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Autore: Yuri_e_Momoka    13/03/2011    3 recensioni
VII. “Devi capire che era l’unica soluzione” insistette [...] “Sapevo che tu eri fuori dalla porta, ti sentivo bussare. Quando ha aperto l’armadio e mi ha visto gli ho tappato la bocca. Lo ammetto, non è stato facile, mi guardava supplice. Ma io l’ho spinto giù. Almeno non ha sofferto, non pensi? So che non vuoi sentirtelo dire, ma te lo ripeterò. Tutto questo l’ho fatto per te."
Genere: Dark, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Austria/Roderich Edelstein, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3-Chatterton Titolo: Ars Moriendi, Capitolo 3 - Chatterton
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Francia (Francis Bonnefoy), America (Alfred F. Jones), Austria (Roderich Edelstein), Ungheria (Elizabeta Hédervàry), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Germania (Ludwig), Nord Italia (Feliciano Vargas), Russia (Ivan Braginski), Bielorussia (Natalia Arlovskaya), Svizzera (Vash Zwingli)
Genere: Mistero, Dark, Suspence
Rating: Giallo
Avvertimenti: AU, Yaoi, Shonen-ai, Het
Parole:  4,266 con Windows Office
Disclaimer: I personaggi della fanfiction provengono da Axis Powers Hetalia che appartiene a Hidekaz Himaruya
Note: The death of Chatterton



III. Chatterton

 
“Perché non chiamiamo la polizia?”
“Non è facile avventurarsi su per queste strade, specialmente di notte è molto pericoloso. Per di più, forse non lo avete notato, ma ha appena smesso di piovere. I sentieri sono fangosi, una carrozza non può percorrerli. È molto meglio attendere fino a domattina.”
Roderich aveva ragione quando sosteneva che chiamare la polizia fosse assolutamente inutile: nessuno si sarebbe mosso prima dell’alba, e in ogni caso nessuno si sarebbe affrettato per una morte che appariva come un semplice incidente.
Gli ospiti erano raccolti tutti in salotto, in ansia, ad ascoltare il ticchettio dell’orologio a pendolo che segnava mezzanotte passata. Alcuni di loro chiacchieravano sottovoce, Ludwig e Feliciano sembravano coinvolti in un’accesa conversazione che però conducevano in maniera molto discreta.
Arthur non riusciva a togliersi dalla testa le parole dell’italiano riguardo alla morte di Zwingli. Aveva fatto una notevole fatica a ricordare i dettagli del dipinto da lui nominato, ma ora che ce l’aveva ben presente nella sua mente, cercava di individuare tutti quei particolari che avevano portato Feliciano a fare quell’affermazione azzardata. Sembrava prematuro pensare che si fosse trattato di un omicidio, figurarsi ipotizzare che esso fosse stato programmato nei minimi dettagli per poter rassomigliare a un dipinto visto il pomeriggio prima. Poteva trattarsi semplicemente di una coincidenza.
Arthur aveva accolto le richieste di Roderich per far rinchiudere il tedesco, in questo modo si sarebbero tutti calmati, ma non aveva comunque nessuna prova materiale che Gilbert fosse il colpevole.
In ogni modo, anche se i timori di Feliciano si fossero rivelati fondati, come poteva l’albino aver organizzato quell’omicidio basandosi su un dipinto appena visto? Se davvero si era trattato di un caso di macabra imitazione, allora le persone più imputabili erano i russi, che conoscevano in anticipo i quadri esposti, e probabilmente anche Roderich.
Un’altra ipotesi plausibile era che il colpevole non fosse nessuno di loro. Da quel che aveva potuto capire, il notaio aveva un carattere non facile e aveva sicuramente molti nemici che avrebbero potuto sabotare le sua arma in attesa che la usasse. Poteva essere stato chiunque, anche un conoscente dell’uomo dissanguato che voleva vendicarsi per l’esito del duello. Non c’erano abbastanza elementi per poter trarre una conclusione ragionevole, tuttavia l’immagine della Morte del Principe d’Orange non ne voleva saperne di dargli tregua.
“Dove sta andando, Kirkland?” domandò Francis quando lo vide alzarsi dalla poltrona.
