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Autore: Sophie Hatter    16/03/2011    2 recensioni
Devo ammettere che un po’ è strano, comportarci in modo cordiale.
Implica una rivoluzione dei nostri rapporti interpersonali su scala mondiale.
Un po’ di tempo fa io ero quella con cui litigava, ora sono quella con cui trascorre diversi minuti del suo tempo libero a parlare di bagni intasati, di Pix a piede libero, di quadri che si rifiutano di fare il loro dovere, di insegnanti che non hanno mai tempo per ascoltare le nostre esigenze e di Silente che, tutte le volte che ci vede, ci offre da bere una bibita al caramello.
Insomma, chi se l’aspettava?

*
“Sai, in certi momenti riesci perfino a farmi dimenticare quanto tu riesca ad essere insopportabile”, mi dice, nel momento in cui io ho appena finito di imbottirmi dappertutto. All’inizio rimango a fissarla sbalordito, poi ritorno in me e scrollo la testa, esasperato.
“Suppongo che questi momenti in genere corrispondano alle mie pause di silenzio”, borbotto, e sento che lei scoppia a ridere di gusto. Ispiro proprio ilarità, non c’è che dire.
“Oh, no, per una volta ti giuro che non volevo essere cattiva …”
Io sbarro gli occhi senza ritegno, stupefatto. Non riesco a credere alle mie orecchie, è impossibile che abbia davvero detto una cosa del genere. Una frase simile non può realmente essere uscita dalla sua bocca.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is... (the only weapon which I got to fight)' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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capitolo 4
Capitolo 4 – Cioccorane in segno di pace
 
 


 Chi non cambia mai la propria opinione ha il dovere assoluto di essere sicuro di aver giudicato bene sin da principio.

(Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio)




29 maggio 1977

 
Ogni volta che sprofondo nella poltrona più lontana dalla folla che anima la sala comune, faccio sempre più fatica a risollevarmi e tornare in mezzo al gruppo con un enorme sorriso di circostanza stampato in faccia.
La verità è che odio immusonirmi in questo modo. So di risultare fastidioso e preoccupante quando mi comporto così, e so che razionalmente dovrei riuscire ad impormi di essere allegro come la situazione richiede. Però, alla fine, non ci riesco veramente. Magari chi non mi conosce non si accorge di nulla, ma Sirius già mi sta tenendo d’occhio da tre giorni a questa parte e lo sguardo muto di Remus mi segue sempre dovunque vada, troppo buono per rimproverarmi, troppo discreto per cercare di discutere con me di quello che non va. Anche Peter è preoccupato e mi regala ogni genere di sciocchezza per cercare di tirarmi su: un modellino di Jocunda Sykes a cavallo della sua scopa, un Avversaspecchio sgraffignato da suo nonno durante le vacanze di Pasqua, un piccolo Pensatoio (“Perché sei così pensieroso in questi giorni, ma dato che non ti va di confidarti con noi …”).
Non che io non sia loro grato, ma la mia situazione, sostanzialmente, non è cambiata. Mi sento un inutile peso per tutti, un odiosissimo problema a cui nessuno può trovare una soluzione efficace. Sono insopportabile ai miei stessi occhi, eppure non riesco a darci un taglio e a farmela passare una buona volta. Sono imprigionato in un’ingiustizia che non mi permette di gioire perché abbiamo appena vinto la finale di Quidditch, perché fino a domani sera i Serpeverde correranno in bagno in quattro alla volta, perché i miei esami sono andati bene, perché anche quest’estate Sirius starà da me … in fondo, si tratta di almeno quattro ragioni contro una per essere felice, e nonostante questo sembra che io non sia capace di dare il giusto peso alle cose. Altro che crescita e maturazione. Sono ancora un bambino, ecco la verità. Mi sento incredibilmente stanco, non sono affatto di compagnia, e forse sarebbe davvero il caso che me ne andassi a dormire.
Mi dispiace, perché so che gli altri ci rimarranno male. Sirius si offenderà, e mi terrà il broncio per un paio di giorni. Ma davvero non posso farci niente, non riesco a fingere così bene come dovrei, ed è inutile rimanere lì ancora, ad osservare gli altri che si divertono al mio posto.
Il mio tentativo di concentrazione per riuscire ad alzarmi senza ricadere a peso morto sulla poltrona non dura più di una frazione di secondo, perché l’attimo dopo una persona con una lucente massa di capelli rossi si siede rapidamente vicino a me lasciandomi pietrificato e incapace di muovermi.
Mi sento il suo sguardo puntato addosso, e io non riesco ad alzare gli occhi per sostenerlo.
“Oh, scusami, ti ho lanciato un incantesimo senza accorgermene?” mi chiede lei, falsando volutamente un tono di preoccupazione apprensiva. Io mi limito a increspare le labbra e a corrugare la fronte, continuando a guardare il vuoto davanti a me.
“Certo, mi fa piacere che per una volta tu te ne stia zitto, ma hai comunque il permesso di muoverti”.
Stavolta mi giro a guardarla, tentando di impormi di fissarla con uno sguardo di disappunto. In realtà non capisco assolutamente niente. Lei che di sua volontà è venuta a sedersi di fianco a me, che di sua volontà mi sta rivolgendo la parola … è semplicemente qualcosa di estraneo alle mie capacità di comprensione. Riconosco di avere un’intelligenza limitata, almeno in determinati campi, ma tutto questo non riesce a sembrarmi normale, e penso che potrei essere enormemente grato a chiunque fosse in grado di fornirmi una spiegazione, anche se si trattasse di Snivellus.
“Questo è il tuo modo di ringraziarmi per aver fatto vincere a Grifondoro almeno la Coppa di Quidditch?” provo ad insinuare, tentando di risollevarmi dallo shock. Lei si stringe nelle spalle.
“Considerato che non ritengo il Quidditch la base della mia esistenza, direi che per quanto mi riguarda quella coppa è soltanto una magra consolazione”.
Scuoto la testa, alzando gli occhi al soffitto. Va bene che sono pazzo di lei, ma questo non implica che io debba sempre essere al settimo cielo di sentirmi rivolgere la parola, se questo significa essere costantemente bersagliato con simili denigrazioni.
