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Autore: ElderClaud    18/03/2011    1 recensioni
Uryuu Ishida odiava decisamente l'eccesso e ciò che aveva di fronte ne era la prova, la morte del buon gusto e dello stile.
Ma a bloccarlo dall'assumere una espressione critica, ci pensò la donna e il suo sguardo che dire truce era poco.
“Ma come ti permetti, eh quattrocchi? Chi ti ha chiesto niente e poi come ca**o ti permetti? Signora a me? Mi credi così vecchia?!”
“Sicuramente, meno fondotinta non guasterebbe alla sua pelle...”
le labbra dall'intenso rossetto viola si arricciarono sdegnate per quella sua sfacciataggine e presunzione, portandola a camminare con più velocità verso il bagno ora decisamente poco distante da loro.

[Mayuri-Uryuu][Uryuu/Cirucci][altri personaggi presenti: Pesche Gauitche]
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Arrancar, Ishida Uryuu
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Raining Stones'
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È la prima volta che nella mia serie Raining Stones tratto del personaggio di Uryuu Ishida in modo approfondito. Beh era anche ora che ne parlassi!
Comunque, tornando alla storia, qui si parla di epilessia. Mi sono documentata sulla malattia ovviamente, anche se comunque mi sono presa delle piccole libertà letterarie. Niente di esagerato o di denigrante sia chiaro – è l'ultima cosa che voglio. Un'altra libertà è stata di creare una secondogenita per Mayuri (già apparsa in “Vendetta” se non l'avete letta) oltre alla già canonica Nemu. Non è una scelta buttata in aria ma è il tutto ai fini di trama.
Ricordate che le più insulse stupidaggini che mostro poi avranno, in futuro, pesanti ripercussioni in tutti gli avvenimenti della serie.
Per il resto, la storia si riallaccia a “Malizia” oltre che alla succitata “Vendetta”, anche se comunque potete leggerla senza aver letto prima le altre.
Detto questo vi auguro buona lettura, e ditemi cosa ne pensate grazie ^^
Ps: il titolo è liberamente ispirato alla canzone dei Led Zepelin “Stairway To Heaven” che ho trovato perfetta per questa storia.



Al mattino aveva assistito ad uno spettacolo a dir poco incredibile sulla veranda di casa.

Non che assistere ad un colossale pestaggio tra Ichigo Kurosaki e quel rozzo esemplare umano di Grimmjow Jaggerjack – con l'aggiunta del signor Isshin Kurosaki dalle sorprendenti abilità di ballerino in mezzo alla lotta – fosse uno spettacolo apprezzabile agli occhi di Uryuu Ishida. Ma vi era un sottile senso di appagamento nel vedere quelle scimmie antropomorfe darsela di santa ragione, che per uno strano motivo decise di non bloccarli.
Per quel mattino, se ne era rimasto seduto su di una sedia a gambe incrociate a consumare i propri cereali con assoluta tranquillità.
Anzi, chiunque fosse passato di li, oltre ad osservare tre imbecilli che se le davano come delle ragazzine in delirio, avrebbe visto per giunta un ragazzo che li scrutava con fare annoiato. Come se fosse stato davanti alla televisione a guardare un programma noioso, anziché un pestaggio preoccupante e intervenire per calmare gli animi.
Uryuu lo sapeva, che quando Jaggerjack , un tizio decisamente poco raccomandabile che viveva nel condominio a due passi dalla loro abitazione, si metteva a litigare con Ichigo era meglio farsi gli affari propri.
Neppure quando i tre ebbero finito con il loro spettacolino disgustoso, dette loro un aiuto concreto. Semplicemente, si limitò ad alzarsi dalla sedia in silenzio una volta finita la colazione, per tornarsene in casa.
Aveva da fare all'università quel giorno, pertanto non aveva tempo e neppure la voglia di indignarsi anche giusto dieci minuti.
Già ci pensavano Renji e Yumichika – entrambi affacciati alla finestra della cucina – a pensare ai tre caduti filmandoli con il cellulare e congratulandosi con loro quando eseguivano mosse di karate degne di essere chiamate tali, per cui lui non aveva bisogno di star li a prestare loro soccorso medico.
Prima avrebbe preso la sua laurea in chirurgia e poi avrebbe operato per salvare loro la pellaccia. Ma a gratis gli andava stretto fare queste cose.
