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Autore: Luli87    22/02/2011    11 recensioni
Dopo "Un'operazione sotto copertura", ecco un nuovo caso per Beckett e Castle. Spero di non deludere nessun lettore/lettrice, anche questa volta mi baserò molto sullo stile del telefilm: poco miele, il giusto. Un assassino, omicidi e suspance. Buona lettura!
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5. UNA MATTINA DI FIAMME

La bambina guarda quei colori, così belli, così chiari, così felici.
Giallo, rosso, blu.
E quei coriandoli? Come sono belli!
È così magico lanciarli in alto! Volano e cadono lentamente a terra, ballando come in un vortice di vento.
Li lancia in alto, una, due, tre volte. E ancora, fino a quando il sacchetto che ha in mano finisce.
E cos’è quello? Un cagnolino!
Lo accarezza, come se fosse il suo.
Lo coccola e gli sorride.
“Grazie, è bellissimo!” esclama felice.
Una mano le accarezza i capelli scuri, lisci, lunghi.
Lui sembra così gentile. Il suo sorriso la mette a suo agio.
Ma ancora non sa che quella mano, gentile e delicata, sarà la mano diabolica che le toglierà il respiro.
 
Ore 21.00 Appartamento di Kate.
Dopo una cena leggera e senza battute, Castle e Beckett si sedettero sull’enorme divano grigio di Kate.
La giornata era stata a dir poco pesante. Due omicidi, due bambini, un assassino ancora in libertà e, soprattutto, ancora nessun sospettato, nessun indizio, niente.  
Solo la profonda convinzione di essere davanti a un bastardo senza scrupoli.
Kate sbuffò, tirando indietro la testa: “Sono a pezzi” disse.
“A chi lo dici. So di non esserti stato d’aiuto oggi, mi dispiace.”
Kate si ricompose: “Non preoccuparti Castle, è un caso assurdo e anche difficile da sopportare. E poi lo sappiamo entrambi, non sei un poliziotto, non devi aiutarmi per forza.”
“Sì invece. Sono uno scrittore, cerco di entrare nella mente di un serial killer, sempre. Sono io l’assassino, nei miei romanzi. Io decido, io agisco, io programmo. Ma si tratta solo di romanzi. Questo caso invece… si tratta di…”
“Bambini” dissero in coro.
Castle continuò: “Sì. Bambini. E da quando seguo i tuoi casi, mi sento un po’ poliziotto anch’io. Quindi sì, devo aiutarti.”
Kate annuì, quasi sorridendo. “E pensare che all’inizio ti ritenevo soltanto antipatico, egoista e presuntuoso… ora sei anche modesto!” riuscì a scherzare, finalmente.
“Detective, mi ferisci con queste tue confessioni.”  Rispose Castle, sorridendo.
Dopo quasi un minuto di silenzio, tornando con la mente al caso, Castle continuò: “Ascolta Kate, questo caso è terribilmente complicato, non abbiamo idee né materiale su cui lavorare. Ma tu come ti senti?”
“Come mi sento? Incapace, inadatta. C’è un assassino che soffoca bambini. Perché lo fa? L’unica ipotesi che mi gira per la testa è che sia un malato di mente.” Disse, quasi mangiando le parole dalla velocità con cui pronunciò la frase. “Ho bisogno di un caffè. Ne vuoi?”
“Preferirei un tranquillante, ma accetto il caffè. Ti serve aiuto?”
“No, ci penso io, resta comodo. Poi ti riaccompagno a casa.”
“Prenderò un taxi, non preoccuparti.”
“No, figurati. Guidare mi rilassa.”
“Allora serve una camomilla anche a te, anzi di un caffè. Kate, seriamente, come stai?”
“Un caffè andrà benissimo.” Rispose vaga Kate, scomparendo in cucina, lasciando Castle nella sua curiosità e nella sua preoccupazione.
 
