Anime & Manga > X delle Clamp
Ricorda la storia  |      
Autore: Shu    09/01/2006    3 recensioni
"Perché... tu e lui vi..."
"Perché ci somigliamo tanto, vuoi dire? Perché sei tu... che lo desideri."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Arashi Kishu, Fuuma Monou, Kamui Shiro, Karen Kasumi, Nataku, Satsuki Yatoji, Seishiro Sakurazuka, Subaru Sumeragi, Yuzuriha Nekoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



 

Signore! Signore!”

Le palpebre tremarono per un istante, poi le ciglia si schiusero e uno scorcio di castano scuro tornò a mostrarsi, svegliato dal richiamo di quella vocetta acuta.

Guardi che se dorme qui, si prenderà un’insolazione!”

Con una certa, pigra fatica mise a fuoco il viso rotondo, curioso della bambina, ripescando la realtà dietro a veli laceri e piogge di piume, centomila foglie che cadevano senza un autunno, gli ultimi brandelli del sogno in cui si era introdotto. La bambina. I suoi capelli chiari, le trecce accuratamente pettinate da una mano adulta. I colori sgargianti, abbaglianti dei suoi vestiti, del suo pupazzo, i rumori, il sole. Un attimo prima, era nel mondo piano, frammentato, senza odore e respiro del sogno; e adesso, si ritrovava a sorridere il suo sorriso vuoto ad una ragazzina. Un pezzo della realtà, del mondo normale, di quelli che non sapevano niente di profezie e battaglie, ma ne avrebbero fatto le spese. Pedine avvolte nell’ignoranza, ostacoli facili da abbattere sui quali non valeva neanche la pena di posare lo sguardo. Tutti insieme, una massa inutile.

Ma quella bambina non era la massa, era solo un frammento, un frammento di vita troppo giovane per vedere altro che un normale ragazzo alto e robusto in lui. Una vita al mondo da così poco tempo da essere ancora vicina al confine del nulla, dell’inesistenza, ancora informe, in potenza, non stupidamente tronfia della sua identità, delle passioni che gli uomini portano orgogliosi sempre in cima al pensiero.

La cosa gli piacque.

Niente desideri, se non vaghi, primordiali istinti, una mente ancora libera dalla consapevolezza, dall’esistenza della morte. Si era appena svegliato, eppure in quella bambina gli parve di poter tornare a dormire.

Un sonno senza sogni, questa volta.

 

-----

 

Le lunghe mani eleganti avvolgono in un drappo bianco, senza troppa fretta, la spada. Il metallo è freddo e pesa, le dita unte e scivolose di sangue tingono di nero la stoffa, ma il giovane non sembra curarsene. Come non sembra curarsi della figura che si contorce negli spasmi ai suoi piedi, pare nemmeno udire le disperate grida di dolore di un uomo che muore. L’unica cosa che gli hanno detto di fare è portare via quella spada: dunque, l’unica cosa di cui deve preoccuparsi è avvolgerla nel drappo con cura.

Papà?”

Fuori dalla cella del tempio risuona una voce, venata d’angoscia. Sta arrivando qualcuno. Nessuno stupore, i sopraccigli del giovane restano immobili, i suoi occhi non vacillano: la sua mente artificiale –o forse il suo atavico istinto umano- semplicemente sanno che è il momento di dileguarsi.

Papà?!”

Il suo cervello conosce la parola, il suo significato –ha dentro un vasto vocabolario, ordinato, che conosce alla perfezione.

Lui forse non può provare sentimenti. Ma la curiosità non è un sentimento. Il giovane si gira a cercare la fonte di quella voce ansiosa.

