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Autore: Many8    01/03/2011    8 recensioni
Bella afflitta da un trauma che ha segnato il suo presente e il suo passato,cercherà di dimenticare quest'ultimo, ma si sa dimenticare è difficile se quasi impossibile; un Edward umano, conoscerà la nostra protagonista e... Riuscirà il nostro invincibile supereroe a cambiare almeno il futuro della nostra piccola e dolce Bella? AH- OOC- raiting ARANCIONE.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Grazie per la risposta dell'ultimo capitolo; ringrazio coloro che hanno recensito, grazie, grazie, grazie.

Scusate per il ritardo, ma è ben ripagato dal capitolo più lungo di tutta la FF (o almeno credo).

Buona lettura.
Bella.
Camminavamo lentamente verso il mio monolocale, mano nella mano, alcune volte Edward mi diceva qualcosa all'orecchio, mi parlava, ed io facevo lo stesso solo per sentilo parlare. Il suo tono riusciva a rilassarmi, ero curiosa di sapere, allo stesso tempo, ciò che mi dicesse.
Ed era una prova, era lì, accanto a me. Nessuno poteva dividerci, ormai.
Quando arrivammo a casa, mi osservò mentre prendevo tutta la mia roba, poggiato allo stipite della porta, ogni tanto mi porgeva qualche domanda, e seguiva una mia risposta.
Mi fece ridere quando entrai in bagno, mi seguì (sembrava un'ombra) e fece una smorfia costatando il colore della stanza, sentì un sussurro, lo tradussi con un "Troppo rosa".
"Quindi i tuoi genitori sanno che tornerai a Seattle?" domandò, mentre tornavo dalla cucina nella mia camera, dove sul letto c'era la valigia. Era quasi piena, non avevo tolto quasi nulla da dentro se non le cose che mi sarebbe servite maggiormente.
"Sì," risposi, deponendo lo spazzolino nella tasca posteriore."Ma sanno che torno a Forks, non a Seattle. Diciamo che te non ti avevo messo in conto." abbozzai un sorriso.
Mi imitò. "E quando glielo dirai che torni a Seattle?" chiese retorico.
"Perchè torno a Seattle?" risposi con una domanda, ironizzando.
"Mhm-mhm," iniziò, i suoi occhi brillavano."Credo di sì." Si avvicinò a me, mi girai di spalle, abbassandomi sulla valigia. Mi cinse i fianchi da dietro, avvicinando il suo bacino al mio, mi alzai, facendo aderire anche i nostri busti.
Ogni suo tocco mi emozionava, sentivo il cuore battere, il sangue defluire alle guance, le mani tremare.
Girai il viso verso il suo, sfiorando con il naso il suo volto. Inspirai il suo profumo, dolce, dolcissimo. Mi era mancato. Ogni sua piccola parte, le sue parole, i suoi gesti. Sentilo parlare e parlargli. Mi era mancato il suo profumo, immegermi nella profondità dei suoi occhi.
Mi erano mancati i suoi baci. E cercavamo, in quel momento, di recuperare i mesi perduti, quelli lontani.
Mi baciò una tempia, e pian piano scese verso la guacia, e poi infine sulle labbra; dove indulgiò più tempo.
"E tu," mi fermai per riprendere fiato. "Tu sei felice che venga con te?"
I suoi occhi brillarono ancor di più, non servivano delle risposte, erano superflue.
"Non potrei essere più felice e soddisfatto di così." sussurrò, stringendomi più forte.
"Andiamo?" dissi, staccandomi da lui e chiudendo la valigia.
Annuì, prendendo metà dei miei bagagli (mi lasciò portare soltanto quelli più leggeri).
Prendemmo un taxi, per raggiungere l'albergo in cui alloggiava Edward.
Quando un facchino ci aiutò a portare tutti i bagagli nella hall (inutile dire quanto fosse magnifico l'hotel), Edward si rivolse a me.
"Bella, non sono qui da solo,"iniziò.
Lo fulminai con lo sguardo, e sicuramente si vide sul mio volto un'espressionedi terrore.
"Calmati, e respira," mi disse, accarezzando un braccio per tutta la sua lunghezza. "Respira con me," continuò, mostrandomi come fare. Non mi ero accorta di essere andata in iperventilazione, sentivo i singhiozzi che stavno per perforare il petto. "E' soltanto mio padre, calmati." terminò, stringendomi al suo petto.
"E' soltanto mio padre, calmati." ripetè al mio orecchio.
Mi vergognavo la mia reazione era stata eccessiva, e mi vergognavo che tutti ci guardassero nel grande ingresso.
"Sc-" mi schiarì la voce, allontanandomi da lui. "Scusami," mi sistemai una ciocca ribelle dietro ad uno orecchio. "Non volevo, sono stata troppo drammatica."
"Bella," disse, prendendo la mia mano tra le sue. "Non devi scusarti per nulla al mondo con me, capito?!" le sue mani calde riuscirono a riscaldare anche la mia. "E' comprensibile, avrei dovuto dirtelo con meno mistero." Annì al contempo.
Sorrisi, attenuando l'aria creatasi. Successivamente mi cinse le spalle e ci dirigemmo verso il bancone.
"Una camera matrimoniale." disse, il suo braccio lasciò le mie spalle, prendendo il suo portafogli da dove estresse la carta d'identità ed una carta di credito. In quel momento
lo fermai.

