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Autore: Pinca    14/03/2011    1 recensioni
lo so, il titolo fa caga... comunque, è una raccolta di eventi molto romanzati che partono dall'unità d'italia alla fine della seconda guerra mondiale per poi cimentarsi in una costruzione assurda di un futuro prossimo. insomma, se vi va entrate, il prologo è due righe.
Genere: Guerra, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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 questo capitolo non so come interpretarlo manco io, ma è una premessa per quelli a seguire dedicati proprio a romano e poi al personaggio che ho deciso di creare, cioè sicilia. non so se vi piacerà come personaggio o se l'idea stessa di averla creata vi farà storcere il naso, ma credo che quella che oggi è una parte d'italia abbia sempre avuto le carte in regola per essere considerata come una nazione vera e propria. molto probabilmente dedicherò un capitolo anche a lei, simile a quello che ho già scritto per romano. inoltre ho cercato di rendere in italiano, il napoletano e il siciliano, adattando alcune forme grammaticali, per rendere maggiormente le espressioni dei personaggi. noterete che il verbo avere sarà usato a volte al posto del verbo dovere, che il passato remoto sarà usato normalmente, i verbi messi a fine battuta, o l'utilizzo di "pigliare" "prendere" e simili. comunque prendete quello che viene come una commedia. spero che sia piacevole e anche un pò simpatico. ciao e grazie mille da pinca^^!
 

 
 
 
Anche quella volta Sicilia era tornata a lamentarsi sempre per il solito problema. L’autonomia? No, per carità. Guai, guai ad aprire un argomento del genere! Quel tasto doleva peggio di un dente cariato. Era capace di tenergli il muso e di guardarlo male per mesi interi. Non le era andato proprio giù il suo intervento nel ’49.
-Devi fare qualcosa! Io a quello non lo sopporto più, si comporta come se fosse il padrone di casa!-
-E come, quello non ero io?- chiese scherzoso, comodamente seduto in uno degli ampi salotti soleggiati della reggia di Napoli.
-Si, ma sei così incapace che bastano un po’ di moine per farti mettere da parte!- continuò lei in preda all’indignazione, facendo avanti e indietro sul marmo bianco levigato. Si contorceva le mani in grembo, segno che si stava trattenendo dall’urlargli contro.
Lovino sussultò nel sentir definire “moine” quello che l’inglese aveva combinato nel 1816.
-Un po’ di moine?! Azz, e i cannoni puntati contro Napoli me li chiami moine? Ma che, te ne sei dimenticata che è successo l’ultima volta che volevamo passare il monopolio ai francesi? Quello ha combinato il finimondo!-
-Sei un incapace!- sentenziò sprezzante Rosalia senza neanche guardarlo.
-Pure!-
-Anzi, poco ti ho detto!-
-E tu sempre poco mi dici.- concluse Lovino dando poco peso a tutta quella faccenda. Gli bastava stare lì ad osservarla imbronciata e orgogliosa, con mille grilli per la testa, ferma a osservare il mare al di fuori dell’ampia vetrata con i suoi occhi neri, ardenti come carboni accesi. E come era bella e impettita in quel vestito color rosso dalle trame gialle, con una scollatura che, per quanto decorosa, non bastava certo a tenere a freno i sui occhi e i suoi pensieri, con i capelli corvini intrecciati sotto la nuca velati da un fazzoletto di pizzo porpora che lasciavano il lungo collo scoperto. 
-Non ti sopporto!- sbottò amareggiata continuando a guardare fuori.
-Dai, non dire così. Lo sai che ti voglio bene!-
-Tsk!- lo fulminò con un’occhiata fugace e risentita. -Infatti, l’ho visto quanto bene mi vuoi!-
Lovino si abbandonò sulla poltrona buttando la testa indietro esasperato.
-Uffà, una femmina più pesante di te non me la potevo trovare! Non ti va mai bene niente! Ma che fastidio ti da questo inglese?-
-È un cafone!-
-Ha parlato la regina di Francia!- la sfotté sventolando una mano in aria.
-In casa mia le persone devono sapersi comportare. Mi tratta come una schiavetta, si crede di avere a che fare con una delle sue colonie! E poi, per lavata di faccia, mi paga quei quattro spiccioli…. Chi me lo doveva dire che alla mia età il primo pirata da quattro soldi si sarebbe permesso di trattarmi così!-
Romano si piegò in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia, scrutando corrucciato la donna che aveva di fronte.