Per tal motivo, una volta che si fu vestito di semplici abiti confezionati da lui stesso, se ne andò dalla villetta a schiera che occupava assieme ad altri coinquilini – quasi tutti discutibili e cafoni – tutti impegnati ad accaparrarsi una laurea il prima possibile, zaino in spalla e deciso ad ignorare i tre uomini ormai agonizzanti a terra e a pochi passi dall'entrata di casa.
Dentro alla vecchia sacca che si portava dietro dalle scuole medie, i libri da riconsegnare alla biblioteca dell'università, il blocco per gli appunti e giusto una salutare mela per non rimanere affamato all'ora di pranzo.
Pochi spiccioli nelle tasche giusto per l'autobus di ritorno e quei pochi soldi che guadagnava con il suo lavoretto part-time nella piccola biblioteca di quartiere, se li teneva ben stretti per pagare una parte dell'affitto e spese varie.
Alla povertà il giovane Ishida ci aveva fatto il callo. Quasi facesse parte della sua formazione cattolica impartitagli da suo nonno – una delle poche persone al mondo che riteneva degne di essere considerate tali – non era mai andato a chiedere spiccioli al padre, ne quest'ultimo gliene aveva mai dati.
No, tra lui e Ryuken Ishida – questo era il nome del suo detestabile padre – non scorreva affatto buon sangue. E del perchè e del come fossero giunti a tanto era una lunga storia che gli dava fastidio anche solo sfiorare con il pensiero.
Per questo, si incamminò agile per lo stradello lastricato che dava fino alla strada, soffermandosi solo un minuto davanti ad un Ichigo rantolante e sporco di sangue. Il setto nasale rotto la diceva lunga sul furioso pestaggio che lo aveva coinvolto nell'ennesima lite con Grimmjow.
“Tu e la discrezione proprio non sapete andare a braccetto, vero?”
si sistemò sul naso gli occhiali nel dire quelle parole, dando così ad Ichigo una scarsa visuale dei suoi occhi scuri a causa del riflesso del sole.
Fattfi gli affavi tuoi... caffo...” borbottò in direzione di un Ishida che lo superò senza aggiungere altro, prima di svenire esausto assieme agli altri due lottatori.

[…]

forse Uryuu era troppo duro con se stesso. Oppure semplicemente troppo auto critico.
C'è chi lo avrebbe definito snob, eppure lui non si definiva lontanamente così. Era sempre pronto a dare il meglio di se – fin quasi al sacrificio estremo se ciò sarebbe avvalso giocarsi una promettente carriera pur di ottenere qualcosa – e ad aiutare il prossimo facendo comunque la morale.
Si, non si vergognava di essere “moralista” anche perchè, senza una morale, non sarebbe stato migliore di suo padre.
Camminando diligentemente sul marciapiede sgombro di pedoni e con un certo passo sostenuto, Uryuu Ishida si faceva strada verso l'università per un lungo percorso di cui non sentiva minimamente fatica.
Accidentalmente dette un paio di calci a dei sassolini che gli intralciavano il passaggio, tuttavia dovette constatare che lo fece con una certa stizza istintiva dovuta alla mente che per un attimo – come al solito – si era rifugiata nel passato a rimembrare ricordi fastidiosi.
Avrebbe superato suo padre e lo avrebbe fatto a modo suo. Il nonno non aveva sbagliato nulla nei suoi insegnamenti, a discapito di quello che diceva Ryuken.
A ridestarlo da quei pensieri e in modo definitivo fu, nel mentre che percorreva il lungo cavalcavia che lo avrebbe poi portato all'università, un suv nero parcheggiato a ridosso del marciapiede e una figura avvolta in un impermeabile con panama bianco ben calcato in testa vicino al baratro.
Istintivamente, per quanto ancora fosse distante, ad Ishida parve – o ebbe il sentore – che in qualche modo quella figura sinistra e variopinta la conoscesse bene.
Di gente conciata così ce ne era al mondo, ma lui era sicuro che quell'individuo che in braccio teneva qualcosa, forse un bambolotto data la distanza e la sua miopia, lo aveva già visto da altre parti.
Per istinto le gambe gli dicevano che magari era meglio cambiare aria, anche solo attraversare la strada con il suo via vai di macchine per raggiungere l'altro marciapiede e starci così lontano.
Invece no, sicuro che il suo istinto gli stesse giocando un brutto tiro – assurdo trarre conclusioni così affrettate da una silhouette in lontananza – continuò a camminare in linea retta per il cavalcavia fino a raggiungere a lenti passi l'omino che gli sbarrava la strada.