“Vado a farmi un giro per schiarirmi le idee” rispose Arthur allontanandosi dal salotto. Gli sguardi preoccupati dei presenti e le loro mille ipotesi sussurrate lo distraevano.
Raggiunse il grande atrio e salì le scale di marmo. Sulle pareti i dipinti di nobili baffuti gli indicavano la strada da percorrere lungo il corridoio. Girando a sinistra entrò nell’area riservata agli ospiti, lungo il corridoio tappezzato di rosso mogano. I candelabri alle pareti erano accesi, ma non tutti. In quella casa non era ancora stata installata l’elettricità.
Continuò a camminare nella penombra, nella speranza che il silenzio lo aiutasse a mettere ordine nei suoi pensieri. Ma non fu fortunato: dei rumori alle sue spalle lo fecero fermare. Il fondo del corridoio risultava buio, non riuscì a identificare di chi fossero i passi che si avvicinavano in fretta. Avvertendo una leggera agitazione crescere in lui, Arthur scrutò il buio davanti a sé, ma a causa della scarsa illuminazione la fine del corridoio non era visibile. Studiò le porte ai due lati delle pareti: lì vicino c’era la sua stanza, ma non era sicuro di riuscire a ricordare esattamente quale fosse. Intanto i passi erano vicinissimi. Non aveva modo di fuggire, ma comunque si ripeté che non aveva motivo di preoccuparsi. L’unica soluzione era quella di fronteggiare chiunque fosse emerso dalla tenebre, perciò rimase fermo ad aspettare, sentendo suo malgrado i battiti del cuore che acceleravano.
“Sei lì Arthur?”
L’inglese si abbandonò ad un sospiro di sollievo. “Per la miseria, Alfred, mi hai fatto prendere un colpo.”
L’americano si palesò sotto la luce dorata. “Ti ho spaventato?” domandò senza nascondere un certo orgoglio.
“Non fare l’idiota, certo che mi hai spaventato! Ti sembra il caso di pedinarmi in un corridoio buio?”
“E dire che sono sempre stato io quello fifone.”
Arthur non aveva alcuna voglia di ricordare i loro momenti passati. “Cosa vuoi?”
“Sono preoccupato.”
“Non ce n’è motivo. Non credo alla storia dell’omicidio e comunque il tedesco è rinchiuso” rispose Arthur burbero, infilando le mani in tasca.
“Non mi riferivo a quello.” Quando Alfred si avvicinò ulteriormente, l’inglese notò che era senza giacca e il gilet era sbottonato, mettendo in mostra solo la sottile camicia bianca. Arthur si spaventò quando sentì il suo battito accelerare di nuovo.
“Qualunque cosa tu abbia da dirmi non mi interessa!” sbottò all’improvviso senza pensare a controllare il volume della voce. Alfred fece un passo indietro come se si trovasse di fronte ad un animale inferocito.
“Senti… ma perché non ne parliamo? Sai, non riesco proprio a capire cosa sia successo per farti arrabbiare così.”
Arthur non poteva credere alle sue orecchie, non voleva crederci! Non poteva in alcun modo pensare che quello stupido non avesse la benché minima idea di ciò che gli aveva fatto.
Alfred notò la sua furia crescente e si affrettò a giustificarsi. “Lo so che ti arrabbi quando non capisco le cose, ma è importante che mi spieghi cosa ti è successo.”
La mano si mosse senza preavviso. Nel corridoio risuonò l’eco di uno schiaffo e tutta la metà superiore del corpo di Alfred ruotò per assorbire l’impatto di quel colpo terribile. Dopo soli pochi istanti, Arthur sentì le proprie dita bruciare, mentre l’americano si voltava con occhi sconvolti e sorpresi, tenendosi una mano sulla guancia  infiammata.
“Vorresti forse farmi credere che non ti sei accorto di avermi abbandonato? Di essertene tornato in America senza dirmi nulla, dopo tutto quello che era successo?! Cos’hai pensato quella mattina? Pensavi di andare a fare colazione e poi, all’improvviso, hai deciso di salire su una nave? Sei davvero così stupido da pensare che io ci creda?!”
Si sentì improvvisamente bene ad avergli gridato contro tutte le parole su cui rimuginava da quasi un anno, però sentiva che non era ancora abbastanza.
