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Autore: Persuasione    26/02/2011    11 recensioni
Come comportarsi quando ciò che cerchi è custodito proprio nelle mani di chi non vorresti mai? Questa storia inizia con una fotografia scattata nel momento sbagliato, nel posto sbagliato.
E forse non avrà mai fine.
Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Capitolo 3.
CAPITOLO TRE

«Signor Harvard, capisco perfettamente ciò che intende;  la sua esclusiva preferenza verso il mio operato mi lusinga, ma...  certo che tengo a quest'incarico! Ho solo bisogno di più tempo. Forks non è una città così grande; a quanto pare sembra che nell'ultimo periodo la gente abbia la mania di voler fotografare a tutti i costi quei pochi uccelli che circolano dietro le nuvole... ma-» Ancora un'interruzione. Il signor Harvard aveva una sofisticata tecnica di persuasione: non ti consentiva di portare a termine nemmeno una frase. Ciò significava che a metà conversazione (anche prima se al mattino avevi lasciato il letto con un doloroso cerchio alla testa) ti aveva già costretta ad accontentare ogni sua richiesta. Mi portai l'indice alla tempia destra e esercitai una lieve pressione nel vano tentativo di allontanare il suo continuo ciarlare. Quando arrivò uno spiffero d'aria, sollevai gli occhi dalle scartoffie ammucchiate senza ordina sulla scrivania ed incrociai quelli blu cobalto di Mike. Con l'indice della mano libera gli feci cenno di attendere. «Certo, signor Harvard: è naturale che tengo moltissimo alla sua mostra di quadri.» Finsi di mettermi un dito in gola nauseata, simulando l'atto di rigettare di fronte al mio stesso tono d'adulazione. Finto tono d'adulazione, poiché l'arte del signor Harvard poteva definirsi una brutta copia di Picasso.  «D'accordo. Domani alle diciotto sar... alle dieci. Alle dieci sarò da lei, pronta a scattare ogni tipo di fotografia mi chiederà. Magnifico. A domani. A domani.» Diedi un taglio alla conversazione senza permettergli di aggiungere altro. La cornetta del telefono sembrava rovente da quanto avevo cercato di scappare alle richieste del signor Harvard. Inoltre, chissà per quale arcano motivo, le sue telefonate venivano deviate tutte nel mio ufficio.
Colleghe serpenti.
Trascinai entrambi i palmi sul viso, percependo tutta la tensione della stanchezza. Quella settimana sembrava essere esploso il boom della fotografia a Forks: avevo ricevuto almeno tre incarichi diversi suddivisi tra Seattle, Alaska e Portland. Jacob non aveva perso tempo a pubblicizzare la sua migliore fotografa, ma in quel modo sarei arrivata a fine settimana così stremata che avrebbero dovuto ingaggiare una gru per riportarmi a letto. Neanche a dire: domani mi do per malata. Perché anche in quel caso il telefono squillava continuamente. Anzi, forse più di quanto avveniva nei giorni feriali.
«E' un brutto momento? Vuoi che ripassi più tardi?» Chiese d'un tratto Mike; ed io mi resi conto che aveva assistito ad una mia crisi di nervi.
Annuii, strofinando con più energia i palmi sulle guance. «Non puoi immaginare quanto. Il signor Harvard vuole che domattina alle dieci sia nella sua galleria a Portland per immortalare i suoi quadri e magari pubblicizzarlo nella sezione turismo e cultura dei prossimi servizi. Alle diciotto non è possibile perché non riuscirei a carpire dal quadro i suoi significati profondi. Ahh, perché ho scelto di fare questo lavoro? Non potevo semplicemente optare per la commessa del Mc Donalds a Seattle? Felice e con la pancia piena.»
Lo sentii ridacchiare di autentico divertimento. «E tornare a casa coi capelli che puzzano di patatine fritte? Non credo sia per te.»
In effetti evitavo la frittura a casa perché odiavo l'odore acre e pesante che restava per giorni sui vestiti.  Sorrisi tra me, appoggiando le mani sul piano della scrivania. «Hai ragione.» Mi bastò lanciare un'occhiata disattenta alla foto che stringeva Mike per capire il motivo della sua visita. Balzai in piedi e la sedia strisciò sul pavimento con un cupo stridio; lasciando che cadesse, mi precipitai a chiudere la porta del mio piccolo ufficio. Per sicurezza chiusi perfino le veneziane. «Ma sei pazzo a piombare nel mio ufficio così all'improvviso? Se Jacob vedesse per quale motivo sei qui?»
«Sta' tranquilla: stavolta sono stato cauto. Quando mi hai chiesto di lavorare a questa fotografia, non potevo immaginare che Jacob potesse presentarsi in laboratorio a controllare. Non l'aveva mai fatto prima. Ho avuto la sensazione che stesse spiando la schermata a cui stavo lavorando, perché è piombato in laboratorio appositamente per inveire contro di me e il fatto che ti avessi concesso un favore al di fuori del lavoro.»
Spiando? «Credi possa farlo?»
«Beh, come capo ha la facoltà di tenere sotto controllo i computer dei suoi dipendenti. Mi sorprenderebbe il contrario piuttosto. In ogni caso è fuori sede al momento, quindi puoi stare tranquilla. Ho provveduto a rimuovere le ultime operazioni svolte.»
