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Autore: Clahp    15/03/2011    8 recensioni
Ma quel giorno era venerdì.
E il venerdì andava tutto bene.
[White & Black days!]
[ShikaTema power]
[accenni NaruSaku]
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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It’s Friday, I’m in love

Un paio di note prima di iniziare.

-La fanfic è stata scritta per l’iniziativa “Black & White Days”; dovevamo scrivere una fanfic estremamente fluff e romantica con questi due.

-…e se vi sembri che la fanfic non sia in tema, almeno per la prima metà, andate fino in fondo e leggete!

-E’ dedicata a tutte le utenti del Black Parade <3 vi adoro, ragazze (e ragazzi!).

-E’ abbastanza particolare. Spero vivamente vi piaccia e non vi faccia uscire pazzi (come invece ha fatto con me -.-); non vi dico niente, dovrete capire da soli quel che accade.

-Un solo indizio. I pari sono scritti dal punto di vista di lei, i dispari da lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

It’s Friday,

I’m in love

 

I don't care if Monday's black,

Tuesday, Wednesday heart attack

Thursday never looking back…

It's Friday, I'm in love.

[The Cure – Friday I’m in love]

 

 

 

 

[Sesto venerdì]

I due ragazzi urlavano sempre più; le loro grida avrebbero ben presto fatto scoprire la loro posizione al nemico –non bisognava fidarsi di nessuno, in quei tempi, di nessuno, nessuno-, tanto che i più anziani del reggimento iniziarono a storcere il naso mentre erano a cena nelle proprie tende. Ma il gruppetto di persone lì presenti non poté proprio fare a meno di osservare la stessa scenetta che si presentava, puntualmente da sei venerdì a quella parte, fra il loro comandante e la sorella dell’altro comandante. Avevano urlato nella tenda di lui per una buona mezz’ora –per quanto fosse incredibile, i due erano insieme da qualche mese ormai- e adesso s’erano trasferiti nella piccola radura di erba dove i soldati più giovani erano soliti riunirsi all’ora di cena, intorno a un fuoco.

«Oh, e pensare che questo è il nostro capo!» osservò lei, ridacchiando, e beandosi del fatto che tutti là attorno guardassero il suo pieno trionfo. Aveva assunto la sua solita posa saccente e beffarda: braccia incrociate al petto, sorrisino superbo e sopracciglio alzato… quella posa che a lui dava così tanto fastidio… e lei lo sapeva, e lo faceva proprio a posta…

«Lui, questo ragazzino! La mamma ti ha dato da mangiare, tesoro?»

Shikamaru rimase dov’era, sbracato sull’amaca, a sonnecchiare. E questo suo modo ameba e indifferente di comportarsi la faceva così tanto arrabbiare… e lui lo sapeva, lo sapeva, sì, e proprio per questo non reagiva e non rispondeva…

«E neanche risponde!» berciò l’altra, iniziando a scaldarsi sul serio. Kiba ridacchiò, strizzando l’occhio a Naruto, che tuttavia non rispose con la solita allegria di sempre; sembrava preoccupato. Scambiò un veloce sguardo d’intesa con qualcuno fra la folla.

«Oh scusa» borbottò Nara dopo un po’, come se si fosse appena svegliato «hai detto qualcosa? Il mio cervello non capisce il gallinese…»

E rise, soddisfatto…

Lei allargò le narici, e gli occhi le dardeggiarono.

«Gallinese?» chiese, a denti stretti.

«Oh sì, sai» blaterò lui, per poi fermarsi a causa di un enorme sbadiglio «la lingua delle galline, insomma.»

Temari s’avvicinò; Naruto, se possibile, impallidì ancora di più.

«Ma che strano» boccheggiò la ragazza «io non vedo proprio galline qui…»

Lui la guardò, gli occhi impastati di sonno, e la voce monotona.

«Be’, vuoi uno specchio?»

Alcuni ragazzi, ancora di più, risero. Temari strinse i pugni; no, quel dannato idiota non avrebbe avuto l’ultima parola, no… La ragazza sapeva essere glaciale quando voleva esserlo; e, con una o due parole, lo avrebbe messo in riga senza problemi.

«…Una gallina brufolosa, per di più» continuò senza problemi l’altro, dandole una rapida occhiata al volto. «Temari, hai un’emorroide sul volto, per caso?» domandò poi, molto serio, indicando il (grosso) brufolo proprio al centro del mento della ragazza.

Lei non si scompigliò né s’intimorì di fronte allo scoppio di risa dei ragazzi; anzi, allargò il sorriso maligno e si avvicinò al ragazzo.

«Probabilmente sì, ma… tu, Nara, hai un’emorroide per volto?» ribattè.

Le risate dei ragazzi aumentarono; i due continuarono su questo tono per un buon quarto d’ora, lui sbadigliando e borbottando qualcosa, e lei rispondendo a tono, causando l’ilarità generale in quei giorni tanto bui e tristi… ci furono schiamazzi, urla, risate e variopinte pacche sulle spalle; qualcuno mandò perfino un fischio per quella bella ragazza. Shikamaru s’infastidì (per le ripetute risposte intonate, per l’umiliazione subita da parte di una ragazza o per il fischio alla sua ragazza, difficile dirlo): s’infervorò di colpo e scese dall’amaca con una velocità impressionante, guardandola adesso arrabbiato.

«Ti diverti a fare uno spettacolino davanti a tutti, Temari? Ti diverte, questa cosa?!»

Lei aveva ancora impresso sul volto il sorriso beffardo di prima, e non aveva ancora registrato il repentino cambio d’umore di lui. Sbatté le palpebre per qualche secondo, perplessa; alle sue spalle, Ino schioccò pesantemente la lingua, guardando male l’amico.

«Scusa?» chiese poi lei, evidentemente non ancora in sé. Gli altri ragazzi, conoscendo bene quanto potesse essere funesta la sua ira, trattennero il respiro.

«Oh, andiamo, Temari!» fece Nara, quasi esasperato, gettando gli occhi al cielo e allargando le braccia per aria. Sembrava frustrato e angosciato per qualche motivo, e sembrava inoltre che questa fosse la prima volta che ne parlasse da molto tempo. «Non ci vediamo da una settimana, ci vedremo oggi solo per quattro ore, e tu fai così?! Fai così?!»

Non aveva niente della solita flemma di Shikamaru Nara; non aveva la sua calma, la sua logica, il suo raziocinio. La ragazza lo guardò, ancora convinta che stesse scherzando; e anche lei, stranamente, non aveva parole per rispondergli adesso.

Qualcuno tuttavia iniziò convulsamente a ridere; e pian piano, dalla folla lì presente sbucò Naruto, che si avvicinò alla coppia, sempre ridacchiando.

«Questo cretino!» disse, mentre il suo viso infantile si contorceva sempre di più. «Ok, ok, Shikamaru, hai vinto. Tieniti i soldi, che palle.» E così dicendo estrasse dal solito portamonete a forma di rana qualche spicciolo e una banconota rattrappita.

Temari lo fulminò con i suoi occhi chiari: se uno sguardo avesse potuto uccidere, Naruto sarebbe morto all’istante.

«Soldi?» chiese solamente, fredda.

«Oh, sì» blaterò, avvicinandosi all’amico e dandogli una poderosa pacca sulla schiena. «Devo dire che non avrei pensato che l’avrebbe fatto…» e qui ridacchiò ancora «ma ha avuto coraggio… sì, questo bisogna dirlo, ha avuto coraggio.»

Il diretto interessato, nel frattempo, era come se fosse tornato in sé; ora respirava molto profondamente, guardando l’amico in maniera imperscrutabile.

«Coraggio?» fece ancora, sempre più gelida.

«Oh, Temari, era una cosa da ragazzini» continuò l’altro «avevo detto che non avrebbe mai avuto il coraggio di farti fare una figuraccia eclatante davanti a tutti… invece, a quanto pare, ce l’ha avuto. Ho perso, eh.»

Shikamaru ora era proprio pallido; la guardò, deglutendo. Parlò solo dopo qualche secondo.

«Che palle che sei Naruto… stava andando così bene…» disse poi, sbuffando.

Un lieve pizzicore al gomito fece girare la ragazza interessata; Sakura s’era appena messa al suo fianco.

«Sono uomini» le ricordò. E rise.

Ma Temari guardò Shikamaru, ancora e ancora. Che cosa stava succedendo? Quanto era idiota… era tutta una messinscena! Ma sì, erano i loro soliti battibecchi fra fidanzati, né più né meno della normale routine settimanale…

«Bene» disse infine, calmissima «perché adesso non scommettete su quanti venerdì non gli parlerò?»