E i suoi occhi non vedono il ragazzo smarrito, ansimante che corre per la casa, nella luce confusa delle fiaccole rituali. I suoi occhi si fissano solo sul fermo immagine di quel volto, che improvvisamente, lentamente si indurisce, si fa più adulto, i capelli più corti, lenti di occhiali sottili e in trasparenza gli occhi disperati di un uomo…

Kazuki…

Un grande, grande vetro, qualcosa che tira le braccia sempre più deboli… poi un prato, i fiori, correre, il cuore batte un po’ forte, ma non importa… e poi di nuovo il vetro, dietro, una donna prostrata, distrutta, che grida senza sosta, ma non si sente il suono, e ancora gli occhi dell’uomo, in cui sembra affogare tutto il dolore del mondo.

Non finirà così… Kazuki…

Pa… Papà…”

Non se ne rende conto, ma le sue labbra pronunciano la stessa parola che l’ha fatto voltare, che ripeteva il ragazzo dai capelli neri…

il ragazzo che, giorni e giorni dopo, accarezza la sua testa reclina e chiede “Perché?”

Perché somigli… a mio padre.”

 

 

La mente non si stanca. La sua mente non è mai stanca di scivolare senza peso nel labirinto di cavi che connettono i più remoti angoli del mondo, nello spazio privo di dimensioni in cui scorrono incessanti e indifferenziati i messaggi del presidente degli Stati Uniti come la partita giocata in rete da un ragazzino giapponese, le quotazioni di borsa come le ultime parole lasciate al mondo da un suicida. La sua mente non si stanca ad estrarre, con una sensazione di immobile trionfo, tutto quello che le serve da quel mare di zero e di uno che solo a lei possono parlare; ma il suo corpo lontano forse desidera riposare, forse le sue dita si sono intorpidite sulla tastiera. L’occhio scivola su un angolo del visore, dove brillano, squadrate e taglienti, le cifre 17:00.

Ora del tè.

La giovane donna disconnette il pensiero e lo lascia lentamente ritrarsi, simile a un’onda tiepida, dentro al suo corpo. E’ da un po’ che hanno preso questa curiosa abitudine occidentale, loro due… Sorride appena mentre lo schermo del visore si spegne in un minuscolo lampo bianco e l’elettricità comincia a sciogliersi nelle sue vene man mano che i connettori si staccano dalla pelle. Una carezza al suo fedele compagno fatto di diodi e circuiti, poi può sollevarsi dal volto il visore, e chiudere, per un istante, gli occhi.

Ora del tè!”

Quella voce…

Quella voce profonda e armoniosa, l’accento di imperturbabile sorriso che vi vibra sul fondo…

La ragazza apre di scatto gli occhi, troppo, troppo velocemente, il battito del cuore già sulle labbra… e appare la visione che le era già comparsa nel buio caldo dietro le palpebre al solo sentire quella voce… un completo scuro elegante, dal taglio vagamente militare, il nodo di seta della cravatta e uno scintillio di metallo da qualche parte… una mano distrattamente nella tasca, capelli sugli occhi, e quelle labbra increspate di un sorriso leggero e sensuale… Tutto così limpido e preciso nella mente, ma stranamente fuori fuoco alla vista…

Si solleva una ciocca sudata dalla fronte, e finalmente infila gli occhiali.

Capelli neri, non color del sole, occhi scuri, non dorati, occhi di ragazzo, e non di uomo la guardano dal portellone della sala gelata. Una delle telecamere del supercomputer, una di quelle che monitorano l’intero Palazzo, inquadra quel volto, quel sorriso indifferente.

Di là ti stanno aspettando.”

Accanto al volto impresso nei pixel e nei cristalli liquidi dello schermo compare la scritta KAMUI, seguita da una pioggia di cifre che ne registrano infallibilmente età, altezza, peso, data di nascita, gruppo sanguigno… Dati inequivocabili, inconfondibili, chiari come la differenza tra zero e uno, tra nulla e tutto.

Non ha mai desiderato tanto di essere un computer.