"Edw-" non mi lasciò terminare il suo nome, che mi guardò zittendomi. Cercai di prendere fiato e ricominciare, ma non uscì nulla dalle mie labbra.
La signorina dietro il bancone con un accento tipico messicano, ci augurò una buona permanenza, con un sorrido a trentadue denti.
Usufruimmo dell'ascensore per raggiungere il quarto piano, durante il quale chiesi spiegazioni.
"Edward, non voglio che tu mi paghi il soggiorno qui. Se l'avessi saputo sarei rimasta nel monolocale, e ci saremmo rivisti domani." ero arrabbiata.
"Bella," disse, calmo. Io camminavo per l'ascensore (per quanto piccolo), lui invece era poggiato ad una delle pareti, con le braccia conserte al petto. Non mi girai verso di
lui quando mi chiamò. "Non ne fare un dramma." cantilenò.

"No, Edward." dissi, fermandomi e rivolgendo lo sguardo a lui. "Non posso dipendere da te!" Sbraitai.
"Ne riparliamo dopo." concluse, sempre con una calma eccezionale, un "din" ci avvisò che eravamo arrivati a destinazione.
Uscimmo dalla scatola metallica, arrivando alla stanza trecentododici. Con una carta magnetica, Edward aprì la porta. La stanza era bellissima. Il letto matrimoniale era rotondo, spaziosissimo, il colore dominante era il bianco e il beige.
Mi sedetti con il broncio sul letto, incrociando braccia e gambe.
"Adesso ne possiamo parlare, no?" chiesi, guardandolo. Era davanti a me, impiedi.
"Non farne un dramma, Bella," scrollò le spalle, posando i suoi documenti su un mobiletto. "Non ce n'è bisogno. Non sprecare tutte queste forze per una cosa da nulla."
"Non è da nulla! È questione di principi."
"Non credo." parlò e si diresse verso una porta, che molto probabilmente portava al bagno. "E poi non mi hai ancora detto cosa pensi."
Alzò il tono di voce, così che io potessi sentirlo dall'altra stanza.
Feci lo stesso anche io. "Di cosa?"
La rabbia non era ancora sbollentata.
"Di quello che ho detto prima."
Guardai in direzione della porta, aspettando che ritornasse.
Pensai a quello che mi aveva detto nella hall; di quando avevo temuto di cadere nel panico, e poi mi venne in mente. C'era suo padre, a quel pensiero rabbrividì.
Quando mi destai dai miei pensieri mi fissava.
"Mhm-mhm-" non sapevo che dire.
"Ti va di conoscerlo?" chiese.
Feci un bel respiro profondo, e con le guance in fiamme annuì. Prima o poi l'avrei dovuto conoscere.
Il suo sguardo incerto, si ravvivò, e non potè reprimere un sorriso.
Si avvicinò a me, sedendosi al mio fianco. Le sue emozioni si potevano leggere sul viso.
Era entusiasta, felice, euforico.
Mi abbracciò e cademmo sul letto, la mia testa era sul suo petto, quasi nell'incavo del collo.
"Guarda che io ancora non ti ho perdonato." dissi, intrufolandomi nello spazzio tra il letto e il suo busto, per non farmi vedere.
Cercò in ogni modo di trovare le mie labbra, e quando fece per lasciarmi mi strinsi a lui, avventandomi sulle sue labbra. Il bacio fu intenso. Le sue labbra erano morbide, e
dolci.