“Avanti, dimmi che cosa gli avete fatto”, mi dice, in tono perentorio. Io la fisso a bocca aperta, con un’espressione probabilmente ridicola.
“Cosa abbiamo fatto a chi?” le chiedo, la mente in preda alla confusione più totale.
“Ai vostri migliori amici”, risponde lei, con ovvietà. Io mi pietrifico di nuovo. Se mi ha appena citato l’espressione usata da Sirius il giorno che abbiamo delineato il piano, vuol dire che ha ascoltato l’intera conversazione senza che noi ce ne accorgessimo. Fantastico. Lily Evans non è un Prefetto, è un Auror per Malandrini.
“Ah. Certo”, borbotto, incupito. Non le bastava aver distrutto il mio orgoglio di uomo, doveva necessariamente darsi da fare per distruggere anche quello di Malandrino. Sapere che avrebbe potuto sabotarci con estrema facilità non mi riempie esattamente di gioia, e già mi cadono le braccia al pensiero di quello che dirà Sirius quando lo verrà a sapere.
"Lo vedi che avevo ragione io? La tua donna è una grandissima bastarda! Avresti dovuto tapparle la bocca quando potevi, invece di girarle intorno! E così ero paranoico, eh? La prossima volta invece di accusarmi vedi di imparare a contenerti di fronte a lei, o puoi anche scordarti di divertirti ancora qui dentro!"
Nonostante questo lei è ancora lì, a fissarmi in silenzio. Forse dovrei evitare di farmi tanti problemi e limitarmi a darle quello che vuole.
“Cosa credevi che ci fosse in quelle bottiglie?” le chiedo, in tutta risposta, scegliendo di evitare i giri di parole. Lei si stringe nelle spalle.
“Idromele?” risponde. Io quasi sogghigno.
“Sbagliato. In realtà era pozione lassativa. Il fatto è che, anche se te l’avessi fatto assaggiare, ti posso assicurare che non avresti notato la minima differenza. A parte per gli effetti collaterali, s’intende. Hai notato che l’altro ieri Sirius e Peter non stavano tanto bene? Questo perché avevano semplicemente fatto da cavie … prova ad immaginarti l’effetto che potrebbe dare anche solo un bicchierino di quella roba”.
“E come ci siete riusciti?” mi chiede, incuriosita. Io la guardo negli occhi, e stavolta il ghigno mi scappa.
“Trucchi del mestiere, sorella. Noi quattro sappiamo fare cose che sui banchi di scuola non si sognerebbero mai di insegnarci”.
Comincio a pensare che ora ha davvero un motivo perfetto per farmi una predica interminabile.
“Spero proprio che si ubriachino tutti”, sentenzia invece, e io la guardo sbalordito. Il secondo dopo un sorriso di sorpresa mi esplode sul volto. È assolutamente fuori da ogni logica, Lily Evans approva una nostra bravata. Mi sarei aspettato di sentirmi dire di tutto, meno che una cosa di questo genere. “La tua perfidia è sprecata come Prefetto”, le dico, dimenticandomi in un attimo delle mie intenzioni di mantenere un atteggiamento discostato nei suoi confronti. Lei mi lancia un sorriso obliquo.
“Stai cercando di corrompermi?” mi chiede. Io mi stringo nelle spalle, divertito.
“Dovresti provare a collaborare a uno dei nostri scherzi, sono sicuro che finirebbe per piacerti”.
La mia fantasia ha sempre avuto il vizio di correre troppo. Ora, dopo una proposta del genere, indubbiamente mi arriverà uno schiaffo.
Ma lei non si muove, si limita a incrociare le braccia e a fissarmi.
“E che cosa ci guadagno?” mi chiede. Io rimango indeciso su cosa rispondere per qualche imbarazzante secondo. Un paio di offerte da farle forse le avrei, ma sono abbastanza sicuro che non apprezzerebbe.
“Beh, di certo ti faresti un sacco di risate, cosa che ti fa evidentemente bene perché in questo momento sei molto più rilassata del solito”.
Lei non risponde e si limita a fissare una crepa nel pavimento, con un lieve sorriso che le aleggia sulle labbra. Devo dire la verità, non ho la più pallida idea di quello che sta succedendo in questo momento, ma vederla così in questo momento riesce a farmi smettere di scervellarmi.
Alla fine, decido di gettarmi nel baratro e di provare a risolvere la questione.
“Vuoi scusarti con me, vero?” le dico, preparandomi al peggio. In realtà, è solo un’azzardata intuizione a dirmi che è così. Quest’intuizione non tiene conto del fatto che lei è l’ultima persona al mondo che metterebbe da parte il suo orgoglio per venire a scusarsi con me – un dettaglio non così trascurabile, dopo tutto. Ma si sa che non ho mai imparato bene a tenere a freno la lingua; comincio a sospettare che non me l’abbiano proprio mai insegnato.
“Tieni”, mi dice lei, stendendo bruscamente il braccio e porgendomi un sacchetto che teneva in grembo. Cioccorane. Da quando sa che ne vado matto? Ne pesco una con incertezza, e il dubbio che possa essere avvelenata per un attimo mi attraversa la mente. Lo scaccio via subito sorridendo tra me della mia stupidità, poi getto un’occhiata di sbieco a Lily, che mi tiene d’occhio con un’espressione ermetica. Continuo a capirne sempre meno di tutta questa storia, ma evidentemente tutti si divertono a prendermi in giro.
“Okay, accetterò la tua offerta di pace”, le dico infine, stringendomi nelle spalle e addentando la Cioccorana. Sul suo volto compare un sorriso vagamente sinistro, con cui sembra volermi minacciare di picchiarmi se non la finisco di fare osservazioni di quel genere. In quel momento capisco che potrei anche farmi prendere di nuovo dalla depressione, mandarla via e rinchiudermi in me stesso. Non mi ha detto che le dispiace, che in realtà non pensa davvero quello che mi ha detto qualche giorno fa e che ha sbagliato a trarre conclusioni affrettate. Mi ha ferito a morte, e io dovrei essere arrabbiato con lei. E ora, se anche è vero che le sue intenzioni sono quelle di farsi perdonare, si è limitata a sedersi vicino a me di sua iniziativa e a offrirmi una Cioccorana. Dovrei pretendere delle scuse in piena regola, con tanto di dichiarazione scritta e genuflessione. Eppure, istintivamente so che devo accontentarmi di questo semplice gesto, perché la conosco fin troppo bene ormai. Conosco l’orgoglio che le impedisce di inginocchiarsi e di dire le cose direttamente, mettendo da parte le complicazioni in nome di una necessità di chiarezza. So che non posso pretendere altro, e forse nemmeno lo desidero.