-Ma fammi capire, che vuoi farci la guerra?-
L’attenzione di Rosalia saettò immediatamente dal golfo al ragazzo seduto al centro della stanza, e vi si avvicinò a grandi passi.
-Io? Tu dovresti farci la guerra! Non mi volesti maritata, e ora fai il tuo dovere e mostra chi comanda!-
Romano scattò in piedi trionfante, fronteggiandola, sbandierando un dito come a voler dimostrarle che con quella frase si era smascherata da sola.
-Ah, e qua ti volevo!- fece soddisfatto fermandosi proprio di fronte a lei. -Ora non ti dispiace essere maritata, vero?- chiese avvicinando il viso sorridente e spavaldo a quello tirato della moglie.
-Non mi dispiacerebbe se ogni tanto qualche lato positivo ci fosse!-
-E quindi ora pretendi che io ti cacci quell’inglese di casa!- continuò lui con la stessa aria tra lo sfottò e l’accusa.
-E certo, voglio vedere. Qua ci sei tu che fai il padrone, là, a casa mia, c’è quell’altro che fa il padrone e non mi è manco marito!-
-Io, padrone?- Lovino incredulo si portò le mani al petto offeso. -E tu tieni pure il coraggio di chiamare padrone a me? Dopo tutti questi anni?-
-Sì, esatto, e sappi che alla prima occasione buona, io faccio i bagagli e me ne vado, capisti?- confermò Etna inflessibile, passandogli accanto e percorrendo nervosamente il salotto.
Romano sbuffò e alzò gli occhi al cielo, voltandosi verso di lei.
-Sì, si, l’ho capito, non fai altro che ripetermelo!-
-Sei uno sciocco. Non lo capisti ancora che, chi non si impone con le armi, destinato a stare in basso è?-
-Dai Etna, non iniziare con questa storia, lo sai che non sono d’accordo....- fece seccato, tornando a sedersi sulla sua poltrona.
Rosalia si fermò e tornò a rivolgere il suo sguardo irrequieto su di lui.
-A no? E com’è che a tutt’oggi ho ancora quel maledetto inglese che si prende tutto il mio zolfo indisturbato?-
-Ma che c’entra?- scattò dritto Lovino giungendo le mani. Ma possibile che si dovesse trovare a spiegarle queste cose? Ma non erano già abbastanza ovvie? -La grandezza di un paese non si vede dai fucili, ma da come sta la sua gente. Abbiamo industrie, la ferrovia, i cantieri navali, servizi per i poveri, i malati e gli orfani…. Viviamo meglio degli inglesi e dei francesi, e questo senza bisogno di puntare fucili contro nessuno.-
-Ti sbagli!-
La sua insistenza lo fece uscire dai gangheri. Sembrava contraddirlo per puro spirito, solo perché erano parole sue.
-Eh… Etna, camm’a fa?- chiese spazientito alzando la voce, oramai seduto in punta alla poltrona. -Ma che, veramente vuoi la guerra? Ma stai uscendo pazza? Ma sai che significa partire per andare ad ammazzare o essere ammazzato? Ma chi me lo fa fare? A quale scopo?-
Etna sbuffò cercando di resistere, ma dopo aver vagato con lo sguardo, si arrese e lo abbassò amareggiata sul pavimento di marmo bianco.
Lovino sospirò nel vederla così, e tutta la rabbia passò immediatamente. Era veramente bella Sicilia, appunto perché non sarebbe mai stata sua veramente, appunto perché aveva un carattere così forte da non lasciarsi sopraffare da nessuno.
-Vieni con me….- si alzò dalla poltrona e le passò un braccio attorno alla vita per guidarla. Ma lei non si lasciò accogliere nel suo abbraccio, quasi non la toccò, e lo seguì avvicinandosi all’ampia vetrata.
Lovino la spalancò incamminandosi nel terrazzo, fino alla balausta. Lei si fermò proprio accanto a lui, senza dire una parola. Un vento profumato soffiava piacevolmente dal mare e il sole alto scaldava il viso e il petto.
-… Lo vedi questo?- le chiese indicandole il golfo di Napoli.  