E detto questo girò i tacchi; era talmente arrabbiata che i ragazzi antistanti all’uscita aprirono immediatamente un varco per farla passare. Shikamaru la stava ancora guardando, quando lei varcò la soglia di quella tenda; Naruto ancora rideva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Dodicesimo Venerdì]

 

«Sai che ci vuole, per rilassarsi?» disse Sakura, allegra, alzandosi di scatto dalla tavola.

«Fronte Spaziosa, ma dici a lei o a te?» commentò Ino, per poi ridacchiare.

Sakura socchiuse comicamente gli occhi.

«Maial-Ino, almeno io dei consigli sensati li do…» ribatté, orgogliosa.

«Ma per favore!» la bloccò l’altra, alzandosi a sua volta di scatto e guardandola molto seriamente. «Non ti stai ferma due secondi, parli in continuazione, sei isterica, inoltre non ti si può parlare… e sarei io quella che non dà consigli sensati?!»

«Per tua informazione, in quella maledetta Squadra Speciale c’è il mio fidanzato, che sfortunatamente è anche il fulcro di –»

«Oh, ma certo, che idiota! C’è Naruto in quella missione, c’è solo Naruto! Che strano, avevo sognato ci fossero anche i miei due migliori amici, nonché compagni di squadra, a fargli compagnia, e invec–»

«Sakura, Ino!» urlò Temari, satura di quella discussione. Lei non urlava mai: bastava il suo sguardo o il suo tono a far raggelare le persone. Le due si zittirono, e si sedettero, borbottando scuse più o meno sentite.

«…Dicevo» riprese dopo qualche minuto Sakura, come se niente fosse accaduto «… sai cosa ci vorrebbe per calmarsi? Un po’ di te.»

E si alzò dal tavolo per andare nella cucina antistante a preparare qualcosa.

«Ah, Fronte Spaziosa, sei proprio una brava donnicciola di casa» disse poi Ino, a voce alta, affinché lei la sentisse da dietro la leggera tenda che divideva le due piccole stanze. «Quel biondino lì avrà proprio una buona e brava mogliettina…»

Evidentemente Sakura s’era imbarazzata per la battuta; si sentì roteare un cucchiaino e la teiera.

«Stupida bionda senza cervello… E tu rimarrai zitella, col carattere che ti ritrovi» borbottò l’altra da dentro la cucina.

 Continuarono su questa riga per un po’; erano evidentemente entrambe molto contente che fosse di nuovo venerdì. Se durante la settimana (soprattutto il sabato o la domenica) non facevano altro che litigare o rimbeccarsi, il venerdì mattina andavano d’amore e d’accordo –per come potevano andare d’amore e d’accordo Sakura Haruno e Ino Yamanaka, ovviamente- ed erano perfino di compagnia.

Sakura entrò con un vassoio contenente tre tazzine di tè e una teiera fumante; sorrideva. La posò sul tavolino, si inginocchiò sul suo cuscino e diede le tazze alle sue amiche, premurandosi di servire Ino per ultima. Bevvero in silenzio, ognuna pensando ai proprio problemi.

«Ti fa ancora male la ferita?» chiese poi medic-ninja, guardando l’altra con apprensione. «La benda ieri era insanguinata, e oggi tu sei abbastanza pallida…»

Temari rispose che no, non le faceva più male, che andava tutto benissimo, e che la testa non le doleva più da qualche giorno. Il discorso morì lì.

Calò ancora il silenzio; era piuttosto imbarazzante.

«Temari-san, su, oggi è venerdì» interruppe di nuovo Sakura, ostinata. «Non dovresti essere felice? Saranno qui fra mezz’ora.»

E guardò Ino, affinché anche lei potesse aggiungere qualcosa.

«Mi duole dirlo, ma lei ha ragione» incalzò quest’ultima. «Avete anche fatto pace…»

Temari le guardò entrambe. Obiettivamente, erano molto gentili a prendere tanto a cuore la sua situazione; ma tutto ciò le dava un tremendo fastidio. Erano tutte e due nella sua stessa condizione; e allora perché sembrava che fosse lei ad aver bisogno di aiuto? Anche loro due vedevano il rispettivo fidanzato o amico una sola volta a settimana, e per sole quattro ore; anche loro combattevano quella folle guerra, e anche loro aspettavano il venerdì con ansia… ma perché era lei quella che veniva costantemente compatita ed aiutata dalle altre due? No, no, il suo orgoglio non gliel’avrebbe permesso: non si sarebbe ancora mostrata debole, no…

«Sì» rispose, tentando di mantenere la dignità e la calma «ma non capisco perché voi due vi preoccupiate tanto. Va tutto bene, vi ripeto.»

E proprio mentre diceva queste pacate parole Sakura le versò una seconda tazza di tè nel bicchierino… che si crepò. Le altre due stavano parlando e non se n’erano accorte; ma Temari vide chiaramente una secca crepa nel bordo del contenitore. Si morse un labbro. Ma che diamine…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Secondo venerdì]

 

Quindi, quella sarebbe stata la sua vita da quel giorno a quindici settimane; quella sarebbe stata, più che altro, la vita di tutti e sei. Non che lei fosse addolorata o preoccupata… be’, a parte quel piccolo scatto totalmente imprevisto della settimana prima… ma quello, insomma, era stato causato dalla novità della cosa e dal tono grave di quel cretino del suo ragazzo, non da altro… ora era tranquilla, posata; era tornata sinceramente la Temari di sempre.

Ma a discapito di tutte queste sue rassicurazioni interiori, non poteva non essere felice che quel giorno fosse venerdì… un perfetto, meraviglioso e stupendo venerdì. Il cielo era terso, non c’era una nuvola; e anche la loro guerra, a quanto pare, procedeva davvero bene. In quella settimana, stando ai più recenti bollettini di guerra, l’altra divisione dell’Esercito dell’Alleanza aveva sconfitto un’enorme parte di quello nemico che si trovava al confine fra Roccia e Sabbia. I grandi Shinobi resuscitati da Madara continuavano ad attaccarli, ma in misura minore e con personaggi sempre più carenti rispetto a sei mesi prima; e fra tutti gli Alleati iniziava ad aleggiare una certa aria di speranza. Era come se si trovassero vicino alla fine di un tunnel molto lungo e molto buio; era come se quasi ne vedessero la luce.

I morti, al quinto mese di guerra, erano stati talmente tanti da costringere i Cinque Kage a ridurre le iniziali cinque divisioni e tre squadre speciali in due sole divisioni (la loro, capitanata dall’Hokage e dallo Tsuchikage, e la Seconda, comandata dai restanti tre) e una squadra speciale, guidata da Kankuro; così essi si trovavano ora in una zona intermedia fra Foglia e Suono, dove avevano stabilito il loro quartier generale in un enorme accampamento composto da appena cinquemila tende. Se le loro perdite erano state tante e gravi, non meno erano quelle dell’esercito nemico: la gran parte di shinobi del passato era stata sconfitta, e la guerra pareva procedere a loro netto vantaggio.

La ragazza non l’avrebbe mai ammesso, ma l’incarico di Shikamaru la riempiva di orgoglio; la missione sua, di Naruto e Choji era segretissima, e solo loro tre, le tre ragazze e i cinque Kage ne erano a conoscenza… e proprio il suo ragazzo, Shikamaru, era stato scelto per quella missione… Shikamaru… era un eroe. Se nelle prima parte della guerra lui era stato di fatto il Comandante, adesso era il Vice della Prima Divisione. Lei era così contenta… Si sarebbero visti solo quattro ore a settimana, in mezzo a una guerra e a molteplici pericoli, era vero; ma non erano più ragazzini, le sorti dell’intero mondo ninja erano letteralmente nelle loro mani, e loro non si sarebbero di certo tirati indietro…

L’aveva presa bene, dopotutto. E insomma, non era niente di preoccupante… quattro ore a settimana erano tante, davvero…

«Sarà, Temari, ma a me non pare che tu sia particolarmente felice di questa situazione…» commentò lui, quando lei gli fece notare la tranquillità della sua vita –a parte continui attacchi nemici e qualche copia di Zetsu squartata, s’intende- anche senza la sua figura accanto.

Lei sbuffò, tignosa. Erano sbracati sull’amaca preferita del ragazzo, in quella che era la “sala dello svago” delle truppe della Prima Divisione. Shikamaru era appena arrivato, stanco e sudato; sarebbe dovuto ripartire solo tre ore dopo.

«Non sei così tanto importante nella mia vita come pensi, Nara» replicò ancora. «E ti ricordo che stiamo insieme da ben poco.»

Era vero: i due formavano una coppia da circa due mesi. Avevano entrambi avuto la follia di mettersi insieme proprio durante una guerra; i più anziani avevano commentato in modo molto maligno questa novità del loro comandante, cosa che a lui aveva dato parecchio fastidio, ma che a lei non faceva né caldo né freddo.

