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Autore: Lisaralin    22/02/2011    2 recensioni
Breve storia di un'immaginaria Replica Numero 3 creata da Vexen dopo Xion e Repliku. La Terza Replica è determinata a portare a termine la missione affidatale dal suo creatore, per proteggere la persona che le ha dato la vita e colui che considera come un fratello, la Replica Numero 2. Ma la realtà non è ciò che sembra, e la Replica dovrà imparare a guardare il mondo attraverso i propri occhi e a ragionare con la propria testa... anche a costo di affrontare scelte difficili.
[scritta prima di KH3D]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Riku Replica / Repliku, Vexen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH Chain of Memories
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Capitolo IV



Numero 2 e Naminé. Insieme.
Lei teneva gli occhi bassi come al solito –vigliacca!- ma lui pareva impegnarsi al massimo per tirarla su di morale. Impossibile non riconoscere quel sorriso rassicurante, lo stesso che tante volte aveva rivolto a me. Tra le dita stringeva un oggetto che non avevo mai visto, una specie di portafortuna a forma di stella. Lo teneva con cura, accarezzandolo di tanto in tanto con lo sguardo come fosse stato il più prezioso dei tesori.
Questa la scena che apparve davanti ai miei occhi quando accesi il monitor per cercare mio fratello.
Vexen diceva che noi repliche non avevamo un cuore, ma allora cos’era quel bruciore insopportabile proprio nel centro del mio petto? Come se una pianta di rovi si fosse avviluppata intorno al… a qualsiasi cosa ci fosse al posto del mio cuore.
Ma forse Vexen mentiva; aveva già mentito altre volte, ormai ne avevo le prove.
Le avevo cercate quella sera stessa, poco dopo il mio incontro con Naminé. Con infinita pazienza avevo atteso che il sonno avesse la meglio sul mio creatore, osservandolo di nascosto mentre lavorava alla scrivania, immerso nella lettura di un grosso tomo. Dopo un tempo che mi parve lunghissimo le sue palpebre si erano fatte pesanti e aveva reclinato la testa tra le pagine del libro, cadendo finalmente tra le braccia di Morfeo.
Allora, silenziosa come un’ombra della notte, mi ero impadronita dei suoi diari ed ero andata in cerca della verità. Una parte di me si aggrappava ancora disperatamente all’idea che Numero 2 stava solo fingendo, che era tutto un piano suo e di Vexen per depistare i traditori…
Bastarono poche parole vergate di fretta a mandare in frantumi tutte le mie speranze.
Numero 2 non è che un diversivo
Un diversivo. Una pedina, un pedone sacrificabile in un gioco molto più grande di lui.
Dai un senso alla tua altrimenti inutile esistenza e torna a fare ciò per cui sei stata creata.
Un oggetto, un’arma progettata per uno scopo preciso. Probabilmente destinata ad essere gettata via una volta cessata la sua utilità.
Guardai il mio creatore, ancora profondamente addormentato con la testa poggiata sulla scrivania, ignaro di tutto. Guardai lo schermo del computer, dove Numero 2 continuava a sorridere a una ragazza identica a me, eppure completamente diversa. Lo spensi, disgustata. Se avessi avuto un cuore avrei odiato Naminé, ne ero sicura.
Solo che adesso avevo bisogno di lei. Era l’unica persona che poteva far tornare Numero 2 come prima, restituirgli i suoi veri ricordi. O poteva insegnare a me come farlo.
Prima di andarmene passai nella mia piccola stanza a prendere una coperta. In punta di piedi mi avvicinai a Vexen e gliela avvolsi delicatamente attorno alle spalle.
Vexen, il mio creatore Vexen. Avrei dovuto odiare lui, non Naminé. Dominava il ghiaccio e il freddo, e di certo non aveva bisogno di una coperta per scaldarsi la notte; ma uno come lui, sempre attento ai dettagli e alle piccole cose, forse avrebbe compreso il vero significato di quel gesto.
O almeno così speravo.


Di nuovo il tredicesimo piano.
Da quel che avevo visto con il computer anche Marluxia dormiva; Larxene sarebbe dovuta restare di guardia a Naminé, ma evidentemente trovava il compito noioso e aveva preferito andare a caccia degli Heartless che vagavano nelle lande desolate intorno al Castello. Non ero riuscita a individuare Axel, ma sapevo che non si trovava nella stanza di Naminé.
Un’occasione così non sarebbe mai ricapitata.
