
Sakura si aggrappò alle sue spalle forti, tentando di non piangere; nessuno aveva mai mostrato un interesse così profondo nei suoi confronti, tanto da dirle tali parole profonde e sincere.
-Se è ciò che tu vuoi, lo farò. Tu sei tutto per me. Dimmi cosa devo compiere e sarà fatto.-
Sasori, con voce sottile, le sibilò nell'orecchio:-Ucciditi.-
Sakura lo guardò impaurita e fece un passo indietro, allontanandosi da lui.
Qualcosa in lei si stava ribellando, l'istinto di sopravvivenza si stava opponendo.
-Tu vuoi che io mi uccida?-
Il ragazzo non si mosse ma confermò con voce autoritaria.
-Sì.
Te l'ho già detto una volta: se il corpo prova esilio è nella pelle.
Solo quando il corpo cessa di funzionare lo spirito ha la possibilità di fuggire.-
Lei allora respirò con fatica ma, chiusi gli occhi, rispose:-Così sia.-



Kisame=sofferente di disturbi del comportamento con reazione aggressive causa sindrome fobica da situazione
Hidan=affetto da disturbo delle percezioni con illusioni derivanti da sindromi ossessive e fanatiche
Kakuzu=soffre di disturbo del senso morale con sindromi ossessive e psicopatia post-traumatica



Sasori guardava con interesse lo spettacolo che gli si presentava su quel lettino metallico.
Il sangue aveva ormai macchiato irreparabilmente il pavimento e aveva sporcato i suoi piedi scalzi.
Pochi lembi di pelle erano ancora attaccati a quello che poche ore prima era un essere umano.
I peggiori elementi del settore C si trovavano intorno a quel corpo martoriato, ognuno deliziato dall'opera creata dal loro nuovo collega.
Kakuzu infatti aveva spellato con la meticolosità di un chirurgo la giovane ragazza, così piena di finti desideri e atroci passioni.
Nessuno di loro nove aveva provato pena per le urla atroci della bambina, perchè per loro non era altro che una sciocca che si era avvicinata troppo al fuoco ustionante.
E Sasori ora sorrideva per il suo splendido risultato: quella che prima era una stupida psicoterapeuta convinta di cambiare il mondo, ora era solo l'insieme d'insanguinati muscoli e ossa.
-Sono stato fin troppo gentile ad accontentare la sua richiesta, senza chiedere nulla di denaro. In fondo era da molto che volevo divertirmi con uno di loro e si da il caso che questa ragazzina fosse proprio fastidiosa. Allora Sasori, vuoi seguire la tua amichetta? Con la tua taglia dovrei ricavarci qualcosa; hai ucciso e indotto al suicidio molte persone.-
Il rosso sospirò.
-Sarà per un altra volta.
Ci sono ancora tante anime rinchiuse che mi attendono.
Sakura è stata solo una di esse.
Non ho ancora finito di giocare...-
Sasori poi si mise a ridere, seguito dagli altri, intorno al loro primo cadavere, il primo di una lunga serie.


*sostituzione dei ricordi reali con falsi
**autostima ipertrofica, logorroico con continue “fughe d'idee”, deficit d'attenzione, agitazione psicomotoria




Secondo classificato: Lorelei95 con “Mi chiamavano pazzo”
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Correttezza grammaticale e sintattica, ortografia: 15/15 punti
Stile, forma e lettura scorrevole: 14,5/15 punti
Originalità: 9/10 punti
Caratterizzazione dei personaggi: 9/10 punti
Utilizzo della frase: 10/10 punti
Giudizio personale: 9/10 punti
Totale: 66,5/70

Credo che l’intera storia si riassuma in una parola: delirante. L’atmosfera creata è folle, quasi da brivido. Sei stata molto originale non per il tema trattato (che di per sé non lo era se pensiamo alle graphic novel del Joker e del suo rapporto malato con la dottoressa Quinzel, sua psicoterapeuta) ma per come è stato trattato. Chi legge ha l’impressione di venire catturato in una spirale di delirio, nel folle e lucido pensiero di una mente disturbata quale Sasori è, senza possibilità di sfuggire in alcun modo. La frase è stata usata eccellentemente, meglio di così non avresti potuto fare ed il monologo di Sasori sulla “prigione della pelle” è ipnotizzante. I personaggi erano credibili, Sasori molto più coinvolgente di Sakura ovviamente ma è il suo ruolo nella storia, quindi nulla da dire. Lo stile è duro, i termini evocativi, le descrizioni oscure, come se ci stessimo davvero immergendo fra il groviglio di pensieri di una mente malata che riesce a convertire alla propria follia ogni elemento dell’ambiente. La storia è supportata da uno stile unico e da una grammatica pressoché perfetta. Adoro la fluidità della narrazione spezzata dalle patologie associate ai membri di Akatsuki, ci ho voluto vedere dentro (magari sbagliando eh) un appiglio di realtà per dare al lettore la possibilità di salvarsi, di vedere il vero volto della follia senza lasciarsi catturare da essa. Ma è inevitabile ed il finale è straziante, perfettamente in linea con tutto il resto, come se un amore malato e tragico (a senso unico ovviamente) non potesse che concludersi così. Brava.

Premio "Aforisma" per il miglior utilizzo della frase
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Premio “Dark” per l’atmosfera più cupa

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