«Ah sì? E come mai allora la scorsa settimana hai iniziato ad urlare quando ti ho detto della nostra missione?»

…E anche questo era altrettanto vero.

«Ma andiamo, Shikamaru» disse lei, alzando gli occhi al cielo «credi davvero che abbia urlato per te? Ero sotto pressione, ero molto stanca, e avevamo litigato, e così non ho capito bene quel che mi hai detto… e mi sono semplicemente sfogata…»

Lui abbozzò; non aveva molta voglia di discutere –o, almeno, adesso stranamente non aveva molta voglia di avere ragione per la prima volta dopo tanto tempo…

Temari notò tutto questo; e tacitamente lo ringraziò… Era così bello stare stravaccati su un’amaca, con lui, in quella guerra, in quel dolore, che tutto il resto perdeva importanza, era vuoto, era inutile, in confronto… E sarebbe andato tutto bene… lui… era il suo eroe… e il venerdì non erano concessi brutti musi o rancore…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Terzo venerdì]

 

Pioveva. Starnutì per la milionesima volta; le sue scarpe affondarono nella milionesima buca ricoperta dal fango; ed emise la milionesima imprecazione. Ma era a casa, a casa, era a casa…

Varcò quella tenda a lui tanto cara; e non fece in tempo a mettervi un altro piede dentro o a dire qualcosa che una folta chioma bionda si buttò su di lui. Era bagnato, puzzava e la sua tenuta ninja era impastata di fango e polvere; ma Temari sembrava non preoccuparsene affatto. Lo baciò appassionatamente; e il suo cervello si svuotò di tutto, finalmente, si svuotò…

«Se mi saluti sempre così» borbottò lui non appena si staccarono, le mani incollate alla schiena della ragazza, il viso a pochi centimetri da quello dell’altra «prometto di non finire mai questa missione…»

Lei sorrise, furba; si strinse ancora di più a lui.

«Ma non sapevi della mia fissa per gli uomini che puzzano? Quando sei pulito neanche ti guardo…» commentò. Rise; ed era anche solo quel sorriso che rendeva stupendi un’intera settimana così brutta e una giornata così piovosa…

«Allora neanche mi vado a lavare» continuò l’altro, soffiandole nell’orecchio. Lei arrossì e piegò la testa di lato; ma ancora i loro occhi si incontrarono, e ancora le loro labbra si unirono.

Sì… sarebbe andato tutto bene. Non era poi così poco il loro tempo a disposizione…! Insomma, quattro ore ogni sette giorni… andava bene, sì. Ce l’avrebbero fatta… avrebbero restitito… O perlomeno, lui sapeva che ce l’avrebbe fatta; lui doveva farcela. Era un uomo, oramai. Ma lei…

Nara ricordava ancora la tremenda scena che gli aveva propinato non appena le aveva raccontato della missione affidata loro dall’Hokage; era come se Temari fosse impazzita, come se non fosse più stata in lei. Gli aveva urlato di non andare, di non partire, di lasciare Naruto da solo, visto che tanto lui aveva il Kyuubi a difenderlo, di disertare, di non lasciarla… ma quando lui aveva risposto negativamente, allora lei aveva detto di farla venire con loro, e che quella missione non poteva certo essere più pericolosa dello stare continuamente di guardia all’accampamento. E così avevano litigato, e lui era partito con un enorme peso sul cuore; ma la settimana prima, in quelle uniche quattro ore di pace, era andato tutto benissimo, tutto meravigliosamente… probabilmente aveva urlato quelle cose perché era stanca, sì… erano tutti stanchi, insomma. Lui non le aveva ancora detto quel particolare che… ma no, sarebbe andato tutto bene, insomma. Era inutile rovinare un così bell’ingresso…

Ma quel giorno era venerdì: sarebbe andato tutto bene. Sì, davvero…

E fu quando le loro labbra si incontrarono ancora e ancora su quella beneamata amaca che Shikamaru pensò seriamente che, a guerra finita, avrebbe fatto santo il venerdì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Settimo venerdì]

 

E come ogni benedetto venerdì, varcò quella soglia lacera e polverosa; come ogni volta, era zuppo di fango e di pioggia, e come ogni volta si tolse il giubbotto e lo buttò sul suo zaino; ma questa volta, non camminò con il sorriso sulle labbra, né fu contento come al solito di vedere l’abitudinaria testa bionda. Lei lo guardò e lo salutò, fin troppo tranquilla per essere credibile; lui sorrise. Si diresse verso la sua tenda; si spogliò, si cambiò, si pulì e si lavò. Uscì fuori dopo un po’; lei era sull’uscio del suo tendone.

L’ultima volta avevano litigato più o meno scherzosamente; se non fosse stato per Naruto, tuttavia, la cosa sarebbe stata molto più grave e…

«Come stai?»

Quella era la domanda che Temari gli rivolgeva sempre per prima. Lui la guardò: era dimagrita moltissimo, pallida, e i soliti codini erano legati in un’austera crocchia.

«Bene…» rispose Shikamaru, grattandosi rozzamente un lato del collo, e guardandola di soppiatto.

Calò il silenzio.

«Non sembra.» replicò l’altra, stizzita.

Seguì, ancora, un lungo silenzio. Shikamaru si sedette e si accese una sigaretta; era stremato, aveva gli occhi gonfi di sonno, ma doveva parlarle.

«Mi dispiace per l’altra volta.» disse dopo un po’.

Lei inspirò profondamente e gli si sedette accanto. Quanta pazienza…

«Sbaglio, o Naruto ti ha provvidenzialmente salvato?» incalzò. Lui deglutì e, molto lentamente, annuì.

«Ero… ero stanco, confuso, e avevo sonno… Temari, mi dispiace averti detto quelle cose… ecco, mi dispiace…» mormorò ancora.

Temari lo guardò di sbieco… non era arrabbiata, ma era ancora molto perplessa dallo scatto di ira del ragazzo. C’era qualcosa che non le aveva ancora detto su quella missione, di questo era sicura; ma non l’avrebbe perdonato per come le si era rivolto.

«Perché… perché ti stai scusando? Non era una delle nostre liti normali? Non era… il nostro solito modo di fare?»

Nel suo tono c’era quasi una certa speranza; lui deglutì, ancora.

«No. Io… io, Temari… e se…» prese un profondo respiro «se, insomma, mollassimo un po’… mollassimo un po’ la presa? Se… be’… ci calmassimo un po’?»

Era proprio lì che voleva arrivare: era quello il nodo centrale della questione. Lei s’alzò di scatto, quasi il pavimento sotto di lei fosse diventato bollente; impallidì.

«Che cosa?»

Non sembrava arrabbiata; ma lui doveva essere un uomo, un uomo, come gli aveva sempre detto suo padre, e come mai era stato.

«Allentare un po’ la presa… è una cosa ancora più folle, con questa missione… andare avanti, ecco…»

Non aveva il coraggio di guardarla; e fu questo a farle battere un piede a terra e a scuoterlo.

«Parlami diretto, non fare giri di parole! Non osare prendermi in giro, Shikamaru, non osare

Una nuova rabbia s’impossessò di lui, la stessa rabbia che gli si era stranamente montata addosso esattamente una settimana prima. Si alzò a sua volta di scatto, e a sua volta iniziò ad urlare.

«Ma non capisci?! Guardaci! Ci vediamo sì e no quattro ore a settimana, e stiamo insieme! E’ una guerra, è già stata una follia mettersi insieme, che senso ha continuare ancora?!»

Sembrava che lui l’avesse schiaffeggiata; avanzò ancora, collerica, urlando:

«Ah, ora ti sembra una follia, ora?! Non mi parevi della stessa idea, quando insistevi così tanto!» pestò ancora un piede a terra. «Che cosa ti credi, che io qui stia ai fornelli o al cucito?! Non hai idea di com’è stare qui dentro, non hai proprio idea di quant’è angosciante! Non sei l’unico che rischia la vita, dei due! Tu devi solo accompagnare Naruto o sbaglio?! E con voi c’è Yamato!»

«Oh, certo, deve essere terribile! Ma si dà il caso che tu sei qui dentro e non sei costretta a cambiare topaia una volta a settimana, per venire mandato chissà dove con altri tre! Sei tu, tu che non hai idea di com’è la vita

Lei si riprese: stava boccheggiando. Non era da nessuno dei due urlare così tanto; ma che diavolo stava accadendo…?

«Cosa vuoi dirmi, Shikamaru?» chiese infine, con voce bassa.