Ore 3.00
Il suono del cellulare li svegliò.
Quando aprirono gli occhi, si osservarono a vicenda: capelli arruffati, occhiaie profonde. Capirono di essersi addormentati:  lui sul divano, lei sulla poltrona accanto.
“Beckett!” rispose Kate al telefono.
“Montgomery. Scusa il brusco risveglio, ma devi venire al Metropolitan Museum of Art. Il prima possibile.”
“Sì capitano. La prego, mi dica che non è quello che penso.”
“Desolato Beckett, non posso negarlo.”
Quando il capitano chiuse la chiamata, Kate aveva ancora il cellulare appoggiato all’orecchio. I suoi occhi si chiusero all’istante, increspò le labbra e scosse la testa. Gettò il telefono sul divano, violentemente. Si alzò e corse a cambiarsi.
Castle, si alzò in piedi di scatto e, senza dire nulla, raccolse il cellulare e tenne aperta la porta d’ingresso: Beckett fu pronta in meno di trenta secondi e, prima che uno dei due potesse anche solo dire “Buongiorno”, erano già in auto diretti al Museo.
 
Ore 3.40
La bambina era stata strangolata. Terza vittima, stesso metodo: stesso assassino.
Lanie però aveva notato che questa volta non era stata utilizzata una corda: i segni sul collo erano diversi, non sembravano dovuti ad una corda intrecciata ma da un filo più sottile.
Il corpo era stato adagiato sul quinto gradino dell’ingresso principale del museo ed era stato ricoperto da coriandoli e caramelle. A ritrovarlo, due agenti della sicurezza mandati proprio da Beckett il giorno prima a sorvegliare il parco.
Quando arrivò, il capitano chiamò Beckett in disparte: “Esposito e Ryan sono al distretto a controllare le denunce di scomparse di bambini. Scommetto che troveranno l’identità della bambina appena riceveranno le foto. Ci penseranno loro ad avvertire i genitori o i parenti. Beckett ascoltami, so che questo è uno dei casi più difficili con cui ti sei scontrata, ma voglio tutto il tuo impegno, è chiaro? Tre vittime e non abbiamo ancora niente tra le mani.”
“Signore, se ha delle ipotesi o dei suggerimenti, li dica subito. Perché io non so proprio come procedere. I genitori e i parenti delle altre vittime sono stati interrogati e abbiamo controllato le loro finanze, le loro attività, i colleghi, ogni cosa. Nessun sospettato, nessun indizio, nessuna prova. E con il parco come si può procedere? È impossibile chiuderlo tutto e inoltre non abbiamo centinaia di agenti a disposizione per coprire ogni metro e renderlo sicuro. Poi ci sono tutti questi lavori in corso che hanno messo fuori uso le videocamere di sorveglianza: non abbiamo informazioni, né video, né sospettati!”
“La dottoressa Parish ha già eseguito le autopsie?”
Proprio a pochi metri da loro, Lanie stava esaminando il cadavere. Si avvicinò a loro: “L’assassino non ha cambiato metodo, ma si è decisamente trasformato in artista. Avete visto come ha decorato l’ambiente intorno alla bambina? Coriandoli e caramelle.”
“L’avrà fatto per attirare la sua attenzione?” Suppose Castle, chiudendo una conversazione al telefono e avvicinandosi al gruppo: “Esposito ha trovato un riscontro con le foto che abbiamo mandato. Si chiama Holly, Holly Banks. I genitori ne hanno denunciato la scomparsa ieri sera, dopo cena. Passeggiavano per il parco e non l’hanno persa di vista. Non so come sia potuto accadere.”
“Ora del decesso?” chiese Beckett .
“Tra le 23 e le 2” rispose Lanie “Domattina avrai i risultati incrociati di tutte le autopsie, farò quello che posso.”
Beckett pensò a voce alta: “D’accordo. Abbiamo un omicida che colpisce bambini. Due femmine e un maschio. Sarah, tra le 23 e le 2, ieri notte; Tommy, tra le 10 e le 11, stamattina; Holly, tra le 23 e le 2.” Ma detto questo, alzò la voce: “ADESSO BASTA. Questo bastardo è qui in giro, lo so.”
Prese il cellulare e digitò il numero di Esposito: “Fai di nuovo un controllo incrociato di ogni informazione che riguarda le famiglie delle vittime, lavoro, amici, hobbies, ogni cosa. Voglio sapere se hanno qualcosa in comune. E controlla se questi nomi coincidono con quelli nella lista del personale che lavora nel parco. ADESSO!” Urlò, come non aveva mai gridato prima. Stanca, arrabbiata, furiosa. Voleva indizi, voleva sospettati da sbattere dietro le sbarre.
Il modo in cui aveva alzato la voce fece preoccupare seriamente il capitano: Kate Beckett era una bravissima poliziotta, non aveva alcun dubbio a riguardo, ma in primo luogo era una persona, una donna, e anche la donna più professionale si sa, ha un cuore.
“Beckett, vai a casa e dormi fino a domattina. Penso io ad interrogare i signori Banks. Vai a casa e calmati, sbollisci la rabbia.”
“CAPITANO! Non posso! Devo prendere questo bastardo, prima che…”
“Beckett, è un ordine. Ci vediamo domattina al distretto. Se ho novità sarai la prima a saperlo.”
Castle si avvicinò a Kate, che guardava impotente Lanie chiudere il sacco nero in cui era stata riposta la salma della piccola Holly. Le mise un braccio intorno alle spalle: “Andiamo Kate, hai bisogno di calmarti.”
 