Alfred non aveva ancora cambiato espressione. “Ma Arthur, cosa ti aspettavi? Non ero venuto in Inghilterra per restarci, lo avevamo chiarito sin dall’inizio. Sono venuto lì solo perché mio padre doveva venirci per affari e io volevo farmi una vacanza.”
“Quindi è questo che sono stato, per te? Una vacanza?”
Più particolari venivano svelati e più Arthur si infuriava. Aveva sempre pensato che quella discussione sarebbe stata da evitare. Per un anno aveva riflettuto su ciò che gli avrebbe voluto dire, ma era anche vero che durante tutto quel tempo non gli aveva mai scritto. Non voleva che si realizzasse ciò che temeva, ovvero venire a sapere di essere stato solo un passatempo, un’avventura tra tante.
“Non immaginavo che avrebbe potuto farti così male” tentò di scusarsi Alfred. “Credevo che il fatto di aver chiarito la temporaneità del nostro rapporto non avrebbe causato tutta questa sofferenza al momento del distacco.”
Perché non ce la faceva? Perché aveva una mentalità così infantile e limitata? Fargli notare tutte le sue stupidaggini non sarebbe servito. Arthur ingoiò tutti gli insulti e le spiegazioni, sentendo una devastante tristezza avanzare.
Alfred, approfittando della sua guardia bassa, gli si avvicinò, fino a sfiorarlo col proprio corpo. “Io… ecco, ero convinto che non ti importasse più di me. Credevo che il modo migliore per evitare inutili sofferenze fosse quello di andarmene e basta. Però…”
Arthur si ostinava a non rispondere. Non c’era alcun modo per fargli capire cosa aveva causato, non esisteva una soluzione, ora ne era sicuro. Tutto ciò che poteva fare per conservare una minima parte del suo orgoglio era trattenere le lacrime.
“Mi dispiace, Arthur. Pensavo fosse la cosa giusta per entrambi. Pensavo di comportarmi da adulto, facendoti tornare alla tua vita.”
Alfred osò ulteriormente, prendendogli il viso tra le mani e tentando di baciarlo. Arthur realizzò che non poteva permettersi di cadere così in basso un attimo prima di sentire le sue labbra sfiorarlo, e fu un bene, perché altrimenti non sarebbe stato capace di respingerlo.
“Non puoi… giocare con me” lo avvertì dopo averlo spinto lontano da sé.
Lesse una grande tristezza negli occhi azzurri di Alfred, probabilmente la stessa che l’inglese aveva mostrato poco prima. Forse adesso avrebbe compreso ciò che era stato in grado di provocare, forse avrebbe capito quanto sconvolgimento può portare lo sbriciolamento di un sogno. O forse no. Arthur aveva ormai inteso che per Alfred la libertà contava più dell’amore.
L’americano tentò comunque un ultimo approccio. “Tuo padre mi ha scritto. Mi ha detto che…”
Arthur si era sbagliato: non era tristezza, quella racchiusa nel suo sguardo. Era compassione, la stessa che gli rivolgeva dal momento in cui si erano rivisti. Non poteva permettersi di toccare il fondo più di così.
“Insomma, è vero che…”
“Stai zitto!” gridò Arthur per coprire le sue parole. Ne aveva abbastanza, i giochi erano conclusi. Improvvisamente si ricordò qual era la porta della sua stanza.
“Parliamone, Arthur! Non dovresti abbandonare tutto quello per cui hai faticato!” Alfred lo seguì fin sulla soglia, ma l’inglese gli chiuse la porta in faccia.
“Non dire più una sola parola! Non hai il diritto di compatirmi, è stata solo colpa tua!”
“Hai frainteso le mie intenzioni.” La voce di Alfred lo raggiungeva perfettamente anche attraverso la porta.
“Può darsi, ma ora mi è tutto chiaro. Vattene.”
“Non voglio che tu ti rovini così…”
“Va’ via!”
Ci volle ancora un minuto buono, ma alla fine sentì i passi di Alfred che si allontanavano lentamente lungo il corridoio.
Arthur rimase immobile a fissare il pavimento lucido, avvertendo un grande malessere. Non voleva la compassione di nessuno, né i consigli né i rimproveri, specialmente di Alfred.