«Avevo dimenticato il tuo passato da hacker.» La rassicurazione dell'assenza di Jacob mi alleggerì dall'ansia. Tornai di fronte a Mike, in attesa di altre notizie. «Dunque?»
«Non si tratta del riflesso del sole.» Sentenziò lui.
Lo sapevo, non ero del tutto pazza allora. «Cosa credi possa essere?»
Si portò una mano tra i corti capelli biondi, grattandosi la nuca. «Le apparecchiature che utilizzo solitamente per costruire i vari montaggi fotografici non hanno nulla a che vedere con stranezze o presunti casi sovrannaturali, Bella. Però... hai detto che comunque in piazza dei Priori c'erano dei bambini, no? E altri turisti. Magari nell'istante in cui scattavi la fotografia, stavano giocando con uno specchio o altra superficie riflettente giusto per infastidirti. Magari si trovavano proprio all'interno della torre del Palazzo, per questo motivo tu non te ne sei nemmeno accorta.»
Già, non aveva tutti i torti. Inoltre Mike, da ideatore di immagini d'avanguardia, credeva che queste stranezze potessero trovare un effettivo riscontro esclusivamente nella realtà da lui creata.
Il carisma misterioso di Volterra mi stava influenzando troppo.
Tuttavia... come si spiegava l'improvvisa scossa di terremoto che avevo avvertito in quell'istante? Fantasia anche quella? Conseguenza di un calo di zuccheri?
 E la folata di vento gelido in pieno agosto italiano?
No. Il mio lavoro da fotografa mi aveva insegnato che è proprio la somma dei fenomeni più strani a plasmare una realtà troppo trascendentale per poter essere compresa ai nostri occhi.
O forse davvero stavo cercando di trovare un problema più complicato di quello che era realmente?
Però Jacob era sembrato spaventato di fronte alla foto.
 Qualcosa mi suggeriva che sapesse più di quel che volesse lasciare intendere. Qualcosa in quella fotografia non andava.
La soluzione migliore sarebbe stata quella di tornare sul posto e verificare.
Decisi di non mostrare altra curiosità di fronte a Mike. «Probabilmente hai ragione. Sai, le leggende che racconta Angela sono così coinvolgenti che spesso vorrei fossero vere. Anche perché aiuterebbero la Gazzetta di Forks a vendere più copie e ad incuriosire i suoi abitanti.»
La scusa inventata sul momento sembrò convincerlo. «Non mi intendo di giornalismo, ma solo di montaggi e informatica. Sono certo che i migliori giornalisti sono quelli dotati di grande fantasia. E potrebbero dar vita a leggende anche solo prendendo in considerazione uno spunto. D'altronde è questo il mio lavoro: seleziono gli elementi più paradossali e opposti che riesca a trovare, e ne faccio un collage. La verità del paradosso.»
Sorrisi di pura riconoscenza. «Sei stato molto gentile.»
«Dovere.» Mi strizzò l'occhiolino e, prima di lasciare il mio ufficio, mi diede una pacca sulla spalla. «Buon lavoro, dolcezza.»
E richiuse la porta alle sue spalle.
Quando constatai che intorno a me vi fossero esclusivamente i trenta mq del mio ufficio, diedi sfogo alla mia frustrazione. Calciai il bidone destinato alla carta straccia.
Odiavo essere sfiorata, anche solo per riconoscenza o per gli auguri di compleanno.
Che bisogno c'era di toccare? Perché diavolo gli uomini dovevano comunicare attraverso il contatto fisico?
Non potevano semplicemente limitarsi a sguardi e parole?!
 Ahhh, se fosse dipeso da me, avrei ridisegnato ogni tipo di camicia o maglietta prive di maniche. Così si sarebbe evitato di usare braccia e mani. Così gli uomini potevano tenere le mani a posto e soffrire di fronte all'impossibilità di toccarsi e dare sfogo ai propri impulsi sessuali.
Cattiva? No, perfida.
Probabilmente somigliavo ad una di quelle bambole destinate alle bambine in tenera età; quelle che all'altezza della pancia hanno l'adesivo con scritto "Squeeze me".
Provateci ancora e sputo cianuro.
Coi nervi a fior di pelle, provai invano a rimettere ordine sulla mia scrivania. La sera prima avevo sviluppato un'infinità di foto, quelle che avevo scattato dall'aereo il giorno del ritorno in America.
In quest'istante l'idea di volare al di sopra delle nuvole mi piacerebbe così tanto.
Sarebbe stato sufficiente a scacciare rabbia e frustrazione.
«Bella!»
Sobbalzai quando Jessica entrò nell'ufficio senza alcun preavviso. Alcuni fogli ricaddero sul pavimento a causa della folata di vento. «La porta chiusa è sinonimo di "bussare prima di entrare". Lo sapevi?»
Jessica mi ignorò, posando sulla scrivania di per sé incasinata un'ennesima missiva. Una cartellina gialla con la dicitura "Cascate del Niagara" sul frontespizio. «Il giorno in cui ti vedrò appendere un cartello sulla maniglia della porta che recita "Esploro le mie fotografie reali", allora giuro che non entrerò se non prima aver bussato.»
«Oh, grazie tante.»
«Bando alle ciance, sono qui perché oggi pomeriggio alle quattro ti ho fissato un appuntamento con-»
Mi voltai di scatto, incrociando i suoi occhi. «No, no, frena. Oggi pomeriggio non sono assolutamente reperibile. Mi sembrava di avertelo detto.»