Ma per lui fu come se gliel’avesse urlato; si prese la testa fra le mani, le passò fra i capelli, scompigliandoseli; come diavolo poteva andare avanti…?!

«Lasciamoci.»

Non attese una risposta; deglutì ancora, riprese le sue poche cose, e oltrepassò la solita soglia –non prima di averla guardato la ragazza che ancora era lì, a bocca aperta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Ottavo venerdì]

 

Era buio. Sentiva voci lontane e flebili, e un lieve pizzicore alla testa; ma dove era? E dove era quel buono a nulla del suo fidanzato quando serviva? Ma gliel’avrebbe suonate non appena l’avrebbe visto, oh, sì –stupido idiota di un Nara, buono solo a dondolarsi su quella stupida amaca…

«Temari?»

Fannullone, testardo, pigro, che cosa diavolo se l’era scelto a fare…

«Va tutto bene. Sta inveendo contro Shikamaru, è tornata in sé» borbottò Ino, ridacchiando.

Stupido ragazzo, e lei che si angosciava così tanto per lui, e lui che la ricambiava così… Urlarle quelle cose, in pubblico! A lei, poi! Se Kankuro avesse saputo qualcosa…

«Certo però che ha proprio una brutta faccia. E guardale i capelli, quante doppie punte…»

«Mai visto uno specchio, tesoro?» s’intromise la diretta interessata, aprendo gli occhi. Ino sorrise, rivolgendo a Sakura uno sguardo di superbia.

«Visto? Ti avevo detto che stava bene.»

E si sedette, soddisfatta. Temari stava per replicare qualcosa –non le era andata giù quella battuta sulla sua faccia- ma lo sguardo indagatore di Sakura la bloccò: iniziò a farle una visita medica accurata. Nel frattempo, Temari si guardò intorno: erano nella tenda dove lavorava la Haruno. Molti pazienti erano distesi alla bell’e meglio su alcune brandine, e così anche lei; un leggero lenzuolo la copriva.

In effetti, in sei mesi di assidua guerra Temari non aveva potuto non domandarsi come ancora non fosse finita in un ospedale. Il giorno prima –ma che giorno era quello, in effetti?- la loro divisione aveva subìto un enorme attacco a sorpresa da parte delle truppe nemiche; era dalla sera precedente che continuavano a combattere nelle immediate vicinanze dell’accampamento. Sakura e Ino avevano combattuto a contro due potenti ex Mukenin della Nuvola ricomparsi grazie all’incantesimo di Madara; lei e altri ragazzi se l’erano invece vista con circa cinquecento copie di Zetsu. Il suo ultimo ricordo era di Kamatari, la sua donnola, che faceva razzie di umani e copie…

«E’ tutto apposto… più o meno. Ti sei rotta una costola e un braccio, ma te li ho aggiustati con il mio chakra; hai però perso moltissimo sangue alla testa, è per questo che sei svenuta… Hai preso una bella botta, Temari-san» disse infine Sakura, distogliendo il fastidioso sguardo su di lei e rimettendo le bende a posto.

La ragazza si tastò il capo lì dove le faceva male: vi trovò una grossa benda che copriva quella che sembrava una sutura. Non aveva minimamente male al braccio o alla costola, sebbene a ben guardare fosse coperta di lividi proprio in quei due punti. Temari guardò l’altra: ancora una volta, la sua esperienza aveva salvato un membro della famiglia Sabaku… da quando aveva avuto quella conversazione privata con lei, Sakura le andava molto più a genio.

«Grazie, Sakura.» mormorò solamente. L’altra sorrise; aveva un labbro spaccato e un profondo livido sotto l’occhio sinistro… pareva anche molto pallida e meno vivace del solito.

«Oh, mi è parso di sentire anche un “grazie Ino per avermi trovata e portata dal maiale rosa”! Sakura, non l’hai sentito anche tu?»

Temari assottigliò gli occhi… e rise. Era un fenomeno talmente raro e inaspettato, soprattutto in guerra e nelle condizioni in cui la ragazza versava, che Ino rimase a bocca aperta.

«Be’, prego, Ino» mormorò poi.

E anche Ino, in fondo in fondo, doveva ammettere che non era tanto male… voleva spesso apparire frivola e capricciosa, ma molto meno di quanto in realtà lo fosse; litigava con chiunque, da Temari a Sakura a Shizune, ma sapeva –in un qualche modo bizzarro e incomprensibile- farsi volere bene; e inoltre era…

Ma perché Sakura era così pallida? E perché non aveva risposto alla provocazione di Ino? E poi…

«Insomma, mia cara rivale, ci hai fatto stare così tanto in pensiero! Ah, io e la cozza rosa abbiamo sconfitto i due rozzi, ovviamente, e senza tanti pensieri; e adesso godiamoci un po’ i festeggiamenti, che ne dici…? » blaterò Ino, a una velocità impressionante, continuando a guardarla e a sorridere. Afferrò poi una piccola bottiglia vicino a lei, si alzò dal cuscino su cui era seduta e le si avvicinò. «Abbiamo vinto una grande battaglia! Saranno stati almeno cinquecento! Prendi il sakè, te ne ho portato un po’…»

Temari non ne aveva molta voglia, ma accettò di buon grado: il sakè le piaceva… inoltre aveva parecchio mal di testa, e sapeva che Ino –che era testarda quasi quanto lei- non l’avrebbe mollata finché non avrebbe bevuto quel liquore che lei le aveva portato a discapito dell’integrità dello smalto delle sue unghie… la cicatrice sulla nuca le pizzicava da morire… era parecchio intontita… Un lieve rumore lontano indicava che i festeggiamenti per la vittoria erano ancora in atto; si sentiva la musica, gli schiamazzi dei suoi compagni, il pavimento calpestato per le danze…

Bevve il sakè dato da Ino: un lieve benessere si diffuse nel suo corpo malconcio: avevano davvero vinto una battaglia, e lei aveva dato una valorosa mano alla situazione… Guardò la finestra: era notte fonda…

Già, era notte… era notte… notte, ma di che giorno?

«Sakura» fece d’un tratto, tornando improvvisamente pallida come un quarto d’ora prima «ma che giorno era oggi

Sakura e Ino impallidirono. Era evidente che era proprio quella la domanda che meno volevano fosse fatta.

«In… in che senso, Temari, scusa?» borbottò Ino, arrossendo lievemente, e sorridendo.

«In quale senso, secondo te?! Ho dormito per parecchio tempo… e adesso è notte. Che giorno è stato, oggi? Oggi, il giorno della battaglia, che giorno era?!»

Le due si guardarono velocemente.

«Be’, non lo so, non… non ricordo…» continuò la prima, sempre guardandola con cortesia; Sakura sembrava incapace di parlare. Temari andò su tutte le furie: odiava essere presa in giro, e ancora di più odiava essere trattata come una debole… voleva riscuotersi da quella sonnolenza…

«Non prendermi in giro, idiota! Era venerdì, oggi, non è vero?!» sbottò.

Ino stavolta non resse: ammutolì. Il suo silenzio fu per Temari più pesante di un insulto: si prese la testa fra le mani, intontita.

«Sì… sì, era venerdì. Ma… loro… non sono tornati.» annunciò infine Sakura, sempre più pallida.

Fu allora che Temari fu attanagliata dalla paura: dov’era Shikamaru, che fine aveva fatto? Perché quel venerdì non erano tornati come sempre, per poi sparire dopo quattro maledette ore? Perché, perché non era passato da lei…? L’ultima volta che si erano visti avevano litigato, si erano anzi proprio lasciati: e se l’ultima cosa che lei gli avesse urlato erano quelle brutte parole, e se lui fosse…?

«Ma… ma non vuol dire niente» ribattè Ino, rivolta a se stessa e a entrambe «domani manderemo un messaggio all’Hokage… e… e vedrete che ci dirà che lei stessa aveva programmato questa cosa, insomma, e che questa settimana non dovevano proprio tornare. Vedrete…»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Quarto venerdì]

 

«…E un brindisi alla mogliettina più brava di tutte, nonché la più brutta!»

Ino non fece in tempo a finire la frase che Sakura le diede un poderoso calcio sotto il tavolo.

«Cozza, zitta!» borbottò poi, facendole una linguaccia, e riprendendo a ridere.

Lei, Ino e Temari si erano concesse un pomeriggio di riposo dagli obblighi dell’accampamento, e adesso stavano brindando nella piccola cucina (situata accanto alla tenda che le tre dividevano) con il poco sakè rimasto loro.

«Ah, ma se continui così, cara mia, tu e il biondino sarete secondi solo a Temari e Shikamaru come pucci pucci… E’ o non è vero, eh?» disse poi Ino, vivace come ogni venerdì, guardando la diretta interessata. Quest’ultima sbuffò e fece un ironico sorriso, che non si allargò tuttavia agli occhi freddi.

