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Autore: Columbrina    12/03/2011    10 recensioni
[Rameria]
Rama e Mar sono felicemente sposati e hanno una vita idilliaca con i loro tre pargoli, i rispettivi figli avuti da precedenti relazioni e una nipote ergo figlia acquisita fino a quando...
Anche Valeria è felicemente sposata con Simon, ma con due bambini, un segreto e un incontro casuale stravolgerà le vite di entrambi.
E ciò dimostra quanta malafede può celarsi in un innocuo incidente d'auto.
“Non mi dire che è tua figlia, Ordonez!”
“Invece sì! E quella è tua figlia, vero Gutierrez?”
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 Mercoledì pomeriggio. Un altro giorno feriale.
Mi piace svegliarmi e pensare che il tempo non esista; che sia scandito da circostanze inattese, che di solito ti portano alla deriva o all’esaurimento totale della monotonia che affligge l’adulto e responsabile padre di cinque figli più uno acquisito. Mi piace svegliarmi ai lati delle strade, sotto un lampione, scoprendomi circondato solo da grattacieli, i più alti del mondo. Mi piace svegliarmi e sentire l’inebriante odore del caffè che viene su. O più semplicemente, mi piace assaporare ogni singolo attimo delle mie azioni quotidiane, a iniziare dai corpuscoli di mascara punteggiati sul viso di mia moglie la mattina, bearmi delle coccole e delle urla dei miei figli fino a respirare la frescura delle lenzuola. Mi definisco un autore di pagine di vita.
In questo bel pomeriggio primaverile, il sole non da pace alla crisalide cittadina, impregnata nelle ore nere della giornata. Nere per il traffico, s’intende.
Io ho la fortuna di bearmi della frescura degli abeti che si stagliano ai fianchi della strada immacolata che da dritta al campo di calcio di mio figlio maggiore. Alcuni raggi attraversano il terso vetro dei finestrini, mentre uno stridio asmatico precede la sosta dei pneumatici sull’asfalto. Lo stereo è spento. Quando sono fermo in un auto, nella trepida attesa del mio figliolo di otto anni, cercando di celarmi nell’anonimato e per di più, nella desolazione assoluta il minimo che posso fare è salutare il bidello che, puntualmente, sosta accanto al cancello dell’ingresso del campo, poi bearmi dei miei pensieri e armandomi di molta pazienza. Certe volte diventa fastidioso ascoltare me stesso, specialmente quanto più ricordi sovraffollano e si affastellano cercando di ottenere considerazione. Quindi penso…
Niente.
Fantastico. Non ho pensieri che mi tartassano. Sempre lo stesso. Lei. Da quattro dannati anni, l’ultima volta che ho sentito la sua voce al telefono, scrutato quei caratteri un po’ tondi delle sue lettere che a Natale che sovraffollavano la cassetta della posta e quando uno stillo bollente rigava una mia guancia perché mi mancava. Noi autori abbiamo l’emotività nel sangue e pulsa forte la notte, quando mi capita di inumidire il cuscino con le lacrime e invento la scusa del cane che ci ha fatto i bisognini mentre dormivo.
L’attesa si stava prolungando. Ogni mio gesto meccanico era scandito dal picchiettio febbrile delle mie nocche sul cruscotto, sguardi veloci al cancello, poi all’orologio, poi alla camicia della divisa da lavoro che mi stava stretta a causa del lavaggio di mia moglie Mar. Poi, ecco che intravedo lo sguardo felice di mio figlio, la zazzera castana indocile e visibilmente sudato mentre mi fa un cenno affettuoso di saluto e apre la portiera per salire.
E’ palesemente felice. Lo trasuda anche quando adagia dolcemente il borsone sulle sue gambe e prende il posto di fianco a me. Mi mostra il suo sorriso che mi infonde una sensazione di benessere illogica e provo una profonda tenerezza dalla dentatura priva del sesto dente da latte.
“Come è andata?” chiedo, ingranando la prima.
Li abbiamo distrutti! Schiacciati come una lucertola al sole! E il mister ha detto che mi fa titolare alla prossima partita perché ho fatto tre reti su quattro!”
“Bravo il mio Pedro!”