Lei si accigliò, perplessa. «Scordatelo. Non puoi lasciarmi nel momento del bisogno: entro domani è necessario scegliere i colori per la linea di biancheria intima maschile destinata al servizio fotografico sulle cascate. Devi andarci tu. Io non mi intendo di colori quando si tratta di biancheria intima maschile, eventualmente preferisco il rosa carne.»
«E' stata tua l'idea del servizio, non mia. Quindi rimanda l'appuntamento perché oggi pomeriggio sarò assente.» Feci il giro della scrivania per raccogliere la sedia ancora sul pavimento. «E' di vitale importanza.»
«Cosa c'è di più importante della riunione con Lauren per il prossimo numero sulle cascate del Niagara?»
«Fammi pensare un secondo... la mia nuova coinquilina?»
Gli occhi di Jessica si accesero di sbigottimento. «Hai trovato la nuova coinquilina?»
«Già. Oggi pomeriggio verrà a visitare la casa di persona, e se la troverà di suo gradimento allora la prenderà. Ha già visualizzato le foto nella sezione annunci della Gazzetta on-line, e le è piaciuta. Ma ha bisogno di vederla di persona, naturalmente, e ho intenzione di fare bella figura. Ciò implica puntualità, prima di tutto. Se le dico che ho un impegno e sposto il sopralluogo potrei perderla. Onestamente non ho intenzione di farlo sopratutto per tutte le ore di volo che dovrà affrontare. Per cui: il servizio sui tuoi modelli supermuscolosi potrà aspettare. Non si sgonfieranno i muscoli per un po' d'attesa.»
«Ore di volo? Da dove arriva: dalla California o cosa?»
Ecco che comincia l'interrogatorio. Ecco perché avevo deliberatamente taciuto la novità. «No, dall'Italia.»
«Dall'Italia? E com'è ha fatto a trovare l'annuncio? E soprattutto com'è possibile che dall'Italia voglia trasferirsi nella città più piovosa d'America? Non ha alcun senso.»
Sospirai, pentita di averle rivelato la cosa. «Lei è americana, ma vive in Italia perché frequenta una prestigiosa facoltà sui beni culturali a Roma, a quanto ho capito. Dovrà scrivere una tesi di laurea e ha deciso di scegliere come argomento il patrimonio paesaggistico che offre Lo Stato di Washington. Ti basta?»
Non sembrava convinta. «A che ora arriverà a Forks?»
Infatti non lo era affatto. Povera me. «Il caso vuole che arriverà proprio alle quattro. Sono giorni che pulisco dove non ce n'è bisogno.»
«E' perfetto!»  Esclamò elettrizzata.
Da un estremo all'altro proprio. «Che tu sparisca? Non è perfetto, è grandioso. Quindi ciao.»
«Tu vai alla riunione con Lauren: ci vorrà poco tempo, te l'assicuro. Devi semplicemente visionare i bozzetti della nuova linea di biancheria intima che Lauren ha disegnato e scegliere i colori più adatti. Sei tu l'esperta di armonie cromatiche, non certo io.»
Sì, passiamo all'adulazione. «In quale lingua devo dirtelo? Ho la coinquilina alle quattro, quindi sposta l'appuntamento per domani alla stessa ora.»  Ricordai dell'altro impegno subito dopo averlo proposto.
E Jessica non tardò a rammentarmelo. «Hai il servizio fotografico con il signor Harvard alle dieci. E tutte e due sappiamo che non ti lascerà uscire dal suo ufficio prima di sera.»
Sbuffai per disperazione o per stanchezza, non ne ero sicura. Parola mia: entro una settimana avrei presentato il certificato del medico e richiesto giorni di malattia. Telefoni spenti? No, chiusi nel congelatore. «Domani farò domanda di lavoro per il Mc Donald's.»
«Allora affare fatto: io do il benvenuto alla nuova coinquilina e le mostro la casa. Se sarà convinta di prenderla, ti chiamerò all'istante. In caso contrario, non è necessaria la tua presenza. Deve solo visionarla, no?»
Le lanciai un'occhiata truce. «Ti odio, Jess. Soprattutto quando mi incastri in questo modo.»
Ma non fece breccia nel suo sorriso estatico. Fastidiosamente estatico e pimpante. «Sapevo di poter contare su di te, Bella. Tu lascia fare a me: sono esperta di benvenuti calorosi. Riuscirò a persuadere la nuova coinquilina che non esiste alloggio migliore di quello che può offrirle tu.» Incedette verso la porta dell'ufficio e l'aprì.«Nel frattempo...» Fece una pausa solo per utilizzare la porta come palo della lap dance, assumendo una posa sexy. «... lasciati sedurre dalla linea armoniosa che Lauren ha disegnato. Non te ne pentirai.» Corredato di tono di voce basso e da donna arrapata.
Afferrai una carta appallottolata dal cestino e gliela lanciai contro, ma sbatté contro il vetro smerigliato della porta ormai chiusa e si unì all'altra carta straccia sul pavimento.
Strega!

* * *

Guardai per l'ennesima volta i bozzetti che Lauren aveva disposto sul tavolo in vetro del suo atelier.