Mi avvicinai alla porta bianca con circospezione, riflettendo sulle mosse successive. Dovevo mettere da parte qualsiasi sentimento di antipatia, reale o finto che fosse, che provavo verso la mia originale. Fingermi interessata a lei, magari farle credere di essere importante. L’altra volta aveva funzionato.
Restai per un po’ in ascolto fuori dalla porta per assicurarmi che dentro non ci fosse nessuno di indesiderato; infine presi un bel respiro -coraggio Numero 3!- e afferrai la maniglia.
“Che seccatura quando ti scappa nel cuore della notte, vero?”.
Mi voltai di scatto, verso la voce sconosciuta che proveniva dalle mie spalle. Mi guardai intorno come una ladra colta sul fatto, gli occhi spalancati per la paura. Eppure non avevo sentito nessun corridoio dell’oscurità aprirsi…
“Sei costretto ad alzarti dal letto anche se non ne hai la minima voglia…proprio fastidioso”.
Dall’ombra di una colonna emerse una figura sottile, avvolta nel cappotto dell’Organizzazione. Capelli del colore della fiamma, due tatuaggi blu sotto gli occhi che rendevano il suo volto affilato ancora più inquietante. Axel, il numero VIII dell’Organizzazione. Probabilmente alleato dei traditori. Da quanto tempo era stato lì a guardarmi?
“Però sai cos’è strano, Naminé?” si avvicinava a me con lentezza deliberata, passo dopo passo. “Che tu hai un’aria davvero troppo circospetta per una che si è semplicemente alzata per andare al bagno”.
Deglutii, mentre il mio cervello lavorava freneticamente per costruire una scusa convincente.
“Cosa stavi facendo?”
“Non riuscivo a dormire e ho pensato di fare quattro passi. E’ un crimine forse?”
Dovevo trovare un modo per allontanarlo da lì. Se avesse aperto la porta e scoperto che c’erano due Naminé…
“Wowow, ma che risposta coraggiosa! Non è da te!” esclamò, agitando le braccia in modo teatrale. Poi, inaspettatamente, mi sorrise. “Beh, complimenti. Era ora che la smettessi di interpretare la povera principessa prigioniera”.
Lo fissai senza parlare, colpita. Il suo sguardo non sembrava minaccioso o irato, anche se con un Nobody non si poteva mai dire.
“Io ti capisco, sai” disse a voce più bassa, chinandosi per avvicinare la bocca al mio orecchio. “Neanche a me sta troppo simpatico Marluxia. Ma non è ancora il momento adatto per tentare mosse azzardate”. Si raddrizzò di nuovo, tornando al tono di voce normale: “Beh, ora è tardi e i bambini dovrebbero essere a letto già da un bel po’!”. Mi prese per un braccio, una stretta gentile ma salda. “Torna dentro e fai la brava e vedrai che non dirò nulla a Marluxia”.
La sua mano libera si avvicinò alla maniglia della porta.
Se dall’altra parte Naminé aveva sentito il nostro dialogo forse avrebbe avuto la prontezza di spirito di nascondersi o andarsene…
Tutte le mie speranze erano appese a un filo sottilissimo, e questo filo era lei. Lei, la principessina piagnucolante…come minimo sarebbe rimasta lì dentro immobile, paralizzata dalla paura! E allora chi avrebbe salvato Numero 2, chi avrebbe rimesso le cose a posto? Lei, con il suo faccino triste e sconsolato, sarebbe rimasta a guardare Axel che si rendeva conto dell’inganno e mi trascinava via per consegnarmi al signore del Castello, senza muovere un dito. Lei che aveva tutto quel potere e non lo usava, che si nascondeva in un bunker quando con un solo gesto avrebbe potuto placare la furia di qualsiasi guerra, mentre io, povero soldato di fanteria che volevo soltanto difendere coloro che amavo, mi trovavo a lottare a mani nude contro schiere di nemici.
Non era giusto. Perché io non ero capace di farlo?! Cos’avevo meno di lei?
Lei non sapeva cosa voleva dire combattere per proteggere qualcuno.
Chiusi gli occhi, pensando a Numero 2. Perdonami, sono stata troppo debole. Non sono riuscita a salvarti.
Rividi il suo sorriso, affiorò come una scia di luce tra le pagine della mia memoria. Risentii le sue parole affettuose, ricordai il calore del suo abbraccio quando eravamo ancora fratello e sorella.
Lui si fidava di me. Credeva in me.
Numero 2…
“AXEL!” urlai all’improvviso, così forte che il numero VIII si immobilizzò di scatto, voltandosi verso di me con gli occhi dilatati per lo stupore.
Non potevo abbandonare Numero 2!