«Non volevo farti ridere, volevo farti parlare» ribatté la prima, civettuola.

«Ma neanche per sogno, mia cara…» fece lei, continuando ancora a sorridere falsamente.

«Oh, andiamo, Temari-san!» fece poi Sakura, alzando gli occhi al cielo. «Potresti anche confidarti un po’!»

Temari la guardò. Ma come diavolo le era venuto in…

«Guardi sempre me e questa qui» e rivolse una breve occhiata di sfida alla biondina accanto a sé «come due spine nel fianco. Ma si dà il caso che anche noi siamo coinvolte in questa dannata storia almeno quanto te… o non è vero?»

Lei la guardò. Non era un ragionamento del tutto arbitrario… e non ci aveva mai pensato; aveva sempre reputato che fosse l’unica a star male, e parecchio, per quella situazione. Non disse niente; il suo orgoglio però urlava.

«Sappiamo di essere casiniste, ecco» continuò il ninja medico, tranquillamente, mentre sorseggiava un po’ di sakè «ma è l’unico modo per non… farsi risucchiare da questo ambiente, e da questa atmosfera… che bisogno c’è di tenere il muso? Già siamo in guerra, e già va abbastanza male la situazione in generale… non è meglio distrarsi fra amiche?»

«Fronte Spaziosa ha ragione» confermò l’altra, continuando a mangiare cioccolata (la sua dieta quel giorno aveva deciso di prendersi una pausa). «Per carità, siamo parecchio diverse, ma ci conosciamo da tanto, e si dà il caso che tu sia la ragazza del mio stupidissimo migliore amico, perciò è come un dovere per me essere gentile con te… più o meno.»

Lei le guardò ancora. In effetti, non c’era proprio alcun motivo per cui dovesse ostentare quella superbia o freddezza nei loro riguardi… no, non c’era proprio motivo. Sakura aveva ragione: già la situazione andava tanto male, che bisogno c’era di peggiorarla volutamente? Era anche vero che lei non aveva mai avuto amiche strette o intime relazioni femminili; inoltre le due erano piuttosto diverse da lei… Ino era frivola e sciocca, Sakura infantile e spesso inutile; però… forse, erano entrambe qualcosa in più… Sakura aveva salvato la vita di suo fratello una volta, e lei se lo ricordava ancora benissimo; senza di lei, Kankuro sarebbe morto. E non era stata la Foglia ad essere attaccata proprio da loro? Gaara non aveva causato molti guai, quando ancora era incontrollabile? E, volente o nolente, Shikamaru voleva davvero molto bene a Ino…

«Be’…» mormorò, distogliendo lo sguardo da entrambe. Per la prima volta in vita sua, era totalmente a corto di parole. Decise di prendere il toro per le corna, e così abbozzò un sorriso (era venerdì, doveva essere felice, che diamine, il suo amore sarebbe arrivato da lì a due ore) e disse:

«Ino, che diavolo è questa storia del pucci pucci mio e di quell’altro?»

L’altra capì al volo e sorrise, radiosa.

«Andiamo, siete sempre incollati! Non vi si può separare un minuto, e o vi sussurrate paroline dolci oppure litigate come due tredicenni!»

Se avesse saputo come si facesse, Temari sarebbe arrossita del tutto; invece, le sue guance si tinsero di un leggero rosa.

«Ma te le sogni, certe cose?!» disse, prendendo altro sakè.

«Oh, andiamo, è quel che dicono tutti! Siete sdolcinati e zuccherosi da far venire il diabete… e poi…»

E continuò così per un buon quarto d’ora; e Temari non sapeva se era il sakè, il fatto che fosse venerdì o l’aver trovato due amiche, ma non negò né smentì; risero, si presero in giro e continuarono a mangiare finché non si alzarono di scatto, avendo sentito i soliti passi pesanti che varcavano la soglia della tenda vicino a quella cucina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Nono venerdì]

 

Varcò ancora quella maledetta tenda lisa, ancora zuppo e sporco e stanco; ma dentro non trovò la solita testa bionda ad aspettarlo. C’erano invece decine e decine di ragazzi che giocavano a freccette, a carte o a shoji; ma lei lì non c’era. Richiuse velocemente i lembi e andò altrove, sbirciando più e più volte dentro altri tendoni… finché non la trovò in una stradina laterale dell’accampamento. Lei, vedendolo, evidentemente si forzò a non corrergli appresso o a non buttargli le braccia al collo; lo fissò, sperando in qualcosa… e in effetti fu proprio lui a correre verso di lei e ad abbracciarla.

«Come stai?» le chiese.

Lei si sottrasse dall’abbraccio e lo studiò, ancora.

«Ho… ho sentito che eri stata ferita…» continuò Shikamaru, quasi fosse una scusa.

«Sto benissimo.» replicò lei, ferma. «L’altra volta mi volevi lasciare, e ora solo perché sono stata ferita fai così? Io la tua pietà non la voglio.»

Fece per girarsi e andarsene; lui la trattenne per un polso.

«L’altra volta abbiamo subito un’imboscata… stavo per morire.» continuò lui. Lei notò che tremava visibilmente; era pallidissimo e veramente molto magro.

Ma cosa aveva? Perché non si confidava con lei, non… non le parlava? Aveva un problema, e questo era evidente… e se…

«Io… io, io ho sbagliato… io… in quel momento ho pensato a mio padre, a mia madre, ad Asuma… e ho pensato a te… io non ce la faccio, non ce la faccio, non posso… stare… senza di te.»

Lei guardò altrove… ma perché diamine era dovuto accadere tutto a loro? L’Hokage non poteva scegliere qualcun altro per quella banale missione? E… e non poteva scegliere anche lei? D’altra parte facevano solo la guarda a Naruto, no? Perché, perché le cose dovevano andare così…

«Ti amo, Tem.»

Che strano: adesso la sua spalla era zuppa, ma quella era una delle rare giornate di sole…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Quinto venerdì]

 

Naruto gli si sedette davanti e lo guardò, con i suoi occhi grandi e sinceri; lui deglutì.

«Gliel’hai detto?»

Shikamaru sospirò. Era mattina, e loro tre erano nell’unica stanza di quel vecchio edificio ammuffito; Yamato era andato in giro.

Odiava quel posto, odiava quella missione, odiava quei continui viaggi, e odiava lo stress…

«Non ancora.»

Anche l’altro sospirò.

«Dovresti.»

«Non ce la faccio, Naruto.»

L’altro sorrise, piano.

«Non ce la fai a dire alla tua ragazza che forse morirai per la guerra? Ogni ragazza sogna di sentirselo dire… è una cosa molto eroica.»

Ma l’altro s’alzò di scatto e prese a battere ripetutamente un piede a terra; non ce la faceva, non ce la faceva, che diamine… e quei due lì continuavano a rimbeccarlo, e… e lui non si stava per niente comportando da uomo… aveva un groppo al cuore, e non riusciva a capacitarsene; se l’avesse visto suo padre, o Asuma, che cosa –

«Shiakamaru, sei un codardo.» disse tranquillamente Choji, alla destra di Naruto. L’interessato si girò di scatto, fulminandolo.

«Codardo?!»

«Oh, sì.» replicò l’omone, pacato. «Io e Naruto abbiamo detto a chiunque che questa missione era pericolosa, e che con tutta probabilità ci avremmo rimesso le penne… e tu l’hai detto a tutti, tranne a tuo padre, tua madre, e Temari. I primi due sono al Quartier Generale della Foglia, e va bene… ma a Temari, perché non dirglielo?»

«Non… non voglio che si preoccupi… ha già due fratelli nella guerra, non le serve un fidanzato che… che…»

…che probabilmente morirà”, pensò.

«Questo ragionamento è perfetto» intervenne Naruto «io stesso a Sakura ho solo accennato della pericolosità della nostra missione, ma… ma tu di tutti sei quello che rischi di più… e sei tu che ti sei proposto, no? Tu combatterai in prima linea, e dietro avrai me… in versione Kyuubi. E, insomma… perché almeno non le hai accennato quanto può essere pericoloso? Praticamente le hai detto che tu e Choji semplicemente mi controllerete come un cane!»

Ma Shikamaru aveva un presentimento, un brutto presentimento, che non lo faceva dormire, respirare o vivere: era perennemente inquieto, di malumore, ben lontano dal vecchio Shikamaru che dormiva su un prato…

Forse doveva lasciarla… era stata una follia, una follia a mettersi insieme durante la guerra… e pensare che aveva insistito lui! Che idiota… non se la meritava proprio… Per quale motivo continuare ancora la loro relazione, se tanto si vedevano e così poco –no, anzi, se lui sarebbe morto?