 Le bozze erano ben disegnate, non c'era alcun dubbio. Linee sinuose e precise; non ero un'esperta di ritratti e cose simili, tuttavia la mia esperienza in campo fotografico mi aveva dotata di buon gusto.
E quei modelli erano ideali per il servizio che avremmo redatto nei prossimi giorni.
Tuttavia... era palese l'impronta di Jessica, soprattutto perché i boxer che proponeva Lauren erano... disgustosamente attillati.
Le foto, quattro in tutto, le aveva posizionate in modo da formare un quadrato sul tavolo da lavoro.
Non ero sicura di quanto tempo fosse precisamente trascorso dall'istante in cui avevo messo piede nel suo atelier. Avrebbe dovuto esporre un avvertimento "Perdete ogni speranze, oh voi arrapate."
Mio dio, quale uomo dotato di senno oserebbe indossare un simile indumento?
Nessuno. Gli uomini non erano mai dotati di senno. Al più ragionavano con le palle.
Lauren era una grande artista, per cui, nonostante fosse in bianco e nero, sembrava reale. Non mancava proprio nulla al modello designato per le anteprime: linee scolpite degli addominali a tartaruga; cosce così tornite che sembravano fatte d'acciaio; e... beh, i boxer attillati mostravano una gran bella sporgenza all'altezza del pene. Più che acciaio.
Santo cielo, che cosa disgustosa!
«Adorabili, vero?»  Mi incalzò Lauren, speranzosa di ricevere un responso positivo. In realtà sembrava convinta che la mia risposta sarebbe stata positiva, e ciò mi lasciò credere che Jessica le avesse già fornito una mezza di idea di quella che sarebbe stata la mia decisione.
Allora per quale motivo sono qui, adesso?
Questa si chiama coercizione.
Adorabili? Così adorabili che mi si è chiuso lo stomaco. «Come sempre hai un tratto...» Perverso? «... netto e definito.»
A giudicare dalla radiosità dello sguardo, dedussi che l'avesse preso come un complimento. In realtà avrei tanto voluto dirle che non avrei mai e poi mai osato fotografare modelli con quei... quei... quei cosi.
Sarà una fortuna se non vomiterò quel giorno.
«Jessica era sicura che avresti apprezzato.»
Non avevo dubbi. «Si vede che mi conosce bene.»
«Sì, mi ha suggerito di utilizzare un design particolare, uno che si adattasse alla natura delle cascate del Niagara. Ecco perché, come puoi notare, ho deciso di abbellire i boxer con questi motivi naturali.»
Naturali: il motto di Jessica.
In effetti quello in alto a destra aveva l'arcobaleno, e sull'elastico in alto riportava la scritta "SOMEWHERE OVER THE RAINBOW". L'arcobaleno in bianco e nero partiva dall'elastico e si allungava in avanti, all'altezza del pene. In un chiaro intento provocatorio e allusivo sul tipo di arcobaleno che offre Madre Natura.
Il secondo modello disposto a destra del primo, ritraeva fulmini e scariche elettriche, a sostegno del fatto che le cascate erano famose anche per la fornitura di energia elettrica. L'elastico riportava una nuova scritta "ATTENDO LA SCOSSA".
Il bozzetto in basso a sinistra, invece, ritraeva un iceberg  corredato dello slogan "AMANDO IL GHIACCIO DURO".
Infine l'ultima a destra era forse la più carina; perché una lettura ingenua non avrebbe minimamente pensato che la coppia di canarini disegnati l'uno accanto all'altro nell'atto di riscaldarsi alludesse a ben altro. Difatti una più attenta lettura della scritta in alto, "A QUALCUNO PIACE CALDO", avrebbe fornito ben altre indicazioni. Mi sembrava più un servizio pornografico.
Chiusi gli occhi e cercai di non rabbrividire. «D'accordo. A quanto pare i modelli non si posso cambiare. Per quanto riguarda i colori, dato che ho intenzione di andare sul posto e fotografare le cascate durante il tramonto, penso proprio che potremmo orientarci su tutte le possibili gradazioni del rosso. Quindi colori caldi. Mi fido di te, a questo punto. Prendi in considerazione il messaggio che l'articolo vuole trasmettere: il calore del corpo maschile in un contesto che dà idea di freschezza e purezza incontaminata. O durezza di un iceberg.» Quest'ultima frase la sussurrai tra me, e, indaffarata com'era a prendere appunti, Lauren non la percepì. Per fortuna.
«Benissimo.»
Diedi un'occhiata al mio orologio da polso: erano trascorsi solo venti minuti, per cui sarei riuscita a raggiungere casa e forse a conoscere la nuova coinquilina. «Quando pensi saranno pronti?»
«Direi la prossima settimana.»
Scossi la testa in assenso. «Magnifico. Nel frattempo cercheremo un modello che possa posare per questo servizio fotografico.»
Sollevò gli occhi dal foglio, guardandomi con allarmismo.« Ma la linea è composta da quattro pezzi.»
Non sono cieca. «Sì, lo so. Ma la mia idea è quella di utilizzare un solo modello, scattare quattro foto diverse per ciascun capo d'abbigliamento, e passare il compito a Mike così da costruire un bel montaggio. Nel frattempo io sarò già andata alle cascate a immortalare la scena al tramonto. Angela e Jessica scriveranno l'articolo. Ad occhio e croce, credo che faremo appena in tempo a pubblicare il servizio sul prossimo numero della Gazzetta di Forks. Ormai non manca molto. Tre settimane e mandiamo tutto in stampa.»
