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Autore: FGM    13/03/2011    3 recensioni
Siete in classe, una mano appoggiata alla faccia, il brusio del delirio del prof vi disturba, ma voi prontamente pensate ad altro. Vi dite: altri due giorni e arrivano le vacanze estive, forza, resisti. Spostate lo sguardo all’interno dell’astuccio, premete un tasto a caso e il cellulare si illumina. Manca ancora mezz’ora alla fine della lezione, dannazione. Poi tirate di nuovo su lo sguardo, e vedete che il prof si accascia a terra. Poi, fila dopo fila, più di tre quarti dei vostri compagni di classe cadono a faccia in giù sul banco, come svenuti. Ma a cinque studenti iniziano a venire delle specie di convulsioni. Gridano, e, nel frattempo, si sentono le urla provenire da altre classi, ma non solo urla, anche strilli di ragazzine, ruggiti – sono ruggiti, quelli?, ringhi, botti, strani versi. Infine, i vostri compagni di classe che non si sono accasciati sul banco, si irrigidiscono, e, con un’andatura zoppicante e traballante, si alzano dalla sedia. Voi aggrottare le sopracciglia, vi chiedete se state sognando.
Genere: Azione, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Riku, Roxas, Sora
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
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1 - Electric Blue Feline Eyes

Electric Blue Feline Eyes


Sono bastate ventiquattro ore per cambiare.
Era il 2020, e, dalla mezzanotte che separava il 10 e l’11 giugno e la mezzanotte che separava l’11 e il 12, c’era una differenza abissale. La razza umana.
Il mio fratellino-genio mi ha spiegato come è partito tutto, con parole semplici. Da una base che si trovava all’esatto centro del Polo Nord è evacuato un virus, che, in ventiquattro ore esatte, si è espanso. Loro volevano studiare dei metodi per migliorare le potenzialità del cervello umano, combinandolo un po’ con quello degli altri animali, un po’ aggiungendoci e togliendogli qualche sostanza chimica. Fatto sta che qualcosa è andato storto: il gene che erano riusciti a creare, il wild-type, ha subìto una mutazione improvvisa, ed è diventato una sorta di virus a contagio altissimo, che in una misera giornata ha fatto venire il moccio al naso al pianeta Terra. Il punto è che non era moccio, per niente.
Immaginate.
Siete in classe, una mano appoggiata alla faccia, il brusio del delirio del prof vi disturba, ma voi prontamente pensate ad altro. Vi dite: altri due giorni e arrivano le vacanze estive, forza, resisti. Spostate lo sguardo all’interno dell’astuccio, premete un tasto a caso e il cellulare si illumina. Manca ancora mezz’ora alla fine della lezione, dannazione. Poi tirate di nuovo su lo sguardo, e vedete che il prof si accascia a terra. Poi, fila dopo fila, più di tre quarti dei vostri compagni di classe cadono a faccia in giù sul banco, come svenuti. Ma a cinque studenti iniziano a venire delle specie di convulsioni. Gridano, e, nel frattempo, si sentono le urla provenire da altre classi, ma non solo urla, anche strilli di ragazzine, ruggiti – sono ruggiti, quelli?, ringhi, botti, strani versi. Infine, i vostri compagni di classe che non si sono accasciati sul banco, si irrigidiscono, e, con un’andatura zoppicante e traballante, si alzano dalla sedia. Voi aggrottare le sopracciglia, vi chiedete se state sognando. Notate che, lentamente, stanno cadendo loro i capelli, a ciocche. Vi alzate in piedi, guardandovi in giro circospetti – che cazzo di scherzo è questo?! – e notate un vostro compagno, in piedi dietro di voi. Ha uno strano ghigno, un occhio girato verso l‘interno, tende le mani verso di voi. Gli tirate uno spintone, notate che perde un paio di unghie. Vi scappa una specie di urletto, indietreggiate fino alla porta, la spalancate, uscite, la richiudete. Fuori dall’incubo, vi rassicurate. E invece no, vi replicate, alzando lo sguardo sull’orribile spettacolo che una volta era il corridoio: peggio della classe. Urlate, con tutta la voce che avete in gola, e cinque di quei cosi si voltano nella vostra direzione. Vi tappate la bocca, vi mordete la lingua. Fate un respiro profondo, e correte. Correte fuori dalla scuola, per accertarvi che nelle strade è anche peggio. Centinaia di corpi abbandonati, decine di cosi che girano emettendo lamenti lugubri e scontrandosi l’uno con l’altro. Auto schiantate qua e là, sirene che suonano impazzite. Ma voi siete pieni di adrenalina, correte, correte, correte, correte. Fino a che non gli andate a sbattere contro.
« Riku? »
Ha lo sguardo tranquillo, pacato. Una sigaretta di marijuana in bocca, credo. Di sicuro non è una di quelle alla menta, ci scommetterei.
« Sora, dimmi che non sono fatto. » pronuncia lentamente, con la sua solita voce rotta e graffiante.
« Se sei fatto tu, allora lo sono anche io. » gli rispondo.
« Fico. » mormora lui in risposta, facendo un tiro. Poi mi prende per il polso e inizia a trascinarmi, ma non deve fare molta fatica, lo seguo tranquillamente. I cosi sembrano non darci molta corda, al momento sembrano attirati dai cadaveri che ricoprono i marciapiedi.
« Che cazzo succede? » gli chiedo, mentre camminiamo. non mi aspetto una risposta, in fondo.
« Ma che cazzo ne so? » replica, con tono leggermente irritato.
Continuiamo a camminare per un po’, e nel frattempo capisco. Mi sta portando nel suo appartamento, probabilmente quel posto è sicuro. E, ancora più probabilmente, quando mi sono scontrato con lui, era perché mi stava cercando.
« Riku? »
« Cazzo vuoi? »
« Hai i capelli bianchi. »
« Affanculo. »
« No, seriamente. Hai i capelli bianchi. » gli faccio notare. Non sono palle: normalmente, lui è sempre stato biondo cenere, ma i suoi capelli si stavano pian piano colorando d’argento.
Lo guardo prendersi una ciocca e fissarsela, sempre camminando. « Minchia. », lo sento soffiare. Ma non si ferma, fino a che, dieci minuti dopo, non arriviamo al suo condominio. Una zona un po’ fatiscente e abbandonata, un brutto quartiere. Di buono c’è che poca gente transitava in quelle zone di giorno, così non troppi cadaveri ornavano le strade.
Mi lascia il polso solo quando chiude bene a chiave la porta. Lui si butta sul divano, io mi siedo sopra il tavolo. Ci guardiamo negli occhi, senza dire nulla. Non ce n’è bisogno, non c’è nulla da dire.
È diventato tutto una fottuta merda.
  
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