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Autore: loonaty    28/02/2011    3 recensioni
Com'è fuggire da ciò che più si ama?
Com'è avere tutto e subito dopo ritrovarsi con nulla fra le dita?
Un chakra dalla potenza sconfinata, inferiore solo a quello della volpe.
Un carattere combattivo e ribelle.
Un'indole autodistruttiva.
Un membro in più nel clan Uchiha.
Cosa si prova ad essere un mostro?
Non ci si aspetta che qualcuno capisca.
Non ci si aspetta che qualcuno compatisca.
Perché niente di ciò è davvero rilevante.
Kioko è Kioko, e questo, che voi lo vogliate o no, non cambierà.
"Queste rose.
Sono come me. Lentamente sfioriscono, i loro bei petali hanno ingannato per tutta l’estate gli ingenui che nel coglierle si erano feriti con le spine. Quando però avranno perso ogni petalo le persone temeranno quei rovi spinosi, si terranno alla larga. Così era successo con lei." (capitolo 12 "Queste rose")
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Obito Uchiha, Rin, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Più contesti
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CAPITOLO 9- C’E’ CHI RIDE e C’E’ CHI PIANGE



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Effettivamente avevano già cenato , ed effettivamente erano le dieci di sere passate. Effettivamente Rina sapeva solo bollire il riso e, sempre effettivamente, i pacchetti di dolciumi e salatini e la fila ordinata di bottigliette piene di bibite gasate erano assai più invitanti come spuntino serale. 
-Cooooooooosa? Non ti piace il cioccolato?-
Kioko scosse la testa e sbuffò rituffando una mano nel pacchetto di patatine e issandosi, con un balzo atletico, sul tavolo della cucina su cui l’amica stava sdraiata a scartare l’ennesima tavoletta.
-Solo quello  amaro … - Mugugnò poi notando che la ragazzina continuava a fissarla con gli occhi stralunati. Se si comportava così per quello figurati come avrebbe reagito nello scoprire che viveva in simbiosi con un demone.
Sarebbe una scena da non perdere …
Sarà strano ma su questo concordo.
-Sei strana- Concluse l’amica spezzando la cioccolata al latte con i denti e sdraiandosi a fissare il soffitto.
Parla lei … Pensò Kioko roteando gli occhi.
-I mushmallow? –
-Non mi piacciono i dolci-
Forse ora l’aveva capito? Tutto ciò che era impacioccato con più di mezzo cucchiaino di zucchero per lei equivaleva a velenoso.  –Non ti piacciono i dolci? M-ma come fai? Non è possibile, non è umanamente possibile!- Rin era scattata a sedere ed aveva allargato le braccia in un gesto di evidente sconforto. –Ora capisco perché sei così magra … - Concluse con un filo di voce.
-mm-m- Kioko la scrutò per un istante, scrollò le spalle e si riempì la bocca di patatine. I dolci non erano l’unica cosa che faceva ingrassare, ma Rin pareva non recepirlo chiudendosi nella sua demoralizzazione. Lì l’unica cosa evidente era l’età, si sa, un anno in quel periodo può fare molto, la costituzione e gli allenamenti. Rin pareva ignorare pure questo e rimaneva in silenzio a fissare colpevole la carta deli cioccolatini sparsa su tutto il ripiano. Kioko finì di masticare. Ingoiò, poi si alzò ed attaccò le labbra al rubinetto. Dopodichè si voltò di nuovo verso la Ninja che aveva ripreso a sgranocchiare timidamente la cioccolata. La falchessa sospirò. –Chissà, magari davvero non sono umana – Annunciò atona passandole accanto e rubandole mezza tavoletta per poi affondarci i denti. Clack. Masticò un paio di volte appoggiandosi con la schiena alla dispensa. Mandò giù. Poi riavvicinò le labbra al cioccolato. –Andiamo a vederci un film- Propose quando un conato le strinse la bocca dello stomaco. –Come fai a mangiare questa roba io non lo so- Sbottò fissando il cioccolato come si fissa un alieno proveniente da un’altra galassia. –Che schifo!-
-Non ti permetto di insultare mio marito!- Ruggì Rin puntandole contro la tavoletta.
-Chi, il cioccolato?-
-Esatto!- La castana era in piedi sul tavolo e minacciava l’Hayabusa Gin con un pezzo di cioccolato.
-Io pensavo fosse Obito – Commentò laconica Kioko. Poi uscì dalla cucina e si diresse in salotto gettandosi sul divano come se fosse a casa sua. Accese la TV. Un cuscino la colpì in testa.