Raccolse le foto riponendole una sull'altra. «Bene.»
«Domande?» La guardai fugacemente. «No. Benissimo. Allora vado a dare il benvenuto alla nuova coinquilina, sperando che Jessica non l'abbia spaventata troppo.» Afferrai la mia borsa e sgattaiolai fuori nel mio pick-up parcheggiato sul ciglio della strada. Poggiai la borsa sul sedile del passeggero e misi in moto. Dovetti passare solo tre isolati, e la strada principale che costeggiava la riserva di La Push.  Il sole del tramonto era intrappolato dietro le nuvole, come al solito. Nel tragitto sperai che Jessica fosse davvero riuscita a convincere la coinquilina. Alice Cullen. Il pensiero che a partire dal giorno successivo avrei finalmente condiviso casa con qualcuno mi rincuorava. Non avevo paura di dormire sola a casa (o forse sì), però la prospettiva di tornare a casa la sera e scambiare quattro chiacchiere che non fossero il lavoro con qualcuno era fonte di entusiasmo. La novità di fare la conoscenza di qualcuno che ha vissuto nel mio stesso continente, ma che aveva conosciuto anche un'altra realtà. Quella italiana che mi attraeva, oltretutto.
Quando giunsi a destinazione, l'auto di Jessica era ancora parcheggiata nel giardino di casa.
Bene, ciò significava che le sue tecniche di persuasione non avevano fatto alcun buco nell'acqua.
Scesi dal pick-up con un senso di sollievo sulla pelle. Velocemente mi precipitai sotto il portico e infilai la chiave nella toppa della porta. Dall'interno mi arrivò la voce di Jessica; si era accorta subito del mio arrivo, quindi subito dopo percepii distintamente il rumore dei suoi tacchi: stava raggiungendo l'ingresso per venirmi incontro. Quando aprii la porta, infatti, me la ritrovai davanti tutta raggiante e agitata.
Non feci in tempo a mettere piede nel corridoio, perché Jessica mi spintonò di nuovo all'esterno. «Ma che diavolo...»
Si chiuse la porta alle spalle con un'insolita fretta, e vi si appoggiò di schiena. Aveva le guance accaldate e uno sguardo che annunciava una catastrofe. «Promettimi che non farai nulla di avventato, o giuro che non ti parlerò per tutta la vita.»
«Scusami?!» Provai a scansarla per poter entrare. «Ma che diavolo stai facendo?»
«Dimmi con chi hai scambiato le mail la settimana scorsa. Una certa Alice Cullen, giusto?»
Sbattei ripetutamente le palpebre, non capendo. «Sì, m-»
«E ti ha per caso menzionato suo fratello?»
Meno male che le consigliato di darci un taglio col fumo. «Sì, mi ha detto di avere un fratello che abitava con lei.»
«Hmm... lo sapevo. Tu non avresti mai permesso che accadesse una cosa simile.»
Farneticava. Gli occhi lucidi c'erano, così come gli occhi spalancati come una sensitiva che finge di contattare l'aldilà. «Posso sapere che sta succedendo? Perché mi stai bloccando il passaggio?»
Si fece seria in volto. «Ho una buona notizia e una cattiva notizia. In realtà sarebbero entrambe due splendide notizie, se sai guardare il lato positivo che puoi trarre da quella che tu potresti considerare una brutta notizia. Che poi non è così brutta considerando il fatto che-»
«Jess, stai tergiversando come fai sempre. E la cosa non mi piace. Non mi piace perché mi stai nascondendo qualcosa. Sputa il rospo, coraggio.»
«Non ti sto nascondendo nulla. Cosa te lo fa pensare?»
Negare di fronte all'evidenza: classico. «Te lo leggo negli occhi, ed inoltre ti sei improvvisamente trasformata in una porta blindata o muro di cinta.»
«E da quando ti interessi di veggenza e lettura degli occhi?»
«Jess!!»
« Okay, okay, te lo dico. Basta che ti calmi, d'accordo?»
Incrocia le braccia al petto, tamburellando le dita sul gomito opposto. «Lo stai dicendo a me o a te stessa?»
«Bene. Cominciamo dalla buona notizia perché io adoro le buone notizie.» Breve pausa, e sorriso estatico sul volto da gallina. «Bella, hai finalmente trovato una persona con cui condividere la casa e le spese d'affitto. Ha visionato la camera e a quanto pare è stato amore a prima vista.»
Ma va?! «L'avevo capito, o non mi sarei spiegata per quale motivo ridessi da sola come un'oca. Adesso puoi spostarti, e fammi andare a darle il benvenuto?» Cercai di afferrare la maniglia della porta che lei continuava a coprire con il suo corpo, ma mi bloccò ancora.
«Ed è proprio a questo punto che si inserisce la seconda notizia. Un po' meno bella per i tuoi canoni.» Prese una boccata d'aria, ma non era dovuto certo alla mancanza di ossigeno. «Non si chiama Alice la tua nuova coinquilina.»
Tutto qua? Mi bloccava il passaggio per questo?
No. C'era dell'altro.