"Mi sei mancata." ripetè.
"Anche tu, tantissimo." Cercai il mio posto tra le sue braccia, che sembravano fatte apposta per me.
"Sembravo morto," iniziò a dire. "Tutti si sono accorti del cambiamento, ho raccontato tutto ad Esme e Carlisle, e mi sono sentito meglio, sai," incominciò a raccontare, era tardi, e cercai di nascondere uno sbadiglio.
"Ho parlato prima con Carlisle di tutto, di te, del nostro rapporto." il mio cuore iniziò a battere. Aveva detto a suo padre anche del mio passato?
Si accorse della mia agitazione dagli occhi, e mi rassicurò.
"Non ho detto nulla di ciò che ti è accaduto, nè di Jacob, nè altro," feci un cenno positivo e continuò.
"Mi ha dato dei consigli, che non ho saputo accettare e seguire. I miei amici hanno fatto tutto, tutti si sono messi in moto per aiutarmi iniziando da Alice, poi Jasper, Emmett ed infine Rosalie. Alice è quella che ha architettato tutto. Lei mi ha passato il telefono una settimana fa; è stata lei ad aiutarmi maggiormente. Credo che le dobbiamo molto."
Annuì, incintandolo a continuare.
"Mi hanno tirato su il morale, mi hanno fatto sorridere qualche volta, e mi hanno parlato delle cose che avrei dovuto fare anche se tu eri inrecuperabile. Dicevano che avrei dovuto provare a parlati, magari telefonarti. Alice mi ha dato il tuo numero di cellulare," mi carezzò le spalle, dolcemente, quel movimento non faceva altro che invogliarmi nel mondo dei sogni, ma la curiosità di sapere cosa avesse da dire mi faceva tener ben aperti gli occhi. "mi ha detto lei che tu eri a Chicago, che eri partita con Jacob. Era la conferma di quello che mi avevano detto i tuoi genitori. Ho trattato male tutti all'inizio, mi chiedevano in continuazione cosa avessi, se stessi bene; avevo bisogno di pensare continuamente, e loro non facevano altro che disturbarmi. Poi sono scoppiato prima con Carlisle; la prima persona con cui potevo parlare, ricevere consigli che mi potessero servire. Poi a mia madre. Alice ha iniziato a ricostruire da sé tutto, io non le ho detto nulla. E poi l'ha detto agli altri," riprese fiato, la sua mano si era spostata sul braccio. "In tua assenza mi sono sentito vuoto, inutile, quasi depresso. Anzi, ero depresso. Credo che i pazienti in reparto mi scansassero, non volevano che una specie di zombie li curasse. Mi sentivo come quando una persona muore, come quando morirono i miei genitori, completamente estraniato dal mondo, solo." Lo guardai negli occhi, che erano persi nel vuoto. Gli baciai la mascella, e si riprese dal suo stato di trans. Ricominciò a parlare. "Credo di doverti continuare a raccontare la mia storia, ti ho riassunto troppo velocemente la mia adozione, e ho saltato dei pezzi importanti."
Io annuì, portandomi più vicino a lui, sentivo il suo profumo, il suo alito fresco mi accarezzava il volto, anche se non potevamo guardarci negli occhi.
Mi riparai meglio nell'incavo del suo collo per paura che le lacrime, la sofferenza che il suo racconto avrebbe scatenato potessero notarsi, non volevo che si vergognasse o pentisse si raccontarmi il suo passato, d'altronde c'ero passata anche io. E non era una situazione piacevole.
"Inizio dal mio arrivo in ospedale, non sei stanca? Ti lascio dormire, continuiamo questa conversazione in un altro momento."
"No, Edward," dissi, schioccandogli un bacio sul collo. "Continua, voglio sapere, e poi non sono stanca."
Lo sentì anniure, e prendere un altro bel respiro profondo.
"Quando arrivai in ospedale, ero sotto shock, non parlavo, non riuscivo a badare a me stesso, come un bambino della mia età poteva benissimo fare; c'era sempre qualcuno vicino a me, infermiere, dottori, ho conosciuto moltissimi psicologi, cambiavano di giorno in giorno; non ricordo molto, molte cose stanno tornando col tempo, ma è sempre più difficile ricordare, la mia mente ha cancellato tanti ricordi, purtroppo. Coloro che, maggiormente mi assistevano erano due persone: Carlisle ed Esme. Inizilmente solo lui, appena aveva un minuto libero veniva da me, passavamo interi pomeriggi a parlare, o meglio, lui parlava, io ascoltavo passivamente."
"Come me..." lo interruppi.
"Cosa?" ripetè. La sua mano dal braccio si era spostata nuovamente sulla schiena.
"Carlisle veniva da te appena un minuto libero, proprio come tu facevi con me."
"Sì, proprio come me," lo sentì ridere, e la sua mano toccò la pelle scoperta, dalla maglia, della schina. Si fermò lì; la sua mano era grande e calda, feci di tutto per non irrigidirmi, anche se sapevo che il tocco era quello di Edward, che lui non mi avrebbe fatto del male, il mio incoscio mi sussurrava di allontanarmi. Era una cosa, del tutto involontaria, ed era più forte di tutto, riusciva a sovrastare la ragione, ed il cuore.
"Continua," lo incitai. Con il suo racconto incominciò anche un movimento rotatorio sulla zona lombare della schiena, da parte della sua mano sotto la maglia.
"Poi dopo un pò, non ricordo quanto, vidi una faccia nuova, non indossava un camice Era Esme. È con lei che sono riuscito a parlare per la prima volta, a lei ho chiesto di leggermi una nuova storia, mi comprò un libro, una raccolta di storielle per bambini; me ne leggeva almeno un paio ogni volta che mi veniva a trovare, e veniva molto spesso.
Quando ricominciai a sfamarmi da me, senza l'aiuto di nessuno, né tanto meno delle flebo, e quando incominciarono a vedere dei miei miglioramenti, mi dimisero." La sua mano scendeva e saliva sotto la stoffa, sulla schiena, creando mille brividi. "Visto che nessuno poteva ospitarmi, dei miei parenti; mi accolsero con loro Carlisle ed Esme. Anche a casa loro era molto difficile. Ogni notte sognavo sempre la stessa cosa, sempre la stessa scena; mi svegliavo nel cuore della notte, nelle braccia di Esme, mi cullava e rasserenava. Poi ho iniziato ad assumere farmaci, per dormire meglio, e senza incubi. È servito abbastanza, per un periodo di tempo non sognavo più, riuscivo a dormire per più di sette pre senza mai svegliarmi. Adattarsi ad una nuova vita è stato difficile. Ero abituato in tutt'altro modo, e trovarmi improvvisamente con dei perfetti socnosciuti è riusultato un mutamento notevole."

