Ogni vita è un inizio, o forse una fine
…But darlin' look at you oh
Ya gotta stand up straight
Carry your own weight
These tears are goin' nowhere baby
You've got to get yourself together
You got stuck in a moment now
you can't get out of it…
(Stuck in a moment U2)
Era particolarmente buia
quella notte di Novembre. Fuori una tormenta spazzava qualsiasi cosa si
trovasse sul proprio cammino e la pioggia continuava a battere forte sui vetri
della casa.
Uno strano movimento ed un
mormorio concitato accompagnavano quella sera la casa al limitare del paese.
Quella casa che era sempre sembrata stranamente silenziosa, fin troppo
tranquilla per essere abitata da più persone.
Una balia sospirò affaticata
mentre percorreva velocemente il breve corridoio e si apprestava a salire le
scale che l’avrebbero portata nelle camere da letto al piano di sopra.
Un urlo la fece quasi
sobbalzare e l’anziana donna affrettò il passo entrando velocemente nella
camera in fondo al corridoio.
Una giovane ragazza, poco più
che ventenne, era distesa in un grande letto matrimoniale, con le gambe schiuse
e la fronte imperlata di sudore urlava, ansimando e artigliando il lenzuolo
bianco con le mani sottili.
“Respira” le ordinò la donna
piegandosi accanto a lei e guardando la ragazzina accanto a sé le fece un cenno
con il capo e questa si apprestò a bagnare il pezzo di stoffa che stringeva tra
le mani e poggiarlo sulla fronte della ragazza sdraiata sul letto.
“Adesso Minerva devi
ascoltarmi” esclamò la balia con aria autoritaria e la ragazza parve quasi
annuire mentre dei forti spasmi la scuotevano.
“Devi spingere forte e tirare
lunghi respiri” esclamò la donna posizionandosi di fronte a lei, pronta per far
nascere la creatura.
“Sei pronta?” le chiese e
quasi non aspettò un cenno di consenso, si limitò semplicemente ad esclamare un
breve: “Spingi” e attese.
I capelli scomposti, gli
occhi di un’incredibile azzurro ed eternamente tranquilli quella sera erano
lucidi ed agitati, vi si poteva quasi leggere paura.
Era quasi irriconoscibile
quella notte Minerva McGranitt.
La sua figura sempre
ordinata, eternamente composta, il volto tirato sempre in un espressione di
sollievo e l’aspetto gentile sembravano averla abbandonata mentre urlava
sforzandosi di dare alla luce il suo bambino.
All’ennesimo urlo, più forte
degli altri, la ragazzina sobbalzò all’indietro impaurita e sgranò gli occhi
osservando sua madre che si affrettava lungo la stanza.
“Ce l’abbiamo quasi fatta
Minerva. Un ultimo sforzo” sospirò la balia e la ragazza scosse la testa
cercando di respirare.
“Non ce la faccio” ansimò
debolmente.
E forse fu la prima volta
nella sua vita che quelle parole scivolarono veloci dalla sua bocca senza che
lei potesse fermarle.
La domestica le si avvicinò
corrugando la fronte in un espressione preoccupata e le strinse la mano.
“Su Minerva, sei forte, puoi
farcela” la incoraggiò.
E con un ultima spinta la
donna cadde stremata sul letto.
Un pianto, giovane ed
inesperto, riempì la stanza, donando a quella vecchia casa nuova gioia.
“è nato” quasi urlò la giovane Anne abbandonando il secchio
con l’acqua e raggiungendo la levatrice che stringeva il piccolo pargolo tra le
braccia.
Matilda, la domestica, vi si
avvicinò con gli occhi lucidi, stringendo tra le mani un morbido lenzuolo di
lino e ve lo avvolse pulendolo con movimenti dolci, mentre la balia raggiungeva
nuovamente la ragazza stesa sul letto passandole una pezza bagnata sul volto e
versandole in bocca dell’acqua.
“é…è nato” cercò di ansimare
“Dov’è? Voglio vederlo”
aggiunse a quel punto la ragazza.
Matilda si avvicinò a passi
affrettati, stringendo la minuscola creatura tra le mani e glielo porse
lentamente mentre la balia l’aiutava a sistemarsi meglio sui cuscini.
Quando Minerva lo strinse a
se sentì qualcosa riempirle il petto e dagli occhi due lacrime scivolarono
veloci rigandole il volto.
Il bambino aveva gli occhi
grandi, di un verde così limpido che le ricordava i prati in primavera. Le gote
arrossate e la bocca piccolissima che scaturiva versi acuti e quasi fastidiosi.
La fotocopia di quello che un
tempo era stato un buon uomo, suo padre.
“Consegnare mio figlio al
mondo è come dare nuovamente sepoltura al mio sposo” mormorò tristemente la
giovane donna e per un attimo il silenzio calò nella stanza.
La morte prematura del suo
novello sposo era stata per tutti gli abitanti della casa una disgrazia che
nessuno era riuscito ad accettare.
