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Autore: Marguerite Tyreen    04/03/2011    1 recensioni
Dublino, 1919.
Prima di fuggire da se stesso e dalla colpa che gli ha sconvolto l’esistenza, Liam aveva un ideale: l’indipendenza della sua Irlanda.
Aveva un amico fraterno, Shannon, da quando erano bambini.
E aveva Aisling, bella, volubile e orgogliosa. Aisling che li amava entrambi.
Aisling, talmente lontana, ora, da sembrare un sogno.
Adesso del suo passato non gli resta più nulla, se non il ricordo.
Qualche antico ricordo irlandese…
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricordi d'Irlanda' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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 Cuimhnì na Eirinn
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 Ok, con questo capitolo finiamo il momento di transizione, che si è preso più spazio del previsto. Dal prossimo riprendono i colpi di scena, abbiate pazienza. Spero apprezzerete comunque.
Visto che ormai vi ho annoiato all’inizio, ne approfitto per ringraziarvi ora, così non interrompo più. Un bacione, vostra
Marguerite



 
Capitolo IX: Hearts in the Tempest 

 

 
- Questo ti sembra un articolo da scrivere, Shan?
L’aveva convocato nel suo studio, deciso a far valere le ragioni del direttore editoriale su quelle del padre. Frank Donovan camminava nervosamente nella stanza, con in mano il giornale della sera, dove, nella pagina della cultura, troneggiavano le tre colonne scritte dal figlio.
Parlava del risveglio di Erin, lui, ad ogni costo, anche a quello del sacrificio più alto.
Inoltre, incurante delle autorità britanniche, difendeva strenuamente il tentativo di insurrezione della Pasqua dell’anno precedente, infischiandosene del fatto che equivaleva a dire: coi rivoluzionari c’ero anch’io.
E non si spiegava come diavolo avesse fatto a non passare dalla sua censura, quel pezzo, prima di andare in stampa.
Shannon aveva sempre avuto soggezione di suo padre; ma era una soggezione strana, fatta di orgoglio e di ammirazione, a tal punto da volerne seguire ad ogni costo le orme.
Aveva cercato la sua approvazione fin da bambino e credeva, forse, di averla finalmente trovata.
E invece, ora, con quel suo severo rimprovero più da datore di lavoro, da superiore, che da genitore, temeva di averla perduta.
- E’ un articolo a difesa di Erin.- si giustificò – Nient’altro, solo un tentativo per convincere la gente ad alzare la testa.
- Alzare la testa? Ecco qual è stato il risultato nel ’16: sei giorni di sangue e i carri armati nelle strade!
- E allora continuiamo a subire! Finirà che muoio senza aver visto l’Irlanda libera.
- Finirà che morirai ammazzato, Shan. Che, libera o no, la terra d’Irlanda ti inghiottirà prima del tempo, se continui con questi articoli.
E va bene, il nostro giornale è indipendentista e repubblicano, ma non è una bacheca di annunci per aspiranti suicidi.
Vuoi farti sbattere in galera, forse? Perché con questo – gli sventolò davanti il giornale con una rabbia mista ad inquietudine – con questo è come dire: prendetemi e fucilatemi come quei quattro disgraziati che hanno organizzato l’insurrezione.
Ma come ti salta in mente di non chiedere nemmeno la mia autorizzazione, prima? Io non solo sono tuo padre, sono il tuo direttore ed ho delle responsabilità nei confronti del giornale e dei colleghi.
Certe cose o si fanno bene o non si fanno affatto. E il giornalista è una di quelle.
Mi chiedo dove tu abbia la testa?
Se lo chiedeva anche lui, Shannon stesso, dove avesse la testa.
Certamente perduta ad inseguire Aisling. Era stato un rischio inutile, quello che aveva corso.
Se ne accorgeva anche lui e suo padre aveva ragione.
Così, da solo, propagandare le sue idee davanti a mezza città in un articolo firmato con nome e cognome era stata davvero un’avventatezza. Una di quelle da evitare.
Un conto era far circolare gli articoli nelle riunioni del mercoledì, un altro quello di metterle in piazza senza troppe precauzioni.
Un gesto assurdo, il pericolo di rovinarsi la carriera con nulla, per cosa poi?
Per fare colpo su una donna? No, non poteva essere solo questo.
Era tormentato da quel rimorso, per essersi nascosto dietro il nome di Erin, per una stupida dimostrazione di coraggio.
Il punto era che senza di lei e senza di Liam credeva di aver perduto le sue sicurezze, di dover cercare una strada diversa e l’Irlanda era l’unico appiglio da cui ripartire.
Suo padre era riuscito a mettere le cose a posto, in qualche modo che ancora gli risultava oscuro.
Ma non era quello che contava.
Era continuamente lacerato dai denti aguzzi della gelosia, a tal punto da dover recuperare la stima di se stesso a quel modo.
Assurdo, si disse, veramente assurdo e infantile da parte sua. Tuttavia, sul momento, gli era sembrato giusto così.
 