Le lacrime agli occhi c'erano. Si erano annidate agli angoli, pronte a sgorgare fuori.
"Intanto quattro volte alla settimana andavo da uno psicologo, che mi ha aiutato a rielaborare il tutto, mi ha aiutato a stare meglio e togliermi un pò del macigno che sentivo sulle spalle. Una buona parte l'hanno tolta i miei genitori adottivi, ed altra invece la stai eliminando tu," disse, prendendo il mio mento e portando i miei occhi nei suoi. Mi sorrise, ed io, malgrado ancora le lacrime agli occhi, cercai di ricambiare.
La sua mano sulla mia schiena si fermò, spingendo il mio corpo verso il suo, ed iniziando a baciarmi. Quel bacio era tormentato, sentivo le sue labbra sulle mie frettolose, sentivo quasi le sue stesse emozioni quesi come se fossimo in simbiosi. Quando si allontanò da me, poggiai la mia testa sul suo petto. Nel silenzio della stanza sentivo il suo cuore battere velocemente, quasi quanto il mio.
"Malgrado volessi tantissimo bene a quelle due persone che mi stavano salvando," sentivo le parole rimbombare nel suo sterno, "Non riuscivo a parlare davvero con loro delle mie emozioni, e di me in generale. Sentivo sempre un blocco verso gli altri, mi sentivo un intruso nelle loro vite. Riuscivo a far diventare una delle poche giornate migliori che trascorravamo, in giornate da schifo, soltanto per colpa mia. Li facevo sempre stare in pensiero, avevo undici-dodici anni e potevo girovagare per il quartiere, senza
allontanarmi troppo, facevo così, rispettavo gli orari di rietro, e penso che loro sostenessero che giocassi con altri ragazzini del quartiere. Ma non era così. Rimanevo la maggior parte del tempo in disparte, c'erano altri ragazzini, ma erano troppo grandi, e preferivo restare in solitudine che fare marachelle con loro. Pensavo che sarebbe stato meglio restare da solo, che unirmi e fare amicizia con altri. E così, in uno dei tanti giri nel quartiere che entrai per la prima volta in una biblioteca."