-Lo vedo, e io ho viste migliori a casa mia.-
A Lovino caddero involontariamente gli occhi nella scollatura del vestito, e si trovò a deglutire e ad imporsi di concentrarsi immediatamente su quello che stava dicendo.
-Di questo non dubito, ma guarda!- riprese sospirando. Non era da tutti avere una moglie bella tanto quanto virtuosa e inamovibile, una moglie che anziché infuocarsi nella camera da letto, si accendeva per questioni che a Lovino interessavano il tempo che trovavano. Sicché da quando erano sposati non più di un qualche bacio era riuscito a strapparle, ma che bacio però, questo doveva ammetterlo, erano infuocati e combattuti come guerre.
Insomma, Lovino si poteva definire un uomo fortunato! Forse era proprio per questo che non gli interessava niente al di fuori del suo regno, e nessuna intenzione aveva ad aprirsi ad altre nazioni.
 -Tu lo sai perché i francesi, gli inglesi vanno sempre a fare le guerre in giro per il mondo, a conquistare gli africani, gli indiani e… insomma, hai capito. Tu lo sai perché?-
Sicilia con tanta pazienza dovette rispondere. -Perché?- chiese sospirando apertamente, evitando pure di guardarlo.
-Perché là dove stanno loro è brutto, è triste, chiov siempr (piove sempre)! E invece noi qui, non solo abbiamo le industrie, le officine, ma abbiamo pure questo ben di Dio, abbiamo il Sole.- si voltò verso di lei e appoggiò le mani sulle spalle minute della donna, stringendola amorevolmente. -Non ci manca niente…. e poi guardati, ci sei tu, che si talmente bella….- Ma Lovino si lasciò andare a quella scollatura, che meno era sfacciata e più lo incuriosiva, e si abbandonò alla contemplazione, stringendole le braccia e attirandola a se, cosa che la lasciò interdetta. –Sei così piena, prospera….-
e più la stringeva, più i seni si baciavano e lui più impazziva e si abbassava automaticamente per avvicinarvi il viso e morderli. Peccato che trovò la solita resistenza di lei che non gli permetteva certo di farsi toccare! Lui si avvicinava e lei lo scostava piegandosi sulle ginocchia, stretta in quell’abbraccio forzato.
-Lovino, le mani!- lo richiamò aspramente.
-E io mica con le mani ti sto toccando!- fece evasivo lui con tutte le intenzioni di strappare a morsi il foulard bianco che le copriva pudicamente il seno.
A farlo destare fu la spinta che gli diede e lo schiaffò che seguì.
-Ti dissi che non m’hai mettere le mani di sopra! Quante volte te lo devo ancora dire?- lo rimproverò indignata risistemandosi il corpetto e il foulard in modo tate che le coprisse veramente tutto il petto questa volta. 
-Oh, ma te la faccio vedere io! Alla prima occasione, alla prima, e tu a me non mi rivedi più! E lo faccio! Non lo faccio secondo te, lo faccio, lo faccio!- continuò reiterando le solite intimidazioni, rientrando nel salotto.
-Ahè, di nuovo con le minacce!- Lovino rassegnato la seguì.  
-Credevi di passartela così facilmente?- gli fece una volta dentro. -Mi maritasti con un trucco infame, dovesti aspettare che Napoleone rivoluzionasse l’Europa per maritarmi!-
-E che volevi, la proposta?- fece lui leggero, senza dare peso al tono grave che continuava a rivolgergli.
-Sarebbe stato più dignitoso da parte tua, avresti mostrato un po’ di fegato in più! Ma tanto l’hai fatto solo perché così gli girava al Re!- prese la mantella sua e quella di Lovino e se le mise sotto braccio, dopodiché aprì la porta e con tono autoritario, l’unica cosa che la faceva rassomigliare ad una moglie, gli indicò di uscire. -Ora tu vieni con me, e ce lo dici a quel filibustiere arrogante che in casa mia si deve rispettare la buona creanza e che se vuole lo zolfo lo deve pagare veramente e non simbolicamente!-
E mentre Lovino usciva dalla stanza a testa bassa come un cane bastonato, lei non si risparmiò l’aggiunta pessima per Etna si stava tenendo dentro da quando era arrivata quel pomeriggio a Napoli.