L’ho sempre amata per quello che è, in fondo.
O forse sono io che non riesco ad avere un orgoglio.
Sirius direbbe questo, credo.
“Sai, queste sono situazioni piuttosto critiche. Dovremmo evitare di complicarci la vita. La prossima volta potrei procurarmi del Veritaserum … così non dovresti affidarti a una Cioccorana”.
Lei storce gli occhi, trattenendo un sorriso.
“Hai bisogno di una pubblica confessione per sentirti meglio?” mi chiede, ironica. Io la guardo, tenendola sulle spine per qualche secondo.
“Nah. Mi sto solo divertendo un po’”, le rispondo, mettendoci un pizzico di quella strafottenza che la fa tanto irritare. Già, devo riconoscerlo: sono un vero genio nel provocare l’astio della gente nei miei confronti. Il problema è che poi le conseguenze che ne ricavo non sono molto piacevoli, perciò sarebbe meglio se imparassi a tenere la bocca chiusa, dopotutto.
Improvvisamente mi sento arrivare un pugno sul gomito. I miei nervi registrano il dolore facendomi emettere un guaito immediato.
“Ahia! Ma che ho fatto?!”
“Parli soltanto per dare aria alla bocca!”
“Questa è soltanto una delle tue teorie riguardo a me, e io non la condivido affatto”.
Lily torna ad essere seria di colpo, fissandomi a labbra strette. Io mi rendo conto dell’analogia che inconsapevolmente ho stabilito fra quella sciocchezza di un momento e il motivo per cui siamo arrivati a discutere qualche giorno addietro.
Sì, sono sempre estremamente bravo a cacciarmi nei guai.
“E va bene, scusami, ho esagerato”, mi dice lei, incrociando le braccia e fissandomi con aria seria. Mi sorprendo che abbia deciso di andare direttamente al punto, questa volta.
“Bene. Riterrò le scuse universalmente valide, anche se per il livido che mi rimarrà sul braccio meriterei probabilmente qualcosa di più …” - la sua occhiata assassina mi fulmina di colpo – “… intendevo un’altra Cioccorana, non montarti la testa”, aggiungo, in tono ironico.
La sua espressione, di colpo, cambia. Non è più quella di chi ha voglia di uccidermi in modo violento e sanguinoso. Sta ridendo, e per quanto possa essere banale penso soltanto che è bellissima quando ride. In realtà la trovo sempre bellissima, ma non mi sembra il caso di soffermarsi a polemizzare su questo aspetto della questione per farmi notare quanto io sia monotono e banale.
“Come vuoi”, mi dice, e mi porge il sacchetto un’altra volta. L’euforia mi esplode dentro in maniera incontrollabile, e il mio viso viene irrimediabilmente alterato dal classico sorriso ebete che non riesco mai a trattenere in casi del genere.
È abbastanza comprensibile, se consideriamo che non mi capita molto spesso di avere occasioni in cui sfoggiare un sorriso ebete, almeno con lei.
Mastico in silenzio, sentendomi per una volta soddisfatto alla fine di una giornata.
Coppa del Quidditch, scherzo ai Serpeverde e risata di Lily. Una terna fortunata che probabilmente non si ripeterà mai più in vita mia. Ma mi sento così felice che il pensiero non riesce ad adombrare la mia gioia.
Dopo un po’ vedo che lei fa un cenno, rivolta ad un’amica che la stava probabilmente cercando.
Non poteva durare in eterno, me ne rendo conto.
“Ricordati che in ogni caso la tua vittoria a Quidditch non compensa le tue malefatte”, mi dice, voltandosi indietro quando ormai è già in piedi e pronta ad andarsene. Io le sorrido, divertito.
“Troverò il modo di farmi perdonare”, rispondo, senza aggiungere altro. Un attimo dopo lei è già sparita. Mi ricordo improvvisamente che circa cinque minuti fa morivo dalla voglia di andare a chiudermi in camera … ma quale camera? In questo momento non riuscirei a staccarmi da questa poltrona nemmeno se mi dicessero che Piton sta ballando sui tavoli in mutande.

***
 
“Secondo voi come fanno?”
Mi volto verso Margaret e la osservo, perplessa; è completamente assorbita dal gioco, tiene lo sguardo fisso sullo sciame di corpi e manici di scopa che si agita confusamente a mezz’aria e non muove un solo muscolo, proprio lei che non riesce a trascorrere un solo quarto d’ora di lezione senza tirare fuori lo Smalto Cambiacolore per le unghie, il panino con la marmellata sgraffignato a colazione, le Etichette Canterine da applicare alle pagine dei libri o una nuova matita da infilarsi nel naso.
“A fare cosa?” le domando, sorridendo mentre ci penso. Fu uno spettacolo disgustoso, quando lo fece per la prima volta. La Cotton la beccò in pieno con quella cosa che le penzolava dalla narice e per poco non scoppiava a ridere in mezzo alla classe, mentre toglieva cinque punti a Grifondoro.
“A giocare tutti impaludati in quella maniera per ore. Hai presente quella volta, l’anno scorso, quando a novembre c’è stata Grifondoro contro Tassorosso sotto la pioggia? L’epoca in cui stavo con Brocklehurst, lui e il suo nome impossibile. Ecco, quando ci siamo incontrati negli spogliatoi dopo la partita, lui quasi non riusciva ad alzare un braccio da quanto era fradicio”.
Cerco di sorridere mentre Ernest Larsen sfreccia all’inseguimento di un Bolide a meno di mezzo metro dal nostro naso. Trovo sempre divertenti i discorsi di Margaret, solo che da qualche giorno sono davvero di pessimo umore. Ho attraversato diversi stadi di conflitto interiore per giungere ad un punto di non ritorno che mi vede inconcepibilmente pentita per ciò che ho fatto. Incredibile.