Friziono la testa del mio primogenito di otto anni che mi sorride nuovamente, con rinnovato orgoglio della sua piccola vittoria calcistica.
Pedro è mio figlio di otto anni, avuto da Kika, la mia prima moglie; spedisce puntualmente recapiti e retribuzioni per contribuire al mantenimento e alla retta della scuola del bambino, come accordato. Ieri ci ha spedito una foto di lei e mia sorella Alelì dalle Canarie. Quelle due sono proprio della stessa pasta.
Fare il papà barra casalingo è l’aspirazione migliore a cui si possa ambire. E, per mia fortuna, ne ho cinque di figli più uno acquisito.
“Papà, ci fermiamo alla gelateria?” mi prega, con i suoi occhi di puerile innocenza ambendo a intenerirmi, pur sapendo bene che abbiamo altre quattro persone da portar via.
“Oggi no, Pedro. Dobbiamo andare a prendere i tuoi fratelli in piscina, poi andare all’accademia di danza dove stanno tua sorella e tua cugina”
Pedro cancellò dal volto l’espressione di compiacimento che ostentava qualche istante fa, tiro in dentro le guancie, si abbandonò al sedile e mise le braccia conserte in segno di disappunto.
“Uffa, che pizza!” protestò, ma limitandosi a questo.
Ciò mi fece sorridere ancora una volta, facendomi assaporare un altro splendido lato della paternità e dei capricci odierni che, però, detti da un bimbo di otto anni risultavano talmente adorabili.
Svoltai a destra. Parcheggiai di fronte a una costruzione poco imponente, quasi anonima, ma che emergeva grazie al delfino luminescente in bella vista, a mo d’insegna. Dalla porta distinsi due figure bionde, alterate dal doppio vetro. Poi riconobbi i miei due gemelli che facevano a gara e la mia auto era il traguardo. Vidi anche lo sguardo di Pedro mutare dal triste al felice di rivedere i suoi fratelli conterranei, in una frazione di secondo. Appena entrarono si innescò un tramestio, scandito da pochi termini certi, proteste e insinuazioni di gioco sporco. Non intervenni. Mi piace assaporare anche le diatribe dei miei gemelli.
“Ragazzi… Ehi…”
“Ciao, papà!”
gridarono in coro Romeo e Santiago, rispettivamente nati a due minuti di distanza, circa sei anni fa. Sono figli miei e di Mar, ma Pedro li ha accolti nel migliore dei modi. Forse perché aveva solo due anni.
“Oggi ho fatto più vasche di Romeo!” esultò la voce cristallina di Santiago, iniziando a saltellare sul sedile all’estremità destra. E di lì, iniziarono subito le proteste del gemello sul quanto, però, fosse lento nell’atletica.
Ovviamente, prima che un’anziana signora ci facesse il malocchio, li intimai di smetterla e che tra poco sarebbero salite delle signorine, quindi dovevano comportarsi da educati cavalier serventi. Romeo emise una pernacchia.
“Quelle non sono signorine” disse caustico
“Sono delle cornacchie che non fanno altro che starnazzare!” aggiunse Santiago
“E sgridarci se tiriamo i capelli!” fu il secondo intervento di Romeo
“Ma sono pur sempre le vostre sorelle… Anzi vostra cugina e vostra sorella!”
“Si, ma per colpa loro non posso andare in gelateria!”
protestò Pedro, mettendo nuovamente le braccia conserte.
Non li biasimo ai miei ometti. Ma devo confessare di avere un piccolo favoritismo per le mie principesse, dato che sono in minoranza numerica e devono accontentarsi delle biciclette nere o blu, invece che rosa con il cestino per la bambola.
“Eccoci qui!”
Svoltai a destra e vidi la mia piccola principessa Beatriz, in tutù rosa e due codini disfatti, mentre si dirigeva verso la macchina con Greta, la figlia di mia sorella e unica compagna di giochi della mia unica figlia femmina.
Romeo si scostò sul sedile centrale per permettere alle due di entrare. Tra i due gemelli, lui è di sicuro il più galante. Degno del suo nome, d’altronde.
Ciao, papà!” esordì la voce argentina e chiara della mia principessa di quattro anni, mentre si protendeva in avanti per darmi un bacio sulla guancia. D’altro canto, anch’io mi protesi verso di lei.
“Ciao, amore. Ciao, Greta!”
“Ciao, zio! Oggi ci hanno dato nuove scarpette!”
annunciò trionfante la mia adorata nipotina che, ora, era divenuta parte integrante del nostro folle nucleo familiare. Tra figli acquisiti, altri che sbucano dal nulla come funghi e nuovi in arrivo, figuriamoci quanto sia tediosa la vita quotidiana.
Davvero? E sono rosa come i vostri tutù?”
“Quelle di Bea sì, le mie sono bianche perché sono più grande”