E si maledì Uryuu Ishida, per non aver dato retta a quel suo dubbio atroce. Trovandosi ad avvertire un amaro sobbalzo al cuore quando finalmente scorse al meglio la figura che ammirava il panorama sottostante fatto di altre macchine che correvano veloci, appoggiato con i gomiti alla ringhiera del parapetto.
Era ormai troppo tardi per cambiare strada e far finta di non averlo visto, perchè ora che era a meno di un paio di metri da lui, in quell'impermeabile consunto e sotto quel panama candido come la neve, si celava un volto che a Uryuu destava non poco odio.
Mayuri Kurotsuchi...”
Quel nome gli uscì sottovoce e quasi sopraffatto dal veleno più puro – che a stento riuscì a mantenere una postura degna senza saltargli addosso dalla rabbia – udito comunque dall'uomo che guardava il traffico sottostante e perso nei suoi pensieri.
“Oh...? Ma guarda un po'! Un Ishida... vivo!”
quando due pigri occhi d'agata si voltarono lentamente in quelli bui come la notte di Uryuu, quest'ultimo non poté che provare rancore per il modo quasi beffardo con cui quel presunto uomo di scienza – a detta dello studente universitario un autentico macellaio – aveva pronunciato l'ultima parola.
Quasi dettata da un sottile piacere nel farla uscire dai denti ingialliti per le troppe sigarette.
Stando più attento poi, notò che il dottore non era solo. In braccio aveva la più piccola delle sue figlie – Uryuu conosceva di sfuggita Nemu poiché frequentava con rarità la sua stessa facoltà di medicina, più dedita a star dietro al padre che ai libri, e sapeva che aveva una sorellina di quattro anni – che tranquillamente beveva un succo di frutta persa a guardare il traffico sottostante e ignara della presenza del giovane, più una figura all'interno del suv che guardava con noia la scena.
La figura sedeva nei sedili posteriori, intenta a frugare nella propria borsa. A detta dello stesso ragazzo quella donna aveva un maglione decisamente orrendo addosso – di una lana rossa sgargiante – e con tutta probabilità doveva essere la governante di casa Kurotsuchi.
Si, il bastardo all'ordine casalingo ci teneva e, dato che una figlia lo “aiutava” con il lavoro mentre l'altra andava ancora all'asilo, a quanto pare dati i pettegolezzi aveva assunto una governante piuttosto polemica e dal nome impronunciabile.
Probabilmente data la sua pelle ambrata, era una colombiana...
“Non sono affatto sorpreso del suo rammarico” insinuò un Ishida nell'atto di sistemarsi gli occhiali.
Se non perdeva le staffe era perchè li in mezzo c'erano due persone che non c'entravano nulla.
L'altro di tutta risposta sghignazzò soddisfatto, sistemandosi al meglio una bambina identica in tutto a Nemu nelle braccia, ancora intenta ad ignorare il nuovo arrivato. Buon per lei.
“Oh via, porti ancora rancore per il tuo amato nonnetto? Ehe, mi spiace per quello che è successo sai?”
ci fu un'onda di puro odio che investì in pieno un nervoso Uryuu quando, quell'essere che lui definiva totalmente blasfemo, ebbe l'arroganza di parlare del suo povero nonno.
Se colui che lo aveva cresciuto era morto in modo terribile, era solo per colpa di quell'individuo che si definiva uno scienziato.
Mayuri Kurotsuchi non era uno scienziato, era un mostro con aspetto di essere umano.
Perchè colui che avrebbe dovuto curare suo nonno da una rara forma di cancro alle ossa, si era dimostrato un vivisezionatore più intento a studiare la malattia che curare il paziente.
Non un miglioramento in quei sei mesi di agonia pura, ben trattenuta comunque da un solido orgoglio. Suo nonno era orgoglioso. Una delle poche cose che ormai ricordava di lui – a causa dei tanti anni passati – era che anche di fronte alla morte, pallido come un cencio e con addosso piaghe simili a segni di una peste bubbonica, aveva mantenuto una dignità tale che lui non considerava neanche umana.
Quasi a non volerla dare vinta a quel folle dottore, il cui unico intento era stato di aprirlo e somministrargli sostanze a intervalli regolati dai suoi ritmi di scienziato. Se solo Uryuu non avesse avuto solo otto anni all'epoca, quasi sicuramente sarebbe riuscito a fare qualcosa di più per proteggere suo nonno.
