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Autore: csgiovanna    25/02/2011    3 recensioni
Il dolore per la perdita della sua famiglia potrebbe davvero aver spinto Patrick Jane a compiere un folle gesto? E' questo il dilemma che Teresa Lisbon dovrà affrontare mettendo in discussione molte delle sue certezze.
Genere: Drammatico, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomi con un nuovo capitolo!! Ritroviamo i nostri tanto amati Teresa Lisbon e Patrick Jane....
Spero vi piaccia. Stavolta nessun suggerimento di soundtrack...Buona lettura!





L’appartamento di Lisbon era come lo ricordava: luminoso, semplice ed accogliente. Sorrise dolcemente ricordando la prima volta che era stato lì. Il volto impaurito di Teresa mentre si faceva ipnotizzare e la debolezza che aveva intravisto nei suoi occhi erano ancora impressi nella sua mente e nel suo cuore.
Si guardò intorno curioso cercando di conoscere qualcosa in più di lei dagli oggetti di cui si circondava. La foto dei suoi tre fratelli era ancora sul tavolino d’ingresso, ma nel frattempo Teresa ne aveva aggiunte delle altre. Jane posò lo sguardo su una bella foto di gruppo del team che avevano scattato la stessa sera in cui Lisbon aveva realizzato il suo ritratto.
L’autoscatto li aveva immortalati in una posa davvero esilarante: Rigsby e Cho portavano sulle braccia, in una specie di trono improvvisato, una divertita Van Pelt , mentre lui aveva caricato di peso Lisbon sulla sua spalla. Sorridevano entrambi, lei cercava di ribellarsi colpendolo debolmente sulla schiena.
Rabbrividì quando si accorse che Lisbon era accanto a lui e stava guardando la stessa foto, con un sorriso appena accennato sul viso.
“Ci siamo divertiti, vero Jane?” - sussurrò Teresa ricordando la serata.
“Meh...Almeno fino a quando non hai minacciato di spararmi!”- rispose Jane divertito.
“Anche se ho minacciato di sparati...” - concluse lei.
Improvvisamente, notò Jane, Teresa si incupì. Era immobile ed assorta, ora. Una lacrima le scese lungo la guancia e lei la lasciò andare. Patrick si protese verso di lei per fermarla con una carezza, senza però poterla toccare.
“Teresa - sussurrò impotente - andrà tutto bene, te lo prometto”.
Lei sospirò, prese la fotografia con mani tremanti, gettò indietro il capo nel tentativo di fermare le lacrime che ormai le rigavano le guance e, scendendo, le bagnavano la camicetta. Un debole tentativo di fermare il dolore che, una volta nella solitudine della sua casa, la stava assalendo togliendole il respiro. Si ranicchiò su sé stessa, la fotografia in grembo, le lacrime ormai senza più freno.
Come poteva proteggerla se nemmeno riusciva a sfiorarla?
La ragazza della sala interrogatori era rimasta sorpresa che nessuno gli avesse spiegato come funzionava il suo nuovo status.
“Esiste uno sportello informazioni per fantasmi principianti?” - sbottò.
Jane avrebbe voluto urlare, colpire qualcosa per sfogare la sua frustrazione e, invece, rimase immobile a fissarla sentendosi ancora una volta in colpa.
Poi pensò al percorso di rientro al CBI quella mattina e alla sensazione di estrema vicinanza che aveva provato quando Lisbon aveva intonato l’Halleluja dopo che lui l’aveva fischiettato, come se lo avesse potuto sentire.
Un modo per comunicare con lei doveva esserci e lui, Patrick Jane, l’avrebbe trovato.
Si inginocchiò accanto a Teresa e cominciò a sussurrarle frasi rassicuranti. La sua voce era profonda, lenta e tranquilla.
“Lisbon, ti senti calma e rilassata, ora. Sei in un posto sicuro, nessuno ti farà del male qui. Non devi avere paura... Pensa solo a respirare e a rilassarti...”
Erano così vicini che Patrick aveva la sensazione di poterla toccare. Poteva sentirne il profumo, il battito del cuore ed il suo respiro ancora irregolari.
