CAPITOLO 2: My Apocalypse
La seconda ora, il vociare delle mie compagne, la lezione, tutto perse la
propria importanza subito dopo l'arrivederci dei rappresentanti d'istituto. Era
tutto molto strano. Nella mia testa, lentamente, cominciano ad ammassarsi
parecchi sentimenti ed emozioni: è una vita che non lo vedo, ma la mia idea era
di doverlo dimenticare. Dolore, rabbia, ansie, preoccupazione.
Emy continuava a fissarmi, mi lanciava delle
occhiatine per vedere le mie reazioni, stava cercando di captare che cosa avrei
detto o fatto.
Alla fine la vidi smanettare con il suo Nokia, certamente stava dicendo a Shawn di venire appena ne aveva la possibilità, magari con
la scusa del bagno o della lista delle merende giù la bar della scuola.
Guardai l'orologio: mancavano ancora ben venti minuti alla fine della
lezione di Storia e io mi sentivo soffocare.
Chiesi alla prof di andare in bagno. Dapprima mi guardò stranita, e poi
vista la mia faccia sconvolta disse qualcosa circa il fatto che ero più bianca
del solito e che se mi sentivo poco bene era il caso che andassi a prendere un
po' d'aria. Uscì velocemente dall'aula, cercando di fare meno rumore possibile.
Il corridoio era vuoto e silenzioso, a parte per il vociare proveniente
dalle classi. Avrei voluto vomitare, tirarmi fuori anche la bile se fosse stato
possibile; il senso di nausea mi inondava e la testa sembrava un martello
pneumatico... Entrai in bagno, l'aria delle finestre spalancate mi arrivò
dritta in faccia, quasi a volermi schiaffeggiare. Chiusi le finestre, tanto
nessuno doveva fumare, perciò non serviva il ricambio d’aria. I bagni erano
vuoti.
Mi sedetti a terra, mi abbracciai le ginocchia e iniziai a respirare
lentamente. Volevo a tutti i costi distrarmi, e così mi misi a leggere le
scritte delle porte dei bagni, sia quelle nuove che quelle che per me c'èrano
da sempre: "Mirco sei bellissimo by Angy", "Luca ti amo", "Viva
Ligabue!", "A.T. sei bellissimo", "Ale
e Sere per sempre", "W il 3F", e poi quella più bella, la mia
preferita da sempre, tutta dorata e corsiva "All
you need is love". Mi sono sempre chiesta quelle porte quante
ne avessero viste di ragazze come me chiuse in bagno a riflettere su chissà
quale compito andato male, chissà quale litigio con la compagna di banco e
chissà quale amore non corrisposto.
Già, tutti ciò di cui avevo bisogno in quel momento era proprio non pensare
all’amore.
"Sta succedendo tutto troppo in fretta, non ho avuto per niente modo
di prepararmi all'eventualità di poterlo rivedere, ma addirittura di riaverlo
qui a scuola fino a giugno...no, è impossibile, se è un sogno,
svegliatemi!" pensai.
Mi alzai, guardai il mio riflesso nel vetro della porta finestra del bagno.
Fissai un po' il mio volto opaco, un po' stanco forse. Poi iniziai a studiarmi
dalla testa ai piedi per capire in che stato ero: le mie CIRCA slip on coi
disegni neri di dadi, coltelli, teschi e pistole erano li ai miei piedi, e si
vedevano un po' i calzini rossi. I jeans skinny grigi
che adoravo erano lì, la maglietta dei Bring Me The Horizon pure era apposto, il giacchetta grigio a fantasie
dalmata era un po' sgualcito, ma era ok, e infine i miei capelli, quasi la mia
religione, rossi fuoco tinti e ritinti della RockandRoll
Red della Manic Panic erano
abbastanza lisci, e anche se la frangetta era un po' in disordine, perlomeno
ero abbastanza decente.