Improvvisamente fu come se mi trovassi in un sogno. Vedevo Axel, la sua mano stretta intorno al mio braccio, e vedevo me stessa, la bocca ancora spalancata nell’urlo, immobili come statue, come se il tempo si fosse fermato e la mia coscienza si trovasse al di sopra di tutto, unica entità in grado di muoversi e pensare.
Fui circondata da un vortice colorato, un caleidoscopio di immagini incatenate l’una con l’altra a formare una spirale infinita.
Frammenti di ricordi, disse una voce dentro di me.
Vidi un Axel molto più giovane ridere e scherzare insieme a un ragazzino con i capelli azzurri e una mezzaluna disegnata sul maglione.
Vidi Axel com’era adesso, seduto su una torre a guardare il tramonto insieme a un altro ragazzo che portava la tunica dell’Organizzazione.
Vidi queste e molte altre immagini nello spazio di un battito di ciglia. Alcune erano più nitide di altre, come quella del tramonto, che si sovrapponeva quasi con prepotenza ai ricordi più vecchi, tra cui quelli del bambino con la mezzaluna. Non seppi spiegare il perché, ma la scoperta mi fece provare una fitta di tristezza.
Alla fine della catena di ricordi c’ero anch’io. Vidi le immagini dell’incontro con Axel avvenuto solo pochi istanti prima, e capii istintivamente cosa dovevo fare.
Il potere di manipolare i ricordi. Il potere della strega Naminé.
Ruppi l’ultimo anello della catena, frammentai quei ricordi, li sparsi e mescolai tra gli altri. Distruggerli era impossibile, ma potevo nasconderli, seppellirli in mezzo ai ricordi più sbiaditi e confusi, smembrarli in pezzi talmente piccoli da essere indistinguibili. In fondo non era troppo diverso da estrarre ricordi per creare le carte.
Quando ebbi finito sorrisi a me stessa: ce l’avevo fatta. Numero 2 sarebbe stato fiero di me.
Riaprii gli occhi ed ero di nuovo dentro il mio corpo, davanti alla porta bianca. Per un attimo mi chiesi se non fosse stato tutto quanto un sogno: ma poi vidi Axel accasciato sul pavimento, privo di sensi, e capii che aveva funzionato. Ero riuscita a usare il mio potere nascosto.
Mi chinai a raccogliere la carta che era apparsa vicino al corpo di Axel. Sopra c’eravamo disegnati lui e io, l’uno di fronte all’altra davanti alla porta di Naminé. I ricordi che gli avevo nascosto.
Me la misi in tasca e corsi via prima che arrivasse qualcun altro. Entro pochi minuti Axel si sarebbe risvegliato senza ricordare nulla del nostro incontro. Non avevo toccato altro dentro la sua mente: avrebbe continuato a comportarsi in modo assolutamente normale, e nessuno si sarebbe accorto di niente.
Nel laboratorio tutto era come lo avevo lasciato, Vexen ancora immerso profondamente nel sonno. Volevo raggiungere subito il computer per cercare mio fratello, ma anch’io mi sentivo stanca, una spossatezza profonda come mai ne avevo provate prima. La testa mi pulsava e girava all’impazzata, e credo che sarei svenuta se non mi fossi gettata subito sul letto.
Ogni grande potere esige il suo prezzo da pagare; feci appena in tempo a formulare questo pensiero prima di venire inghiottita dalle tenebre di un sonno profondo e senza sogni.
 
 

La replica numero 2 è fuggita. I ricordi falsi devono averla destabilizzata, ma adesso non ho tempo per indagare sulle cause né tantomeno per cercarla. Marluxia ha approfittato della situazione per dichiarare il mio progetto un fallimento e mi ha ordinato di occuparmi personalmente di Sora.
E’ troppo presto, contavo di guadagnare più tempo… ora tutto dipende da Numero 3 e dal suo livello di apprendimento. Devo verificarlo immediatamente.
 
Vexen
 
 

Mi risvegliò una mano che mi scuoteva con insistenza la spalla; il suono di una voce concitata penetrò fin nei recessi della mia mente addormentata e mi strappò senza troppe cerimonie al morbido abbraccio del sonno. Ancora intorpidita mi misi a sedere, stropicciandomi la faccia.
La prima cosa che vidi furono due occhi smeraldo che mi fissavano corrucciati.
“Alla buon’ora!”
“Vexen…che succede?”
“Succede che non è il momento di dormire. A che punto sei con il tuo apprendimento?”
Già, naturalmente era per questo.
“So farlo” dissi alzandomi in piedi. “L’ho imparato”.