A quel tempo Kurotsuchi oltre che lavorare per la casa farmaceutica Soul Society, lavorava anche per l'ospedale cittadino.
E proprio in quel periodo – un intervallo di qualche mese dalla morte dell'anziano parente – lo scienziato aveva volontariamente lasciato l'ospedale per dedicarsi unicamente a progetti “ben più importanti”. Le malelingue parlavano che di mezzo c'era un allontanamento voluto dai vertici massimi della struttura, ma restavano comunque voci flebili e poco considerate dato il timore di “sporcare” l'immagine di un pezzo grosso di una ditta farmaceutica importante.
Uryuu non sospettava che su queste voci c'era un fondo di verità e che portava il nome di Ryuken Ishida.
Ma in quel momento decisamente non ci stava pensando, pronto com'era a deglutire rabbia e rispondere al dottore per le rime.
“Già... Posso immaginare che ad un segaossa* come lei possa non essere andato a genio di non aver potuto frugare ancora un po'...”
l'impertinenza e la sfacciataggine dell'Ishida superstite stavolta – seppur dettate con la solita flemma arrogante – toccarono in modo negativo i sensi di Mayuri. Che tosto, abbassò il ghigno vittorioso in uno decisamente seccato per quella presenza mal voluta e improvvisa.
Decidendosi quindi – per evitare che la governante polemica iniziasse a berciargli addosso – di cambiare aria annoiato da quel ragazzino saccente.
“Ehi tu – abbassò lo sguardo verso la bimbetta che finalmente alzò lo sguardo per dare retta al padre – hai finito quel succo? Non voglio più fermarmi per cose simili”
“Si, babbo” squillò la piccola indifferente al tono burbero del genitore.
Staccando la cannuccia dalle labbra e allontanando dal volto un succo alla pesca ormai del tutto finito.
La risposta infine, fece sorridere con un ghigno assurdamente malefico Mayuri, o almeno così lo trovò Ishida che ben trovava disgustoso che potesse tenere in braccio una creatura, ordinando poi alla piccola cosa fare in seguito.
“Brava la mia bambina... Adesso sai che cosa si fa con la spazzatura?” un lieve sguardo d'agata si indirizzò nel giovane laureando, come famelico in cerca di vendetta, quasi ignorando la risposta della bambina e al suo gesto successivo.
“Si butta!” esclamò lei, buttando oltre la ringhiera metallica, oltre un baratro pieno di automobili e biciclette, un succo vuoto come se fosse stata davanti al cestino dell'immondizia.
Letteralmente gli occhi di Ishida si spalancarono per quel gesto vandalico ma tuttavia dettato da una certa innocenza – o pessima educazione impartita da un pessimo soggetto – e la bocca letteralmente si dischiuse sconvolta quando l'oggetto in questione cadde a terra.
Colpendo in pieno viso un ciclista che stava passando di sotto.
Nonostante il traffico incessante e piuttosto rumoroso si levò distintamente un grido di sorpresa misto a spavento per il colpo ricevuto dal povero passante, che in breve tempo perse la concentrazione e quindi l'equilibrio sulla bicicletta. Trovandosi a capitolare sull'asfalto a gambe all'aria.
E come una reazione a catena sviluppatasi in poche frazioni di secondo, si scatenò il caos.
La macchina che era dietro il ciclista – una macchina giapponese di un rosso sgargiante – dovette inchiodare all'improvviso per evitare l'impatto con lo sventurato ciclista facendo stridere le gomme. Gesto che portò la macchina dietro a quella rossa a inchiodare a sua volta senza però riuscirci in pieno, sfondando così il bagagliaio e spingendola in avanti per via della forza d'urto.
Il ciclista letteralmente gridò spaventato e con una velocità fulminea riuscì a gattonare fino al ciglio della strada per restare più al sicuro, al contrario della bicicletta distrutta dalle vetture, mentre dietro di lui si estendeva un tamponamento a catena in un miscuglio di frenate assordanti e bestemmie gridate a voce alta.
Uno spettacolo assurdo e grottesco a cui Uryuu assistette nella più assoluta impotenza silenziosa.
Uno spettacolo totalmente grottesco tanto quanto l'ideatore di tale piano. Ossia un Mayuri Kurotsuchi che sghignazzando soddisfatto della scena – e ignorando le occhiate allarmate di una governante che pareva chiedere cosa stesse succedendo – si diresse al proprio suv nero salutando come ultima cosa, non senza una divertita nota maligna, l'Ishida superstite ancora sconvolto dall'incidente provocato da un semplice succo di frutta.
