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Autore: Araiha    13/03/2011    1 recensioni
Il rumore stridulo di una sveglia squarciò il silenzio. La povera ragazza presa alla sprovvista, cadde senza alcuna grazia dal letto sbattendo con il sedere sul pavimento. “ Per le mutande di pizzo di Giacomo Leopardi, che sempre sia lodato” sbraitò, lanciando con violenza quell'aggeggio infernale contro il muro. Il rumore cessò di colpo. Ovviamente l'idea di resettare la sveglia premendo l'apposito pulsante, non le aveva neanche sfiorato la mente.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco il terzo capitolo, spero vi piaccia. Nel prossimo ci saranno maggiori sviluppi...
Baci Araiha


Ritornata finalmente al suo appartamento, Galatea lanciò la tracolla sul pavimento, e chiuse con un calcio la porta dietro di se.

Controllò velocemente la posta appena arrivata, solo pubblicità e una bolletta, poi decise che avrebbe fatto un doccia. Si sentiva spossata, forse il traumatico risveglio di quella mattina l'aveva segnata più del previsto. Si spogliò, lanciando i vestiti sporchi davanti alla lavatrice, in biancheria entrò in bagno e aprì l'acqua della doccia.

Mentre l'acqua si riscaldava fissò il suo riflesso nello specchio, forse avrebbe potuto anche dare un occasione a quel Lorenzo. In effetti non aveva avuto mai nessuno che si curasse di lei, neanche da piccola. Un fidanzato premuroso e innamorato era tutto ciò che una ragazza poteva desiderare, eppure lei sapeva che non avrebbe retto a quel legame.

Si ricordava ancora con chiarezza il giuramento che aveva fatto diversi anni prima.

Guardò di nuovo il suo viso nello specchio, il blu degli occhi era diventato più chiaro.

Piegò il viso verso il basso e osservò le sue mani a contatto con la ceramica del lavandino, come quella volta...

 

Era una giornata di vento, gli alberi si piegavano tutti da una lato sotto la pressione imposta dalla natura, sopra di loro il sole era una sfera di una giallo emaciato che sfumava nel verde sui bordi. Eppure lei era felice. Era appena uscita da quell'aula calda e luminosa dove si svolgeva il suo corso di pittura, il cappotto rosso stretto attorno al busto e le mani ancora macchiate di colore. Aspettava con il sorriso sul viso che suo padre la venisse a prendere. I talloni battevano tra di loro, le manine venivano sfregate per avere un po' di calore, come sempre aveva dimenticato i guanti, e una nuvoletta di vapore ogni tanto saliva in aria. Faceva freddo, davvero freddo, ma era felice. Quel giorno era stata brava, molti le avevano fatto i complimenti per quel quadro che ora stringeva tra le dita. Una tela piccola e quadrata, dove i colori si fondevano a formare il volto di suo padre. Voleva farglielo vedere, voleva fargli una sorpresa, e per la prima volta attirare la sua attenzione. Per questo aspettava paziente lungo la strada, la tela dietro la schiena. Il sorriso che aveva stampato sulle labbra si allargò quando riconobbe la macchiano grigio scuro che stava svoltando l'angolo.

Salì velocemente nel veicolo e fissò l'uomo alla guida. Il suo punto di riferimento, il suo eroe, il suo papà. La macchina partì di colpo. L'uomo ancora non parlava, teneva il viso fisso sulla strada. La guida era brusca, più volte rischiarono un tamponamento.

La ragazzina cercò anche di chiamarlo con un sottile “papà”, ma ottenne in risposta una serie di bestemmie strette tra i denti.

La nausea l'assalì seguita dalla consapevolezza: i suoi avevano di nuovo litigato, lo sapeva era così ogni volta.

Le bestemmie e le imprecazioni si fecero più forti, mentre lei sussultava presa dalla paura. Lui accusava sua madre di essere una puttana, mentre frenava bruscamente l'ennesima volta. Gala di fianco cercava di non piangere aveva più volte vissuto quella scena, eppure ogni volta era come una stilettata al cuore, perchè dopo nasceva sempre quella flebile ma insistente speranza che tutto sarebbe tornato come prima. Ed era proprio quella speranza ad ucciderla ogni volt. Sapeva che se si fosse arresa, forse il colpo successivo non sarebbe stato così doloroso, eppure era più forte di lei. Strinse i denti all'ennesimo urlo e piegò il viso verso il basso.

Le mani che teneva in grembo erano ancora macchiate da diversi colori. Pensò che forse sarebbe stato meglio fuggire.

Un'altra bestemmia. Sarebbe andata via il prima possibile.

Un altro urlo strozzato. Si sarebbe fatta aiutare da sua nonna.

Questa volta si udì una rantolo soffocato. Doveva solo aspettare di diventare maggiorenne, solo tre anni ancora.

Un urlo più forte degli altri seguito da una frenata nervosa. Non avrebbe più sofferto per nessuno. Fissò la tela ai suoi piedi e le sfuggì una lacrima, che si tuffo sul colletto rosso del suo cappotto. Decise che quelle sarebbe stata l'ultima.

Lo sguardo si spostò di nuovo sulle sue dita intrecciate. Sulla pelle bianca spiccava l'oro, il colore dei capelli di suo padre, il blu, quello dei suoi occhi, il nero, lo stesso colore del suo odio, e il rosso:

il colore di quella decisione,

il colore di quel giorno,

il calore del suo capotto.

 

Permise finalmente che l'aria ritornasse nei polmoni. Aveva smesso di respirare così com'era immersa nei suoi dolorosi ricordi. Fissò le dita intrecciate tra loro. Non aveva più dipinto da allora. Guardò il suo riflesso nello specchio, odiava i suoi occhi, perchè erano gli stessi di suo padre.

Il vapore ormai aveva invaso tutta la stanza, appannando gli specchi e le mattonelle lucide.

Si infilò sotto il getto bollente e decise di dimenticare ancora una volta, fare finta di niente e andare avanti. Era andato tutto bene fino ad allora, no?

Si spalmò sul corpo il bagnoschiuma al cioccolato e aspettò che l'odore familiare la rincuorasse.

Dopo essere uscita incolume dal bagno, si infilò un paio di shorts di jeans e una maglietta sformata rosa pallido. Lasciò i capelli ancora bagnati e si diresse in cucina.

Arrivata però in soggiorno il suo sguardo cadde sull'orologio che segnava le quattro in modo inquietante. In quello stesso istante squillò il campanello. Ancora scalza e con i capelli bagnati si diresse correndo ad aprire. Ma una volta che il portone giallo si schiuse del tutto, quello che vide la lasciò a bocca aperta. Sbiancò di colpo, ma appena il suo cervello fu di nuovo in grado di ricordarsi in che stato il suo corpo si trovava, arrossì di colpo, bruciante di imbarazzo...

   
 
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