Indugiò ancora soppesando la mia reazione. Ma quella suspense mi stava davvero iniziando ad innervosire. «Insomma, Jess, ora basta!! Dimmi una volta per tutta cosa sta succ-»
«E' suo fratello.» Sputò d'un fiato, poi di fronte a quella che doveva essere la mia espressione basita chiuse gli occhi con tutte le sue forze, coprendosi il volto con le mani come se la stessi per colpire con un'ascia o altre armi affilate.
Oh, potrei farlo, eh!
Tuttavia in quell'istante il ronzio rimbombava nella testa, come una mosca intrappolata in una camera dalle pareti in acciaio. «Cosa?» Rimbeccai con enfasi. «Cosa c'entra il fratel-»
Mi bloccai solo quando l'informazione arrivò finalmente al cervello.
Jessica provò ad indietreggiare, ma ovviamente la porta alle sue spalle bloccava ogni tentativo. Quindi scivolò lateralmente in modo da non trovarsi faccia a faccia con me. «Non era Alice che aveva bisogno di un appartamento. Cioè, lei dovrà scrivere la tesi insieme a suo fratello Edward. Però... è lui che è venuto qui per condividere con te la casa. Come vedi non è una notizia così brutta»
Rimasi a bocca aperta.
Attonita. Spaventata. Sbigottita. Non avrei saputo dirlo.
Suo fratello? Ciò significava che...
«Guarda il lato positivo: non dovrai condividere le strisce per la ceretta alle gambe.» Stavolta Jessica si lasciò trascinare via  senza opporre resistenza. «Ricorda cosa ti ho detto quando ti ho parlato di non fare cose troppo avventate.»
Sgattaiolai in casa e raggiunsi in poche falcate la cucina. Lì trovai l'italo-americano seduto su uno degli sgabelli che circondavano lo snack bar, nell'angolo cucina contiguo al soggiorno.
La prima cosa su cui posai lo sguardo furono i suoi occhi, incontrando uno strano color caramello. Lui balzò in piedi nell'istante in cui incrociò quello che doveva essere uno sguardo contrariato; e mi resi conto che doveva essere alto almeno un metro e ottanta. Contro il mio metro e sessanta. Inoltre era così muscoloso che avrebbe potuto schiacciarmi come carta inservibile.
Questo è proprio un bel pasticcio.
Indugiai diversi secondi prima di parlare, fissandogli il volto così pallido.
Che sguardo triste. Forse ciò dipendeva da quello strano colore, mai visto prima d'allora, che gli dava una strana aria afflitta e stanca. Una gradazione del dorato che mi fece pensare al sole intrappolato dietro il velo spesso di nubi, quando tentava di tramontare sul mare della riserva di La Push.
O forse erano proprio le leggere occhiaie che scavavano i suoi occhi a contribuire a quell'aria triste e stanca; come se non dormisse da giorni.
Scacciai quei pensieri, concentrandomi su quanto stesse accadendo.
In casa mia? Questo è uno scherzo?
Quando constatò che il mio silenzio non si sarebbe rotto, prese l'iniziativa restando però dov'era. «Bella Swan? E' un piacere conoscerti. Io sono Edward. Edward Cullen.» Sembrava sincero mentre si presentava, infilando le mani nelle tasche dei jeans Levi's.
Almeno qualcuno che non usa il contatto fisico.
Mi riscossi lanciando un'occhiata truce a Jessica che ricambiò con un'espressione innocente. In effetti lei non c'entrava nulla. Inveire contro di lei era un'alternativa allettante, ma di certo privo di logica. Il pasticcio l'avevo creato io. Non potevo permettere che un uomo vivesse sotto il mio stesso tetto. Era assolutamente fuori discussione. «Scusa, Edward. Non vorrei essere scortese, ma credo ci sia stato un terribile malinteso.»
Lui si accigliò, fingendo di non capire.«Malinteso?»
«Sc-scusate se vi interrompo nel bel mezzo delle vostre presentazioni. Ma... ora vi lascio soli.» Intervenne Jessica. Afferrò con urgente ardore borsa e giacchetto e si precipitò nel corridoio. «E' stato un piacere conoscerti, Edward.» E lasciò la casa non senza aver prima lanciato un'occhiata d'ammonimento.
Ammonimento? A me?
Sì, questo è decisamente uno scherzo. Ed io non amavo gli scherzi, soprattutto dopo venti minuti passati nell'atelier di Lauren a visionare boxer attillati e pornografici.
Adesso rimediamo subito.
Tornai a fissare Edward, che se ne stava impalato con le mani nelle tasche e uno sguardo carico d'attesa. «Edward, quando ho ricevuto la mail da parte di Alice, io pensavo di avere una coinquilina con cui condividere la casa. Non voglio essere scortese, davvero, però...»Smamma, subito. «... è un problema. Ho bisogno di una coinquilina. Insomma, sì, una coinquilina donna. Io sono una donna, quindi mi serve una donna.»
Non costringermi a tirar fuori il lato da scaricatore di porto. Perché non mi si addice nemmeno.
Edward sorrise.
Sì, sorrise. Io stavo per avere un'ennesima crisi di nervi, e lui era il ritratto della felicità pura.
Sorrise in un modo strano. Carismatico. Con un angolo della bocca rivolto verso l'alto, disegnando una linea di sbieco sulle labbra vermiglie. «Mi dev'essere sfuggita questa parte dell'annuncio, a quanto pare.» Lo disse con un tono di palese provocazione, anche perché era chiaro il messaggio: ACCETTO SOLO DONNE. «Sai, il mio inglese è un po' arrugginito. Stando a contatto con altre lingue, la confusione è regolare.»