-Non vuoi fare l’uomo? Te lo faccio fare io a furia di calci, da qui fino a Palermo!-
 
 
 
Non lo prese a calci da lì fino a Palermo per fortuna sua. Una volta al di là del faro, Lovino però, con grande disappunto, constatò che nessuno, al loro passaggio salutava. Alcuni facevano un leggero cenno con la testa, quasi impercettibile, altri uomini alzavano leggermente la visiera della coppola all’indirizzo di Etna.
Che ce l’avessero ancora con lui era probabile, ma manco a salutare Etna, questo era strano.
Solo quando arrivarono nel palazzo dei Normanni, un uomo, un barone, bello che impettito, si inchinò togliendosi tanto di cilindro.
-Signora Rosalia!-
-Signorina prego!-lo corresse severa Etna, umiliando così il marito che le camminava accanto reticente.
-S’abbenedica!- rispose l’uomo senza fare una piega e seguendoli con lo sguardo.
Anche già solo per la sua tempra orgogliosa e testarda, Etna non era quella che si poteva definire una moglie ideale. E quante gliene faceva passare a Lovino! Ma anche lui, non era certo un santo, e se qualche bella sottanella gli passava accanto, poi tanti problemi non se li faceva.
-Si può sapere perché nessuno saluta?-
-Nessuno chi? Tutti salutarono!- fece lei offesa. Certo non poteva pretendere che Lovino percepisse il saluto silenzioso dei siciliani.
Ed era in una delle stanze del palazzo reale che l’inglese, con degli sporchi stivali incrociati sulla bella scrivania ad imbrattare indifferente dei fogli bollati, stava comodamente seduto ad attenderli.
Furono proprio quegli stivalacci sporchi ad indispettire Sicilia fino a farla irrigidire intransigente sulla porta della stanza.
-Alla buon’ora!- fece beffardo sir Arthur sorridendo sornione ai due immobili sulla soglia. –Prego, accomodatevi!-
Romano, perplesso per il fatto che Etna si fosse bloccata sulla soglia, non si fece problemi, ne diede peso al tono dell’inglese. Avanzò nella stanza e si accomodò ad una delle sedie davanti alla scrivania.
Etna con passo fermo, lo affiancò e, estratto il ventaglio, lo frustò spietata e indignata per il comportamento ingenuo di quello che era diventato suo marito con quel trucco infame.
-Alzati immediatamente!- gli ordinò a denti stretti. Possibile che fosse così sciocco da farsi trattare da ospite in casa sua?
Romano si massaggiò il collo e si alzò di malavoglia.
-Che volete?- chiese Rosalia ostile all’inglese seduto dietro alla sua scrivania.
Sir Arthur ghignò divertito dalla tempra di quella donnetta, che si credeva tanto importante da mostrarsi apertamente avversa alla sua presenza, e niente poteva impedirgli di fantasticare piacevolmente sui modi più svariati di poterla piegare, fino a spezzarla. Era una sfida aperta e promettente.
-Perché quel tono? Sono qui per onorare il pagamento dello zolfo, ecco…- infilò una mano nella giacca e ne estrasse un mazzo di carte larghe quanto fogli di quaderno, lanciandoli di malagrazia sul tavolo, cosa che la stizzì, lo poté notare dal tremito delle labbra livide di rabbia. Quello era un gesto che si riservava alla carità, ai morti di fame.
Ma Rosalia fu più signora, raccolse le carte e le visionò diffidente.
-Carta? Adesso vengo pagata addirittura con la carta!- constatò lasciando cadere le carte sul tavolo. -Non tollero questa farsa, sappiatelo!-
-Non è semplice carta. Sono cambiali. Non potevo certo trasportare l’oro per i mari. Diverrebbe facile preda di pirati...- spiegò con tono paziente, come se si stesse rivolgendo ad una bambina.
-Pirati? Vi auto saccheggereste quelle quattro monete d’oro simboliche che mi dovete?-
Gli occhi verdi dell’inglese si assottigliarono sulla figura bruna e ostile di fronte a lui, per poi spostarsi sul ragazzo accanto.
-Che lingua biforcuta ha la sua signora. Dovrebbe tenerla a freno e sguinzagliarla nei salotti, non qui!-
Quello fu un puro affronto per Etna, il cui petto si gonfiò di indignazione sotto il fazzoletto candido.