- Perdonate il ritardo. – aveva detto Liam quel mercoledì sera, entrando nella stanza con un plico di fogli sotto il braccio e una sciarpa grigia attorno al collo – Sono stato trattenuto a scuola.
Mi sono perso molto?
Aveva scaricato il fardello sopra un tavolo con un sospiro di sollievo.
Non credeva che potessero pesare tanto, i compiti dei suoi studenti.
- Niente di che, le solite cose. – Patrik aveva fatto un gesto di insoddisfazione con la mano.
- Meglio così.
- Certo, le solite cose. – era intervenuto qualcun altro – Le solite cose, ma qui nessuno dice che Donovan ha rischiato di farci andare nei casini tutti, col suo bell’articolo celebrativo della rivolta di Pasqua.
- Allora, cosa ne pensi, Murray? – gli aveva fatto eco uno degli altri convenuti.
- So di quell’articolo. Non ho nulla da dire. – aveva commentato Liam, freddamente, per non dare adito ad altre polemiche – E’ stato un rischio, l’ammetto, ma se Shannon ha ritenuto opportuno così…
- Opportuno? Ne va della nostra pelle, Liam!
- L’incidente è chiuso, no? Non è accaduto nulla. – si vedeva lontano un miglio che se doveva davvero sbrigare quella faccenda, l’avrebbe fatto a quattr’occhi con Shan, senza dare spettacolo – Mi sembra quanto meno superfluo continuare a discuterne adesso. E, scusate, se la riunione è conclusa, io tornerei a casa a correggere questi temi.
Li aveva lasciati tutti spiazzati, Shannon in particolare.
Dopo settimane che si guardavano appena e nemmeno si parlavano quasi più, non si aspettava certo che prendesse così le sue difese. Certo, lo conosceva abbastanza bene da sapere che non sarebbe stato tanto meschino da prendere il pretesto al balzo per metterlo in cattiva luce. Avrebbe taciuto, si aspettava, semplicemente come aveva sempre fatto per quel periodo.
Dopotutto, di mezzo c’era soltanto quella stupida gelosia. Avrebbero dovuto metterla da parte e non gettare a mare tutti quegli anni di amicizia che avevano diviso, solo per gli ultimi eventi.
Gli tolse dalle mani il malloppo di fogli: - Aspetta, ti aiuto.
Si sentiva impacciato e non sapeva cosa dire.
- Che cosa sono? – continuò Shannon, tanto per rompere il silenzio.
- Questi? Compiti dei miei alunni.
- Liam, da quando insegni? E perché io non ne so niente?
- Perché non ci parliamo da quasi due mesi, Shan. Comunque sono tre settimane che ho trovato un impiego. Insegno lettere in una scuola elementare. Per il momento sono solo supplenze, ma non mi lamento, visto che mi sono appena laureato.
- Troverai presto qualcosa di più adatto alle tue capacità. Diventerai un grande intellettuale, ne sono sempre stato sicuro.
Gli aveva risposto sorridendo: - Mi piacciono i bambini, mi ricordano com’eravamo. Sono adorabili, davvero, e mi hanno preso in simpatia. Non so se vorrò andarmene, una volta che mi sia stabilito, sai. Forse sarà il preside a cacciarmi. – si chinò verso di lui per dirgli, in un orecchio: - Permetto loro di scrivere in gaelico.
Rise appena. Gli mancava sentirlo ridere. A dire la verità gli mancava proprio, e glielo disse.
- Davvero, Liam. Mi sei mancato. E mi dispiace per come mi sono comportato, dalla gelosia all’indifferenza fino a questo articolo.
- Dispiace anche a me, Shan. Ho passato tutto questo tempo a pensare a come rimediare, a come fare per…
- Tu non devi rimediare proprio a nulla. Semmai sono io a doverti delle scuse. Il problema lo conosci, Liam, e nemmeno io so come risolverlo.
- Aisling. – disse sottovoce.
- Già, Aisling. Le ho parlato, le ho detto cosa provavo per lei, finendo solo per confonderla di più.