I miei occhi cercavano di chiudersi, ma grazie alla mia forza di volontà riuscì a tenerli aperti. Ero stanchissima, non dormivo da più di ventiquattr'ore e potevo resistere solo altri pochi minuti.
"Salì la prima volta sul terrazzo con un libro fra le mani, e restai lì a leggere per due ore, finchè non si fece l'ora di rotornare a casa." Mi massaggiava le spalle, e quel movimento non faceva altro che invogliare il sonno ad arrivare.
"Sono stato tantissimo tempo su quel terrazzo; e mi piaceva starci-"
"Ma perchè? Intendo, ci deve essere un motivo, no?!" domandai, interromepndolo nuovamente.
"Tu perchè ci sei andata? Cosa ti ha spinto a salirci?" rispose con un'altra domanda.
Ci pensai qualche minuto, per poi rispondere:"Mi faceva sentire più vicino a te, mi piaceva poter pensare che in quel posto c'eri stato anche tu, mi sentivo nei tuoi ricordi, era come se già conoscessi da un pezzo quel posto e che non fosse nuovo, nemmeno la prima volta che ci sono stata."
"Per me, è quasi uguale. Mi sentivo a stretto contatto con i miei genitori, come se l'altezza li rendesse più vicini. Mi sentivo un bambino normale, lì su. Come se apettassi ch ei miei genitori rinascessero, e tornassero da me. Pensavo che avremmo potuto ricominciare la nostra vita. Erano solo fantasie di un bambino." Lo guardai negli occhi, intrecciando le mie mano con le sue.
"Credo che sia normalissimo per un bambino fare questi pensieri. Avevi solo dieci anni, hai avuto esperienze che nessuno in una vita potrebbe mai immaginare. Non è una cosa da nulla," cercai di giustificare, qualcosa che non c'era. Ma ne sentivo il bisogno, solamento per tranquillizzarlo. Il suo tono di voce si faceva sempre più sofferente, più tormentato.
"No, nessun bambino dovrebbe passare ciò che ho subito io, nessuno." sospirò, e con lui anche io. "Ti racconto la fine, così che tu possa addormentarti, è tardi," disse,
contornando le mie occhiaie, sicuramente più che livide. Sentivo il corpo sospeso in aria, quasi non sentivo gli arti, e la mente era offuscata dalla stanchezza. Gli sorrisi, diffondendo calore. "Passarono mesi e continuavo ad andare lì sopra, Esme e Carlisle continuavano a chiedermi cosa ci facessi, ma io non gli rispondevo. Hanno vissuto con me, tantissime menzogne e ansie. Quando poi gliene parlai mi ascoltarono in silenzio. Eravamo a tavola, ed io non ce la facevo più a sostenere un silenzio ogni volta che ci fossi io. Gli spiegai che sul terrazzo leggevo e sognavo tanto. Gli raccontai delle mie emozioni, come sto facendo adesso con te, da quel giorno il nostro rapporto cambiò, anche se non gli ho mai raccontato tanto della mia vita, ero sempre molto timido e discreto. E non volevo che si scocciassero di me, che diventassi un peso. Adesso solamente so che per loro non sarei mai diventato un peso. E cerco, cercherò di recuperare tutto il tempo perduto, loro sono i miei genitori. E lo resteranno, spero, per altro tantissimo tempo." concluse.