“Ottimo!” lo sguardo di Vexen si illuminò. Solo pochi giorni fa la cosa sarebbe bastata a riempirmi di orgoglio, ma troppe cose erano cambiate in quel brevissimo lasso di tempo. “Allora non c’è un minuto da perdere. Devi metterti immediatamente al lavoro sull’Eroe del Keyblade. Devi indurlo a credere che…”
“No”.
Si era messo a camminare su e giù come faceva sempre, ma quella parola, quell’unica sillaba lo immobilizzò sul posto come una statua di sale. Si voltò lentamente verso di me, incredulo, probabilmente convinto di aver sentito male. Suppongo che fra tutti gli inconvenienti e i problemi che aveva preso in considerazione quello fosse l’unico a cui non aveva assolutamente pensato.
“Mi dispiace” aggiunsi subito. Le vecchie abitudini sono dure a morire, e dovetti combattere contro me stessa per non abbassare lo sguardo di fronte alla furia che andava dipingendosi nel suo. “Ma prima devo far ritornare Numero 2 com’era”.
“Ma che stai dicendo? Numero 2 sta benissimo!”
“So tutto” dissi sbrigativa. “Ho letto i tuoi diari”.
Il freddo arrivò senza preavviso, fauci gelide che azzannarono la mia pelle e mi costrinsero a piegarmi, stringendo le braccia attorno al corpo. Vidi il mio respiro condensarsi in lievi nuvolette di vapore mentre ogni oggetto intorno a noi andava via via ricoprendosi di un sottile strato di ghiaccio.
“Stupida replica…come hai osato…!”
“Io non ho fatto altro che seguire i tuoi insegnamenti!” gridai. “Naminé mi aveva detto la verità, ma io non le credevo e così ho cercato le prove! Indagare fino in fondo, mettere tutto in discussione…non dare nulla per scontato! Tutto questo me l’hai insegnato tu!”
Fiocchi di neve e cristalli di ghiaccio vorticavano tutto intorno a me, si posavano tra i miei capelli e mi ferivano la pelle. Sentivo le dita irrigidirsi nella morsa del gelo e le portai al petto per scaldarle, ma il freddo era insopportabile, mi mozzava il respiro, e ben presto mi costrinse in ginocchio.
Anche solo continuare a parlare era uno sforzo immane, ma non potevo fermarmi per nulla al mondo.
“Mi hai insegnato anche che i problemi vanno affrontati e non evitati…mi hai insegnato che bisogna combattere per ciò a cui si tiene! Ed è quello che voglio fare! Sono quello che sono perché tu mi hai resa così! E ti sono grata per questo…e ti ho sempre ammirato, avrei fatto qualsiasi cosa per te, ma adesso…”
“Sciocchezze!”c’era amarezza nella sua voce, portata a me dalla tempesta di ghiaccio. “Non capisci che è soltanto una finzione? Tu non puoi ammirarmi e io non posso essere orgoglioso di te...fattene una ragione!”
“Ma potevi impedire che modificassero i ricordi di Numero 2. Quello potevi farlo benissimo! Perché? Perché gliel’hai lasciato fare?!”
Attraverso la cortina di cristalli di ghiaccio distinsi la sagoma di Vexen che avanzava verso di me. Ero ancora in ginocchio, tremante e ricoperta di neve. Sollevai lo sguardo per incontrare i suoi occhi, ma non riuscii a leggervi nessuna emozione. Il suo stesso viso sembrava scolpito nel ghiaccio, una maschera immobile ed inespressiva.
“Non avevo scelta” disse semplicemente, la voce priva di inflessione. “E non ce l’ho nemmeno adesso. Dovrò riprogrammarti”.
Il ghiaccio e il gelo non erano nulla di fronte al dolore che mi causarono quelle parole.
“Ti prego” sussurrai. “Non costringermi a manipolarti la memoria. Non voglio farlo, non a te”.
“Oh, ma davvero! Sono commosso” ironia tagliente come il ghiaccio. “Ma forse non sai che Naminé ha potere solo sulle persone legate a Sora”.
“E tu lo sei. Lo sei da più tempo di chiunque altro in questo Castello”.
Di nuovo quella strana sensazione da sogno: la mia coscienza fluiva fuori dal mio corpo, si librava al di sopra di tutto, osservando la scena dall’alto. Stavolta però riuscivo a controllarla meglio: vedevo me stessa in terza persona ma nello stesso tempo restavo dentro me stessa, gli occhi fissi in quelli smeraldo di Vexen. Tutto intorno a me le immagini dei suoi ricordi danzavano in un turbine di colori.