Ore 4.30 Loft di Castle.
 
Kate non riusciva a fermarsi: camminava avanti e indietro, a destra e a sinistra, avvicinandosi al camino e poi allontanandosi verso la cucina, poi di nuovo avanti e indietro. Continuava a torturarsi le mani, incessantemente.
“Kate, per favore, fermati e siediti qui, andrà tutto bene, lo fermeremo.” cercò di rassicurarla Rick, appoggiando il bicchiere d’acqua sul tavolino in soggiorno.
“Fa male!” Urlò lei, “Fa male, malissimo, qui!” aggiunse, poggiando la mano destra sul proprio petto, indicando il cuore. “Non so cosa fare, non so da che parte girarmi, da dove ricominciare a cercare! Quel bastardo, quei bambini… Quei piccoli indifesi… E io… Io devo fermarlo, perché mi sta torturando non riuscire a capirci niente, mi fa male! Capisci?! Male!”
Kate sembrava proprio fuori di sé. Castle non l’aveva mai vista così disperata, nemmeno alla morte di Coonan, l’assassino della madre. Era la prima volta che non riusciva a controllarsi, a darsi un freno.
Si avvicinò ancora di più a lei, con una mano le prese la sua, che aveva ancora sul petto, e la portò sul proprio, sempre all’altezza del cuore. Con l’altra mano le cinse la schiena e la tirò verso di sé.
Kate ripeteva “Fa male” sussurrando.  Pian piano che Castle la avvicinava a sé, lei abbassava sempre più il tono di voce.
“Cosa stai facendo Rick?” gli chiese, stanca di soffrire.
“Sto cercando di farti del bene.” Le rispose, con tono affettuoso.
“Non farà più male, stringiti a me.” E così dicendo, la strinse in un abbraccio.
Una stretta dolce, calorosa, infiammante.
Passarono pochi minuti così, in piedi, davanti al camino, immobili, stretti l’uno all’altra.
Kate smise di tremare, iniziò a respirare regolarmente.
Castle capì che si era tranquillizzata e si staccò leggermente, il tanto che bastava per guardarla negli occhi.
“Kate…”
“No Rick. Non è il momento, non…”
Ma nessuno dei due riuscì a resistere alla voglia di dolcezza. Ne avevano bisogno.
Erano l'uno per l'altra una boccata d’ossigeno nel caso infernale in cui si erano ancorati.
Ci vollero pochissimi secondi perché le loro labbra si incrociarono e, quando le loro lingue iniziarono ad assaggiarsi a vicenda, Kate cercò di parlare ma riuscì solo ad emettere suoni simili a lamenti, ma di piacere.
Non riuscì a proibire a se stessa quel bacio. E non volle insistere nel provarci.
Ricambiò, con passione: aveva bisogno di calore.
Richard, dal canto suo, non voleva smettere.
 
  
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