“Mio padre segue il football americano, e lì giocano in pantaloncini corti. Quelle sì che sono divise da gioco”, aggiunge Margaret, con aria sognante. Helen si sporge verso di noi con un’espressione impagabilmente disgustata al pensiero di un branco di energumeni sudati con le cosce al vento, e anche questo dovrebbe farmi ridere, perché io adoro la sua mimica facciale. Supera perfino la McGranitt, quando ci si mette. E la McGranitt che squadra dall’alto in basso Potter e Black mentre tentano di costruire un modellino di Hogwarts utilizzando le ampolle e le provette di Pozioni è qualcosa di eccezionale.
Poco importa. Mi passerà, prima o poi.
“Sfrecciano tutti a velocità assurde. Probabilmente prenderebbero freddo alle gambe, in pantaloncini”, osserva Mary, alzando lo sguardo dal blocco da disegno.
“Un giorno mi dovrai spiegare come ci riesci”, le dice Helen, chinandosi per dare un’occhiata. Mary fa un mezzo sorriso e non dice nulla. Riesce sempre a ritrarre Delia nel bel mezzo delle azioni più assurde.
“Guarda James!” esclama eccitato Peter stringendo il braccio di Remus per indicargli Potter che centra perfettamente l’anello centrale della porta di Serpeverde, dopo aver schivato due Bolidi. In condizioni normali avrei incrociato lo sguardo del mio compagno di sventure per sorridergli con comprensione. Adesso invece riesco solo a fissare il campo da gioco con un’espressione vacua, mentre il mio cervello non la smette di produrre assurdi ragionamenti concatenati affinché io mi decida sul da farsi.
Non capisco granché di Quidditch, e se vengo alle partite è soltanto per vedere Delia, che è in squadra come Battitrice fin dal secondo anno e se la cava magnificamente. Però adesso mi ritrovo a pensare che non vedo l’ora che Potter scenda da quella scopa. Così potrò parlargli, almeno.
Inutile dire che per quella faccenda è andato tutto a ramengo.
Ho lasciato perdere il loro stupido scherzo, e a quest’ora l’avranno sicuramente messo in atto. La cosa non ha più alcuna importanza e mi dispiace dirlo, ma ho ben altro a cui pensare.
Se Potter e i suoi amici vogliono sfogarsi facendo i teppisti, per questa volta farò finta di non vedere.
Nei quattro giorni trascorsi fino ad ora dalla discussione che abbiamo avuto nel corridoio del terzo piano, mi sono data alacremente da fare per evitarlo. Ho avuto la netta impressione che anche lui abbia fatto lo stesso. Di solito, anche se quest’anno non mi ha più avvicinata una sola volta per chiedermi di uscire, mi fermava comunque con una scusa per intrattenere una breve conversazione sarcastica. E alla fine, tutto sommato, non era poi così male. Lo so che è assurdo, ma ci avevo fatto l’abitudine. Io lo insultavo amichevolmente, lui reagiva con ironica galanteria, e nessuno pretendeva di più.
In questi tre giorni ho cercato di stare sola.
In genere mi confido con le ragazze, ma queste cose preferisco tenerle per me. Almeno finché non sarò giunta ad una conclusione che mi permetta di ritornare a sentirmi in pace con me stessa.
Per il momento, non ho trovato una tattica che funzioni.
Alle altre ho detto soltanto che io e Potter abbiamo litigato, un’altra volta, e che lui sembra averla presa piuttosto male. Sono discretamente brava a fare la faccia di bronzo, quando voglio, e anche se non esprimo un briciolo di quello che penso e sento ma nascondo tutto sotto uno spesso strato di battute cattive e discorsi caustici nessuno se ne accorge. Non che sia colpa loro, comunque. Sono io che sono fin troppo abituata a fingere, da questo punto di vista. È un vecchio vizio che perdura dai tempi in cui mi arrivò a casa la lettera di Hogwarts, e insorse quindi la necessità di mascherare i cattivi rapporti con mia sorella agli occhi dei miei genitori, comportandomi come se non me ne importasse niente. Da quando ha iniziato a chiamarmi mostro e a denigrarmi perché sono una strega, i nostri rapporti si sono completamente disgregati. Ormai mi limito a non reagire e a fingere di non sentire, quando attacca con le sue frecciatine velenose, ma non mi va di suscitare preoccupazioni e dispiaceri in mamma e papà anche quelle poche volte che ormai faccio ritorno a casa.
Alla fine, grazie a questa bravura di cui dovrei vergognarmi, in merito alle recenti faccende in cui è implicato Potter sono riuscita ad evitare un numero eccessivo di domande. L’unico problema è che non ho ancora trovato il modo di risolvere la cosa.
“… la lotta per il Boccino è all’ultimo sangue, quando non certe persone non vogliono rassegnarsi alla sconfitta diventano davvero insopportabili …”
“Signor Black …”
“Professoressa, non mi dica che non vuole la Coppa!”
“Signor Black, la smetta di essere sfacciato e si limiti a riferire le azioni di gioco senza perdersi in commenti fuori luogo!”
“Va bene, e allora è Dobbs, poi Potter, poi Peebles, poi di nuovo Dobbs, poi Jackson intercetta il tiro e … tsk, dove vuoi andare, idiota …”
“SIGNOR BLACK!”
“Il mio era un commento giustificato, professoressa, come vede ci è voluto ben poco perché Matthews lo stendesse con un Bolide!”
“SI CONCENTRI SUL GIOCO!”
“Okay, allora, Potter in possesso di palla, la tecnica dei passaggi sincronizzati all’attacco dei Battitori funziona perfettamente, direi … Dobbs esegue una mezza rovesciata e tenta il tiro, Turpin para, Jackson parte in controffensiva, Potter gli si para davanti, e … wow, James, non ti vedevo così aggressivo da quando c’era ancora in squadra Malfoy, vai così … bel tiro, altri dieci punti a Grifondoro … suonagliele ancora, James, così …”
“Signor Black, le proibisco di istigare alla violenza i giocatori …!”