“Teresa...Stai tranquilla io sono qui. Brava...pensa solo a respirare”- non potè fare a meno di sorridere, vedendo che in qualche modo Lisbon reagiva alle sue parole. Il suo respiro era più lento ora.
Lisbon si asciugò le lacrime con il dorso della mano, si alzò, sfiorò con un dito la foto prima di rimetterla a posto.
Anche Jane si era alzato, un’espressione soddisfatta sul volto.
“Ok Molly, troverò un modo più efficace di comunicare con te, ma tu promettimi che non inizierai a fare vasi di creta!”- esclamò ironico facendole l’occhiolino.
In realtà, pensò subito dopo, non gli sarebbe dispiaciuto vedere una Lisbon in versione Demi Moore con indosso solo una camicetta. Avrebbe volentieri evitato la parte della creta ma...
Scacciò quel pensiero e tutti quelli che seguivano. Troppo pericolosi anche adesso che era morto.
Teresa, come se avesse letto nella sua mente, cominciò lentamente a sbottonare la camicetta.
Patrick si bloccò, un sorriso appena accennato sul volto. Non riusciva a muovere un muscolo, continuava a fissare Lisbon e la sua mano che lentamente, bottone dopo bottone, continuava la sua danza sensuale.
“A che gioco stai giocando Lisbon?” - sussurrò, riuscendo finalmente a distogliere lo sguardo. Era imbarazzato.
Lei si fermò. La camicetta aperta sul seno nudo.
Niente reggiseno, solo la pelle nuda, registrò lui.
Teresa all’improvviso si voltò bruscamente, allontanandosi.
Jane la fissò perplesso, un’espressione indecifrabile sul volto. Lei stava camminando verso il bagno.
Patrick sollevò un sopracciglio e ridacchiò imbarazzato, quindi cominciò a camminare per la stanza irrequieto.
Sentì il rumore dell’acqua provenire dalla stanza vicina e si immaginò Teresa sotto la doccia.
Jane si tolse la giacca, slacciò il gilet e arrotolò le maniche della camicia, quindi prese possesso del divano.
Dopo alcuni minuti, che a Patrick sembrarono ore, Lisbon uscì dal bagno. Indossava la sua maglia preferita, una maxi t-shirt con la scritta Lisbon 99 sulla schiena. Jane le sorrise, era incredibilmente ed inconsapevolmente sexy.
Teresa sbadigliò, si diresse verso la cucina, prese un bicchiere, aprì il frigorigero e si versò un po’ di latte. Lui non smise di fissarla un attimo.
“Il mio regno per una tazza di tea!” - esclamò lui, quindi si alzò a sedere sul divano ed infine la seguì in camera da letto.
Teresa si distese sul letto ranicchiata su un fianco, lui era dietro di lei così vicino da sfiorarle i capelli.
“Jane? - chiamò, la voce era un poco più di un sussurro - se mi puoi sentire...io...”.
Patrick si fece ancora più vicino, con la mano le sfiorava la schiena.
“Troverò quel bastardo! Chiunque sia! Lo giuro, la pagherà!”
“Non mi fiderei di nessun altro” - rispose calmo.
Lei sospirò come se avesse sentito la sua risposta. Rimase immobile per un po’, tanto che Jane pensò si fosse addormentata. Invece, improvvisamente, si agitò.
“Jane? - chiamò - Io...Troverò Red John, te lo prometto!”
“No! Ti prego Lisbon, no” - gridò allarmato.
Patrick si sentì improvvisamente gelare. Perché con la sua morte aveva sperato che Lisbon rinunciasse al caso? Si era illuso. Ora non poteva proteggerla, non poteva impedire a Red John di farle del male. Tutti i suoi sforzi per tenerla lontana da lui, per proteggerla tenendole nascoste anche informazioni importanti, sarebbero stati vani.
“Jane? - sussurrò infine, con voce tremante - Io...io devo confessarti una cosa...ecco io..” - balbettò - Volevo dirti che... io... io... io ti a... ehm...mi mancherai Jane, ecco sì...volevo dirti questo!” - concluse agitata.