 

 

L’estate sta volgendo rapidamente all’autunno; e adesso che è notte, la gonna cortissima e la giacca di pelle nera possono fare ben poco per difenderla dal freddo. Anche se ha il sospetto che, ora, nemmeno avvolta in una pelliccia riuscirebbe a scaldarsi. La sua pelle è sempre gelata, il suo viso perfetto sembra cesellato nel glaciale candore della porcellana. Ma non le interessa. Si gira appena per specchiarsi nelle finestre del grattacielo adiacente a quello sul cui tetto sta seduta, e corregge col dito una minuscola sbavatura nel tocco di rossetto scuro. Non che abbia qualche importanza. Sì, ha un appuntamento; ma mille miglia lontano da un appuntamento d’amore, neanche sa chi ci sarà ad aspettarla.

Il suo brevissimo scorcio d’estate si è già volto, inesorabile, all’autunno.

Si alza in piedi, i lunghi, lucidissimi capelli neri, dal taglio non più molto ordinato, ondeggiano nel vento forte; la sua esile figura si riflette nelle finestre a specchio e, per un attimo, la giovane donna prova un senso come di straniamento a vedersi fasciata in quei vestiti stretti, provocanti.

Scuote la testa e decide che è ora di andare.

Conosce perfettamente la geografia della città, anche se non sa dove e quando l’abbia imparata. Comunque sia, sono inequivocabilmente quelle del Palazzo del Governo le torri che si stagliano contro il cielo nero.

Dentro, tutto è buio, nessuno la ferma, tutto è vuoto, come la sua mente. Il rumore secco e lento dei suoi tacchi riecheggia nel lungo corridoio scarsamente illuminato, fino a fermarsi di fronte ad un’immensa porta nera. La schiude. Una debole lama di luce piove all’interno mentre lei si avvicina all’imponente trono al centro della sala buia. E sprofondato nel seggio c’è qualcuno.

Il giovane uomo dorme, i capelli scuri e disordinati si sollevano a stento sulle ciglia al ritmo del respiro. La camicia bianca è appena sbottonata sul petto, la cravatta allentata, la stoffa si tende sui muscoli e sulle braccia vigorose. Le spalle larghe, una mano robusta abbandonata di lato, fasciata di bende, l’incavo del collo… un viso addormentato… Poi gli occhi castani si aprono, ed è la vertigine.

Ehi… mi hai quasi fatto spaventare!” Il ragazzo ride. Ride, ride, ride… il suono di una risata che lei ha udito mille volte, frammenti sconnessi di alberi, profumo di dolci nel forno, finestre spalancate al mattino, occhi scherzosi e una carezza sul suo viso… lei crolla a terra, le mani serrate sulle orecchie per non sentire, per non sentire la voce di quell’infinita risata, per fermare la pioggia confusa di ricordi di cose che non sa, per cercare disperatamente quel nome –quale nome?- che più chiama, più scivola giù nel baratro vuoto della sua mente.

Qualcosa non va…bellezza?”

Il calore di dita forti, piacevolmente possessive, le solleva il mento. E nel fuoco indistinto delle labbra che si chiudono sulle sue, lei non riesce a capire la cosa più semplice.

Che in quella stanza manca qualcosa.

Che in quella risata manca il sole.

 

 

Forse è il dolore che le morde feroce la gamba, oppure le lacrime che sciolgono il mondo intorno a lei in un fiume sfuocato di contorni liquefatti. O forse è colpa delle ferite, della rabbia rossa e impotente che le offusca le percezioni, la fa sentire come ebbra. Forse è colpa di tutto, o di niente, ma la ragazzina non riesce a vedere altro che un sorriso davanti agli occhi. Eppure sa che quello che ha di fronte è chi tra qualche minuto la ucciderà, che quel sorriso non è che lo sprezzante sogghigno del piacere della distruzione… sa che quello è il giovane uomo contro cui è andata a sbattere, per caso, nella folla, una sera di primavera, quando la sua razionalità capiva, lucidamente capiva che quel bel ragazzo non poteva neanche lontanamente somigliare a…

Ma adesso esiste soltanto quel dolcissimo sorriso, il richiamo, il dolceamaro sapore di qualcosa di così vicino, ma allo stesso tempo così lontano, irraggiungibile… La ragazzina tenta, con tutte le sue forze tenta di dividere i due piani, di sollevare la visione, ma i due volti, quello dell’amore e quello dell’odio, tornano inevitabilmente a coincidere. Perché la verità è che è solo uno il sorriso che in quel momento desidera disperatamente vedere; e nel suo desiderio non può che annegare, annegare nel buio terribile e stanco di un’arrendevolezza senza fine.