“Intanto Arkwright parte a razzo e pare dirigersi verso un punto ben preciso, sembra proprio che abbia avvistato il Boccino, se non fosse che si sta avvicinando pericolosamente a un Battitore avversario che si prepara a centrarlo in pieno lo inciterei strappandomi i vestiti di dosso … Merlino, quel Bolide! Tieni duro, Hector, non si capisce più niente … ma che accidenti … Arkwright ha preso il Boccino, signore e signori! GRIFONDORO VINCE!”
I miei timpani vengono immediatamente spaccati dal boato che si alza dalle tribune. Di solito tento almeno di coprirmi le orecchie, ma questa volta ci rinuncio in partenza. Tutti si alzano in piedi strillando e applaudendo, Remus e Peter stanno saltando tanto da rischiare di far crollare lo stadio, l’intera squadra di Grifondoro si è gettata a capofitto sul povero Hector Arkwright rischiando probabilmente di ucciderlo, i Serpeverde alzano grida di protesta in risposta e Sirius Black impugna di nuovo il megafono incurante delle opposizioni della McGranitt, urlando: “TORNATEVENE NEI SOTTERRANEI, PUSTOLE!”
La professoressa ha tutto il mio appoggio morale, in questo momento. Immagino si stia maledicendo per aver acconsentito ad affidare a Sirius in via eccezionale la telecronaca della partita, ma ormai non c’è più nulla da fare. Abbiamo vinto la Coppa del Quidditch, e non credo ci siano possibilità di riuscire a mandare a dormire la Casa di Grifondoro prima delle tre di stanotte.
Cominciamo a sciamare fuori dallo stadio mentre la gente intorno a noi innalza cori in grado di fare invidia a quelli dei tifosi Babbani. Io ancora non ho deciso che cosa fare, ma la calca mi spinge via contro ogni mia volontà e non mi resta altra scelta che seguire la massa, dopo aver perso di vista sia Potter e la sua squadra che Remus e Peter, che non so come devono essere riusciti ad andare controcorrente per raggiungere il loro amico negli spogliatoi.
Tocca a me rassettarmi la spilla di Prefetto e tentare di farmi ascoltare dalla folla di studenti della mia Casa, di modo da ricondurli al castello senza incidenti di percorso e nel modo meno disordinato possibile.
“Vieni in sala comune, vero?” mi chiede Margaret, saltellando per la contentezza.
“Credo di sì”, rispondo, laconica.
“Sì, mischiamoci alla folla di esaltati che osanna quattro scemi e i loro manici di scopa”, commenta Helen, apatica, inarcando un sopracciglio.
“Come sei perfida. Sono stati bravi, hanno vinto, e noi non facciamo altro che approfittarne per mangiare a sbafo!”
“Perché, tu ti fidi di quello che ci offriranno?”
“Dici che non dovrei?”
“Mah …”
“Aha! Ti ho scoperta! Hai avvelenato il nostro cibo … di’ la verità, vuoi la camera tutta per te!”
“Non ingigantire le cose, io volevo soltanto soffocarti nel sonno”.
Ripenso all’espressione serissima e quasi imbronciata con cui Potter ha giocato per tutta la partita, riuscendo a stamparsi un sorriso in faccia soltanto alla fine, quando il loro Cercatore ha segnato la vittoria della partita. Il tutto per colpa mia.
E va bene, lo ammetto. Mi dispiace.
Devo aver preso una cantonata colossale.
Riflettendoci con attenzione, ho capito che non poteva essere davvero una farsa. Insomma, se gli avessi rovinato un piano a cui lavorava da un anno con pazienza e costanza, considerandomi un oggetto e senza che la faccenda implicasse una qualche partecipazione sentimentale da parte sua, come minimo la sua reazione sarebbe stata di irritazione, se anche fosse stato così stranamente sagace da capire che non c’è verso di convincermi del contrario di quello che penso. In questi giorni, invece di evitarmi con quell’aria da cane bastonato, lo sguardo basso e una smorfia triste perennemente dipinta in faccia, mi avrebbe come minimo risposto male alla prima occasione, dato che in via teorica gli avrei rovinato i progetti. La sua non è una reazione consona. La sua è una reazione da persona ferita.
Mi sono sempre imposta di non provare pena per lui, nemmeno quando se l’era presa in quel modo alla fine dell’anno scorso dopo la sfuriata che gli avevo fatto il giorno del G.U.F.O. di Difesa contro le Arti Oscure. Ma ormai, mio malgrado, non ce la faccio più. Non riesce ad esaltarsi nemmeno per il Quidditch, che è la cosa più importante nella vita di Potter, da che mondo e mondo.
Quindi, credo proprio ci sia rimasto male.
Ho provato a domandarmi il perché, in maniera piuttosto ossessiva.
Perché l’ho accusato ingiustamente? No. Anche questo avrebbe dovuto comportare almeno un briciolo di reazione rabbiosa da parte sua. Voglio dire, Potter non è una persona che si lascia insultare senza dire niente. E non credo che io gli incuta tanto timore da fargli decidere di tenere la bocca chiusa e non protestare.
Potter la bocca chiusa non la tiene mai.
Dunque, in fin dei conti, resta solo un’opzione. Potter ha dei sentimenti. Di che intensità non mi è dato saperlo, ma abbastanza per rimanerci male nel sentirsi accusare, da una persona per cui prova qualcosa, di essere un subdolo doppiogiochista.
Mi ci sono volute la fatica e la perseveranza di tre giorni di riflessione per riuscire a vedere la cosa da un punto di vista esterno. Non lo so, il perché. Sta di fatto che evidentemente è così, anche se questo va a cozzare contro l’immagine di James Potter che si era costruita nella mia testa, e cioè quello che sembrava non essere mai minimamente toccato da una risposta offensiva, che non si preoccupava minimamente di quanto io non lo volessi ma, imperterrito, tornava ogni volta alla carica con nuove energie e nuove speranze conquistate chissà dove; quello che non riteneva possibile essere rifiutato da me, perché prima o poi tutti cedono al suo fascino indiscusso.
Ho voluto fargliela pagare e dimostrargli che così non era, e ce l’ho messa veramente tutta.
Però ora sembra davvero aver imparato la lezione.
In fondo, quest’anno non mi ha mai chiesto di uscire, né mi ha mai fatto avances di nessun tipo, per non parlare del fatto che ha smesso di sfoggiare certi doppi sensi da far venire la pelle d’oca.