Lei stessa non sa come comportarsi, chi scegliere, ammesso che voglia scegliere.
- Me ne ha parlato: le ho detto che doveva comportarsi come il cuore le avesse suggerito. Che io avrei accettato tutto, pur di renderla felice.
- Ma come fai? Come fai a vivere per quello che vogliono gli altri, Liam? Per quello che vuole lei?
Liam scrollò la testa, non se lo spiegava nemmeno lui.
- Non voglio perderti, Liam. Non voglio perderti perché sono geloso di lei.
- Nemmeno io, Shan. Non dopo tutto quello che abbiamo passato insieme. Guardo i miei allievi e mi ricordo di come siamo stati, di quando scrivevamo di nascosto i temi in gaelico, per protesta, durante le ore di inglese. Non mi sembra possibile che tutto questo sia scivolato via senza che ce ne accorgessimo.
- Non è scivolato via del tutto. Non se glielo impediamo.
Liam annuì, pensieroso: - Era bello, allora. Ricordi?
- Non ho nessuna intenzione di vivere nel ricordo. Viviamo adesso. – gli rispose, abbassando lo sguardo.
Solo allora si accorse del claddagh nella destra di Liam. Gli prese la mano per osservarlo meglio.
- E’suo? E’ una cosa seria, allora?
- Meno di quanto tu possa pensare. Quando è con me pensa a te.
- E se fosse insieme a me, sarebbe lo stesso. Mi chiedo se… se è davvero giusta questa situazione. Se davvero possiamo continuare a struggerci e a barcamenarci in questa eterna indecisione quando invece la soluzione migliore sarebbe non mettere vincoli.
- Vincoli?
- Sì, vincoli, limiti di proprietà: questo è mio, quello è tuo... Se Aisling ci ama entrambi, dovrebbe avere il diritto di farlo, no? Senza essere costretta a sottostare a tutte queste convenzioni, non trovi?
- No, per niente. Insomma tu intendi un triangolo sentimentale. Non ci sto, Shan. Ho sempre visto l’amore come qualcosa di esclusivo, come puoi pensare che, così su due piedi, io possa accettare di dividere con te Aisling.
- Intanto bisognerebbe sapere cosa ne pensa lei.
- Ecco, appunto. – ribatté, anche se in cuor suo sapeva che non si sarebbe certo tirata indietro, lei.
Non aveva il coraggio di dirgli che la cosa gli faceva impressione.
- Abbiamo diviso tutto, Shan, ma le donne mai. Non mi va, no, non sono d’accordo. Mi sembrerebbe un amore a metà, capisci? Piuttosto sparisco dalla circolazione, mi tiro fuori da questa storia e vi lascio vivere in pace quello che ne verrà fuori.
- Vuoi fuggire, Liam? Non è la soluzione, questa. Lo sai che lei continuerebbe ad inseguirti, perché a modo suo ci tiene a te. Complicheresti solo le cose.
- Perché, così sono semplici?
- Avanti, Liam, tu sei sempre stato di mentalità aperta… Non ti sto mica chiedendo di venire a letto con me.
- Ci mancherebbe solo questo.
- Sarebbe soltanto non pretendere da Aisling di esserti fedele. Dopotutto, si tratterebbe di me, non di un estraneo, no?
- Non mi sembra un motivo sufficiente per…Senti, Shan, è tardi. Ne riparleremo. Discutine con lei, quando la vedi e dille… Dille che per me l’importante è che sia felice, nient’altro. Mi rimetto alla sua volontà, qualunque essa sia. – gli tolse di mano i fogli e fece per andarsene.
- Liam, solo un momento.
Shannon tacque, prendendo un respiro profondo.
- Sei in collera con me?
- No, per quanto mi riguarda ho già dimenticato.
- Liam, voglio che le cose tra noi tornino come prima. Voglio che questo ti sia chiaro. Facciamo finta che non sia successo nulla, ripartiamo da qui.
- Per me è già così. – gli strinse la mano – Non pensarci. Dimentica, Shan.
- Grazie, vecchio bardo. Is breá liom duit. 1
- Is breá liom duit, mo chara. 2
 