Ed ecco che iniziano a beccarsi anche loro due; il duo assodato contro l’invasione dei maschietti. Per quanto possano trarre in inganno i loro riccioli castani e quegli occhi furbi, le due piccole principesse sono a dir poco tremende e il loro affetto è alimentato da una competizione reciproca e sana tra cugine di primo grado.
E, così, sconquassato dopo una giornata lavorativa, l’afa precoce e rintronato dai battibecchi dei miei figli, mi rendo sempre più conto che questa è una giornata a dir poco meravigliosa.
 

 

 
Quella sera a cena, per la fortuna di tutti, ho cucinato io sebbene la mia adorata mogliettina si sia dilettata in ricette casalinghe, trovate per caso mentre trafficava in Internet, ma che avevano conferito a un risultato a dir poco mediocre. Ho finto che le ricette teleinformatiche sono poco attendibili, quindi le ho proposto di rilassarsi sul divano, leggere una bella rivista mentre io preparavo la cena. Poverina, aveva anche fatto la spesa! E mi sono ritrovato il frigo traboccante di cibo nuovo.
Per il suo impegno, le ho risparmiato un bel sermone sull’ordine casalingo.
La cena filò in men che non si dica, scandita da qualche borbottio di Mar, dai litigi dei gemelli, dei racconti entusiasti di Bruno (il figlio di Mar e Thiago), Pedro e le due femmine di casa Ordonez – Rinaldi [ecc.]. Un mercoledì sera come gli altri. Fino a quando…
“Se avete finito di mangiare, bambini, andate in camera vostra a dormire!” fu l’ordine perentorio di Mar che, quella sera, non voleva ascoltare contestazioni.
Salutò i bimbi con rapidi baci sulle guancie, prima di iniziare a trafficare con i piatti e le stoviglie. Quella sera appariva visibilmente tesa.
“Ehi…” esordii, approcciando a una conversazione che, mi sarebbe servito da espediente, per scoprire il motivo di tale spossatezza. Mar non era mai stata pratica nel celare le emozioni, figuriamoci a mentirmi.
“Si” mi disse, senza incrociare il mio sguardo
Perché tanta fretta nel mandare i bimbi a letto? Guarda che...” mi alzai dal posto e le cinsi la vita dolcemente “Non ci dobbiamo vergognare”
Mar rimase con un piatto a mezz’aria, in bilico sul da farsi. Poi si divincolò rapidamente, liquidandomi con un Non è per questo.
Iniziai a percepire un fievole formicolio.
“Allora, cos’è?”
Il tintinnio delle stoviglie fungeva da mediatore nella conversazione, quasi a giustificare la codardia di Mar nel rivelare a suo marito ciò che la turbava. Forse quella cenetta pronta che ha preparato lei appena siamo tornati (E che abbiamo scampato, ringraziando il Cielo!) era un pretesto per dirmi qualcosa o nascondermi ciò che stava accadendo deliberatamente. Il mio pensiero andò dritto a Valeria.
“Ti ha chiamato Valeria?”
“Che c’entra ora Valeria? Pensi ancora a lei?”
“No, solo che… Non la sentiamo da una vita e magari ti ha turbato una sua telefonata o una sua lettera, non so…”