Matilda che l’aveva cresciuto
con amore, quasi fosse stato il suo stesso figlio, e l’aveva visto morire sotto
l’effetto di una maledizione troppo potente da poter curare, non era ancora
riuscita a perdonare se stessa, così come Rudolfe, suo fratello, che Philipe,
da quando era bambino aveva considerato come un padre.
E poi c’era la piccola Anne,
cresciuta in quella casa in sua compagnia, ma nessuno vi aveva sofferto come
Minerva.
Era sempre stato un’amore
difficile il loro.
C’era stato un tempo in cui Philipe
era stato ricco, prima che i suoi genitori morissero lasciando che la famiglia
cadesse in disgrazia, poi a lui non era rimasto null’altro se non quella
vecchia casa appena fuori città e quella domestica troppo affezionata, che
aveva portato con sé suo fratello e la piccola Anne, le uniche persone con cui
aveva sempre vissuto.
Sicuramente troppo poco per
il ricco McGranitt che mai avrebbe accettato che sua figlia andasse in sposa ad
un povero uomo.
Per lei aveva sempre
desiderato qualcuno alla sua altezza.
Purosangue, ricco ed
elegante.
A nulla erano valse le
proteste della ragazza, le sue dichiarazioni d’amore nei confronti di Philipe,
suo padre l’aveva semplicemente ripudiata nel momento esatto in cui lei aveva
deciso di scappare per sposare quel ragazzo dall’aria spensierata.
Così si era trasferita nella
sua casa subito dopo le nozze.
Pronta a rinunciare a tutto
pur di avere il suo amore.
Ma la fortuna non aiuta gli
audaci, e così pochi mesi dopo il loro matrimonio Philipe era stato colpito da
un potente incantesimo di magia nera che l’aveva ucciso lentamente.
L’agonia aveva straziato le
sue carni ed il cuore della giovane Minerva fino a portare entrambe le loro
anime ad una morte prematura.
Quante lacrime erano scese
tra quelle vecchie mura, quanti pianti e quanto dolore conservava nel petto la
giovane sposa mentre con forza ed audacia portava avanti quella gravidanza che
la rendeva ogni giorno più debole.
Troppo gracile il suo corpo
per poter sopportare un tale peso e troppo debole il suo organismo per riuscire
a crescere due persone contemporaneamente. La giovane Minerva era stata
costretta a terminare la sua gravidanza in quel grande letto, chiusa in quella
stanza in cui quasi non entrava luce, per interi mesi.
Per questo avrebbe dovuto odiare
quella creatura, ma come poteva fare? Come poteva riuscire ad odiare quegli
occhi che tanto le ricordavano il suo amato Philipe?
“Rudolfe è andato a chiamare
i tuoi genitori” la informò Matilda in un sussurro e la ragazza si voltò verso
di lei sgranando gli occhi con aria grave.
“Perché? Perché l’hai fatto
Matilda?” le chiese con un tremito di terrore.
La donna scosse la testa
scoraggiata e le strinse una mano.
“Hai bisogno di loro cara, lo
sai. Non abbiamo quasi più nulla qui, a stento riusciamo a trovare qualcosa da
mangiare per noi, non riusciremo mai a crescere bene questo bambino” le spiegò,
ma la donna scosse la testa affranta.
“Troveremo una soluzione, per
favore non far venire i miei genitori” tentò ma ormai era troppo tardi.
Anne le si avvicinò quasi
intimorita.
“L’altro giorno sono andata
al vecchio Ghirigoro in paese e ho comprato questo con i miei risparmi.
È per…lui” esclamò porgendole un giocattolino colorato.
Minerva lo strinse tra le
mani osservandolo e d’un tratto l’oggetto iniziò a sprigionare una dolce
sinfonia.
La donna sorrise guardando la
ragazzina con amore.
“Grazie Anne, è bellissimo”
esclamò accarezzando dolcemente i capelli scuri della ragazzina con la mano
libera.
Un tocco forte alla porta
fece quasi sobbalzare tutte le donne presenti nella stanza e Matilda corse ad
accogliere Rudolfe che fece capolino nella stanza.
“I signori McGranitt sono
qui” le informò e subito dopo il suo sguardo si posò sulla piccola creatura e
le sue labbra si piegarono in un dolce sorriso.
“No, no vi prego mandateli
via” urlò disperata Minerva, ma Matilda corse nuovamente accanto a lei e cercò
di rassicurarla.
“Stai tranquilla tesoro,
vedrai che capiranno e ti aiuteranno. Sono i tuoi genitori. Sono venuti fin qui
sotto la tempesta solo per te” le sussurrò, ma la ragazza scosse la testa.
“No, non lo faranno” tentò di
protestare, ma Rudolfe si schiarì la voce annunciando l’arrivo dei due coniugi.
Matilda sospinse sua figlia
Anne verso Rudolfe e l’uomo afferrò la bambina trascinandola fuori dalla
stanza, la levatrice li seguì lasciando entrare i signori McGranitt.
La domestica si sistemò in un
angolo della stanza dopo averli accolti con un saluto cortese.