Credeva di essere spiritoso? «Senti, non è colpa mia. Sul serio. Te ne devi andare. Il messaggio era chiarissimo: gli uomini in questa casa non sono tollerati.»
«Sono indiscreto se te ne domando il motivo?»
«Sì, parecchio.»
«E come mai? Considerami la versione maschile della scaramanzia che incombe sulla Perla Nera di Jack Sparrow: porterebbe male non avere un uomo in casa.»
Un bel TIR di affari tuoi? «Senti, Edward, perdona la confidenza, ma malapena consento a mio padre di farmi visita. Figuriamoci se permetterò ad un perfetto estraneo di vivere sotto lo stesso tetto. No, davvero. Devi andartene.»
Ma non se ne andava. Restava lì, fermo come una statua.
« Se avessi specificato nell'annuncio la tua totale ripugnanza verso gli uomini, avrei risparmiato un volo di ore da una parte del mondo all'altra. Io ho colto un altro messaggio: preferibilmente donne. E non che fosse un obbligo.»
Bene, ora la colpa era mia. «Senti, mi rincresce che tu abbia dovuto affrontare tante ore di volo. E soprattutto per aver cambiato temperatura in modo così drastico, dato che in Italia è estate afosa e qui c'è pioggia a più non posso. Non me ne voglia il tuo fisico, però... beh, non posso proprio accettarti. Davvero, Edward. Sto cercando di non risultare maleducata.»
E soprattutto di mantenere la calma. E tenere a guinzaglio il mio lato da maschiaccio.
Cercati un'altro alloggio.
«Sono disposto a pagare anche più di quanto hai chiesto, questo per rimediare a quello che hai definito malinteso. Sono settimane che cerco un posto dove alloggiare qui a Forks, e, a quanto pare, tra i tremila abitanti tu sei l'unica ad avere la casa con le caratteristiche che cerco.» Sempre con le mani infilate nelle tasche, avanzò verso il soggiorno e si diede un'altra occhiata intorno. «Quindi: la prendo.»
Oh, ma che fortuna. E' proprio vero che o sei totalmente sfigata o la fortuna ti bacia tutta in una volta. In questo caso ero capitata proprio male. «Tecnicamente nella mail mi è parso di capire che questo sarebbe stato un sopralluogo, giusto? Ciò significa che avevi preso in considerazione la possibilità che non poteva essere di tuo gradimento la casa. Fingi che non ti piaccia, e amici come prima.»
«In realtà nella mail mi sembrava di averti scritto che l'avrei presa in ogni caso.» Fissò per un secondo la mia espressione, poi si affrettò ad aggiungere con un sorrisetto. «Sì, le ho scritte io le mail. Perlomeno insieme a mia sorella Alice. Dopotutto l'indirizzo di posta elettronica che ho utilizzato è il suo.»
«Non è importante chi ha scritto cosa. Io proprio non posso accettarti, Edward. Prendila così: almeno ti ho risparmiato il trasporto delle valigie.»
«In realtà sono già al piano di sopra, in camera.» Un altro sorriso. «Ma questo è il problema minore. Senti, Bella. Scusa se sono diretto, ma a giudicare dalle foto che sono appese in ogni angolo del tuo soggiorno, e nel corridoio e nella tua camera, deduco che a te piacciano le cose dirette e chiare. Per cui: patti chiari, amicizia lunga. Tu hai bisogno di un coinquilino con cui condividere le spese, come tu stessa hai scritto nelle mail. Ne hai urgente bisogno, e non credo che nelle prossime settimane riuscirai a trovarne.»
Incrociai le braccia al petto. «Oh, per favore. Ho un altro sopralluogo tra un paio d'ore.»
«Sì, certo. Non sai proprio mentire.»  Ribatté lui divertito. «Oh, coraggio, apri gli occhi, giornalista: Forks è una città estremamente piovosa e fredda. Chi sarebbe così stupido da trasferirsi qui? Io ti servo per pagare una parte di affitto. Tu mi servi perché ho bisogno di un appoggio momentaneo per poter studiare la zona e scrivere una tesi decente sullo Stato di Washington. Come vedi è un favore che ci scambiamo reciprocamente. Quindi o metti da parte la tua misandria o muori di fame per le prossime settimane.»
«Non sono misandrica.»
«A stento mi guardi mentre parlo. Hai assunto una posizione di difesa e chiusura stando a braccia conserte e a distanza chilometrica. Mi guardi con disprezzo. Dimmi che cos'è se non misandria.»
Silenzio. Di riflesso abbandonai le braccia lungo i fianchi. «Se è per questo, anche tu hai assunto una posizione di difesa.»
«Mettiamola così: tu sei misandrica così come io sono misogino. Ciò non significa che sono estremista: in alcune circostanze è indispensabile essere... malleabili. Poiché, ribadisco, ho bisogno di questo alloggio nella stessa misura in cui tu hai bisogno di un coinquilino disposto anche a pagare di più... beh, direi che si può scendere tranquillamente a compromessi. Spero questo possa bastare a sancire l'accordo. In caso contrario dovrò mettere da parte tutta la mia cavalleria e chiederti di riportare qui le mie valigie, chiamarmi un taxi e farmi accompagnare all'aeroporto. A tue spese, chiaramente, perché ti ho appena detto che prendo la camera, mentre tu non mi vuoi per futili motivi discriminatori o razziali. Ancora non mi è chiaro.»