Romano comprese che era arrivato il momento di intervenire quando Etna fece un mezzo passo in avanti.
-Ehm… e come funzionano queste… cambiali?- chiese bloccandola, passandole un braccio davanti e afferrando le carte che lei aveva lasciato sulla scrivania con indignazione.
-Basta presentarle alla banca depositaria, e vi sarà dato il valore aurifero riportatovi. È la nuova frontiera, il futuro!- spiegò sir Arthur.
-È una truffa! È solo carta straccia.-
-Effettivamente, scusate, ma non è che sia una idea fantastica questa. Voglio dire, chi me lo assicura che la banca mi consegna l’oro segnato su queste cambiali?- chiese con molta più diplomazia Romano, lanciando uno sguardo di rimprovero alla moglie irrequieta.
-Sta per caso insinuando che la sto truffando. Non dia ascolto a sua moglie, cosa ne può capire di nuova finanza?-
A quest’ultima affermazione il silenzio calò nell’ufficio. Sicilia aveva smesso di guardare l’inglese, ma guardava il marito, in attesa di una reazione, che era certa, non sarebbe stata quella dignitosa di una nazione del suo livello. E infatti Lovino ingoiò l’ennesimo compromesso, e si mise in tasca le cambiali, sforzandosi di sorridere alla donna che gli stava accanto che lo guardava con un moto di delusione che gli faceva più male di qualsiasi altra cosa.
-Ehm, sentite, scusate, non è che potreste levare i piedi da… ecco, darebbe un po’ di stizza alla signora…-
-Signorina.-
-Certo!-  fece l’inglese alzandosi, ma Romano perse la pazienza.
-E mo ci hai scassato co’ sta storia della signor….-
Il tossicchiare di Sir Arthur lo fece frenare e ricomporre immediatamente. Certo non si poteva lasciare andare così davanti ad un estraneo.
-Eh, arrivederci, tanti saluti a voi e a Maestà!- gli fece stringendogli la mano con un sorriso tirato, mentre Arthur faceva il giro della scrivania e usciva dalla stanza.
Lovino sospirò e si passò una mano tra i capelli stancamente, mentre Sicilia gli faceva un giro intorno guardandolo dalla testa ai piedi.
-Incompetente, incapace! Du ficusu! Ma proprio tu mi dovevi capitare?- sbottò infine.
-Ma potevo prenderlo di punto e in bianco e buttarlo fuori? Ragiona, quello ci avrebbe puntato i cannoni delle sue navi contro!-
-Se non mi sbaglio anche noi abbiamo cannoni e navi, anche più nuove delle sue!- gli fece Rosalia amareggiata, avanzando verso il centro della stanza. -Adesso neanche più la figura che vengo pagata! Peggio di una colonia! Con le carte mi paga, mi prende pure in giro!-
-Ma se ha detto che in banca, se porti quelle carte, ti danno l’oro in cambio.-
-In banca?- si voltò repentina verso il marito. -E mi dovrei pure presentare per prendermi quella miseria? Vado a fare la figura della pezzente?-
-Uffà, e non te ne va bene una!-
-Alla mia età, mai sono stata trattata in questo modo! Mai nessuno si è permesso!- fece avvicinandosi tanto da ritrovarsi a faccia a faccia col ragazzo. -Sei un vigliacco Romano! Un altro poco gli lustravi quegli stivali fetosi come a lui con la lingua….-
-We, e che sono ‘ste cose! Adesso basta!- tuonò esasperato alzando la voce. -Quando è troppo è troppo. Sta zitta o qua non so come va a finire!-
-Ah, ora ce l’hai la voce, eh? Sei capace di fare il grande solo con me! Che grand’uomo!-
-E sì, va bene? Faccio il grande solo con te, ed è mille volte più difficile che farlo con quello!-
-Giuro, alla prima occasione ti mollo!-
-Ancora con ‘ste minacce?- Romano la afferrò per le spalle e la scosse forte. –Ma io ti lascio vittima, ti lascio…-
-L’hai già fatto.- gli disse divincolandosi bruscamente dalla sua stretta e frapponendo tra se e lui la sedia.
-E rientrava nei miei sacrosanti diritti di marito! E poi la colpa è tua, che hai una faccia tosta da prendere a schiaffi.- continuò agitandosi e scostando la sedia con impazienza.