“Ci vediamo su Facebook eh!”
pronunciate infine tali irriverenti parole, lo spaventoso spaventapasseri non aggiunse altro, decidendo saggiamente di ripartire sgommando lasciandosi dietro un ragazzo intento ora a mordersi il labbro inferiore.
Perchè effettivamente, forse era il caso che pure Uryuu se la desse a gambe da quel posto, prima che di sotto uno dei tamponati lo puntasse come artefice di tutto quel disastro.
E francamente, di finire in mezzo ai disgustosi disastri combinati da altri lui non ne aveva proprio voglia. Di conseguenza, si mise in cammino quasi correndo, cercando di trattenere una adrenalina e un certo imbarazzo, maledicendosi di non aver risparmiato abbastanza per una bicicletta.

[…]

“Uhm... Coso? Quelle non le mangi?!”
per l'ora di pranzo Uryuu Ishida aveva misteriosamente optato per mangiare fuori dall'università.
Il motivo però più spiegabile, era che a trascinarlo in quel centro commerciale – e più precisamente in quel fast food posto in modo strategico in una grande “piazzetta” – era stato Pesche Gauitche, un suo “amico” (ma non certo per scelta sua) che da quel che ne sapeva studiava per diventare un fotografo di successo.
Come potesse quel giovanotto dai corti capelli biondi e da un viso magro e ovale in cui erano incastonati due occhi d'agata apparentemente persi tra le nuvole, avere l'ambizione di andare in giro a fotografare modelle famose e riuscire nell'impresa, per il futuro chirurgo risultava un mistero.
Ma lo conosceva da un po' seppur non benissimo. Pesche abitava nel condominio poco distante dalla sua villetta – lo stesso dove abitava Grimmjow – e più di una volta ormai da quasi quattro anni si incontravano. Sapeva, per sua stessa voce, che abitava con l'anziana nonna e poco tempo prima con il cugino Dondochakka Birstanne. Ora da qualche mese in un villaggio turistico in uno stato dell'Africa – forse il Kenya, ma Ishida non se lo ricordava bene – a fare l'animatore ai turisti.
“Non mi chiamo coso... Ma Uryuu! – sbuffò seccato per quella sua continua sbadataggine sui nomi, accavallando le gambe e incrociando le braccia al petto – e non dovresti mangiare così tante patatine fritte, fanno male”
“Uhm, scusa ma l'ho dimenticato. Sai che con i nomi maschili faccio fatica a ricordarmeli... eh!” borbottò di rimando un Pesche più impegnato a prendere il cartoccio de patatine del ragazzo portandoselo così vicino.
Uryuu lo lasciò fare, perdendosi nell'ascoltare una canzoncina fuoriuscire dagli altoparlanti del grande atrio affollato di gente e dal chiacchiericcio di ragazzi della loro medesima età intenti a mangiare ai tavoli vicini.
Seduti nei loro sgabelli cromati parevano ignari di dover affrontare ogni giorno un futuro incerto come invece faceva il giovane Ishida da quando suo nonno – unica persona ad averlo cresciuto e unica a cui avesse voluto davvero bene – era venuto a mancare.
Se ne rimanevano li con i loro abiti firmati, le borse all'ultima moda e sempre i portafogli gonfi per i soldi di papà che puntualmente mandavano a cagare ma che, però, accettavano le paghette e le vacanze al mare.
Lui non aveva mai visto nulla di tutto ciò, figurarsi se suo padre gli dava qualcosa, ritrovandosi per questo a crescere con un occhio critico verso tutti e tutto. Trovando ben poche persone che si salvavano dalle sue polemiche, come ad esempio la sua ex compagna di superiori Orihime Inoue ma lei era decisamente un caso a parte.
Cercando infine di non pensare a tutti quei pensieri molesti, scaturiti dalla figura dannata di un Mayuri Kurotsuchi, si perse nel bere la propria cedrata con la cannuccia di plastica rossa, osservando in seguito – e avrebbe pure aggiunto quasi divertito – un Pesche abbuffarsi anche delle sue patatine.
Giovanotto che tuttavia smise ben presto di ingozzarsi come un pulcino di gazza ladra, per scrutare oltre le spalle del giovane Uryuu Ishida sgranando gli occhi e bloccare – come se preso da una brutta notizia e ciò quasi portò allarme nell'universitario – una frenetica masticazione fermandosi con parecchie patatine che gli spuntavano dalle labbra.