Sulla parete alla sua sinistra, appoggiato al muro con il poggiatesta, stava il letto, grande e scuro, in tinta con la stanza buia. L’unico chiarore derivava dai raggi della luna che penetravano dalla grande finestra con le tende ancora aperte. Alcuni mobili, un armadio e una cassapanca, ornavano le altre pareti e da dietro la porta iniziava una lunga cassettiera che terminava contro il camino. Proprio lì sopra Arthur individuò una bottiglia di vetro accanto a un basso bicchiere. Stappò la bottiglia e avvicinò il naso all’apertura: era brandy. L’inglese non rifiutava mai un goccetto offerto da qualcuno, specialmente in momenti deprimenti come quello, così se ne versò un bicchiere abbondante e andò a sedersi sul letto.
Cercò di convincersi di non aver fatto una pessima figura di fronte ad Alfred e agli altri invitati che sicuramente avevano sentito le sue grida isteriche attraverso le stanze. Cercò di convincersi di aver fatto la cosa giusta, respingendo l’americano. Se ne sarebbe dovuto liberare, prima o poi, e quello era stato il momento propizio.
Mentre sentiva il brandy bruciargli la gola e scaldargli il petto, pensò alla maniera spudorata con cui Alfred aveva tentato a tutti i costi di attirare la sua attenzione durante quel giorno, quando il vice presidente degli Stati Uniti era venuto in visita a Scotland Yard. Era stato lui a insistere fino allo sfinimento per andare a bere qualcosa insieme, perché gli mostrasse la città e i luoghi dove ci si potesse divertire. Arthur l’aveva giudicato un ragazzino viziato e non aveva mai cambiato idea sul suo conto. Tuttavia non poteva nemmeno negare di essersi divertito, quella sera. Le idiozie dell’americano lo avevano infastidito, ma poi lo avevano anche fatto ridere. Anche l’alcool aveva avuto la sua parte, quella sera, ma comunque era stato in quel momento che tutto era iniziato.
E con l’alcool era anche tutto finito. Bevve altri due generosi sorsi e sentì la testa diventare più leggera. Era stata una bottiglia di rhum a offrirgli un illusorio conforto la mattina in cui si era svegliato e aveva capito che Alfred se n’era andato. Nessun preavviso, nessun biglietto, assolutamente nulla. In quella casa era rimasta solo la certezza di essere stato un effimero passatempo.
L’ebbrezza aveva aiutato, all’inizio, poi era divenuto uno spiacevole inconveniente che tentava di dimenticare ma in cui poi ricadeva sempre. La sensazione di nausea che iniziava ad avvertire era qualcosa con cui conviveva ormai da mesi. La ignorò e svuotò il bicchiere. Si sarebbe volentieri alzato a versarsene un altro, ma sentiva già le gambe troppo deboli per fare qualsiasi movimento. Si meravigliò della velocità con cui il brandy aveva fatto effetto, ma era da alcuni giorni che non toccava alcun tipo di alcool e il suo organismo non era più abituato a quelle tossine. Aveva tentato di separarsi una volta per tutte dalla bottiglia, ma aveva fallito per l’ennesima volta.
Adesso avrebbe aspettato qualche minuto, finché il suo corpo non avesse iniziato a rispondere di nuovo, poi si sarebbe versato dell’altro brandy.
Sentì la maniglia della porta abbassarsi e vide un debole spiraglio di luce penetrare nella stanza. Se era Alfred, era fortunato che fosse così debole, altrimenti si sarebbe ritrovato un bicchiere in faccia. Era incredibile quanto fosse ostinato.
La porta si aprì e, in controluce, Arthur distinse appena una figura che non si sarebbe aspettato.
Salut, mon amie.
L’inglese non aveva né la voglia né la forza di stare ai giochetti di Francis, ma aveva la mascella troppo appesantita per respingerlo verbalmente e si stupì di nuovo della rapidità con cui l’alcool lo aveva steso. Probabilmente era un brandy molto forte.
Il francese lanciò un’occhiata alla bottiglia mezza vuota sul camino e poi al bicchiere ancora in mano ad Arthur e sorrise maliziosamente. “Oh, ha già fatto effetto?”