 
Non ricordava esattamente come fosse successo.
Tentava di farsi tornare il momento alla memoria, mentre dava disposizioni alla cuoca per la cena.
Aisling non aveva mai toccato una pentola in vita sua e cominciava a dispiacersene. Innanzitutto perché, in quei momenti di vuoto, non vi era nulla a distrarla dalla noia. Nemmeno la filosofia aveva più valore.
Accese un’altra sigaretta, mentre trasferiva le lettere e tutto il resto sul tavolo del soggiorno, lasciando spazio alla preparazione delle vivande.
- Signora,  i vostri ospiti arriveranno alle diciannove come previsto?
- Sì, sì, come previsto – rispose distratta a Gwendaline che continuava a fissarla con le teglie in mano.
- Allora comincio con gli arrosti?
- Con gli arrosti, certo.
Ma cosa gliene importava a lei degli arrosti, delle cene di suo marito con i suoi amici, tanto presi dalla loro saccente arroganza da non degnare mai di attenzione nemmeno una delle sue parole.
Eppure era stata un’ottima studiosa. Anzi, forse aveva più conoscenze e più diritto lei di aprir bocca su talune faccende che tutti loro messi assieme.
E mai, mai una volta che lui le avesse chiesto: che cosa ne pensi?
- Signora, va tutto bene? – azzardò la ragazza, timidamente.
Dannazione, no, che le cose non andavano bene. Non andavano bene per niente.
Ma nessuno l’avrebbe potuta aiutare, adesso.
- Va tutto bene, Gwendaline. Solo un po’di stanchezza. Passerà.
- Si affatica troppo sui libri, signora.
- Lo so, ma cos’altro mi rimane? – aveva risposto con amarezza, chiudendosi la porta alle spalle.
Tornò ai suoi pensieri.
Non ricordava come, ma cosa fosse successo certamente sì. Alla fine era andata che aveva accettato di amare entrambi. Si era rassegnata a quella verità.
Allora le cose le erano sembrate nitide e giuste. Col tempo, invece, aveva compreso che erano state solamente un errore.
Un errore perché Liam era sincero, perché era l’unico che avrebbe potuto salvarla anche da se stessa. E, invece, a lungo andare, aveva finito per stancarsi del suo amore, delle sue attenzioni e delle mille piccole cose che fino a quel momento avevano costituito e sorretto il loro rapporto.
Era sincero, certo, ma continuava a vedere in lei non la donna, ma la musa, l’incarnazione di Erin, lo splendido scrigno in cui custodire l’ispirazione, i sogni e gli ideali.
Forse, quella forma di venerazione, di sublimazione che egli aveva operato sulla sua figura era tutto ciò che, col tempo, sarebbe rimasto di veramente importante.
Ma in quel periodo, le risultava stucchevole, eccessivo, quasi insopportabile.
E tutto perché le aveva troppo vicine, troppo a portata di mano, troppo sue.
L’amore e l’attrazione, dopotutto, passano come le nubi nel cielo di giugno. Shannon se ne sarebbe dimenticato altrettanto presto, se lei non si fosse messa ad alimentare il suo fuoco.
Tuttavia, sentiva il bisogno di essere amata come donna e non come musa. Shan aveva avuto il coraggio di sbatterle in faccia l’immagine dei suoi difetti più spietato di uno specchio, ma allo stesso tempo più schietto.
Dopo una vita passata tra l’ovatta, cominciava a credere di meritarselo. Liam non l’avrebbe mai fatto, per lui, idealista e sognatore, sarebbe eternamente rimasta la sua visione. La sua Aisling.
Per giorni, anzi settimane, il pensiero di Shan aveva continuato a tormentarla.
Lo voleva, con tutta la decisione che era riuscita a trovare in se stessa.
E voleva fuggire, da Liam e dalla sua perfezione. Essere se stessa, donna, viva e fallibile, non più soltanto un’entità, un’immagine idealizzata.
Ma, allo stesso tempo, al figurarsi di poterlo perdere, sembrava che nulla avesse più senso.
E aveva accettato.
Quel pomeriggio aveva detto, molto semplicemente, a Shan, che sarebbe stata legata a entrambi.
Che era legata a entrambi. Ormai facevano parte della sua vita in modo talmente saldo, radicato e profondo da non poter immaginare i suoi giorni senza di loro.
Eppoi era accaduto: l’aveva baciato. Sotto la pioggia, mentre attendevano che l’acquazzone si placasse, riparati in un portico.
Era successo, così, naturalmente, senza sensi di colpa, senza nemmeno il rimorso di star tradendo Liam. Era successo e basta.
Aveva lasciato che il proprio corpo aderisse a quello di lui, scivolando tra le sue braccia, permettendo a Shan di stringerla, di condurla verso territori inesplorati attraverso quei baci, luoghi dell’anima che non aveva mai conosciuto.