Uhmpf! Covo! Quella è Civucci!!”
“Pesche! Non mi chiamo coso! E poi non mangiare con la bocca piena – si sistemò gli occhiali sul naso per stemperare una evidente seccatura prima di continuare – è da maleducati se non lo sai”
il biondo tuttavia, non dette quasi retta all'ammonimento di Ishida per alzarsi dal tavolo in modo quasi repentino – non prima però di aver inghiottito le patatine con un bel sorso di coca cola – dandosi giusto una sistemata ai jeans sbrindellati in più punti, resi così non certo da una casa di moda, prima di incamminarsi velocemente verso una figura in apparenza intenta a scrutare una vetrina dall'altra parte della piazzetta.
Uryuu sentitosi quasi in causa, più che altro per evitare che quel suo “amico” si beccasse un altro pugno in faccia da una donna e che mettesse in mezzo pure lui nelle molestie con annesso altro pugno e occhiali rotti, decise saggiamente di scattare pure lui in piedi per tentare quantomeno di raggiungere un Pesche che quasi si metteva a correre pur di raggiungere una persona ancora sfocata alla sua miope vista.
Tentò pure di richiamarlo – facendosi notare a malincuore da qualche passante – ma quello sordo ai suoi richiami raggiunse in poche falcate quella che era a tutti gli effetti una donna in abiti piuttosto eccentrici. Per non dire ridicoli e poco pratici.
Di Gothic Lolita Uryuu in giro ne aveva viste, ma quella che si parò di fronte a lui era un qualcosa di eccessivo fino alla nausea.
Un abito elegante ma fin troppo merlettato e pieno di dettagli. Dai troppi pizzi, perline nere e nastri viola che stringevano il busto della proprietaria e decoravano l'ampia gonna di pizzo con fiocchettini qua e là.
Poi c'erano le calze di pizzo nero con gli autoreggenti in bella vista – mostrare le mutande no? – e come ultimo tacchi alti e unghie delle mani laccate di nero pronte a graffiare, quasi sicuramente, le facce di quei due idioti intenti ad importunarla.
Uryuu Ishida odiava decisamente l'eccesso e ciò che aveva di fronte ne era la prova, la morte del buon gusto e dello stile.
Ma a bloccarlo dall'assumere una espressione critica, ci pensò la donna e il suo sguardo che dire truce era poco.
“Cirucci! Cirucci Tunderwitch! E-ehi... ti ricordi di me? Vero? E-ehm...?!”
l'iniziale mezzo entusiasmo di Pesche morì quando la donna che stava osservando un capo d'abbigliamento il cui prezzo se lo poteva permettere solo uno sceicco, lo scrutò con una punta di critica e una smorfia offesa che assunsero le sue labbra color porpora per essere stata interrotta nel suo shopping quotidiano.
“Scusa ragazzino – scrutò dall'alto in basso Pesche schioccando la lingua dietro gli incisivi – ma non ho spiccioli con me”
Per Ishida era interessante notare come l'amico tenesse sempre bene a mente i nomi femminili ma non quelli maschili. Che avesse una memoria di ferro verso quella donna che lo stava giudicando come un barbone, portandolo a spronarlo maggiormente nel darle spiegazioni.
“Eh...?! Ah n-no ehm, io sono Pesche Gauitche! C'ero anche io la settimana scorsa per quel servizio fotografico che...”
“Ragazzino, io faccio servizi fotografici ogni giorno”
“Ah lo so... Lo so bene! Infatti mi chiedevo se serviva ancora il mio aiuto per queste cose...”
ecco ben spiegato il motivo della sua folle corsa verso quella donna, ossia l'elemosinare un lavoro contando sulla presunta “amicizia” con una eccentrica modella dalla memoria corta. L'esatto contrario di Uryuu che ben si guardava di elemosinare un qualsiasi lavoro.
Tuttavia le parole di Pesche portarono Cirucci a rimembrare l'episodio citato dal ragazzo, assumendo una espressione sorpresa quando i ricordi le riaffiorarono nella mente, per poi mutare come una stagione improvvisa e farsi perfida sul volto pesantemente truccato.