Arthur sentiva la testa girare, ma era ancora abbastanza lucido da non lasciarsi convincere dal comportamento dell’intruso. Che ci faceva nella sua camera? Era stato mandato da Alfred? E poi, cos’era stata quell’occhiata alla bottiglia?
Francis chiuse la porta con la propria schiena e girò la chiave nella serratura.
Arthur avvertì una stanchezza incipiente prendere possesso delle sue membra e del suo cervello, ma era diversa dalla sonnolenza data dall’alcool: era come se qualcuno gli avesse tirato una botta in teste e lui cercasse in tutti i modi di restare cosciente. In bocca sentì un sapore amaro che prima non aveva notato.
Francis iniziò ad avanzare con tutta calma verso il letto. “Dal primo momento in cui ti ho visto ho pensato che tu fossi un tipo da rhum, ma ero sicuro che ti saresti accontentato anche del brandy.”
Arthur si accorse di non riuscire nemmeno a indietreggiare di qualche centimetro.
Le vin sait revêtir le plus sordide bouge d’un luxe miraculeux.
L’inglese riconobbe le parole che Francis gli aveva rivolto quando si erano incontrati per la prima volta, ma non capiva che senso avesse ripetergliele in quel momento. Il francese si avvicinò sempre più, gli appoggiò una mano sul petto. Bastò una lieve pressione per far cadere Arthur sul materasso, in lui non era rimasto un solo briciolo di forza.
“Non hai trovato interessante che Feliciano abbia notato la somiglianza dell’omicidio con il quadro di Von Chlebowski? Quel ragazzino è intelligente, e sicuramente ne sa di arte molto più di te.”
La vista annebbiata permise ad Arthur di focalizzare meglio alcuni momenti del giorno prima: la strana conversazione avuta con Francis a proposito della morte immortalata. Nel frattempo il francese era salito sul materasso e si era portato sopra ad Arthur.
Tout cela ne vaut pas le poison qui découle de tes yeux, de tes yeux verts.
Nella mano di Francis comparve improvvisamente un piccolo coltello. La lama si avvicinò con lentezza estenuante al viso di Arthur che non poteva distogliere lo sguardo dal compiaciuto Francis. Il coltello gli accarezzò i lineamenti, si soffermò a lungo sul collo, poi sull’orecchio, infine salì verso i capelli.
Le poison… Il veleno nel brandy stava per concludere il suo effetto, Arthur si sentiva sprofondare verso l’oblio, ma era come se Francis cercasse di prolungare quell’istante di esasperazione all’infinito. Il coltello tirò i capelli di Arthur e il francese si mise in tasca la piccola ciocca tagliata.
“Perdonami. Mi piace conservare un pezzetto delle mie prede, per ricordarmi di loro.”
La tranquillità e la sicurezza che ostentava avevano un che di inquietante e diabolico.
Arthur avrebbe dovuto chiedere aiuto, provò con tutte le sue forze a parlare ma fu in grado di produrre solo dei brevi suoni strozzati che chiunque avrebbe ignorato.
Lacs où mon âme tremble et se voit à l’enverse…
Quando la bocca di Francis si chiuse sul suo collo e poi sulla mascella, per poi salire a torturargli le labbra Arthur capì che non poteva esserci epilogo migliore per quella giornata. Era stato uno stupido, avrebbe dovuto prendere in considerazione più seriamente l’ipotesi dell’omicidio. E ora lui sarebbe stato la prossima vittima, ucciso così facilmente e in modo così vergognoso.
Tout cela ne vaut pas le terrible prodige de ta salive qui mord.
Non riuscì a reagire in alcun modo, poté solo restare immobile e subire, sentendo l’oscurità avvolgerlo e assistendo al suo assassino che si divertiva a giocare con i suoi ultimi momenti di vita.
Qui plonge dans l’oubli mon âme sans remord, et, charriant le vertige, la roule défaillante aux rives de la mort!
Per lo meno non fu doloroso. Non si accorse nemmeno di aver smesso di respirare.
Non vedeva più nulla, le percezioni gli venivano trasmesse da un altro dei cinque sensi che non aveva identificato. Sapeva che Francis lo stava baciando, sapeva anche che gli aveva messo le mani dietro la testa. Sentì il bicchiere cadergli di mano e rotolare sul pavimento, senza rompersi, accompagnato da un lembo della coperta.