-Musona!- Disse Rin sedendosi lì accanto.
-Permalosa – La canzonò Kioko spostando passivamente il cuscino e seguendo con “entusiasmo” uno show televisivo. 
-Non mi piace Obito!-
-Mphf-
-Davvero!-
-…-
-Sei insopportabile-
-Così mi dicono-
Rin affondò un dito nel fianco di Kioko che sussultò. La castana ci mise poco più di un secondo a rendersi conto della situazione. Fissò il viso impassibile di Kioko che faceva finta di nulla, poi di nuovo le toccò il fianco. Stavolta l’Uchiha si irrigidì e si voltò a fissarla.
-Non oserai- Disse secca incenerendo la compagna con gli occhi neri. Troppo tardi. Quella sera Rin scoprì quanto fosse dolce la risata di Kioko e quanto duri i suoi cazzotti.
Però ne era valsa la pena.
Dopotutto, chi l’avrebbe mai detto che la falchessa soffrisse il solletico?
 
Si gettò sul letto stremato. La tosse che gli torturava il sonno insieme al materasso umido. Era rimasto il suo odore dannazione. Anche casa sua doveva venire contaminata da quella ragazza? Il vento freddo sibilava dal vetro rotto. Si alzò e chiuse le tende pesanti gettando un’occhiata alla foto sul comodino. Le lacrime gli punsero gli occhi color fumo. Si coprì la bocca, già nascosta dalla mascherina, con una mano per soffocare il gemito che si faceva strada attraverso la sua gola. I ninja non piangono. Si rimproverò asciugandosi gli occhi e riassumendo il suo gelido contegno. Si lasciò cadere sulla poltrona. Sprofondò nel tessuto vermiglio e respirò profondamente. Poi, altrettanto profondamente sospirò. Si accigliò ed annusò la stoffa morbida e leggermente lisa. Inarcò le sopracciglia. No, è vero. Anche lì. L’odore di pioggia, erba ed aria aperta più una sfumatura amara aleggiava per tutta la casa. Dalla tristezza passò alla frustrazione, quando si ritrovò a ribollire di rabbia ci mancò poco che uscisse così com’era ed andasse a trucidare la falchessa. Lasciava il segno Kioko Hayabusa. Quando poi tornò con il pensiero al volo che aveva compiuto  tra le braccia di lei …
Tra le braccia di lei.
TRA LE BRACCIA DI LEI!
Scattò in piedi. Avrebbe dormito sul pavimento, era deciso. Ci trascinò un paio di coperte e il cuscino misteriosamente sfuggito a quel cataclisma umano. Si sdraiò. Il buio che ingoiava ogni cosa attorno a lui ed il magone che tornava a poggiarglisi addosso. Mentre prendeva sonno un’idea insulsa gli pizzicò l’orecchio. Tutti sembravano intendere che Kioko fosse un’Uchiha, ma lei stessa aveva detto di fare di cognome Hayabusa. E si sentì davvero più idiota di Obito. Hayabusa significa falco. Le sue ali. Indubbiamente di falco. –Ah-ah, che spiritosa- Commentò ad alta voce. Con riluttanza si convinse che ERA ORA di dormire. Se solo ci fosse riuscito. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva il sorriso sprezzante di quella peste e si chiedeva che cosa fossero quelle ali. Si domandava chi diavolo glielo aveva fatto fare di avvinghiarsi a lei in quel modo. Sentiva ancora il calore del collo di lei contro la guancia e quello del suo corpo contro le gambe. Ed il veleno gli saliva alla bocca. In paese diversi inviati cercavano la ragazza scomparsa. Sarebbe stato perfetto se l’avessero trovata e riportata a casa. Questo non era ancora accaduto solo perché l’hokage li intralciava. Non voleva certo perdere uno dei ninja più promettenti del villaggio della foglia. Un momento. Prima non era lui IL ninja più promettente del villaggio della foglia? Forse era meglio dormire, come si ripeteva da ormai due ore. La cosa di cui però Kakashi non si rendeva conto era che distratto dal pensiero di Kioko non si era torturato l’anima con il ricordo della sua famiglia. Per la prima notte, dalla morte di suo padre, Kakashi restò a rigirarsi nel letto senza avere il cuore straziato da ferite irreparabili. Sempre che l’omicidio premeditato sia un gran miglioramento …
 