E se adesso ci è rimasto così male, evidentemente una ragione c’è.
Senza contare che ormai mi sembra oggettivamente impossibile che una persona possa fingere così abilmente per un anno intero.
Sarebbe disumano. Inverosimile.
Quindi, quella in torto sono io.
Sì, però avevo delle ragioni per pensarla così, accidenti. Non è che mi sono svegliata una mattina e ho deciso che volevo farlo soffrire. Non sono così cattiva, e non soffro di strane turbe mentali. Quindi, in fondo, non è che proprio tutto il torto stia dalla mia parte. Però come glielo vado a spiegare senza scatenare l’ennesimo litigio, o senza trovarmi di fronte un’altra volta quella sua stramaledetta faccia sconvolta con gli occhi lucidi che mi ha perseguitato fino alla nausea in questi tre giorni d’inferno?
“Ragazze! Hanno gli Zuccotti di Zucca, io vi saluto e vado a rimpinzarmi!”
Delia, ricongiuntasi a noi da poco, ci abbandona di nuovo, saltellando verso i tavolini della sala comune con aria famelica. Era prevedibile che l’avremmo persa. Delia va matta per i dolci di Mielandia.
“Mary! Ne vuoi uno?” domanda, e Mary non fa in tempo ad alzare la testa da Siddharta che lo Zuccotto le atterra diritto sul libro. Delia diventa immediatamente bordeaux.
“Scusascusascusa… Gratta e Netta” dice, sollevando la bacchetta, e il libro torna lindo e pulito, mentre Mary alza uno sguardo truce su di lei.
“T’è andata bene”, le dice, afferrando lo Zuccotto e staccandone un grosso morso. Ridono insieme, divertite, e intanto i membri della squadra di Quidditch si innaffiano con l’Idromele e cantano a squarciagola. Condivido uno sguardo amichevole con Remus mentre lui tenta di tenere a bada un paio di ragazzi del primo anno che si stanno contendendo una Pluffa sottratta da chissà chi, e con la coda dell’occhio riesco a scorgere Potter insieme agli altri due, che lo minacciano ridendo con una bottiglia in mano.
“Tieni d’occhio quelli con l’Idromele, Remus”, dico al mio compagno di sventure, osservando con occhio critico Sirius Black che tenta di stappare la bottiglia con i denti. “Non vorrei che poi ci toccasse ripulire”.
“Sono assolutamente d’accordo … ehi!”
Lo sfacciato studentello del primo anno gli ha appena sottratto la Pluffa che aveva faticosamente sequestrato. Ne ridiamo insieme, rassegnati, constatando che nemmeno la McGranitt riuscirebbe a tenerli a bada.
“Ma lasciateli urlare”, mi dice Helen, allargando le braccia con aria rassegnata. “Domani mattina si ritroveranno tutti senza voce, e per un po’ ci sarà pace in questo posto”.
Sorrido di fronte al suo cinismo dissacratorio, che tocca il vertice massimo quando si parla di Quidditch. Comunque sia, non ha tutti i torti. Anch’io li ho sempre trovati abbastanza esaltati.
Trascorriamo una mezzora così, fra i canti di giubilo, gli insulti ai Serpeverde di cui Black è ogni volta campione imbattuto e Potter che ogni tanto si fa vedere e ogni tanto sparisce, non so dove.
Dopo un po’, lo scopro: si cerca una poltrona lontana dal caos, e ci si piazza a sedere con aria assente, finché non decide che si è concesso il tempo massimo di isolamento.
Alzo un sopracciglio, fissandolo con aria perplessa mentre ripete questa operazione per quella che è almeno la terza volta.
Sicuramente ha dei problemi.
Ad ogni modo, se questo è il suo andazzo non mi resta altro che avvicinarlo in uno di questi momenti, di modo da potergli far sparire quell’espressione abbattuta dalla faccia.
Intanto, Delia e Mary sono sparite da qualche parte a rimpinzarsi. Margaret trascina via Helen per mostrarle quel ragazzino del quarto anno che ha iniziato da poco a piacerle. Anche se Helen, prevedibilmente, non è che approvi proprio l’idea.
“Ti prego, non mi interessa chi è. È piccolo. Un moccioso che si è appena staccato dalla madre. E la pedofilia è un reato”.
“Ma che pedofilia, io guardo e basta!”
Sta di fatto che il momento favorisce un mio temporaneo allontanamento di cui nessuno potrebbe accorgersi, e se non lo faccio ora non lo farò mai più.
Perché tra poco finisce la scuola, io me ne torno a Londra e Potter in Galles. E sarà meglio per me che io mi tolga questo peso dalla coscienza adesso che ne ho l’occasione.
Intendiamoci, non è che io voglia rimangiarmi ogni insulto che gli ho rivolto in tutti questi anni. Solo che, in questo caso particolare, ho commesso un piccolo errore di valutazione. Tutto qui. Insomma, non ho alcuna intenzione di prostrarmi ai suoi piedi. Gli farò semplicemente capire che so di aver sbagliato, ed entrambi ci metteremo l’anima in pace, consentendoci di trascorrere delle vacanze serene e spensierate durante le quali tutto quello che è successo in questi giorni verrà dimenticato in un batter d’occhio.
Bene. Potter è lì seduto da solo, esattamente dove lo volevo. Perfetto. Mi avvicino ad uno dei tavolini, afferro un sacchetto di Cioccorane da sotto gli occhi di alcuni ragazzini delusi che non osano aprir bocca grazie alla mia ben nota fama di persona che non ama essere contraddetta e mi dirigo verso quell’angolo solitario della sala comune, tentando di comportarmi con naturalezza. Cercando di non dare nell’occhio, con uno scatto mi avvicino e mi siedo lì di fianco, sperando che non gli passi per la testa la pessima idea di prendere e alzarsi perché non mi vuole parlare.
I miei timori si placano seduta stante. Altro che alzarsi e andarsene. Sembra pietrificato.
“Oh, scusami, ti ho lanciato un incantesimo senza accorgermene?” gli chiedo, sfoggiando una certa dose di ironia per tentare di sdrammatizzare la situazione. Lui quasi non reagisce: si limita a fare una semplice smorfia, e continua a guardare fisso davanti a sé.