Non aveva nessun senso, proprio nessun senso… doveva prendere una decisione in fretta… era giunto il momento di comportarsi da uomo. Doveva lasciarla, per il suo bene.

«Promettimi che glielo dirai.» parlò poi Naruto: era serissimo.

Shikamaru digrignò i denti.

«Lo farò.»

«La prossima settimana.»

«Cercherò…»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Primo venerdì]

 

 

«Siamo sicuri che sono proprio loro i ragazzi di cui parlavi?»

L’Hokage si girò verso i tre ragazzi di fronte a sé; li guardò, tutti e tre. Era orgogliosa di loro.

«Raikage, questi sono i nostri migliori elementi» proruppe lei, sorridendo con compiacenza. «Nara, Akimichi e Uzumaki, le sorti della guerra sono nelle vostre mani.»

A queste parole, i tre impallidirono; Shikamaru abbandonò l’espressione annoiata, Naruto smise di prenderlo in giro e Choji finì di sbadigliare.

«Hokage… sapevamo che dovevi parlarci di una certa missione… ma non pensavamo fosse così importante» disse Naruto, quasi per scusarsi per il loro aspetto trasandato o per il loro ciondolare.  Il Raikage lo guardò; lui sostenne il suo sguardo senza timore.

Tsunade si alzò e si approssimò loro; sembrava così tanto più vecchia rispetto all’inizio della guerra…

«Voi tre formerete un gruppetto speciale» disse «che viaggerà di settimana in settimana. Naruto, tu sarai la punta di diamante della missione… e voi due lo accompagnerete, insieme a Yamato, e sconfiggerete Madara. Questo è il piano.»

Choji tossì, impacciato.

«Madara? Madara Uchiha?» chiese, boccheggiando. «Voi volete davvero che noi tre sconfiggessimo Madara?»

«Tsunade, è una follia, è solo una follia!» s’intromise il Raikage, battendo un pugno sulla scrivania davanti a sé. «Non ce la faranno mai a sconfiggere Madara, anche se –come vai ripetendo tu!- sono forti! E’ fuori discussione, dobbiamo mandare un gruppo di ninja più anziani ed esperti! E poi…»

Ma lei lo fulminò con uno sguardo e lo fece zittire; si rivolse di nuovo ai tre.

«Abbiamo trovato dove si nasconde. Abbiamo già inviato due truppe a combatterlo… ma entrambe le squadre non hanno avuto sopravvissuti. Siete la nostra speranza…»

«Cosa dovremmo fare?», disse Shikamaru, che fino a quel momento era rimasto in silenzio; guardò intensamente la donna, e annuì, piano.

«Abbiamo una tattica. Voi tre vi muoverete una volta a settimana… Madara ha inviato un enorme battaglione, che sarà qui fra due mesi circa, perché sa che qui si nasconde Naruto… è lui che Madara vuole» spiegò la donna, soffermando lo sguardo ora sull’uno, ora sull’altro. «Vi sposterete in continuazione, e tornerete qui una volta a settimana, diciamo di venerdì, cosicché Madara non sappia dove si nasconda il cercoterio; e, qualora venisse a saperlo, non riuscirà a muoversi abbastanza in fretta, perché cambierete continuamente postazione ogni due o tre giorni. Noi saremo qui e attenderemo la parte dell’esercito; di questo voi non dovete preoccuparvi.»

E fin qui, non c’erano problemi; ma come avrebbero fatto a sconfiggere Madara? Shikamaru tamburellò le dita su una coscia, nervoso.

«Vi allenerete tutti e tre insieme per superare al meglio la missione… Naruto, tu riesci già a controllare il Kyuubi, grazie all’aiuto di Killer Bee, non è vero?»

Il ragazzo annuì, guardando poi il fratello del suo mentore; erano uguali.

«Ho fatto notevoli passi avanti… ma non riesco a controllarlo ancora completamente. Ogni tanto, specie se sotto pressione, perdo il controllo… e… e Nonna, io ho paura di non farcela. Io odio quell’uomo.» digrignò i denti e si morse un labbro, pensando ciò che gli aveva raccontato sua madre tempo addietro. «Ha ucciso i miei genitori… ed è stato lui a causarmi questa maledizione. Ho paura che vedendolo perderò il controllo…»

Sia Shikamaru che Choji rimasero a bocca aperta: Naruto non aveva mai parlato dei suoi genitori... ma che diav–

«Yamato sarà lì per questo» rispose Tsunade, sfoderando un sorriso materno. «Voi tre combatterete assieme, e sconfiggerete Madara… in quindici settimane… io so, lo so che ci riuscirete. Shikamaru, tu sarai il capitano» e fece uno scatto con la mano per bloccare l’intervento del ragazzo, che aveva aperto la bocca «e non accetto scuse. Choji, tu segui ciò che Shikamaru ti dirà e andrà tutto benissimo: voi due siete compagni da piccoli, vi conoscete alla perfezione, e sapete l’uno i punti deboli dell’altro. Naruto, tu combatterai Madara nella versione Kyuubi; Shikamaru lo immobilizzerà con la sua tecnica e tu lo stenderai.»

Calò il silenzio.

«Tutto qui? Sarebbe questo il piano?» criticò Nara, aspro.

Lei lo fissò: evidentemente, era proprio la reazione che si aspettava da lui.

«Oh, be’, per quanto mi riguarda, il piano è davvero tutto qui… ma altrimenti tu a cosa serviresti, Shikamaru?»

Il raikage schioccò la lingua contro il palato, evidentemente ancora scettico; il ragazzo sbuffò. Si profilava all’orizzonte una rogna di dimensioni incredibili, ben più grande, forse, di tutta quella guerra… si grattò la testa, stanco; sapeva che le settimane successive sarebbero state di fuoco.

«Prima che entri nei dettagli della strategia da utilizzare, tuttavia» riprese l’Hokage, tornando alla sua scrivania, e assumendo adesso un’espressione molto seria «voglio che conosciate i rischi cui andrete incontro. E’ una missione di livello ben più alto della S… dovrete lottare contro una leggenda.» deglutì, appoggiando i gomiti sulla superficie del tavolo e incrociando le braccia al petto. «Probabilmente… uno di voi, o forse di più, morirà. Pretendo che avvertiate tutti i vostri cari della pericolosità della missione… mi sono spiegata?»

Li guardò ancora; e… Shikamaru si era sbagliato, o i suoi occhi chiari avevano indugiato su di lui un secondo di più rispetto agli altri?

 

Un’ora dopo, Shikamaru uscì dalla tenda dell’Hokage, salutò Choji e Naruto (pallidi almeno quanto lui) e si diresse verso la sua abitazione. Girò un po’ per le vie dritte e parallele dell’accampamento, le mani in tasca e la sigaretta in bocca, per trovare ispirazione; di tanto in tanto si fermava per osservare il cielo e per sbuffare.

Si grattò un lato della testa, impacciato… diamine… questo sì che sarebbe stato un problema… Non ci voleva, non ci voleva proprio. Non che non ne avesse voglia; era anzi allettante (e non seccante) escogitare una strategia per sconfiggere Madara, ma…

La veduta dell’oggetto dei suoi pensieri bloccò il suo monologo interiore. Si trovava proprio fuori la tenda che condivideva con Ino e Sakura.

«Seccatura» esordì, accostandosi a lei «devo parlarti.»

Ella si girò col solito sorrisetto ironico.

«Sei incinto?!» borbottò, per poi ridacchiare; la vista della sua faccia tuttavia le gelò il sorriso.

Shikamaru le raccontò del colloquio con l’Hokage; era quasi arrivato alla questione centrale che lei lo bloccò.

«Devi partire?!» fu solamente capace di dire. «Per andare dove? Ma che storia è questa?! …Tu che cosa le hai detto?»

Egli si rabbuiò. Ma che andava farneticando?

«Io le ho detto che andrò, è ovvio» rispose, cauto.

Lei sgranò gli occhi.

«Sei impazzito?! Siamo in guerra, e voi ve ne andate a zonzo?! Ma così vi prenderanno molto più facilmente!» berciò. Aveva alzato la voce: non era da lei. «Per fare cosa poi, la guardia a Naruto? Lui ha il kyuubi dentro di sé, non c’è alcun bisogno che vi preoccupiate per lui, sa badare a se stesso splendidamente!»