Niente eyeliner o rimmel colati. Solo un espressione
sperduta e impaurita, il viso bianco e teso, e le labbra rosse e le guance un
po' arrossate completavano il quadro della mia faccia.
Respirai. Volevo a tutti i costi ridarmi un tono, con quell'espressione
sembravo una pazza, e se qualcuno fosse entrato in bagno in quel momento
probabilmente sarebbe fuggito.
Guardai per un po' il mio braccio sinistro, deglutì, e mi obbligò a tirare
su la manica della felpa. Guardai le cicatrici ancora vivide sulle braccia: una
croce un po' più su del polso, marroncina sulla mia
pelle candida, e un po' più sotto del gomito un cuore con dentro una D.
Non resistetti, mi morsi le labbra da sola, cercando di bloccare il flusso
di ricordi. Quel cuore l'avevo fatto una volta, in secondo se non sbaglio,
quando mentre ero sulle scale con Emy sentì scendere
un mucchio di gente e riconoscendo subito la voce di Davide mi misi in ascolto
e ricordo ancora esattamente le sue parole: "Probabilmente mi bocceranno
quest'anno, anzi strano che ancora non l'hanno fatto, e mi ritroverò in chissà
che classe. Sempre se l'anno prossimo sarò ancora vivo, chi lo sa...", e
quest'ultima frase la disse mentre mi passava accanto.
Ricordo che avevo paura che lui si volesse fare del male, e se gli fosse successo
qualcosa che avrei fatto io... e quella sera, senza un perché, comparve quel
cuore, a ricordo delle sue parole. Dopotutto quando si è adolescenti,
innamorati e codardi, si fanno cose terribili a se stessi.
Ma comunque vinsi il folle morbo dell'autolesionismo, circa nove mesi fa,
questo grazie ai miei amici, alla musica e soprattutto alla forza di volontà
che ci ho messo, decidendo di crescere e di andare avanti senza più fare del
male a me stessa. In quel momento però mi sembrò di essere tornata quella di
prima, quando la mia pelle era la lavagna della mia vita, dove i dolori e le
paure prendevano vita grazie ad un paio di forbicine.
La porta del bagno si aprì: Emy entrò
silenziosamente, e mi venne incontro.
Mi abbracciò, "Hey, andrà tutto bene
Giò" dice. Iniziai a singhiozzare, le prime lacrime lasciarono il posto al
pianto dirotto tra le braccia di Emy, che mi strinse.
Mi sentivo stupida, ma che ci potevo fare? Lei non disse nulla, mi lasciò
piangere e sfogarmi, aspettando che mi calmassi. Alla fine suonò l'ora, così Emy mi risistemò il trucco alla meglio, e tornammo svelte
in classe.
Nemmeno un minuto dopo entrò Shawn, col fiatone.
Si avvicinò a noi due e presa una sedia, si sedette affianco a noi. "Em, come sta Giò?" disse, come se io non lo potessi
sentire. "Come la vedi adesso Stè..." gli
rispose.
"Ehi Giò, piccola, ehi... su, guardami!" disse. Lo guardai fisso,
o più che altro guardai il frangettone che gli
ricopriva il viso. "Tranquilla Giò, a ricreazione mentre usciamo ti
informerò di tutto quella che riesco a scoprire... ora ho lezione quindi devo
andare, ma tu non piangere eh!" disse. Si alzò, mi diede un bacio in
testa, fece una carezza a Emy e uscì. Entrò invece la
prof di biologia, che fissò Shawn per un po' finché
lui non sparì uscendo, poi poggiò le sue cose sulla cattedra e salutò tutti.
Era allegra, anche se eravamo appena tornati dalle vacanze. Aggiornò
velocemente il suo registro, e ci chiese come erano andate le vacanze, dove
eravamo stati, che regali avevamo ricevuto e altre curiosità. Lei è una di
quelle prof che si interessa agli alunni, e non si mette a fare lezione il
primo giorno di scuola, ed è veramente una brava insegnate.