“Oohh... ora ricordo! Tu devi essere quella nullità che ha fatto più danni che foto ben fatte per tutto il periodo del servizio! Beh, mi sorprende che non ti abbiano mandato il conto dei danni a casa... E ora per favore, levati dal cazzo!”
dette testuali parole la donna girò i tacchi e iniziò ad allontanarsi da quei due uomini che decisamente trovava insulsi e noiosi. Ben lontani dai fratelli Grantz e dai rapporti tesi che la legavano a quei due a doppio taglio. Ma Ishida si sentì quasi preso in causa per quell'atteggiamento tanto arrogante quanto maleducato.
Iniziando pure lui a seguirla e seguito quasi di riflesso da un fotografo fallito un po' confuso per lo strano comportamento dell'amico.
“Con tutte le dovute maniere, credo che lei debba delle scuse e credo anche, molto fortemente, che adoperiate un linguaggio più appropriato ad una signora piuttosto che uno da scaricatore di porto”
le parole pacate di Uryuu Ishida portarono una Cirucci – ora intenta a svoltare l'angolo decisamente seccata in un corridoio di servizio che portava a dei bagni pubblici – ad osservarlo truce per essere stata interdetta in ciò che lei riteneva sacrosanto.
“Ma come ti permetti, eh quattrocchi? Chi ti ha chiesto niente e poi come cazzo ti permetti? Signora a me? Mi credi così vecchia?!”
“Sicuramente, meno fondotinta non guasterebbe alla sua pelle...”
le labbra dall'intenso rossetto viola si arricciarono sdegnate per quella sua sfacciataggine e presunzione, portandola a camminare con più velocità verso il bagno ora decisamente poco distante da loro.
Però...
Però Uryuu si accorse con una punta di perplessità che nonostante tutta quella determinazione qualcosa non quadrava nel suo comportamento.
C'era qualcosa di decisamente strano e già all'inizio – o quasi – della loro breve chiacchierata aveva notato lo strano tic delle sue dita laccate di smalto nero. Un fattore magari dovuto al nervoso di avere a che fare con due individui assolutamente patetici per lei... Ma allora perchè questo improvviso bisogno di andare in bagno e quel frugare con rabbia trattenuta dentro la borsetta?
“Uhu? E adesso che volete? Sparite bambocci! O volete vedere mentre mi cambio l'assorbente?!”
Le parole le uscirono via fluide come il veleno di un serpente che morde a tradimento il proprio incantatore, come a volerli disilludere di chissà quali false speranze soprattutto ad un Pesche affamato di lavoro – e bravo nel fuggire dai guai che combinava non lasciando nessun indirizzo dove trovarlo – che era giunto sino li con la speranza che Cirucci si ricordasse in positivo dei suoi servigi. Quantomeno del caffè che aveva soffiato al direttore per darlo a lei.
Poteva anche darsi che avesse davvero bisogno di cambiarsi assorbente in quel preciso momento, tuttavia per Uryuu – che aveva studiato certe malattie e i loro sintomi – aveva il brutto presentimento che qualcosa non andava.
E tale presentimento era assai corretto purtroppo, poiché ciò che successe sotto i suoi occhi si svolse tutto in poche frazioni di secondo.
Cirucci dette le spalle per l'ennesima volta a quei due disgraziati ficcanaso, ma non fece che un altro paio di passi bofonchiando bestemmie verso i due giovani studenti che subito si ritrovò pietrificata sul posto.
Ci fu un sussulto nell'aria – simile a quello che preannuncia un singhiozzo – prima che gli occhi della modella guizzassero rapidi da una parte all'altra del corridoio come in cerca di comprendere cosa le stesse succedendo, poco prima di crollare a terra in modo rovinoso come abbattuta da un colpo di cecchino nel più gelido dei silenzi.
Il primo a rimanerne sorpreso fu lo smemorato Pesche. Che ebbe quasi un sussulto confuso – lo stesso che ebbe per un momento il compagno di fianco a lui – nel vedere una giovane tanto in forma crollare sulle ginocchia come se nulla fosse.
Ohi! V-va tutto ben...”
“Vattene via imbecille! – gli urlò addosso una Cirucci che ora, seduta a terra e pallida come un cencio, lo guardava con una punta di panico mal celato – non c'è nulla da vedere! L-lasciami in pa... ghg!”
accadde tutto in poche frazioni di secondo – questo se lo era già ampiamente detto – ma per quanto Uryuu Ishida sapesse alla perfezione come si manifestasse un attacco epilettico grave, dovette rimanere quasi sconvolto e nel silenzio più assoluto per ciò che vide quel giorno. Perchè per quanto ne conoscesse i sintomi, non aveva mai visto la sua manifestazione dal vivo.