In cuor mio speravo fosse così perché in tal caso avrei dimenticato ciò in men che non si dica. O meglio, sarebbe stato il giorno più bello della mia vita finora.
“No, non riguarda Valeria”
Riempì il lavello con acqua e un’eccessiva dose di detersivo per stoviglie. Poi gettò lo strofinaccio per terra e rapidi lacrime iniziarono a rigare le sue guancie. Come primo impulso, l’abbracciai.
Calmati… Dimmi che succede…”
La feci sedere sulla poltrona. Era sconvolta in modo palese.
“Non so se posso…”
“Riguarda Alelì? O uno dei bambini?”
“No”

Esplose in un pianto a dirotto.
“E allora, cosa?” la incalzai
Riguarda Thiago”
Quella rivelazione mi lasciò sinceramente devastato. Thiago. Però, che notizia. Sin da quando Mar e lui avevano troncato la loro relazione, non si è fatto mai più vedere, se non in occasione dei compleanni di Bruno o quando a Natale lo portava a sciare con i figli di Nacho e Caridad. In cuor mio, poi, avevo vivo il timore che mia moglie fosse ancora innamorata di lui. L’ho sempre saputo. Mai parole di quel mi risultarono più forzate da parte di mia moglie.
Mi misi a sedere anch’io dinanzi a lei, nel tentativo di non imprecare o scardinare come avrei voluto.
Andiamo, non c’è bisogno di piangere…”
“Non mi chiama da sette dannati anni, capisci? Ai compleanni di Bruno neanche aveva il pudore di guardarmi!”

Ebbi un subitaneo e chiaro flashback dei tempi andati, quando ogni volta consolavo Mar a causa delle sofferenze che le infliggeva Thiago. Mi sentivo perennemente scomodo nel ruolo dell’amico.
Vorrà riallacciare i rapporti!” la consolai, carezzandole le guancie rosee e spruzzate di gocce salate
“Non è così facile. Ha detto che vuole vedere me e Bruno domenica. Usciamo a pranzo tutti e tre”
Tentai di mostrarmi compiaciuto o almeno invogliarla ad accettare l’invito. D’altronde Bruno è figlio legittimo di Thiago. Ha tutti i diritti di vederlo quando vuole.
“E Bruno?”
“Non lo so”

Di lì in poi ricordo solo che la confusione appannò la mia mente, tanto da congedarmi da lei con un tenero bacio a fior di labbra. La frescura delle lenzuola mi rinvigorì un po’, ma non riuscì a togliermi dalla testa il ruolo di mediocre capro sfogatoio per colei che aveva deciso di vivere il resto della sua vita con me.
 

 

 
Quel mattino, ero io l’incaricato ad accompagnare i bambini a scuola, ma Mar mi agevolò il lavoro affidandomi solo la piccola Bea. Probabilmente un espediente per farsi perdonare; ma io non ero furioso con lei. Anzi, quel mattino non mi sembrò diverso dagli altri.
Io e Bea stavamo cantando in macchina. Era il  CD di Nino Bravo, il suo preferito. Ricordo che feci conoscere quel cantante a Valeria, quando arrivò alla Casa Magica ed era ancora quel diamante grezzo che tanto mi boicottava. Ero proprio masochista. Ma proprio non potevo resistere a quel suo amabile sorriso, ai suoi capelli biondi, al suo incarnato roseo…
E, ora, eccomi, a cantare la colonna sonora del mio vero amore adolescenziale con mia figlia, bruna e il viso spruzzato da tenue e tenere efelidi, con indosso un adorabile e vaporoso grembiule rosa a quadretti. Aveva anche una melodiosa voce bianca. Degna figlia di suo padre!
Papà, prometti che oggi mi porti al parco?”
“Oggi non hai danza?”
“Eddai! Una lezione in più… Una lezione in meno…”
“Sei proprio una piccola faina, tu!”