Mi portai alla sua altezza, la mia fronte toccava la sua, e le nostre mani, ancora intrecciate erano vicino alla mia pancia.
"Non sai quanto mi faccia piacere conoscere la tua storia, anche se è molto triste, mi fa piacere che tu mi abbia reso partecipe del tuo passat-" venni interrotta da un suo bacio, si avventò sulle mie labbra con veemenza, lasciando una delle mie mani e riportandola sotto la mia maglia, accarezzava i fianchi, la schiena, fino ad arrivare, lentamente, alla pancia. Le sue mani erano ai confini tra i pantaloni e le pelle scoperta, e non osò varcarli. Accarezzò lentamente la mia pancia, creando forme inesistenti, e contemporaneamente mi baciava. Fu quello a restituirmi un pò di lucidità.
Ci fermammo ansanti, entrambi. Ma le carezze non cessarono.
"Hai fatto anche tu lo stesso con me, mi hai reso partecipe del tuo passato, e dei tuoi ricordi, malgrado tu ne soffra ancor di più." disse, spostando la sua fronte sulla mia e chiudendo gli occhi. L'osservai, il suo viso aveva tratti dolci, ma allo stesso tempo spigolosi come quelli di un uomo. La sua pelle era liscia, perfetta. Le sue labbra rosse, che solo a guardarle ti facevano venir voglia di baciarle.
Non riuscì a soffocare l'ennesimo sbadiglio, e Edward se ne accorse.
Aprì immeditamente gli occhi, e la mano sulla mia pancia si fermò.
"Scusa..." farfugliai, arrossendo.
"No," la sua mano lasciò la mia pelle, e la portò sul volto. "devo lasciarti, sei stanchissima."
"N-n- non rimani qui?" riuscì infine a dire.
"Mio padre si starà chiedendo di me, è tardissimo, Bella."
Non nascosi la mia espressione delusa. Si sedette sul letto, sostenendosi con le braccia.
"Anche a me dispiace, ma devo andare, si starà chidendo di me." continuò. "Ci vediamo domani mattina," e mi sorrise, rassicurandomi.
Non mettevo in dubbio la sua parola, ma avrei preferito che stesse tutta la notte con me.
"Non puoi chiamare tuo padre e dire che lo raggiungi domani?" chiesi, speranzosa.
"E' a due stanze da qui." disse, indicando la porta.
"Davvero?" domandai, ed un altro sbadiglio mi colpì.
"Sì, ci vediamo domattina, Bella. Buonanotte." si avvicinò, bacinaodmi le labbra.
"Domani," iniziò a dire, con gli occhi illuminati da una strana luce. "Domani te lo farò conoscere." e terminò con un sorriso.
Annuì, non del tutto sicura.
"Ci vediamo doma-" e l'ennesimo sbadiglio fece allargare la mia bocca smisuratamente. "-ni." conclusi la parola.
"Se vuoi, però, posso aspettare che tu dorma, non ci vorrà molto." parlò, avvicinandosi e facendo per stendersi di nuovo al mio fianco.
"No, hai ragione, primo tuo padre si sarà preoccupato a morte, secondo non ci metterò molto ad addormentarmi..." lasciai la frase in sospeso, mi mandò un'occhiataccia,
scrollando le spalle.

"Dai, vai." lo incitai; mi inginocchiai sul letto aggiustando il colletto della camicia, e baciandogli il naso, poi feci forza (la poca forza che mi era rimasta) e riuscì a farlo alzare dal letto. Con lui anche io. Lo accompagnai alla porta, dove ci baciammo ancora per un'ultima volta. Eravamo avidi l'uno della l'altra.
"Ci vediamo domani," sussurrò tra un bacio ed un altro. "Anzi, più tardi."
Annuì, aprendogli la porta e facendolo uscire. Se fosse stato per lui saremmo restati tutta la notte a baciarci sulla soglia della porta.
E di certo, non mi dava per nulla fastidio.
Lo vidi allontanarsi qualche passo, prendere dalla tasca una carta, come quella della mia camera e ne aprì un'altra, quella in cui alloggiava con il padre.
Chiudi la porta prima io, accertandomi che fosse chiusa per bene, e mi diressi verso il letto, dove mi buttai a peso morto, su. Riuscì ad arrivare ai cuscini, e appoggiare la
testa su, che ancora vestita persi i sensi in pochi minuti, entrando nel mondo dei sogni e respirando l'odore di Edward impresso sui cuscini.