“Certo, mi fa piacere che per una volta tu te ne stia zitto, ma hai comunque il permesso di muoverti”, preciso. Lui si volta a guardarmi con un’espressione confusa. Io mi sforzo di mantenermi professionale ed educata e di lasciare da parte gli stupidi timori, sostenendo testardamente il suo sguardo.
“Questo è il tuo modo di ringraziarmi per aver fatto vincere a Grifondoro almeno la Coppa di Quidditch?” mi chiede, in tono incerto. Io mi stringo nelle spalle, sciogliendomi.
“Considerato che non ritengo il Quidditch la base della mia esistenza, direi che per quanto mi riguarda quella coppa è soltanto una magra consolazione”.
Lui scuote la testa, e io reprimo un mezzo sorriso. Forse non è esattamente il miglior modo di iniziare una conversazione con uno che ha appena condotto la sua squadra alla vittoria del campionato scolastico, ma devo cercare di mettere a suo agio sia lui che me, prima di poter dire quello che ho da dire.
“Avanti, dimmi che cosa gli avete fatto”, ordino, con un gesto sbrigativo. Lui mi guarda a bocca aperta.
“Cosa abbiamo fatto a chi?” mi chiede, non avendo evidentemente afferrato il concetto.
“Ai vostri migliori amici” gli spiego, con leggerezza. Lui sembra cadere di nuovo dalle nuvole. Evidentemente non si era reso conto che avevo ascoltato praticamente tutta la loro conversazione, quel giorno dopo Pozioni.
“Ah. Certo”, risponde, e non sembra essere molto contento della scoperta. Dovrebbe ringraziarmi che non sono andata fino in fondo nel tentativo di metter loro i bastoni fra le ruote, ma tant’è.
“Cosa credevi che ci fosse in quelle bottiglie?” mi chiede, alla fine, rassegnato. Io mi stringo nelle spalle.
“Idromele?” ipotizzo, riportando alla mente quanto riesco a ricordare di ciò che ho visto in quello sgabuzzino. Lui si lascia sfuggire un mezzo sorriso complice.
“Sbagliato. In realtà era pozione lassativa. Il fatto è che, anche se te l’avessi fatto assaggiare, ti posso assicurare che non avresti notato la minima differenza. A parte per gli effetti collaterali, s’intende. Hai notato che qualche giorno fa Sirius e Peter non stavano tanto bene? Questo perché avevano semplicemente fatto da cavie … prova ad immaginarti l’effetto che potrebbe dare anche solo un bicchierino di quella roba”.
Oh, si è improvvisamente sbottonato. Meno male. Non sono mai stata una cima nel trattare con le persone che ce l’hanno con me, se proprio devo essere sincera, e la reazione che Potter sta avendo in questo momento è decisamente rassicurante rispetto ai miei timori.
“E come ci siete riusciti?” gli domando, con interesse. Il suo sorriso di autocompiacimento si fa più grande.
“Trucchi del mestiere, sorella. Noi quattro sappiamo fare cose che sui banchi di scuola non si sognerebbero mai di insegnarci”.
Purtroppo, non posso non riconoscerlo. Sono dotati di menti perverse e contorte, ma sono anche in grado di combinare la loro ingegnosa fantasia con una vasta gamma di capacità pratiche.
Insomma, un pericolo pubblico.
Poi penso ai Serpeverde che fanno a gara per chiudersi in bagno in preda ad un improvviso attacco di diarrea, e mi scappa una cattiveria.
“Spero proprio che si ubriachino tutti”, gli dico, incrociando le braccia. Sento il suo sguardo attonito su di me, mentre mi fissa come se fossi un’aliena. Ma, da quando si è conclusa la mia amicizia con Severus, non ho più pietà per nessuno che faccia parte di quella Casa. Fa male, ma evito di pensarci. Meglio sfogarsi con qualche malignità.
“La tua perfidia è sprecata come Prefetto”, mi dice Potter, scuotendo la testa. Io mi lascio sfuggire un sorriso.
“Stai cercando di corrompermi?” domando. Lui si stringe nelle spalle, con disinvoltura.
“Dovresti provare a collaborare a uno dei nostri scherzi, sono sicuro che finirebbe per piacerti”.
Ricominciamo con le proposte azzardate. L’avesse detto in un’occasione diversa, non credo che l’avrei presa troppo sul ridere. Ma in questo momento mi considero in una situazione eccezionale.
“E che cosa ci guadagno?” gli chiedo, curiosa di sentire fin dove si spinge la sua sfacciataggine.
“Beh, di certo ti faresti un sacco di risate, cosa che ti fa evidentemente bene perché in questo momento sei molto più rilassata del solito”.
Abbasso lo sguardo e sorrido, fissando una crepa nel pavimento. Forse non è poi così totalmente incapace di aprire bocca a proposito come sembra.
“Vuoi scusarti con me, vero?” mi chiede dopo un po’, fissandomi attentamente. Io mi sento improvvisamente avvampare. La mia doveva essere una cosa in grande stile, una sottigliezza, e invece lui ha già capito tutto?! Ce l’ho scritto in faccia, per caso? Merlino, ora che faccio …
“Tieni” gli dico, allungandogli con un gesto brusco il sacchetto di Cioccorane che mi ero portata dietro come offerta di pace, sapendo che lui ne va matto. No, non voleva essere un gesto di gentilezza. Voleva solo essere un modo per siglare una tregua tra me e lui. Insomma, erano lì, a portata di mano, e io ho solo pensato che potessero essermi utili per raggiungere il mio scopo … niente di speciale.
“Okay, accetterò la tua offerta di pace”, dice infine lui, staccando un morso dalla Cioccorana che ha pescato dal sacchetto. Sorrido minacciosamente, squadrandolo, nel tentativo di trasmettergli l’implicito messaggio di chiudere la bocca una volta per tutte. Bravo, Potter, mangia e taci. Non è difficile.
Ad ogni modo, pare che abbia accettato. Quindi, posso considerarmi perdonata. Fantastico.
“Sai, queste sono situazioni piuttosto critiche. Dovremmo evitare di complicarci la vita. La prossima volta potrei procurarmi del Veritaserum … così non dovresti affidarti a una Cioccorana”.