E poi lo scatto secco, il rumore di un quadro che si spezza. Il ragazzo, lo sconosciuto, il capo dei Draghi della Terra afferra il braccio di Kamui, con quello stesso sorriso glielo torce dietro la schiena fino a strappargli un grido di dolore.

No…

No… Lui non ha mai usato le sue braccia salde, le sue mani grandi e forti per fare del male… La ragazzina rivede nitide e vicine le dita di lui intrecciate col fragile stelo di un fiore, un fiore bianco che le aveva portato una volta, la sua mano gentile che scivola ad accarezzare la corteccia ruvida e viva di un albero, la sua stretta sicura e il tocco leggerissimo che le asciuga le lacrime…

No.

Adesso può cominciare a rialzarsi in piedi.

 

 

Ancora una volta, è costretto a respirare l’odore della distruzione, quell’odore fatto di violenza, cemento che si sgretola, del sentore ferroso e di quello spento della polvere, e già l’odore del sangue. Quante volte l’ha avvertito nell’aria? Ma questa è la sua volta. Lo sa, l’ha capito da quando gli è apparso davanti lo spietato splendore di quel sorriso, quell’immagine che non riesce a cancellare dagli occhi.

La realtà gli sta davanti, in tutta la precisione della sagoma del grattacielo prossimo a collassare, nel sapore acre del fumo in bocca, tagliente come il bordo delle sue pergamene incantate, nei tratti implacabili del comandante dei nemici. Ma gli occhi preferiscono rifugiarsi in tratti altrettanto crudeli, nella cascata sfumata di fiori di ciliegio, nel loro profumo d’illusione, stordente e carnale, nelle sbarre della sua prigione.

Lottare non serve a niente, se non riesce a vedere il volto del suo nemico.

Chissà se a lui capita mai? Ma no, forse un solo occhio non può confondere il mondo, non può permettersi di sbagliare.

Come vorrebbe non poter più sbagliare.

E invece le dita intrecciate nella loro complessa postura tremano, antiche sillabe si confondono sulle sue labbra che inciampano, perdono il filo, ricominciano da capo, il pensiero occupato da quell’ossessiva allucinazione…

Guarda che se non ti concentri perdi la barriera… mio caro Subaru.”

Mio caro Subaru…

E’ finita. Tutto affoga nel sangue, nel dolore, nell’ubriachezza di non capire. La mano affonda con ferocia nei suoi capelli, e tutto è finito.

Pe-perché… tu e Sei…shiro vi…”

Perché sei tu… che lo desideri.”

L’improvvisa, violenta luce della comprensione… e poi, il buio.

 

 

Gli altri che ha incontrato non erano così. Si è già imbattuta in tante occasioni nei suoi nemici. La prima volta, quegli uomini in completo scuro, simulacri di vita, dietro gli occhiali neri nessuno sguardo e nessuna mente, solo un ordine a cui obbedire. Poi, la bellezza sofisticata di un giovane uomo, il gioco sottile e disincantato del suo pensiero, i suoi modi eleganti a contrasto con la smisurata potenza che aveva scatenato come se combattere fosse un passatempo, un gioco con in palio l’effimera unicità della vita. E infine quegli occhi di bambino che che fino a poco fa le stavano accanto, quella mente così teneramente semplice da capire, la tristezza senza fine di chi non sa neanche di possederla. Tutti diversi, ma in tutti aveva potuto leggere, intuire la natura di un’anima dietro a tratti così differenti, dissimili colori di capelli, iridi e vestiti.

Ma lui…

Lui non è diverso né uguale.