Beatriz rise teneramente.
“Ti prego, papino…”
Non fatevi ingannare. Non ha usato il trucco del labbruccio.
“Ma non dirlo ai tuoi fratelli”
“D’accordo. Lo prometto!”
“Siamo arrivati!”
annunciai.
Aprii la portiera e la feci scendere, proprio come fa un cocchiere con una principessa.
Prego principessa”
Bea mi abbracciò teneramente.
“Quando mi farò grande voglio sposarti, papà!”
“Andiamo, papà è solo un vecchio ranocchio grinzoso!”
“Facciamo solo un ranocchio”

Mi finsi offeso e iniziai a solleticarle i fianchi, poi il collo e le braccia destandole singulti e risate a per di fiato. Mi implorava di smetterla, mentre io mi univo alle sue risa, assaporando quel tenero momento tra il padre e una figlia.
“Accidenti!” gridò la voce di una donna, preceduta da uno schianto e la deflagrazione in un antifurto.
Alzai gli occhi e smisi di torturare di solletico la mia bambina e vidi che il soggetto dell’imprecazione della suddetta signora era la mia auto! Nuova, per giunta!
Dal portabagagli saliva fumo come da una ciminiera ed era sgualcito come una scartoffia macchiata d’inchiostro, futile. Il motivo del disastro era stato una svista di quella signora, ceca come una talpa, a quanto pare. Adiacente, quasi pigiata, alla mia auto, v’era il portabagagli anteriore di un’altra vettura, di un colore rosso vivo.
“Oh, no!” esclamai
“Papà, che succede?” mi chiese Bea, palesemente inquieta
Niente, amore. Vai dentro” sentenziai, inascoltato tanto per cambiare
Rimasi lì, a contemplare il disastro apocalittico in un effimero ideale materialista. Attendevo solo che l’artefice di quella carneficina si facesse coraggio e mi affrontasse a quattr’occhi.
Dall’auto rosso vivo, scesero una donna e una bambina dai bellissimi riccioli biondi. Sebbene l’abbigliamento distinto, la donna dimostrava un viso fresco e incontaminato dalle usure dell’età che poteva avere.
“Che disastro!” imprecò nuovamente la donna, torturandosi i capelli, scarmigliandoli un po’.
“Mamma, e ora?” esordì la bambina, rimasta fortunatamente illesa dopo lo schianto. Ma in quel momento, poco mi importava.
Rose, vai in classe, chiaro?”
Emisi uno sbuffo, sperando di richiamare la sua attenzione.
Signora, mi scusi… Signora…”
La presi per un braccio, nel modo più educato possibile, ma lei si divincolò, destando per un momento l’attenzione a me piuttosto che alla sua ferraglia. E solo in quel momento non volevo trovarmi lì.
Non ci credo” esordì lei, dopo un breve intervallo silenzioso
“Figuriamoci io!”
“Ciao, Rose, come va?”

Udii la voce di mia figlia parlare a quella bimba.
Bene. Tu, Beatriz?”
E mia figlia rispose, in tono colloquiale, amichevole, come se la conoscesse. Come fossero amiche.
 
“Non mi dire che è tua figlia, Ordonez!”
“Invece sì! E quella è tua figlia, vero Gutierrez?”






Saria
Nuova storia tutta Rameria con qualche slancio Ramella, per la gioia delle mie amiche.
L'avevo mostrato in anteprima alla mia cara amica rihal, incerta se pubblicarlo e grazie a lei ce l'ho fatta!
Spero sia di vostro gradimento ^.^

   
 
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