“Cosa vuoi dire?!”. La voce di Vexen sembrava arrivare da lontano adesso, così come il freddo, ridotto a una sensazione distorta e irreale; pian piano riuscii a rialzarmi, mentre osservavo i ricordi e la comprensione si faceva strada dentro di me.
“Quando eri ancora umano hai incontrato un ragazzo il cui cuore ora è parte di Sora. Hai un debito con lui, ricordi?”
Vexen mosse le labbra, incredulo, ma non riuscì a spiccicare parola.
“Lui ha salvato una persona che per te era importante. Un bambino…un tempo lo consideravi tuo figlio, anche se non lo era”.
Ce n’erano parecchi di ricordi di quel bambino: occhi del colore del cielo in primavera, un ciuffo di capelli d’argento che gli copriva parte del volto. Schivo, timido, di poche parole ma pieno di ammirazione per il brillante scienziato che gli aveva insegnato tutto, che si prendeva cura di lui come il padre che non aveva mai avuto. Lo capivo. Lo capivo fin troppo, e lo invidiavo, anche se quel bambino ormai non esisteva più.
“Ma poi entrambi avete perduto il cuore e…”
“BASTA COSI’!”
La parte di me che osservava dall’alto si accorse in tempo del proiettile di ghiaccio, e il mio corpo riuscì a scansarsi all’ultimo momento ed evitarlo.
“Sai, io speravo che tu potessi essere qualcosa di simile per me e Numero 2. Forse eravamo un gruppo un po’ strano, ma pensavo che saremmo potuti diventare una famiglia…sono stata ingenua. Ho preteso troppo da creature senza un cuore”.
“Temo proprio di sì. Di sicuro hai preteso troppo da parte mia”. Senza aggiungere altro Vexen sollevò una mano, pronto a evocare di nuovo la sua magia.
“Non farlo” lo pregai. “I ricordi sono l’unica cosa che ti resta di quel tempo. L’ultima traccia della tua umanità. Vuoi davvero perderli? Perché io non voglio farlo, ma se mi costringi non avrò scelta”.
Lentamente Vexen abbassò la mano. Conoscevo quello sguardo: rifletteva. Soppesava le possibilità, valutava ogni opzione disponibile. Si chiedeva se valesse la pena rischiare, se il prezzo che avevo stabilito per lui non era troppo alto.
“Aiutami a manipolare Sora” disse infine. “E dopo potrai fare tutto quello che vuoi per Numero 2”.
Scossi la testa, guardandolo con tristezza: “Non posso fidarmi di te. Mi dispiace. Come faccio a sapere che non cercherai di colpirmi a tradimento, di riprogrammarmi? Io non sono ai tuoi ordini…non sono come Naminé”.
“Allora questo è un ricatto!” protestò infuriato, ma malgrado la violenza delle sue parole la tempesta di ghiaccio non si rinforzò. Anzi, andava scemando. Pian piano i fiocchi di neve smisero di vorticare e si posarono a terra, scomparendo come assorbiti dal pavimento. Il ghiaccio si ritirò dai tavoli e dagli scaffali lasciando solo qualche sopradica traccia d’acqua, e nell’aria nuovamente calda non rimase che un lievissimo profumo di neve.
Il mio creatore aveva accettato la sconfitta. Non era disposto a mettere in gioco i suoi ricordi più preziosi.
Come il ghiaccio e la neve anche i ricordi di Vexen svanirono uno ad uno, e io tornai dentro me stessa, esausta e svuotata di ogni emozione.
Guardai Vexen. Teneva gli occhi bassi, ma non avrei saputo indovinare quali pensieri si agitassero dietro la sua fronte corrucciata. Mi sentivo in colpa…maledizione, era sbagliato e lui non lo meritava, ma mi sentivo in colpa!
“Se tutto andrà bene con Numero 2 forse tornerò ad aiutarti” le parole mi sfuggirono di bocca prima che potessi fermarle. “Ma solo se avrò la certezza che non ci farai del male”.
Vexen mi trafisse con un’occhiata colma di gelido orgoglio. “Risparmiami la tua finta pietà e vattene prima che io cambi idea. Sparisci dalla mia vista”.
“Io…”
“Ti ho detto di SPARIRE!”
E io lo feci. Corsi via senza più guardarlo in faccia, raggiunsi la porta del laboratorio e la sbattei dietro le mie spalle senza un secondo pensiero, senza voltarmi indietro nemmeno una volta: perché sapevo che se l’avessi fatto tutta la mia sicurezza e i miei propositi si sarebbero infranti come una bolla di sapone di fronte a due occhi verdi che non potevo fare a meno di amare.
  
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