"Bella?" ero nel dormiveglia quando qualcuno mi chiamò, non volevo svegliarmi, avrei voluto continuare a dormire serenamente.
"Bella?" ripetè la voce, era dolce, cristallina.
"Mhm-mhm" mugugnai.
"Svegliati." riconobbi che la voce fosse quella di Edward.
Aprì lentamente gli occhi, e trovai quelli verdi intensi di Edward osservarmi.
"Sono stanca" riuscì a dire con la voce impastata dal sonno. Richiusi gli occhi.
"Non fare la bambina, sono le dieci del mattino."Tra meno di sei ore abbiamo l'aereo."
"Appunto,"dissi, senza muovermi, sempre con gli occhi chiusi e cercando, invano, che il sonno non si allontanasse. "Fammi dormire ancora un pò."
Iniziò a baciarmi il collo, per poi passare alle guance, e alle tempie.
"Guastafeste." mormorai tra un bacio e l'altro. Finalmente mi degnai di aprire gli occhi, mi stiracchiai, e Edward si allontanò da me sorridendo.
"Devo scendere a tali compromessi per farti svegliare?"
"Mhm... sì." e gli feci una linguaccia. "Vado in bagno, torno subito." dissi, alzandomi velocemente dal letto e andando verso il bagno. Prima che varcassi la soglia del bagno
mi accorsi di un vassoio sul comodino del mio letto. Mi fermai di botto, girandomi verso Edward.

"Cos'è?" chiesi, indicandolo.
"Ti ho portato la colanzione come facevo in ospedale."
Sorrisi, e sussurrai: "Torno subito."
Mi lavai velocemente la faccia ed i denti, senza soffermaimi sui miei capelli aggrovigliati in un unico nodo. Quando uscì Edward aveva "apparecchiato" il letto, aveva messo il
vassoio delle piccole ciambelline piene di zucchero e cioccolato su, e poi c'erano due bevande calde fumanti, che riconobbi essere un caffé lungo e una cioccolata.

Era tanto che non mangiavo e mi si fece l'acquolina in bocca.
"Vieni a mangiare, presto. Prima che si freddi il tutto." disse, era seduto sul letto, con una gamba a penzoloni e l'altra che toccava terra. Feci come mi aveva detto e corsi verso il letto, adagiandomi lentamente per non far cadere le bevande.
"Mangia." ordinò. "Ti piacciono vero, le ciambelle?" chiese.
"Sì, sono troppo golosa." mi giustificai. Presi una ciambella, e dando un morso. Vidi che lui non le toccava, ma sorseggiava solamente il suo caffé.
"Tu non le prendi?" domandai.
"No, grazie."
"E credi che io mangi tutto questo?" feci segno al vassoio.
Annuì con disinvolutura. Aggiungendo: "Sei dimagrita, e tanto, quindi devi rimettere su qualche chilogrammo."
" Non è vero!" riuscì a dire con la bocca piena.
Alzò un sopracciglio.
"Ok, qualche chilo... " dissi, infine.
"Mangia." ripetè.
Non avevo voglia di controbbattere e la fame era talmente elevata che non me lo feci ripetere due volte.