Sentì vibrare da sotto al banco: Emy aveva
ricevuto un messaggio. La vidi leggere di soppiatto, poi mi passò il suo Nokia
e lessi anche io: "Il 5C è al terzo piano a destra, nell'ex stanza di
musica. Pare che (da ciò che sanno qui in classe) D. è stato promosso l'anno
scorso quindi ci dovrebbe essere anche lui. Non so altro, ma se scopro altro vi
mando un mex. Ciao <3", così le ripassai il
cellulare.
"Bene, è un piano sopra di noi" pensai. "Vado a vedere se è
presente" disse Emy.
Non feci in tempo a realizzare le sue parole che già la prof. le aveva dato
il permesso di andare in bagno. Adesso sarebbe andata in classe loro a
controllare, con qualche scusa, come facevamo insieme due anni prima.
Mi risalì di nuovo la sensazione di vomito, così respirai profondamente.
Meno di cinque minuti dopo Em rientrò in aula. La
guardai agitata, non potevo fare a meno di fremere, perché volevo sapere a
tutti i costi che cosa aveva visto.
Si sedette e subito iniziò "Pare che Shawn
abbia ragione...è in 5D" fece una pausa, scrutandomi un po', poi riprese
"Giò, senti, quando l'ho visto l'ho riconosciuto appena...magari adesso
che lo vedi non ti fa più alcun effetto, oppure..." ma io ribattei subito
"Che significa che l'hai riconosciuto appena?" domandai.
"Diciamo che era diverso dal Davide di sempre...comunque magari se lo vedi
ora non te ne frega più nulla..." disse, seria.
Mi venne da ridere. Un riso amaro, uno di quello che spuntano fuori dalla
bocca delle persone, e si stampano sulla faccia, ma sono cinici, e ti lasciano
un brutto sapore sulle labbra. Sapevo che quello che Em
diceva non aveva senso. "Sappiamo entrambe che non è così... io ci provo a
dimenticare, ma in fondo lo so che non ne ho la forza. O semplicemente non
posso...", lei ribatté "oppure non vuoi!" disse, alterata.
Sospirai "Semplicemente Em, non c'è nient'altro
che io voglia più di lui, e non servirebbe a nulla tentare di dimenticare una
cosa che non può essere lavata via. Non voglio prendere in giro ne te, ne Kiki, o Clair... lo amo ancora, lo so che è così, e c'è
poco da fare..." sospirai ancora.
Emy ritornò a guardarmi teneramente. Anche
lei lo sapeva che c'era poco da fare. Forse, anche lei come me sentiva in
qualche modo che io e lui eravamo fatti per stare insieme.
Alla fine mi disse "Già, l'amore è così. Però questo potrebbe essere
un segno! Magari è una seconda possibilità", questa frase scese giù,
dentro di me, e sentì quasi il calore che c'èra nell'idea di una seconda
chance. Ma sarebbe stato solo altro male, solo altro dolore, non riuscivo a
vederla diversamente. "Forse è inutile sperare" mi dissi.
Guardai l'ora al cellulare: le 10,58. Mancavano un po' più di 20 minuti
alla campanella della ricreazione. Sarei potuta rimanere in classe per non
vederlo, sarei potuta andare al primo piano e stare lì durante la ricreazione,
ma dovevo affrontare la verità, non nascondermi. Mica potevo fuggire tutto
l'anno, all'entrata all'uscita, alla ricreazione, sulle scale e per i corridoi.
Altri 5 mesi a fuggire? No non potevo!
guardai la mia immagine riflessa nello schermo del telefono: bianca pallida
e con un espressione truce.
Emy mi abbracciò, senza farsi vedere dalla
prof. Sentì l'odore del suo profumo alla vaniglia, lo adoravo. La strinsi forte
anche io.
Dovevo essere forte, perché era ora di svegliarsi.