E Obito? Obito si è fatto accompagnare a casa dal suo caro sensei. Una volta arrivato davanti all’uscio però ha cambiato idea e si è diretto verso l’abitazione della compagna di squadra prediletta presentandosi alla porta di punto in bianco. Stavolta Kioko non ebbe il cattivo gusto di andare ad aprire. Comunque, anche se avesse avuto questa malsana idea sarebbe stata troppo distrutta per alzarsi. Con la schiena sul tatami e i capelli sparsi per terra, Kioko Uchiha teneva le gambe piegate e poggiate sul divano guardando la televisione al contrario e sgranocchiando patatine. Riguardo al distrutta, il fatto che avesse subito le torture di quella che si definiva sua amica, poteva spiegare benissimo la sua fiaccaggine e il desiderio di starle il più lontano possibile. Il contatto fisico non l’aveva mai attratta molto. Rin non l’aveva pensata allo stesso modo passando più di mezz’ora a fare il solletico alla mora fino a quando questa non si era difesa a calci pugni e cuscinate, ed era cominciata la battaglia. Interrotta dalla colonna sonora di un film Horror che aveva attirato tutta l’attenzione dell’Uchiha rendendola assolutamente insensibile a qualunque sprone, tanto che la compagna si era rassegnata ad accucciarsi in un angolo del divano e a fissare inorridita la TV da dietro il cuscino che teneva stretto tra le ginocchia. Ed era stato proprio mentre uno zombie spuntava dal nulla dietro il protagonista che Obito aveva avuto la brillante idea di suonare al campanello facendo urlare Rin e lasciando impassibile Kioko del tutto affascinata dagli spargimenti di sangue.
Come andò a finire? Obito rise per come era vestita Kioko e le prese, e di brutto. Poi saccheggiò la scorta di cioccolato di Rin, con sommo piacere della falchessa. Quindi le prese anche da Rin. Per il resto riuscirono a finire il film. Solo che quando la mora spense la TV trovò i due compagni, che, tanto per precisare, urlavano a squarciagola solo due minuti prima, addormentati in un angolo del divano. Rin accoccolata tra le ganbe di Obito aveva lasciato andare indietro il capo sulla sua spalla e lui poggiava la gancia contro i capelli soffici di lei avvolgendole la vita con un braccio in un movimento chissà quanto involontario e chissà quanto condizionato dal sonno.
E poi lui non le piaceva.
Sbuffò ben decisa a riordinare tutta la casa prima del ritorno dei genitori di Rin. Era appena l’una di notte e aveva ancora tempo, questo secondo i suoi canoni ovviamente. Più o meno riuscì a far sparire la parvenza di porcile richiudendo la maggior parte della roba dentro le ante della dispensa, gettandola via, nascondendola nel lavandino e sotto il divano. Poi raccolse una coperta e ci avvolse i due piccioncini tentando di figurarsi mentalmente la scena del loro risveglio,  che probabilmente sarebbe stato dettato dalle esclamazioni di stupore dei genitori. Salì al piano di sopra Kioko, recuperò i suoi vestiti e scarabocchiò sull’angolo di una pergamena un grazie smozzicato. Ripiegò l’abitino bianco con un’implicita allegria nel vederlo finalmente adagiato sul letto e non più addosso a lei. Dopodichè saltò dalla finestra. (L’aprì stavolta, niente vetri rotti) Volò sull’albero più vicino e poi esaminò con cura le proprie ali. Le tese leggermente in avanti e si accorse che erano molto più concrete della prima volta. Parevano ali vere. Le piume argentee rilucevano appena mandando bagliori, neanche fossero fatte davvero di metallo. Le sfiorò con le dita ed un senso di piacere le si propagò per tutto il corpo. Ripiegò un braccio dietro la schiena, ne esaminò l’attaccatura. Non erano qualcosa di immateriale! Le avevano stracciato il kimono e le reti sul retro lasciando una specie di V rovesciata. Erano attaccate come un braccio o una gamba qualsiasi. Facevano parte di lei. Con l’improvviso terrore che quelle due cose, per quanto utili, non si staccassero più da lì, La ragazza si concentrò con tutta se stessa per farle sparire. Pochi secondi dopo non c’erano più. Sospirò di sollievo. Avrebbe attirato troppo l’attenzione girare con un paio d’ali sulla schiena in una grottesca imitazione di un angelo.
Un demone.
Strano quanto spesso queste due definizioni vadano a braccetto.
Si addormentò lì la “possente” Kioko, su un ramo di un albero nemmeno troppo alto, come un uccello qualsiasi. Un pennuto caduto dal nido che non sa più come tornarvi.
   
 
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