"Vuoi chiamre i tuoi genitori?" chiese, avvicinandosi a me.
Ero riuscita a cambiarmi, dopo aver mangiato tutta la colazione che mi aveva portato Edward; pensandoci bene non era poi così tanto. Avevo legato i capelli in una coda alta, riuscendo a mascherare il disastro.
"Sì, grazie." dissi, prendendo dalle sue mani il cellulare. Edward si sedette sulla poltrona davanti alla tv spulciando un rivista, mentre io seduta a cavalcioni sul letto digitai il numero del cellulare di mia madre.
Rispose dopo un'infinità di tempo.
"Mamma?"
"Ehy, Bella! Come va?" chiese. Era particolarmente entusiasta.
"Tutt bene?" domandai a mia volta.
"Sì, sì. A te, invece?"
"Tutto bene, mamma," meditai sull'opzione dire la verità, o mentire. Ed infine decisi che inizialmente, o almeno per la prima settimana avrei potuto dirle qualcos'altro che non fosse la verità. "Ti ho chiamata per dirti che parto per Seattle, ma non torno a Forks."
"Ma quando?" disse, confusa. Dopo averle detto che in qualunque caso sarei tornata a Forks era normale che fosse confusa.
"Tra poche ore." risposi.
"E perchè? "
"Ho da fare a Seattle. Ma verrò a trovarti, tra una settimana o due." annunciai.
"Va bene, non ti chiedo nulla, Bella, perchè so che tu me lo avresti già detto senza che io ti domandassi nulla, ma sei sicura? Posso stare tranquilla qui a casa?"
"Sì, puoi stare tranquilla, mamma. Tra una settimana o due, come già ti ho detto verrò da te e da papà. Non c'è nulla di cui preoccuparsi."
"Mi fido."
"Quindi a presto, mamma."
"A presto." disse, sospirando per poi riattaccare.
Passai il cellulare a Edward, che mi aiutò a chiudere nuovamente la valigia, dalla quale avevo preso alcuni vestiti.
"E adesso?" chiesi.
"Adesso," disse, guardando l'orologio. "E' tempo delle presentazioni."
Il mio cuore battè a mille.
Deglutì a fatica, cercando di nascondere la mia paura.
E se non mi avessero accettato? Loro erano persone colte, e se avessero saputo che ero stata in una clinica di salute mentale? Mi avrebbero voluto lo stesso al fianco del
proprio figlio?

"Sei sbiancata." disse, Edward avvicinandosi a me. "Stai bene?" chiese, sostenendomi per le braccia. Forse ero talmente bianca da farlo preoccupare.
"Sì, sto bene," deglutì un'altra volta, più facilmente. "E se non dovessi piacere?" domandai.
"Una reazione del genere per una semplice presentazione?" chiese.
Annuì energicamente, tanto che il viso di Edward mi sembrò sfocato.
"Non preoccuparti, vedrai che andrà tutto bene."
Speriamo, pensai.
Prendemmo le mie cose, e lasciammo definitivamente la stanza. Ci dirigemmo nella hall, e nel tragitto chiesi un paio di cose a Edward.
"Tuo padre sa che sono qui con te?"
"Sì, lo sa. Glielo ho detto ieri sera, quando sono rietrato." disse, tranquillizzandomi.
Feci un bel respiro profondo, almeno la prima cosa era andata.
"Già gli hai parlato di me, giusto?"
"Sì, ho già parlato di te, con loro." cantilenò.
"Ma sei sicuro?" chiesi per la centesima volta, sempre più titubante.
"Sicurissimo." disse, cingendomi le spalle con il suo braccio.
Arrivammo nella hall, era abbastanza deserta, tranne che per un'angolo dove c'era una persona. Era alto, più o meno quanto Edward, capelli biondi con qualche striatura bianca, ma quasi indistinguibile e occhi di uno straordinario azzurro cielo.
Sorrisi mentre ci avvicinavamo mano nella mano (avevo preferito così, invece che con il braccio di Edward a cingermi le spalle), e il padre di Edward fece lo stesso.
Oltrepassammo un divano, e ci trovammo davanti a Carlisle, o meglio il signor Cullen.
"Papà, lei è Bella. Bella, lui è mio padre." il mio cuore galoppava a mille, come quando sei di fronte alla commissione per un esame, se non di più.
Sicuramente le mie guance si erano tinte di rosso.
Gli porsi la mano, e lui la strinse, la sua mano calda entrò in contatto con la mia fredda e quasi sudaticcia per la tensione.
"E' un piacere conoscerti, Bella." disse.
"Anche per me è un piacere." risposi sorridendo.
"Allora, fatte le presentazioni, andiamo?" chiese Edward, cingendomi la vita.
"Certo, andiamo, i bagagli sono già partiti per l'aeroporto." ci informò, Edward annuì, e mi trascinò un pò più distante da Carlisle, prima di sussurrarmi all'orecchio:
"Vedi, è andata tutto bene, cosa temevi?"
Nel petto sentì crescere un'emozione che era mancata per un pò, troppo, tempo: la felicità.

I vostri genitori/amici/fidanzati hanno mai scoperto la verità dopo aver detto una bugia?

Quanto mi mancavano i capitoli mielosi!

   
 
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