Quegli ultimi 20 minuti li passarono a guardare le pagine del mio diario
personale (un quadernino pieno di foto, disegni, parole su parole circa le
lunghe giornate di questa 4a liceo, e qualche abbozzo poetico qua e là): quante
volte anche gli altri diari erano stati riempiti di piccole e colorate D. e di
cuoricini, di scritte come "Batfire" (un
soprannome che gli diede Emy in 3° per via dei suoi
tatuaggi raffiguranti ali di pipistrello, fiamme e altre cose inquietanti tipo
teschi e stelle tribali) oppure frasi di canzoni dedicate a lui.
Quando però iniziai il quarto, decisi di non accennare più a lui. La sua
classe era in succursale, lontanissima dalla centrale dove eravamo noi, le rare
assemblee d'istituto lui le ha sempre saltate, e quindi in fine dei conti non
lo avrei più visto, o almeno era quello che pensavo fino a quella mattina.
Occhio non vede, cuore non duole, insomma...ma il destino mi riservò quella
sorpresa post vacanze come un fulmine a ciel sereno.
Sentì la campanella, i miei pensieri andarono in pezzi come cocci: la
ricreazione era iniziata. Em si infilò la felpa nera,
la sciarpa e i guanti, e ci dirigemmo da Shawn. Lui
ci aspettava davanti alla porta della sua classe. "Su con la vita!"
mi disse, e sorrise. Dopotutto ero tranquilla, perché loro erano con me.
Imboccammo le scale a chiocciola, fra i branchi di ragazzini del primo, che
scendevano chiassosamente, incontrando raramente qualche prof che ci salutava.
Le scale finirono e ci trovammo al piano terra, ci dirigemmo al portone per
uscire sul cortile e arrivammo fuori.
Sentì un brivido gelato, dopotutto era solo il 10 gennaio. Il cuore martellava,
martellava forte. Sentivo ridere mentre imboccavamo lentamente la
discesa che porta tutt'ora al parco della scuola e all'entrata del bar. L'anno
scorso di solito lui e il resto dei ragazzi dell’ex 4C si sedevano sempre alla
fine della discesa, sui muretti. Deglutì, stavo per rivederlo. Non lo vedevo da
giugno, quasi 8 mesi prima, l'ultimo giorno di scuola, saputa la notizia della
succursale avevo totalmente perso le speranze, dicendo a me stessa
che ormai il tempo a mia disposizione era finito, tragicamente non ci potevo
fare proprio nulla. Girammo l'angolo, tirava un po' vento, ma
dopotutto per essere gennaio non faceva nemmeno freddissimo. O forse ero
semplicemente io che ero talmente agitata da essere diventata insensibile pure
al freddo. Guardai i muretti grigi, verso la fine della discesa: un gruppo di
4-5 ragazzi se ne stava seduto lì a chiacchierare. Mi sfiorarono prima delle voci.
Risate. Commenti. Osservai le nuvolette di vapore che si condensavano fuori
dalla mia bocca.
Qualcuno fumava. Vedevo il rosso della punta di una sigaretta brillare in
lontananza, e per un attimo mi sembrò di tornare ai tempi in cui anche io
fumavo. Tentati di mettere a fuoco i loro visi, per capire se erano davvero
quelli del 5C. Poi guardai bene, e rimasi letteralmente col fiato sospeso,
attanagliata dal freddo: un ragazzo magro, magrissimo, un po' infagottato e
coll'espressione un po' persa nel vuoto se ne stava dove il muretto faceva
angolo col muro, quasi a volersi rifugiare, seduto e in silenzio. Era lui che
fumava. Alzò gli occhi proprio verso di noi, e in un attimo mi sentì di
affondarci dentro quegli occhi neri. Di cadere in un buco nero di ricordi. Un
buco nero pece, giù, sempre più in basso, senza un appiglio, senza respiro. Si,
era lui. Ne ero certa, quelle pozze scure, atone erano gli occhi di
Davide.