Lui rispose con un sorriso.
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“Sì Signora, certo - disse, mentre finiva di allacciare la cintura dei pantaloni. Dopo qualche minuto di silenzio chiuse la conversazione e sbuffò.
Jane la stava osservando, erano le 6 del mattino e Teresa era già in piedi pronta per un’altra giornata di lavoro. Aveva raccolto i capelli in una coda morbida e, per nascondere i segni del pianto, aveva messo dell’ombretto sugli occhi.
“La prima telefonata di una lunga, lunga giornata” - sospirò continuando a vestirsi. Indossava un paio di pantaloni neri, una camicia bianca e una giacca scura.
Jane la fissò. Lisbon non aveva dormito molto quella notte. Lui aveva cercato di calmarla come poteva ma senza riuscire ad evitarle un sonno inquieto. Sperava di riuscire a capire come comunicare con lei al più presto per aiutarla a superare questo momento.
“Frigo vuoto, Lisbon?” - esclamò poi osservando la sua espressione delusa mentre usciva dal cucinino.
Teresa sbuffò, quindi si fermò a fissare il cestino di dolcetti che le aveva mandato il senatore Robertson. Fissò la carta cangiante, la bella ciocca rossa e il logo dello Yum Yum Shop, il suo negozio preferito.
“Devo ancora ringraziarlo” - disse ad alta voce, mentre rigirava tra le mani il bigliettino.
Patrick si strinse nelle spalle - “Beh Lisbon, non mi preoccuperei, fossi in te - sul viso la sua consueta espressione ironica - Non erano poi un granché!” - continuò sollevando un sopracciglio e ricordando come era riuscito ad aprire la confezione, prendere un dolcetto e poi richiuderla senza che lei se ne accorgesse... quella sera.
“Se hai intenzione di corteggiare una donna...regola numero uno: non regalare cioccolatini dozzinali. E poi...odio le mandorle...” - esclamò e subito dopo si bloccò.
Ricordò improvvisamente tutto. Quella sera, prima che Teresa uscisse dal CBI, era entrato nel suo ufficio e, approfittando della sua momentanea assenza, aveva letto il biglietto, quindi aveva preso di nascosto un dolcetto. Si era sentito furbo allora, dannatamente furbo.
Deglutì a vuoto. Sentì una sensazione di gelo allo stomaco.
Ricordò tutto: la sensazione di oppressione al petto, l’aria che non arrivava ai polmoni, il dolore.
E poi il volto di Teresa, i suoi occhi spaventati.
E poi... più nulla.
Ecco perché aveva la sensazione che tutta questa storia non avesse senso. Che qualcosa gli stesse sfuggendo. Non era lui l’obiettivo, era semplicemente un effetto collaterale. Stavano cercando l’assassino sbagliato.
Si voltò a guardare Lisbon e si bloccò. Stava cercando di togliere il nastro.
“Teresa, no!” - urlò, cercando inutilmente di fermarla.
“Ne prenderò uno solo!”- si giustificò, stringendosi nelle spalle.
Jane rimase immobile, tutto si muoveva a rallentatore ora nella sua mente.
Vedeva cosa sarebbe successo.
Vedeva Teresa aprire la confezione, prendere un cioccolatino e morderlo...
E sapeva cosa le sarebbe successo.
La sensazione di oppressione al petto, l’aria che non arriva ai polmoni, il dolore.
“No, no, no!” - urlò, con quanto fiato aveva in gola.
Sarebbe morto centinaia di volte se avesse potuto fermala.
Lo squillo del cellulare lo fece sobbalzare.
“Lisbon - rispose, abbandonando il cestino dei dolci ancora intatto - Ok, arrivo!” - chiuse la conversazione, quindi prese la sua borsa.
“Sarà per un’altra volta!” - disse delusa.
Jane si appoggiò al muro e sospirò sollevato.
“Teresa è in pericolo” - sussurrò - Devo fare qualcosa!”.
   
 
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