Silenzio.
Mi stava incastrando. Continuare a ribattere avrebbe alimentato il suo divertimento, nonché la sua ostinazione a volermi addossare tutta la colpa. Non riuscivo proprio ad immaginare la prospettiva di vivere sotto lo stesso tetto con una persona di sesso maschile. Questo andava al di là di ogni possibile immaginazione, e soprattutto contro i miei stessi principi. Tuttavia mi aveva perfino proposto una somma superiore a quella richiesta nell'annuncio, e il lato materialista che latitava dentro di me mi sussurrava che sarei stata un'emerita deficiente qualora avessi rifiutato l'offerta.
In ogni caso la sua permanenza a Forks non sarebbe stata lunga: nella mail vi era richiesta di alloggio da un minimo di sei mesi ad un massimo di un anno.
Quindi che fare?
D'un tratto pensai ad un altro metodo.
Il modo più efficace per liberarsi da un peso piuttosto scomodo, è lasciar credere che non esiste al mondo una compagnia migliore rispetto a quella che può offrirci lui stesso.
Non ero quasi mai a casa, se non la sera. Lui mi pagava una parte dell'affitto, e per contraccambiare gli avrei dato un caloroso benvenuto. Uno di quelli che, prima o poi, ti costringono a porre rimedio.
Se gli avessi mostrato tutti gli svantaggi di vivere lì... avrei raggiunto il mio scopo. Mi sarei assicurata qualche mese d'affitto, assicurandomi con la differenza tra importo richiesto e importo offerto qualche ulteriore affitto. Prima o poi la fortuna mi avrebbe baciata nuovamente e sarei riuscita a trovare una vera coinquilina.
Sarei andata avanti in due modi: considerando Edward alla stregua di un dollaro che cammina o a un gay. Già. Un gay. In quest'ultimo caso... avrei condiviso la casa con una donna a tutti gli effetti.
Dunque: benvenuto, Edward Cullen.
I miei occhi raggiunsero con ferma decisione i suoi; braccia conserte. «D'accordo.» Sospirai, dando inizio al mio piano. «Definiamo le regole che da oggi in poi ci saranno in questa casa, allora.»
L'espressione che mi lanciò Edward fu a metà tra perplessità e divertimento. «Regole?!»
E il tono altezzoso era di chi non avesse mai sentito pronunciare quella parola.
«Sì, regole.» Replicai diretta, cogliendo al volo quell'opportunità. « Stasera lavorerò ad una lista di suddivisione faccende. Certo ognuno dovrà pulirsi la propria camera e il proprio bagno, e non avrò nulla da ridire se deciderai di lasciare i calzini sporchi sul pavimento della tua camera. Però per quel che riguarda gli spazi comuni: ovvero cucina, soggiorno, lavatrice e pulizia giardino ci saranno giorni fissi in cui spetterà a me o a te.» La prospettiva sembrò non allettarlo. «Non penserai che, soltanto perché sei un uomo, possa tollerare la prospettiva di condividere la casa e pulire come anche quello che sporchi tu.»
«Non sono abituato a sporcarmi le mani, ma vedrò cosa posso fare.»
Eh no, non ci siamo proprio capiti. «Questa è la mia condizione. Se pensi di avere il culo troppo chic o troppo pesante per impugnare un manico di scopa e pulire il pavimento, allora dammi tranquillamente della stronza, però dovrò chiederti di riprenderti le tue valigie e tornare in aeroporto con un taxi a tue spese. Perché in quel caso sarai tu a non aver rispettato le mie condizioni, dato che per me l'affare è fatto solo in questo modo.» Lo oltrepassai mettendo fine alla conversazione; raggiungendo la rampa di scale, poggiai il piede sul primo gradino, accingendomi a salire. «Ah, e se decidi di andartene, ricordati di chiudere la porta. Non mi piacciono gli spifferi d'aria.»
E raggiunsi la mia camera al piano superiore.
... esiste forse un benvenuto più caloroso di questo?


SCUSATE SE HO AGGIORNATO COSì IN FRETTA, MA I PRIMI DUE CAPITOLI ERANO GIà PUBBLICATI ALTROVE E MI PREMEVA PORTARVI A QUESTO PUNTO DELLA STORIA.
INOLTRE I MIEI FRATELLI VOGLIONO CHE IO CANCELLI DAL LORO PC IL DOC WORD CON LA STORIA, E NON HO CHIAVETTE AL MOMENTO DOVE SALVARLA. E NON POSSO NEMMENO LASCIARE NVU SU QUESTO PC.
INSOMMA: CHI HA FRATELLI, MI CAPISCE -.-
IN OGNI CASO: LA STORIA INIZIA ADESSO.
LASCERò PASSARE UNA SETTIMANA PER LA PROSSIMA PUBBLICAZIONE, I PRIMI 3 LI HO POSTATI PERCHé ERANO GIà PRONTI.
E COMINCERò A RISPONDERE ALLE RECENSIONI TRAMITE IL NUOVO FORMAT PROPRIO DA ADESSO.
GRAZIE A CHI LEGGE =****


   
 
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