La spiaggia era di nuovo davanti a me, il mare che si perdeva nell’infinito sotto il cielo rosato dal tramonto,il grande palazzo di marmo che si stagliava maestoso sulla scogliera. Il mio sogno era lì. Io ero nel sogno. Il mio sogno. Quello che per tanti anni avevo cercato e in cui ero tornata, alla ricerca di risposte che avrei riportato nel mio mondo, il posto che mi apparteneva e che mi era sempre appartenuto, pronta a diventare anch’io una donna. Un fruscio felpato accanto a me mi fece voltare il capo verso il grande leone che mi si era avvicinato.
“Il mio tempo è scaduto, vero?” chiesi con un velo di tristezza nella voce.
“Sì, Figlia di Eva. Hai imparato da questo mondo tutto ciò che ti serve per affrontare il tuo. Da questo momento in poi, saprai ricoprire il tuo ruolo con giustizia e saggezza, proprio come hai imparato qui, e la tua vita sarà felice” rispose Aslan con dolcezza.
Soffocai a fatica un singhiozzo. “Aslan…” sussurrai, incapace di rivelargli il dolore che mi serrava il petto.
“Non ora” mormorò il leone. “Accadrà. Non ora, ma accadrà”.
Le sue parole suscitarono uno strano calore dentro di me, come se mi stessero dando la certezza che un giorno, non sapevo come, io ed Edmund saremmo stati uniti per l’eternità.
“Cate”.
La sua voce mi fece sussultare, il cuore a mille.
“Edmund!”.
Lui era accanto a me, aveva lasciato la festa solo per venirmi a cercare.
“Te ne vai?” chiese, i grandi occhi neri pervasi di tristezza.
Io annuii seria. “Sì, mi dispiace”.
“No! Non puoi andartene ora! Qui abbiamo tutto quello che desideriamo, sarai la mia regina, puoi esserlo, lo meriti!”.
Io mi avvicinai a lui, accarezzandogli quel viso da angelo dispettoso che si ritrovava, lottando per non fargli vedere le lacrime che lottavano per uscire, poi, facendomi ancora più vicina, gli sfiorai le labbra con le mie, baciandolo con tutto l’amore che avevo dentro di me. “Non possiamo restare insieme” dissi stringendolo a me, mentre lui tuffava il volto fra i miei capelli. “Apparteniamo a due mondi diversi, a due ere diverse. Se ci pensi, se tornassimo nei nostri mondi, tu dovresti essere come minimo mio nonno o” il cuore ebbe una fitta dolorosa “addirittura già morto”.
Edmund mi strinse a sé ancora più forte. Stava piangendo, lo sentivo, anche lui non avrebbe mai voluto permettere che ci separassimo.
Alzai il volto verso di lui, perdendomi in quello sguardo che ormai non mi turbava più, ma si limitava a farmi capire quanto lo amassi. “Io sento che ci rivedremo, un giorno” gli promisi. “Quando sarà il momento”.
“Cate,” mi chiamò Aslan, che era rimasto a pochi metri da noi, lanciandoci lunghe occhiate comprensive “è ora di andare”.
“E’ la cosa giusta” dissi in tono consapevole. Sapevo che era così, anche se per il momento non riuscivo a sopportarlo. “Forse se restassi ora, saremmo davvero divisi per sempre”.
“Cosa?”.
“Fidati. Non è il momento. Ti prometto che, quando ci vedremo ancora, sarà per sempre”.
Edmund mi baciò, un bacio lungo, passionale, nel quale avrei voluto restare immersa per l’eternità. “Ti amo” sussurrò mentre sfiorava le mie guance bagnate, la punta del mio naso, le sue mani nei miei capelli spettinati dal vento.
“Anch’io” sussurrai stringendomi a lui. “Anch’io”.
“Non dimenticarti mai di me. Ti prego, promettimelo” sussurrò il ragazzo.
“Lo prometto” dissi piano.
“Cate”.
Aslan aveva indicato il mare, con quel nome. Ed esso gli aveva risposto, increspandosi e rivelando una porta fra le onde, la porta che mi avrebbe ricondotta a casa.
“Io ti aspetterò” disse Edmund, sfiorandomi le labbra un’ultima volta. “Ogni giorno della mia vita”.
“Allora a presto” lo salutai io. “A casa”.
Le nostre mani si lasciarono lentamente, con un fruscio delicato, carico di amore e nostalgia, mentre io mi voltavo e mi immergevo nelle acque del mare, che mi accolsero e mi abbracciarono, trascinandomi con loro verso casa, il mio posto, nel quale avrei atteso, paziente. Mi voltai un’ultima volta, scorgendo a malapena i profili di Aslan d Edmund tra i flutti, poi tutto divenne buio.
Mi ritrovai supina sul mio letto, intenta a osservare il soffitto. Che strano sogno che avevo fatto! Mi era parso di fare un lungo viaggio in un posto fantastico chiamato Narnia, in cui lottavo al fianco di quattro fratelli e di un possente leone contro la Strega Bianca, liberando quella terra meravigliosa da una maledizione durata cento anni. E che mi ero innamorata di un ragazzo, Edmund, mi pare che si chiamasse. Che strano! Ma era stato solo un sogno, in quel momento avevo cose molto più importanti di cui occuparmi. Come per esempio della mia bella versione di greco, dal momento che erano già e quattro e non avevo ancora concluso un accidente. Mi trascinai di malavoglia verso la scrivania, scrutando con aria di sfida quelle pagine maledette, affrontandole con una nuova consapevolezza: erano noiose, va benissimo, e come tali le avrei trattate, impegnandomi a tradurle come si deve per poi non doverle rivedere mai più. Stavo per aprire il dizionario, quando notai qualcosa nascosto fra le pagine del quaderno. Sembrava un fogliettino di cara. Lo estrassi delicatamente dal suo nascondiglio. Le parole scritte con quella grafia sottile e un po’ disordinata mi fecero balzare sulla sedia, incredula e allo stesso tempo carica di una consapevolezza ancora più grande:
don’t forgive me
Edmund
Buongiorno a tutti!
Purtroppo, questa è la fine della fanfiction (sì, mentre scrivevo le ultime righe, una lacrimuccia è uscita anche a me). Ma questo non è un addio: presto, infatti, ci sarà un sequel, del quale in questo capitolo ho già spoilerato qualcosina e che premetto sarà un totale rovesciamento dell'ultimo libro (perché così come finisce è INACCETTABILE).
Ringrazio ancora tutti voi lettori per la pazienza e il sostegno e saluto con affetto le mie due "fan" più sfegatate, sawadee e La_la, per il loro affetto ed entusiasmo
Colgo l'occasione per salutare anche Helga Fair e cioccolata per le loro recensioni (adesso tornerò a farmi gli affari vostri, dato che ho due vostre fiction in sospeso!).
Che dire?
Alla prossima (e spero sia presto)!
Un abbraccio fortissimo a tutti voi!
Ciao!
Sunny