Gli assalti di Francis alle sue labbra si interruppero di colpo. “Arthur? Ma respiri?”
Ovviamente lui non gli poteva rispondere, però si domandò cosa ci trovasse di strano. D’altronde il suo piano era riuscito. O forse no, forse si aspettava che andasse in modo diverso?
Francis corse via lanciando un’imprecazione. Probabilmente era andato storto qualcosa. Ad Arthur non importava granché, ma almeno sarebbe morto solo e in pace e non con un francese attaccato addosso.
Seguirono altri rumori, passi affrettati, persone che parlavano, venivano poste un sacco di domande ma non si udiva nessuna risposta. Si sentì sollevare e poi del liquido gli bagnò la bocca, il mento, il ­collo…
“Non funziona.”
“Lo costringa a bere!”
“È tardi.”
Delle labbra familiari gli sigillarono la bocca e il liquido gli invase il petto col suo bruciore.
“Mio Dio… questa è La morte di Chatterton!”
 
Un fastidioso brusio e una luce intensa lo strapparono dal precipizio oscuro in cui era caduto.
“Guardate!”
“Grazie a Dio.”
Una fitta improvvisa gli attraversò la testa: sentiva di essere stato colpito da un mattone. Attorno a lui c’erano molte persone e ciò non contribuì a farlo sentire a proprio agio.
“Arthur!” Delle braccia lo strinsero con troppa foga e l’inglese si sentì schiacciare. “Meno male, non potevi morire senza che avessimo fatto pace, non me lo sarei mai perdonato.”
“…staccati.”
Alfred obbedì subito, aveva gli occhi lucidi e gli occhiali storti.
“Lei è l’uomo più fortunato che conosca” disse Ludwig, ai piedi del letto.
Arthur aveva in bocca un disgustoso sapore di alcool mischiato a qualcosa di amaro.
“Se ti senti strano è perché sei un po’ ubriaco” gli spiegò Alfred, senza però chiarire nulla.
“Ubriaco?” Aveva bevuto solo un bicchiere.
“L’alcool è il rimedio casalingo contro il cianuro, se assunto in tempo. Gliene abbiamo fatto bere il più possibile. Ringrazi il cielo se è ancora tra noi” specificò Roderich.
Arthur faticava ancora a mettere assieme tutti i pezzi della vicenda.
“Se proprio vogliamo essere precisi, sono stato io a farglielo bere.”
Si guardò attorno alla ricerca dell’ultima persona che aveva visto e che aveva appena parlato. Francis era seduto su una sedia accanto alla testata del letto, ma Arthur si rese conto che le braccia gli erano state legate attorno allo schienale e che aveva un’espressione decisamente offesa.
“Direi che ormai non ci sono più dubbi: c’è un assassino tra noi che si sta divertendo a prenderci in giro imitando i dipinti della mostra.” La voce di Natalia provenne dall’ombra vicino alla porta.
“Al momento nessuno si salva dalle accuse” proseguì Roderich, “ma monsieur Bonnefoy è il più sospetto. Lei è l’ultimo che ha visto Kirkland. Si può sapere come ha fatto a non rendersi conto che era stato avvelenato?”
Francis si agitò sulla sedia. “Ve l’ho già detto: credevo fosse ubriaco!”
Arthur si sforzò di ripensare ai suoi ultimi momenti di lucidità.
“Comunque, prima di me, anche Jones era rimasto per qualche tempo da solo con lui.”
“E li abbiamo sentiti chiaramente litigare” confermò Feliciano. “Anche se parlavano inglese.”
“Nessuno dei due.” Adesso Arthur era perfettamente sicuro di ciò che stava dicendo. Gli altri si voltarono attendendo maggiori spiegazioni. “Jones non è mai entrato nella mia stanza… e comunque, sono stato io ad arrabbiarmi. Mentre Bonnefoy non si era accorto del veleno.” Approfittò della vicinanza per lanciargli un’occhiata di freddo rimprovero. “Era troppo occupato a sedurmi per capire ciò che stava succedendo. E quando se n’è accorto mi ha salvato in tempo.”
“Ve l’avevo detto” esultò Francis, alzandosi dalla sedia. Le corde che lo bloccavano scivolarono a terra come serpenti, lasciando tutti senza parole. Francis si strinse nelle spalle. “Pensavate davvero di poter tenere legato un prestigiatore?”