Ricorda di aver visto una sua foto in mano a Kamui, che l’aveva presa da quella casa ormai vuota. Ricorda il viso chiaro e onesto, il sorriso appena accennato di affetto accanto ai capelli biondi e ai tratti purissimi della sorella. Gli stessi occhi, la stessa riservata dolcezza nello sguardo, la stessa uniforme del primo giorno di scuola superiore.

Ma adesso… sì, quei capelli, il colore di quelle iridi, la corporatura giovane e solida… ma è come se fosse rimasto solo un involucro, un guanto svuotato di ogni traccia d’identità. Il volto fluttua indistinto, inafferrabile ai suoi occhi, tra morbidezza e violenza, incerto, sfuocato.

Improvviso sale alla mente della donna un ricordo, un frammento del suo viaggio in Europa… un affresco irrimediabilmente danneggiato, arte sacra, il tepore dell’aria in Italia, un Cenacolo e l’inglese un po’ viziato di una guida…

“…si dice che Leonardo abbia rappresentato gli Apostoli con le fattezze, con volti veri delle persone che incontrava, ma che abbia lasciato incompiuto il viso di Cristo, perché non era possibile trovare nel mondo le sembianze di un essere umano e divino allo stesso tempo, perché somigliasse a tutti e a nessuno.”

Uno e nessuno.

Nessuno… e quell’uno, quegli occhiali, quei capelli che dovevano essere così soffici al tatto, quel corpo solido e rassicurante, l’infinita, pacata dolcezza di un sorriso…

Perché?

Perché lui… è la persona più importante per te.

Ne hai anche tu, no? …di grandi desideri. Desideri così intensi, da far passare in secondo piano… il fatto che a causa di essi qualcuno potrebbe soffrire.

allora perché si perde di vista…la cosa più importante?

quegli occhiali, quei capelli che dovevano essere così soffici al tatto, quel corpo solido e rassicurante, l’infinita, pacata dolcezza di un sorriso…

un sorriso che non ha il diritto di possedere.

Ed è giusto così.

 

-----

 

Non sapeva se fosse ancora notte, o già mattina, perché le persiane della sua camera erano sempre chiuse. Non sapeva che giorno fosse, se ancora fuori dalla sua finestra abitasse la primavera, l’odore dei fiori, e la timida presenza di una ragazza che lo aspettava per andare a scuola. Forse invece era già inverno, e già si disegnava, in quel cielo che non poteva vedere, l’alba del giorno finale, ma non lo sapeva, no, era troppo stanco per sapere, per capire, per permettere l’ingresso a un ennesimo sogno d’indovino.

Si voltò nel suo letto, allentando di nuovo la benda che aveva sul braccio per vedere se la ferita si fosse richiusa. La mente ottenebrata, gli occhi socchiusi, non sapeva nemmeno quante altre volte fosse stato ferito, o se quella fosse la prima, quanti dei suoi compagni dormissero ancora nelle stanze accanto alla sua, o se se ne fossero già andati tutti, lasciandolo solo alla sua ultima battaglia.

In quell’ora confusa della notte –o del giorno?- i volti dei Sette Sigilli gli apparivano tutti con chiarezza, sfumata ma concreta. Non c’era differenza se fossero ancora vivi, nel respiro regolare del sonno, o solo ricordi: esistevano, ugualmente esistevano, nella sua mente o sulla terra non importava, sapeva che esistevano ed era una sicurezza che nessuno gli avrebbe mai potuto strappare.

Neanche con la lama di cento spade.

Neanche con la lama della Spada del destino che aveva aperto nel suo braccio quella ferita ancora stillante, che adesso cercava di nascondere di nuovo nella benda come se non guardandola si sarebbe rimarginata più in fretta.

La spada, il dolore, Fuuma.

Fuuma!”

Continui a non voler capire… Io sono Kamui!”