In effetti, lui non aveva finito il suo discorso, e in questo modo sembrava proprio che lui e Choji dovessero semplicemente scortare Naruto da un posto all’altro, onde evitare che Madara scoprisse dove fosse; e così lei aveva capito. Shikamaru esitò… doveva andare avanti, doveva dirle che in verità si sarebbero allenati e avrebbero affrontato proprio la causa di tutti i loro problemi e di quella guerra? Oppure…

«Lo so benissimo, e lo sa anche lui» ribatté il ragazzo, mentre ragionava freneticamente «ma è così  che l’Hokage vuole, e… e vuoi che Madara lo prenda, vuoi che arrivi al suo progetto finale prendendo tutti i cercoteri? Bee è al sicuro, ma Naruto no. Dobbiamo proteggerli entrambi, Temari.»

Lei pestò un piede a terra. Ma che le stava accadendo? Sembrava inquieta e ansiosa; non era da lei scaldarsi così tanto; lo stava guardando male… Shikamaru ansimò.

«Ma che cosa diavolo ti prende?!» chiese poi, disdegnando il suo comportamento.

«Tu non puoi partire! Non puoi… lasciarmi sola, qui, in questo schifo!» iniziò lei, spalancando le braccia. «Che sciocchezza è questa? Avevamo detto che avremmo combattuto in guerra insieme!»

«Lo avevamo detto, è vero… ma ora la situazione è ben diversa! Ma non capisci? Naruto è uno dei miei migliori amici! E c’è Choji con lui!»

Lei girò in tondo, frenetica; sembrava incapace di star ferma.

«Temari, Temari…» mormorò lui, piano, prendendola per le spalle. «Ma che cos’hai?»

Parve calmarsi un po’; sospirò, appoggiando la fronte sulla sua spalla.

«Io… io non ho nessun altro a parte te, i miei fratelli sono chissà dove… e chissà se sono vivi…» e di nuovo si arrabbiò, guardandolo male. «E io qui sono fottutamente sola! Non puoi partire, Shikamaru, non puoi

Lui rise, una risata amara.

«Sei sola?! Ma se sono secoli che Sakura o Ino tentano di fare amicizia con te! E tu le disdegni, o non è vero? E comunque, non mi pare che tu abbia mai avuto problemi a farti amici! Ma che cos’hai, Temari, che cos’hai?» ripeté.

«Quelle due sono due ragazzine, non voglio averci niente a che fare» iniziò, iraconda, per poi riprendere fiato e bloccarsi. Si passò una mano fra i capelli sciolti; chiuse gli occhi ed espirò. Era stanca.

«Hai… hai ragione tu…»

Calò il silenzio. I due non si guardavano.

«Partiremo fra due giorni» disse l’altro, tanto per allentare la tensione «e torneremo venerdì… Temari, sono solo sei giorni di lontananza, non è niente di che. Ci vedremo una volta alla settimana, e durerà solo per quindici settimane, insomma… probabilmente sarà più pericoloso per te stare qui.» Deglutì, e si sforzò di sorridere. «Io devo solo fare la guardia a un deficiente, non è proprio niente di che.»

Lei s’avvicinò e lo abbracciò; sbuffò.

«Portami con te» mormorò.

Lui l’abbracciò a sua volta; aveva un nodo alla gola.

«Non è possibile, lo sai.»

Temari neanche provò a ribattere; rimasero un bel po’ così, semplicemente abbracciati, senza dire niente.

«Preferivo quando litighiamo. Almeno lì ho ragione io.»

Lui sorrise. Eh già...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Decimo venerdì]

 

Quei baci, quegli abbracci, quelle parole sussurrate… che cos’altro potevano significare?

Lei lo amava, lo amava davvero. Aveva ventuno anni, era giovane… ma lui, lui era l’uomo della sua vita. Lo amava più di se stessa… era così perfetto, così meraviglioso, così bello… era Shikamaru… era tutto per lei.

E anche se c’era una guerra, anche se questa sarebbe continuata per ancora molto tempo, anche se nelle ultime dieci settimane a conti fatti non lo aveva visto per neanche quaranta ore… a lei, incredibilmente, andava bene così.

Aveva cambiato la sua vita… Era stata spesso fredda, insensibile, spietata, cattiva… ma da sei anni a quella parte, da quando aveva aiutato quel dodicenne in quella folle missione (o forse quando era stata battuta da lui qualche mese prima) era cambiata.

Non aveva mai pensato che avrebbe mai potuto bisbigliare al buio certe parole, ma… Lei lo avrebbe amato per sempre… perché per sempre sarebbe durato…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Undicesimo venerdì]

 

Era vero, ancora non gliene aveva parlato, ed era passato un mese ormai dalla promessa (o insomma, quel che era) fatta a Naruto; e tuttavia… come diavolo poteva dire a quegli occhi gonfi e affaticati che la  missione di cui lui aveva parlato era in realtà molto più complicata e pericolosa di quel che sembrava? Non poteva farcela…

E inoltre, insomma, mancavano solamente quattro settimane… quattro settimane, e la guerra sarebbe finita. Naruto andava alla grande negli allenamenti; procedeva davvero bene… e chissà, magari ce l’avrebbe fatta… magari avrebbero davvero vinto, magari la sua sensazionale strategia avrebbe funzionato…

Ogni volta che oltrepassava quella porta, poteva lasciare indietro i suoi guai; in quelle quattro ore, in quel magnifico giorno, poteva essere davvero un altro… Quando era partito la prima volta per quella missione, non sapeva ancora bene quanto sarebbe durata ancora la sua vita; ora, invece, era pienamente convinto di tutto… aver solo pensato di lasciarla era stata una scelta straziante… ci aveva provato, aveva davvero cercato di lasciarla andare… ma non era più possibile, era troppo… immischiato in quella situazione –e con enorme piacere…

Era cocciuta, testarda, orgogliosa, tignosa, superba e arrogante… ma era Temari. Era la cosa più bella del mondo, era l’unica cosa vera… l’unica cosa per cui ancora valeva la pena combattere. La amava, non c’erano altre parole… e il venerdì era un giorno così perfetto, e così meraviglioso…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Tredicesimo venerdì]

 

«Shikamaru, dai, dobbiamo andare…»

Come ogni maledetto venerdì, era stato il suo buon vecchio Choji a riscuoterlo dal paradiso di quelle quattro ore; lui s’alzò dall’amaca, lasciando sola la ragazza con cui la condivideva, si stiracchiò e raccolse le sue poche cose. Andò alla sua tenda, si lavò, si sistemò un attimo e uscì; era pronto a partire. Trovò Temari proprio fuori al suo uscio, come ogni volta.

«Ci vediamo fra una settimana» mormorò lui, fintamente annoiato. «Non darti troppo alla pazza gioia, eh.»

Ma lei non rispose alla provocazione. Era strano; ultimamente le cose stavano andando davvero molto meglio. Da quando, un mese prima, avevano fatto pace, il loro rapporto era come rinato: erano tornati la vecchia coppia che si sfotteva e che scherzava continuamente; e lui aveva creduto che ce l’avrebbero potuta fare… ma quel giorno Temari era più bianca del solito, e si stava torturando il labbro inferiore; non lo guardava.

«Non andare, almeno per stavolta» gli disse improvvisamente, guardandolo negli occhi. «Almeno stavolta, ti prego… ho… ho un brutto presentimento.»

Lui sbuffò.

«Oh, ancora la tazza da te che si è crepata? Andiamo, l’avrai stretta con la tua solita grazia, e si sarà rotta» borbottò, ridendo.

Ma perché la situazione si era capovolta? Di solito era lui che cercava di essere serio, e lei che scherzava; adesso invece lei sembrava mortalmente preoccupata.

«Dimmi che andrà tutto bene.» disse poi.

«Temari, ma mi stai gufando, per caso? Guarda che se mi porti jella –»

Lei non ci vide più; lo prese per la collottola e lo strattonò, forte.

«Shikamaru, sono seria. Dimmi che andrà tutto bene

Lui distolse lo sguardo, e deglutì.

«Manca poco, dai» disse invece «…tre settimane, e sarà tutto finito. Pensa a questo, e…»

«Dimmelo.»

Lei lo guardava, sostenuta.

«…Tem, ti amo, lo sai?» disse solo. E la baciò; fu come rinascere, come se fosse ancora la prima volta… la strinse a sé, la avvolse con le sue spalle… e quanto avrebbe voluto che quel momento durasse per sempre…

Restarono così per un po’, finché la voce di Choji non si fece più insistente. Egli prese il suo zaino e si avviò; un po’ di vento sollevò la sabbia dal pavimento sporco dell’accampamento, soffiandogli nelle orecchie.

Temari lo guardò andare via.

Shikamaru pensò che non le aveva detto quelle parole che sperava sentirsi dire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Quattordicesimo venerdì]

 

Pioveva, ancora.