“È ancora presto per fare accuse” disse Ludwig. “In ogni caso, sebbene sia d’accordo a pensare che si tratti di eventi programmati, le modalità mi sembrano troppo casuali e azzardate.”
“Qual è il collegamento tra Zwingli e Arthur?” si intromise Alfred.
“Nessuno, immagino” rispose Roderich. “Credo che il motivo sia più semplice: Kirkland ha rivelato di essere un poliziotto e così è stato scelto come vittima successiva, in modo da ostacolare le indagini.”
“Come faceva l’assassino a prevedere che il signor Kirkland sarebbe entrato nella sua stanza e avrebbe bevuto da quella bottiglia?”
Arthur si sentiva a disagio ad essere preso in esame, specialmente riguardo ad un argomento così delicato. Cercò un modo per sviare la conversazione, ma questa volta Alfred lo precedette.
“Non era difficile.” Puntava su Arthur uno sguardo di rimprovero e delusione. “Mi ha scritto tuo padre…”
Ancora quella storia? Voleva rivelarla di fronte a tutti?!
Arthur si mise a sedere appoggiato al cuscino. “Non è il momento per queste cose” lo ammonì in inglese, ma Alfred non gli diede retta e proseguì determinato.
“Tuo padre mi ha detto che da mesi continui a bere, che non fai altro, e che per questo…”
“Taci, Alfred, non sono cose che ti riguardano!”
“E per questo sei stato sospeso dalla polizia!”
Venire giudicato da un gruppo di estranei e persino da Alfred rappresentava la peggior umiliazione della sua vita. Persino quando si risvegliava dolorante dopo una nottata trascorsa a bere da solo si sentiva meglio. Ora gli sguardi di tutti erano mutati, quel vago rispetto che aveva ricevuto nell’aver rivelato la sua autorità di ispettore si era trasformata in un istante. Ancora più degradante era il fatto che Arthur fosse l’unico responsabile di quelle occhiate deluse. Avrebbe tanto voluto che il materasso lo assorbisse.
Francis si schiarì la voce per rompere l’imbarazzante silenzio. “Allora… Jones era in grado di prevedere che avrebbe bevuto da quella bottiglia.”
“Credo comunque che non fosse troppo difficile intuirlo” aggiunse Roderich.
“Arthur, non pensare che me ne sia andato per farti soffrire, quindi smettila di farti del male.” Ad Alfred non importava niente delle supposizioni e dei sospetti. Stava sciorinando tutte le loro questioni private senza ritegno. Era completamente impazzito! “Tornerò da te, se è questo che vuoi. Lascia perdere l’alcool, sono certo che esistono molte altre soluzioni al tuo problema.”
Arthur si rifiutò di rispondere. Non era mai stato umiliato tanto in vita sua, voleva solo far finta che non stesse accadendo niente.
Per merito di qualche intervento divino, Elizabeta distolse l’attenzione. “Quindi il tentato omicidio scagiona Beilschmidt! Lui era chiuso in stanza quando il signor Kirkland è stato avvelenato.”
“Potrebbe anche aver messo il cianuro nel brandy ancor prima della morte di Zwingli” fece notare Roderich. “In ogni caso abbiamo altre domande da fargli, sarà meglio andargli a parlare.”
Arthur intravide Natalia che sussurrava all’orecchio di Ivan, il quale poi disse: “Sarebbe il caso di aspettare che il signor Kirkland si riprendesse, in modo che potesse essere presente.”
“È vero. Si prenda il suo tempo” disse Ludwig ad Arthur, poi uscì con Feliciano, seguito dai due russi.
“Ma non ci faccia attendere troppo” aggiunse Roderich dirigendosi alla porta, “la situazione sta prendendo una piega decisamente preoccupante.”
Quando tutti furono usciti e la porta fu chiusa, Arthur si accorse di non essere solo: Francis era ancora seduto accanto al letto. Dopo parecchi minuti di silenzio, si schiarì la voce.
“Eh… scusa per prima. Ero convinto che fossi stato ammaliato dal mio fascino e invece stavi morendo. Ho sempre pensato che le due cose andassero a braccetto, ma solo in senso metaforico.”