Eppure, nella sua mente non riusciva a smettere di chiamarlo Fuuma. Perché quei capelli un po’ scompigliati, le larghe spalle, il gesto di scostarsi la frangia dalla fronte, tutte quelle cose erano Fuuma. Pensava al colore delle iridi, al timbro fondo della voce, e pensava Fuuma, gli occhi, gli stessi di Kotori, gli stessi di quando era bambino, ad ogni battito di ciglia dicevano Fuuma, sussurravano, ostinati, ripetevano Fuuma, Fuuma, Fuuma.

Continui a non voler capire…

Sì, era proprio così. Non voleva capire.

Non sapeva se fosse giorno o notte, se fosse desto o stesse errando nel vago paese del dormiveglia, non sapeva se quella di non voler capire fosse la sua ultima debolezza, o la sua ultima forza.

Forse era perché si ostinava ad aggrapparsi ai tratti di quel viso, a voler vedere Fuuma, forse era per quello che non avrebbe mai potuto vincere. Non avrebbe mai saputo combattere, mai saputo desiderare di colpire il suo amico d’infanzia per ucciderlo. Forse quella di avere l’aspetto di Fuuma era semplicemente un’altra delle armi, la più efficace, del suo Nemico.

Forse non avrebbe vinto mai.

Ma la sua mente non poteva abbandonare quell’ultima, tormentosa certezza: che quelle fattezze, quel volto, quella voce appartenevano a Fuuma Mono. Erano Fuuma Mono.

Anche se lui stesso non lo sapeva più, non per questo cessava di essere Fuuma. Non era un'ingannevole, fumosa somiglianza, non un desiderio, non un miraggio della sua mente: sapeva, sapeva per certo che quello era Fuuma Mono.

Poteva essere il suo errore, il suo punto debole.

Poteva essere la sua ultima speranza, l’ultima speranza del mondo.

E, per un attimo, quella sicurezza lo spazzò di una luce chiarissima. Non esistevano più le domande, gli infiniti giorni di dubbio, non aveva più importanza se fosse sveglio o dentro il suo sonno, se avesse una debolezza o una speranza.

Aveva una certezza.

Un cielo limpido sgombro di nubi, un sole perfetto allo zenith, un mondo dove nessuno poteva morire.

Tutto, solo un istante, forse.

L’istante in cui aveva toccato quella piccolissima, indispensabile rivelazione.

Sorrise.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Note…

Inizialmente avevo disposto in maniera diversa, in ordine cronologico le varie scene; poi ho deciso di accostarle in una specie di percorso dall’incoscienza alla comprensione del perché della strana somiglianza del Kamui dei Sette Angeli con persone così diverse. E la prima e l’ultima sezione sono separate dal resto: la bambina del num.14 di X e Kamui sono, seppure per motivi diversi, gli unici che vedono la verità, che vedono “Fuuma”.

Questo motivo della rassomiglianza è per me una delle idee più geniali e affascinanti di X, e in questo percorso l’ho ricollegata con l’accenno della necessità di rinunciare ai propri desideri che compare in tutto il numero 18 del manga.

Credo si capisca, comunque i personaggi che appaiono sono, nell’ordine, Nataku, Satsuki (episodio inventato^^), Arashi (ho provato ad immaginare una Arashi che si unisce ai Draghi della Terra), Yuzuriha, Subaru e Karen. Quale scena vi è piaciuta di più, se ve n’è piaciuta qualcuna? E come la pensate riguardo ai temi che ho trattato, avete critiche? Sono una gran curiosona, ormai lo sapete!^__^

E’ per me doveroso ringraziare davvero, con tutto il cuore Harriet, che con i suoi incoraggiamenti, le sue riflessioni e il tempo che mi ha dedicato, mi ha dato la spinta per finire questo racconto, che se ne stava, completo al 99%, nei meandri del mio hard disk da quasi otto mesi… Ma non prendetevela troppo con lei, siate clementi!!

Ultima cosa... L’aneddoto sul Cenacolo di Leonardo da Vinci è tratto dalle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori del Vasari; che ci volete fare, mi è venuto così!]



 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > X delle Clamp / Vai alla pagina dell'autore: Shu