“Hai bisogno di una pubblica confessione per sentirti meglio?” domando, con aria scettica. Lui sembra divertirsi perversamente mentre indugia osservandosi le unghie, con quell’aria da impunito.
“Nah. Mi sto solo divertendo un po’”.
Ah, è così? Va bene, Potter, te la sei cercata.
“Ahia! Ma che ho fatto?!” osa lamentarsi, dopo che gli ho assestato un bel pugno sul gomito per punirlo della sua strafottenza.
“Parli soltanto per dare aria alla bocca”, gli rispondo, irritata per la sua evidente mancanza di sagacia.
“Questa è soltanto una delle tue teorie riguardo a me, e io non la condivido affatto” ribatte; inspiegabilmente mi sento punta sul vivo da quella frase, come se in realtà non fosse altro che una velata accusa nei miei confronti. Non mi piace che qualcuno mi critichi, e non mi piace che qualcuno si senta in diritto di farmi delle osservazioni di questo genere, ma è inutile, stavolta sono in torto marcio; Potter sembra avere l’aria di non aver parlato in modo pienamente consapevole delle implicazioni di tale frase e a me, alla fine, non rimane altro che togliermi questo peso una volta per tutte.
“E va bene, scusami, ho esagerato”, ammetto, senza una sola traccia di ironia nella voce. Lui mi guarda in serio silenzio per diversi secondi, durante i quali io mi sento tormentare dalla meschina possibilità che decida di non perdonarmi affatto. Ma poi sospira, più serenamente, senza smettere di fissarmi.
“Bene. Riterrò le scuse universalmente valide, anche se per il livido che mi rimarrà sul braccio meriterei probabilmente qualcosa di più …”
La mia espressione si fa di colpo minacciosa, mentre lo squadro con gli occhi ridotti a fessure.
“Intendevo un’altra Cioccorana, non montarti la testa”, mi dice, ironico, e io riprendo a respirare, coprendomi gli occhi con la mano. Sarà anche migliorato, sotto certi aspetti, ma immagino che pretendere di estirpargli anche questa sua tendenza a un irritante senso dell’umorismo sia davvero troppo. E alla fine, paradossalmente, è riuscito perfino ad evitare di essere prevedibile. Non so come ci riesca, considerato che mi ero convinta che non potesse più stupirmi. Mi sono sempre fermamente imposta di non dimostrare nemmeno un briciolo di indulgenza nei suoi confronti, ma adesso proprio non ci riesco. È talmente sfacciato da risultare divertente.
“Come vuoi”, rispondo, e gli allungo di nuovo il sacchetto delle Cioccorane, stavolta in modo più rilassato. Ne pesco una anch’io e rimaniamo lì in silenzio a masticare, in quell’angolo isolato in mezzo ad una festa esplosiva, e per un attimo non mi preoccupo nell’osservare che un gruppo di ragazzine del quarto anno è salito a ballare in piedi sui divani.
Sì, lo so, è una mia responsabilità, faccende di mia competenza, e non posso lasciare tutto il lavoro a Remus, ma ora, per un momento soltanto, mi sento in pace con il mondo. Come non mi sentivo da anni, in effetti. La gente potrà anche avere un’opinione diversa, ma non credo che, in fondo, mi sia mai davvero piaciuto litigare; tuttavia, dato che ora la questione con il mio peggior nemico può considerarsi risolta, forse le necessità di impegnarmi in pesanti sfuriate diminuiranno notevolmente.
A un certo punto, a risvegliarmi dal mio turno di pausa, intervengono Margaret e Delia che, sbracciandosi per attirare la mia attenzione, mi urlano qualcosa di diverso contemporaneamente, con il risultato che io non capisco una sola parola.
Mi volto verso Potter per fargli capire che devo andare, e lui fa un sottile cenno d’assenso con un mezzo sorriso, per dirmi che ha compreso la situazione.
Forse un pochino di sagacia Godric gliel’ha donata, dopotutto.
“Ricordati che in ogni caso la tua vittoria a Quidditch non compensa le tue malefatte”, lo ammonisco, voltandomi mentre sto per andarmene. Lui mi risponde con un sorriso divertito.
“Troverò il modo di farmi perdonare”, afferma, sicuro di sé, e io corro a raggiungere le mie amiche, sentendomi finalmente a posto. Non mi toccherà più vedere in giro la sua espressione depressa per causa mia, e questo mi conforta alquanto.
“Che succede?” domando, avvicinandomi a Delia e Margaret nel tentativo di recuperare un’aria professionale.
“Oh, beh, ecco, scusaci se ti abbiamo disturbato …”
Mi sento improvvisamente assalire dall’imbarazzo e sto per smentire qualsiasi sospetto possa essere nato nelle loro teste bacate, ma Margaret non mi lascia nemmeno il tempo di aprire bocca.
“… però abbiamo pensato che fosse proprio il caso di avvertirti, perché …”
Il suo monologo stranamente si interrompe – non è da lei. Corrugo la fronte con aria interrogativa, spingendola a continuare con un cenno.
“Sì, insomma, pare che dei ragazzi del secondo anno si stiano preparando a una gara di lancio di torte in faccia a chi avrà la fortuna di passare sotto la finestra del loro dormitorio in questo preciso momento”.
Per poco gli occhi non mi schizzano fuori dalle orbite, mentre sento diminuire notevolmente l’afflusso di sangue al cervello.
“Grazie per l’avvertimento, adesso li sistemo io”.
“Posso venire con te? Sono curiosa di assistere ad una delle tue sfuriate in diretta …” mi chiede Margaret.
“Non arrabbiarti troppo, Lily, sono ubriachi!” mi urla dietro Delia, mentre mi allontano.
E per la prima volta da quando l’incarico di Prefetto mi è stato assegnato, sento che forse potrò concedermi di essere un pochino più indulgente del solito.
Questi disperati tredicenni dovranno ringraziare Potter, immagino.
 



 
Nobody's perfect that's what I say,
No one has hurt me so much you say,
I'm sorry.
I was afraid to tell you some things,
But some things all find a way to get told.

(Snow Patrol, On/Off)

   
 
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