Lei pensò che in quegli ultimi mesi non aveva fatto bel tempo che in qualche giorno: aveva continuato a piovere ininterrottamente, continuamente, senza sosta… Era così bello stare sotto lo scroscio dell’acqua, senza dover parlare o sentire o pensare…

Naruto la guardò, pallido. Era zuppo dalla testa ai piedi; aveva un braccio fasciato, una orrenda cicatrice sotto l’occhio, un labbro spaccato; tuttavia, pur con il viso così tumefatto, le sorrise.

«Temari» disse «entriamo dentro, dai…»

Lei lo guardò. Non ne aveva proprio voglia…

Da lontano, si udirono i fischi e le grida provenienti dal capannone principale, lì dove una volta c’era la sua amaca preferita; stavano tutti festeggiando la fine della guerra, cantando, ballando, urlando…

 

Quello era un venerdì, era vero; doveva essere un giorno bello… ma non lo era, e non lo sarebbe mai più stato. E allora perché tutti festeggiavano e cantavano e ballavano? Perché il mondo non si era fermato, perché il cielo non era imploso, perché tutto continuava ad andare come sempre, quando niente sarebbe più andato per il verso giusto? Che senso aveva?

Naruto e Choji erano appena tornati; e, con loro, Kankuro, Gaara, gli altri due Kage e tutti i sopravvissuti della Seconda Divisione. I primi due, quando lei un’ora prima era corsa loro incontro, l’avevano semplicemente guardata, e l’avevano semplicemente abbracciata; lei s’era accasciata al suolo… allora era vero, era vero quel che le avevano detto…

Shikamaru

«Temari, Temari» aveva urlato Sakura nel suo orecchio, scuotendola, cercando di superare il frastuono della pioggia «va… va tutto bene, va bene, dai…»

Lei non la guardava: osservava Naruto. Stava piangendo con tutte le sue forze, in ginocchio sul fango, battendo i pugni per terra; urlava, singhiozzava e imprecava. Era come se avesse perso un fratello, come se Sasuke se ne fosse andato di nuovo…

Un tocco leggero alle spalle la ridestò dai suoi pensieri: fu issata in piedi da Choji. Kankuro la guardava, preoccupato.

«Devi essere orgogliosa di lui» disse il primo, pallido almeno quanto lei, e tumefatto al volto più di Naruto. «E’ morto da eroe. Ci ha salvato tutti.»

 

E poi fu un turbinio di grida, di suoni, di pacche sulle spalle, di carezze e di sguardi apprensivi; Temari pensò che non avrebbe retto, che il cuore le sarebbe esploso; e invece resse benissimo, e le ore passarono, e le lacrime in qualche modo furono riassorbite, sostituite subito da nuove…

Ma era venerdì. Doveva andare tutto bene.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Quindicesimo venerdì]

 

Temari non ricordava molto di quella settimana passata. Aveva un gran mal di testa… In quel momento avrebbe dovuto essere in una riunione con i suoi due fratelli, e invece c’era andato solo Kankuro, dopo averle preparato la colazione ed averle schioccato un bacio sulla fronte; in quel momento avrebbe dovuto festeggiare la fine della guerra, visto che Madara era morto –l’aveva ucciso proprio lui

Naruto le era accanto; lui, Sakura, Ino e i suoi fratelli non la mollavano mai. Un tempo, questo le avrebbe dato fastidio; adesso, invece, la faceva stare molto meglio…

«Com’è accaduto?» gli chiese quel giorno, d’improvviso, mentre sorseggiava il tè verde preparato da Kankuro (era ottimo, ma non l’avrebbe mai e poi mai ammesso).

L’altro strabuzzò gli occhi.

«Sei… sei sicura di…?» iniziò, ma lo sguardo fermo e sostenuto di lei dardeggiò; capì che sarebbe stato inutile temporeggiare.

Così, le raccontò di quel che era successo esattamente una settimana prima: che loro, come da missione, avevano veramente trovato Madara, e che Shikamaru l’aveva bloccato con la sua tecnica d’ombra, mentre Naruto si trasformava. Raccontò del piano preparato dall’amico in quei lunghi mesi d’agonia, mentre erano sbattuti da una parte all’altra del mondo, e di come l’avevano messo in pratica; raccontò di come avesse salvato lui, Choji, Yamato e la squadra speciale venuta appositamente per loro, distraendo Madara e facendo da esca…

E vedendo che Temari non rispondeva, un dubbio lo assalì.

«Lui… non te ne aveva parlato?»

«No.»

Non era arrabbiata o triste; aveva capito da sola, in quei lunghi mesi, che la missione di cui Shikamaru le aveva parlato era molto più di quel che lui aveva detto. Era un comportamento così da lui che non se ne stupì: non avrebbe mai sopportato causare noie, proprio lui che le odiava mortalmente. Anzi, in quel momento lo ringraziò mentalmente –chissà, magari poteva vederla, dovunque fosse, o forse era solo una sciocca speranza- per non averla fatta angosciare ancora di più di quanto non fosse stata ansiosa e intrattabile.

«E… senti, prima che noi partissimo per la missione… mi ha detto di darti questo. Non so cosa sia, non l’ho letto.»

Le mostrò un bigliettino stropicciato, sporco e bagnato; neanche finì la frase che la ragazza già lo aveva afferrato. Temari lo accarezzò con cura… quasi potesse accarezzare la sua mano… per la prima volta da una settimana, provò un unico momento di eccitazione: aveva gli occhi lucidi, tremava, era bianca… lo aprì immediatamente.

 

 

Seccatura, oggi è venerdì.

Quindi, “oggi” deve andare tutto bene… intesi?

Guarda che sennò chiamo il caro Kanky… e sai che come rompe lui non rompe nessuno, e sai anche che io ti terrò d’occhio.

E adesso smettila di piagnucolare e ritorna la solita rozza, eh? Che sennò poi sei troppo femminile e mi fai senso.

Mi raccomando. Oggi è venerdì.

 

Crybaby.

 

 

 

Rise. Ma che idiota, insensato, stupido ragazzo che si era scelta… stupido lui o cretina lei, difficile dirlo.

Ma quel giorno era venerdì.

E il venerdì andava tutto bene.

 

 

 

 

Monday you can fall apart

Tuesday, Wednesday break my heart

Thursday doesn't even start…

It's Friday, I'm in love.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*******************

 

 


The Black Parade




Ok, emmò basta xD Sono tre giorni che vado a letto all’una (e ovviamente il giorno dopo ho lezione all’università alle nove) e tre giorni che non faccio altro che scrivere… non ne posso più O_O

 

Be’, che dire… sinceramente, i primi due giorni ero veramente contenta della fanfic, mi piaceva soprattutto questa cosa dei venerdì messi random (e che mi ha fatto impazzire non poco o_O)… ieri e oggi ho iniziato ad odiarla, eh .-. Ora, insomma, non so cosa pensarne. Spero ovviamente che a voi piaccia, ma insomma, a me fa un po’ senso… avrei voluta renderla più originale, insomma.

 

E sì, ho veramente fatto quel che ho fatto .__. Infatti ho paura di quel che accadrà non appena le mie adorate compagne nere leggeranno tutto ciò. Non vi arrabbiate, vi prego ç__ç volevo solo mettermi alla prova scrivendo qualcosa di diverso dalla solita commedia.

Ah ehm, se notate i venerdì sono quattordici, e loro si vedono quattro ore ogni sette giorni… e la parola “quattro”, in Giappone, si pronuncia come “morte”. *non mi dite che non vi avevo avvertito*

 

Progettarla è stato molto divertente; scriverla un po’ meno. Come detto, me la sono sparata tutta in due giorni e mezzo, e adesso ne ho veramente fin sopra i capelli… mi spiace per le sviste, ma ho riletto una sola volta: non ce la faccio più, già controllare che coincidesse ogni dettaglio è stato allucinante…  o_o

E spero tanto che il romanticismo (ogni tanto diabetico, ma era ciò che l’iniziativa voleva) vi sia piaciuto. Ho fatto appositamente questo trucchetto dei venerdì diversi per creare un bel po’ di climax. Infatti i primi venerdì sono un po’ tranquilli, ma gli altri sono sempre di più… fino alla fine.

 

Ah, quello che Shikamaru intende con “oggi è venerdì” è che (…ovviamente) il biglietto rimarrà per sempre così, quindi sulla carta ogni giorni sarà sempre venerdì: è una specie di esortazione affinché Temari consideri ogni giorno come un venerdì, e che quindi sia ogni giorno felice. Cosa che lei fa, perché è un po’ la sua ultima volontà… scusate il pensiero criptico xD

 

 

E bon, basta u__u ho già scritto troppo, direi (questa è la ventesima pagina!)…

Per favore commentate, che voglio un giudizio oggettivo e non snaturato da mille ore passate al computer o da occhi totalmente a palla xD

 

 

Clahp

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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