La signora McGranitt guardò
sua figlia distesa in quel letto con aria sconvolta e portò con preoccupazione una
mano davanti alla bocca mentre suo padre si avvicinava al letto di qualche
passo guardandosi attorno.
“E così è questo. Hai
rinunciato a tutto ciò che avevi per questo. Hai rifiutato tutto ciò che io
volevo donarti, hai rinnegato i tuoi genitori per questa miseria?” esclamò
duramente e la ragazza sostenne il suo sguardo.
“è davvero così che vuoi vivere, Minerva? Tra polvere e
sporcizia? Vuoi davvero crescere così questo bambino?” le chiese aspramente.
“Questo bambino è mio figlio”
tentò di rispondergli lei con voce tremante, ma in tutta risposta l’uomo la
guardò sprezzante e un ghigno crudele si dipinse sul suo volto.
“No, questo bambino è figlio
della vergogna” esclamò e la giovane donna strinse leggermente di più a se il
giovane pargolo e osservò suo padre con aria inorridita.
“Ma noi siamo qui per questo.
Siamo i tuoi genitori e crediamo che tu meriti un’altra possibilità” affermò
con sicurezza.
“è per questo che la domestica ti aiuterà a rivestirti e
verrai via con noi questa sera stessa” disse autoritario.
“Io non voglio lasciare
questa casa” sussurrò Minerva e sua madre scosse la testa lasciandosi andare ad
un lungo sospiro.
“Minerva, tesoro sii
ragionevole” tentò, ma suo marito la bloccò.
“Non hai possibilità di
scelta Minerva. Verrai con noi che tu lo voglia o no. Il bambino resterà con
loro, manderemo loro dei soldi ogni mese per crescerlo bene fino al compimento
della sua maggiore età. A patto che tra di voi non ci sia nessun contatto. Devi
scordare questa casa e questo bambino. Dimentica di avere un figlio, dimentica
questa famiglia e noi fingeremo che non sia mai successo nulla” esclamò.
La ragazza inorridì scuotendo
la testa davanti a queste parole.
“Padre, vi prego non fatemi
questo, lui è mio figlio” tentò di protestare, ma l’uomo parve quasi non
ascoltarla mentre si rivolgeva alla domestica orinandole di prendere il
bambino.
Matilda si avvicinò al letto
quasi timorosa e Minerva fece per tirarsi indietro continuando a stringere il
bambino tra le braccia.
“No, no, ti prego non farlo”
urlò, ma la donna le rivolse uno sguardo carico di tristezza.
“Fa come ti dice Minerva. Sai
che questa è la soluzione migliore per tutti” sussurrò afferrando il bambino e
sottraendolo alle amorevoli braccia della madre.
“No, no, vi prego non
portatemelo via. Continuerò a stare qui con loro, troveremo un modo per
crescerlo insieme. Non voglio il vostro aiuto, andate via, non voglio niente da
voi, ridatemi il mio bambino” le sue urla invasero la casa e qualche minuto dopo la balia comparve
nella stanza e afferrò il bambino che Matilda le porgeva portandolo via da lì.
“No” un ultimo disperato urlo
e la giovane ragazza tentò di alzarsi, ma il suo corpo, ancora troppo fragile,
glielo impedì.
“Minerva smettila. Fa ciò che
ti ha detto tuo padre e cerca di darti un contegno” le ordinò sua madre.
Il signor McGranitt si voltò
nuovamente verso di lei prima di lasciare definitivamente la stanza e la guardò
con aria burbera per poi rivolgersi alla domestica.
“Sai già quello che devi
fare” esclamò “E bada bene di rispettare i patti. Nessuno sa di questa
gravidanza e nessuno dovrà mai saperlo. Se solo proverai ad avvicinarti di
nuovo a mia figlia o lascerai che qualcun altro di voi lo faccia non esiterò a
far uccidere quella piccola creatura” affermò e lasciò la stanza, seguito da
sua moglie mentre le urla di sua figlia riempivano il piccolo abitacolo.
“Sta tranquilla Minerva,
andrà tutto bene” cercò di rassicurarla Matilda stringendola tra le sue braccia
e cercando di trattenere le lacrime mentre la ragazza continuava a dimenarsi
nel letto.
Poi lentamente afferrò la sua
bacchetta e la puntò alla ragazza.
“Ti voglio bene cara”
sussurrò prima di mormorare sommessamente: “Oblivius”.
Tutto ciò che successe dopo
ormai è storia.
Mi rendo conto che è una storia decisamente particolare, che ci presenta una situazione del tutto nuova (e del tutto inventata), ma, ci tengo a specificare che questa storia nasce per il "Shakespeare Contest" indetto da bunny. Contest in cui alla fine non ha partecipato perchè mi sono scordata ad inviarla. (Lo so, sono una cretina!).
Il pacchetto a me capitato in sorte era decisamente complicato (gli elementi che conteneva sono sottolineati nel testo), motivo per cui ne è venuta fuori questa idea così (forse troppo) originale. Del resto non sappiamo nulla del passato di Minerva McGranitt, quindi perchè non fantasticarci un po' su?
Grazie per la vostra attenzione.
Alla prossima _EpicLoVe_