Lei indietreggiò guardandolo con sfida, perché lo sguardo di Lovino si era fatto scuro, intenso, e lo conosceva quello sguardo appassionato. Perché Lovino lo sapeva che cambiava da un momento all’altro, così, si appicciava all’improvviso, a come gli girava. Teneva un fuoco incandescente nel cuore che lo riscaldava e lo addolciva, e poi senza preavviso esplodeva.
-Vieni qua, femmina indemoniata.- fece avanzando.
-No!- continuò indietreggiando lei, trovandosi troppo presto ostacolata alle spalle dalla scrivania e Lovino la afferrò per le spalle piccole e strette nel vestito rosso e giallo immobilizzandola con la forza alla quale lei oppose una fiera resistenza.
-Statte ferma…- le intimò inseguendo con le labbra e gli occhi infuocati, la bocca rossa e morbida che Rosalia teneva lontano da lui, indietreggiando con la testa. -Dammi nu vas.- continuò scuotendola con ardore, e oramai le stava addosso con tutto il suo corpo a schiacciarla contro la scrivania di legno scuro imprigionandola.
-No!- soffiò testarda e orgogliosa, ancora, ad un soffio dalle labbra di Romano, con le palpebre basse e il cuore a scuoterle il petto.
-Ti ho detto di darmi un bacio, lo voglio subito. Sei mia moglie!- ordinò ancora scuotendola con più veemenza.
-E quindi?- Rosalia ritrovò la voce e la forza di sfidarlo. -Tu sei mio marito, ma il tuo dovere con quello non l’hai…- Ma Lovino la baciò, con lo stesso ardore e passione di chi avrebbe persino osato stracciarle pure le vesti di dosso in quell’impeto. E certo non poteva dire niente lei, caduta nella sua trappola, sapendo che in un momento del genere i suoi sprezzanti discorsi e rimproveri a Lovino passavano indifferenti, inesistenti. Si era lasciata distrarre, tutto qui, e ora si ritrovava a ricambiare quel bacio, a lottare con l’affanno per non farsi sopraffare dalla passione di lui, trascinata velocemente dalla stesso fuoco ribollente. E con la mano salì veloce ad afferragli i capelli bruni, e li strinse forte e li tirò allontanandolo da se con la forza, quel tanto che bastava a riprendere fiato ad entrambi. 
-Com’è che dici? Viva o’re?- gli chiese con gli occhi ostentatamente svogliati piantati in quelli di Romano, che vagavano impazienti dalle labbra al viso di lei.
-Eh, viva o’re!- rispose tornando a tuffarsi su quelle labbra che lottavano reticenti tra quell’amore e quell’orgoglio cozzanti.
-Dimmi… parlami in siciliano, quelle parole con la “u”…- le ordinò dopo un attimo.
Lei ci rifletté e poi glielo negò con un cenno del capo, per il puro gusto di digli di no.
-Parla o ti mozzico!- E Lovino la scosse ancora, perché voleva vedere quelle benedette labbra, quella bocca stringersi in quella “u” riservata e chiusa che sapeva pronunciare solo lei in quella maniera così particolare e dolce. Quella “u” le chiudeva le labbra e le spingeva in avanti come se stesse dando un bacio, e lui impazziva, gli bastava vederlo e non ci capiva più niente, e si ritrovò a supplicare arrendevole ad un suo secondo diniego.
Peccato che proprio in quel momento un bussare fece trasalire entrambi, che si trovarono estraniati a fissare la stessa persona per la quale poco prima si stavano dando contro a vicenda.
-Vogliate scusare l’interruzione…- Sir Arthur con sguardo ammiccante e un mezzo sorrisino malizioso, avanzò nella stanza e afferrò il piumato cappello nero poggiato sulla scrivania. –Avevo scordato il capello! Signora… Sir!- disse infine prima di andarsene, facendo un segno di saluto in direzione dei due che, imbarazzati, guardavano in direzioni diverse.
Sicilia si ricompose stirandosi il corpetto lungo i fianchi e percorse la stanza a grandi passi, lasciandolo solo con l’ennesima minaccia lasciata a mezz’aria. –Alla prima occasione Lovino, alla prima…-
 
 
 
 
   
 
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