E si sarebbe concessa, ora, in quello stesso istante, se non fossero stati sotto il portico, davanti a Dublino che, bella e indifferente ai loro tormenti, come sempre, si lasciava mondare le vie dall’acqua e riscaldare il cuore dal prossimo sole.
Le pareva le avessero tolto un macigno dal cuore, adesso che non si sentiva più costretta a scegliere. Poi, quella sera stessa, aveva incrociato lo sguardo di Liam. Non aveva tardato a capire che era diversa, che qualcosa aveva cominciato a cambiare.
Le erano serviti dieci anni di silenzi e lontananze per comprendere che davvero era stato un errore. Che se fosse riuscita ad accettarlo e a capirlo, l’amore e la vita avrebbero contraddetto la morte. Ed ora non sarebbe stata lì, a scolorare l’inchiostro con le lacrime e a rimpiangere quello che erano stati. Le poesie erano l’unico appiglio ormai a quel passato, tutto ciò che le permetteva di non disprezzarsi completamente, perché testimoniavano, coi loro versi che qualcuno aveva saputo vederci qualcosa di buono nella selva indecifrabile della sua anima.
Con la mano sfiorò la spinetta che era stata di sua madre e che l’aveva seguita nella sua nuova casa.
Ti piaceva quando suonavo qualche ballata tradizionale, non è vero Liam? Parecchi pomeriggi se n’erano andati così, nella casa degli O’Connor, accompagnati da una musica lontana.
Premette i tasti, improvvisando una scala, ma lo strumento ormai scordato non le rimandò che una serie sgraziata di note.
Lasciò cadere con rabbia il coperchio. Rabbia con se stessa, per essere stata troppo stupida e frivola per capire.
Lo vide, all’improvviso, nel fondo oscuro del tempo passato.
Sedeva alla scrivania di casa Murray, a correggere i compiti dei suoi alunni.
- Guarda…- le aveva detto attirandola a sé – leggi. Non sono carini? Sono il nostro avvenire questi figli di Erin.
Era felice, aveva trovato la sua strada, se ella non si fosse messa in mezzo a deviarla.
Perdonami, Liam. Ho sbagliato.
E adesso darei tutto quello che ho, tutto quello che sono per potertelo dire solo una volta.
Io vorrei solo che tu potessi sentirmi, da dove sei. Ma che illusione, dopo la morte può esservi solo il nulla eterno.
I treni non ripassano, mo ghra. 3
Non ripassano una seconda volta quando li abbiamo perduti.
Avrei dovuto inseguirti, dirti che ti avevo perdonato, che non dovevi andartene.
Che avevo bisogno di te. Che adesso avrei così bisogno di te
Ma eri tu il primo a non aver perdonato te stesso ed il tuo rancore avrebbe distrutto entrambi.
Ma quell’addio ha distrutto me.
Vorrei solo baciarti, un’ultima volta, sfiorare il tuo viso, sentire ancora la tua voce pronunciare il mio nome. E dimenticare, dimenticare tutto ciò che è successo, darmene la colpa per permettere a te di liberarti di questo peso.
Ma è tardi, troppo e inesorabilmente tardi.
Nemmeno rimpiangere ha un senso.
Abbiamo avuto la nostra occasione e l’abbiamo sprecata. Non si torna indietro. Si possono solo trascinare i propri giorni verso un futuro che perde di senso e di consistenza, come l’orizzonte che quando ci si avvicina non fa che allontanarsi.
Ci sono state parole, come l’amore, i sogni, la libertà, che allora significavano tutto per noi. Parole antiche come il mondo, ma animate da un soffio vitale sempre nuovo, perché eravamo noi ad animarle.
Adesso non sono che parole, vuoti gruppi di lettere prive di senso. Non vogliono dire più nulla. O forse siamo noi a non essere più disposti ad ascoltarle.
E parlano, loro, ci chiedono di andare avanti, di non abbandonarle in fondo al pozzo dei rimpianti, che di giorno in giorno si fa più profondo.
Vorrei tornare a dar loro un senso, se solo trovassi una ragione per farlo.
Dammi una ragione, Liam, un motivo. Uno solo per pensare che non è finita e che c’è ancora una speranza, che c’è ancora vita.
Liam, mo rùn, mo ghra, mo shaol! 4
 
Il rumore di una chiave che girava nella toppa.
Non si aspettava certo - ma avrebbe dovuto immaginarlo -  che quel motivo sarebbe entrato dalla porta.
 

 
 
 _____________
 
Traduzione dal gaelico
 
1 “Ti voglio bene”
2 “Ti voglio bene, amico mio”
3 “ Amore mio”
4 “ Cuore mio, amore mio, vita mia”
   
 
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