Riusciva a ricavare ironia anche da una situazione disperata come quella, ma Arthur non ci trovava niente di divertente. Pensandoci, avrebbe dovuto essere sollevato di essere sopravvissuto per un soffio, ma dopo l’ultima conversazione con Alfred, dopo la sua totale mortificazione, non riusciva a provare alcun sentimento positivo.
Nonostante la sonora lezione che aveva ricevuto, provava ancora il bisogno di fuggire da quella situazione. Non aveva idea di come avrebbe affrontato Alfred, gli ospiti, l’intero mondo da quel momento.
“Se tu non fossi arrivato, sarebbe stato tutto più semplice.”
Era inutile nascondere le lacrime, non poteva cadere più in basso di così.
Decise di concludere in quella stanza la sua umiliazione e lasciarsela alle spalle, poiché dubitava di avere la fortuna di essere avvelenato di nuovo.
Francis rimase ad attenderlo in silenzio.




Continua





Che bello, stiamo procedendo, eh? Ci sono state parecchie citazioni in francese. Io non so un'emerita mazza di questa lingua, perciò quando devo tradurre delle frasi più complicate di bon jour, mi affido alle citazioni, specilamente quelle di Baudelaire. Stavo sfogliando le sue poesie quando ne ho vista una che secondo me era fatta apposta per la FrUk, perciò ve la riporto qui sotto con la traduzione.

Le poison
Le vin sait revêtir le plus sordide bouge
D’un luxe miraculeux,
Et fait surgir plus d'un portique fabuleux
Dans l'or de sa vapeur rouge,
Comme un soleil couchant dans un ciel nébuleux.
L'opium agrandit ce qui n'a pas de bornes,
Allonge l'illimité,
Approfondit le temps, creuse le volupté,
Et de plaisirs noirs et mornes,
Remplit l'
âme au-delà de sa capacité.
Tout cela ne vaut pas le poison qui découle
De tes yeux, de tes yeux verts
Lacs où mon âme tremble et se voit à l’enverse…
Mes songes viennent en foule
Pour se désaltérer à ces gouffres amers.
Tout cela ne vaut pas le terrible prodige
De ta salive qui mord
Qui plonge dans l’oubli mon âme sans remords,
Et, charriant le vertige,
La roule défaillante aux rives de la mort!

Il veleno
La bettola più cupa sa rivestire il vino
d'un lusso da miracolo, e nell'oro
del suo rosso vapore
fa sorgere una fiaba di colonne,
come un tramonto acceso nella bruma.
L'oppio ingrandisce ciò che non ha fine,
l'illimitato estende,
il tempo fa più cavo, più profondo il piacere,
e di nere, di cupe voluttà
l'anima sa colmare a dismisura.
Ma più veleno stillano i tuoi occhi,
i tuoi verdi occhi,
laghi dove si specchia e capovolto
trema il mio cuore, amari abissi dove
a frotte si dissetano i miei sogni.
Più tremendo prodigio è la saliva
con cui m'intacchi l'anima e l'affondi
senza rimorsi nell'oblio, e languente
a filo di vertigine la spingi
alle rive dei morti.!





Quattro chiacchiere col morto


Yuri: Benvenuto al nostro incontro settimanale, signor Kirkland.
Arthur: Buonasera a tutti.
Y: Anche se non abbiamo avuto il piacere di vederla salire in cielo, ci è comunque andato molto vicino, dico bene?
A: Estremamente vicino, grazie a quella rana vinofila.
Y: Cosa la spinge ad affermare ciò dopo essere stato avvelenato facilmente a causa del suo alcolismo?
A:...Prossima domanda.
Y: Cosa mi dice dello stralcio di paradiso che ha potuto intravedere?
A: L'ho visto eccome. Spettacolare, assomigliava molto a Londra.
Y: Che genere di persone c'erano?
A: Un po' tutti. In paradiso i francesi sono lavacessi, i tedeschi spazzacamini, gli italiani netturbini, gli svizzeri aiuto bidelli...
Y: Ottimo, abbiamo recepito il messaggio.
A: I russi barboni, gli americani insegnanti di educazione fisica...
Y: Si spenga, signor Kirkland!
   
 
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