Si morse il labbro inferiore – mentre accanto a lui Gauitche si lasciò scappare un grido smorzato – arrivando persino a fermare per un paio di secondi la respirazione nel vedere quella donna maleducata di nome Cirucci, che sino a pochi minuti prima camminava con una agilità unica su quei trampoli di cattivo gusto, pietrificarsi e accasciarsi del tutto sul lucido pavimento di marmo preda di convulsioni sempre più forti.
Momenti decisamente preziosi che si maledì di aver perso nell'osservare un paziente – non più una persona ma un paziente – che aveva urgentemente bisogno del suo aiuto.
Maledizione”
strozzò un ringhio in gola prima di tuffarsi pure lui sul pavimento – seguito pure dal biondo quasi ad un riflesso condizionato – inginocchiandosi accanto alla modella e più precisamente vicino alla sua testa.
Le convulsioni erano forti e nervose – a scatti frenetici come un giocattolo a molla rotto – con gli occhi tendenti a ribaltarsi all'indietro per il troppo dolore a cui era sottoposto l'intero corpo.
“Pesche! Aiutami a girarla sulla schiena!”
non poteva permettere che subisse troppi danni fisici per quei colpi frenetici e incontrollabili, quindi aiutato da un amico ancora confuso, girò Cirucci a pancia in su tenendole la testa sollevata da terra con ambo le mani. L'ultima cosa che voleva era un trauma cranico con annesso peggioramento della situazione.
Non poteva però continuare così a lungo, quella donna doveva avere qualche farmaco che ne bloccava i sintomi sull'immediato e... La borsa!
Quasi sicuramente nella borsa doveva esserci qualcosa, sennò non spiegava il suo frugare di prima, costante e quasi disperato, alla ricerca con tutta probabilità del farmaco salvavita.
Deglutì per darsi coraggio, nel mentre che i sussulti della donna si stavano facendo più forti con il rischio di attirare qualche testa indesiderata che fraintendesse tutto.
“Pesche, prendile la testa tra le mani e tienile la lingua distesa. Si sta soffocando da sola...”
Doveva rovistare nella borsetta il prima possibile e sperare con tutto se stesso che ci fosse qualcosa di utile al suo interno. Sennò in alternativa c'era da chiamare una ambulanza con annesso sbeffeggiamento di suo padre.
“Eh?! Uh... Coso... Ma intendi che devo a-avere un contatto...?”
“Fallo e basta accidenti a te!!”
Quasi costrinse Gauitche – strattonandolo per un braccio sino a sé – a prendere la testa della donna in mano, spiegandogli brevemente come tenerle su la lingua con un paio di dita, prima di allungarsi verso la borsa nera ed eccentrica svuotandone con frettolosa attenzione tutto il contenuto sul pavimento.
“Ah... ok... Ho un contatto con la lingua di Cirucci... – da parte sua Pesche se la stava comunque cavando bene nel tenere in vita quella donna, seppur nessuno era lì ad elogiarlo – ehm... ma non è che mi morde, vero...?”
“Se ti morde resisti – borbottò Uryuu nell'atto di rovistare tra trucchi e borsellini vari alla ricerca di quel fottuto medicinale – è un rischio che bisogna correre”
fu poi proprio quando iniziava a perdere le speranze in mezzo a tutto quel caos femminile che il chirurgo trovò ciò che cercava, arrivando quasi ad urlare – seppur in modo pacato – un “trovato” nel prendere in mano un astuccio con su sopra stampati simboli medici e scritte che solo lui poteva comprendere. Aprendo l'oggetto in questione non rimase deluso dal suo contenuto.
All'interno dell'astuccio vi erano un laccio emostatico e tre siringhe già colme di liquido, non osservò con attenzione tutti i complicatissimi ingredienti sulle etichette ma ad una fugace occhiata erano quelli giusti, immediatamente pronte all'uso nei casi più urgenti.
Con una calma che solo un chirurgo come lui poteva avere, dannatamente invidiato da un ragazzino biondo quasi nel panico nel gestire una situazione che affatto conosceva, Uryuu Ishida prese laccio emostatico ed una delle siringhe, per correre velocemente al braccio più vicino della modella e lì a strapparle via il costoso pizzo nero che copriva buona parte dell'arto.
Tale gesto – che quasi sicuramente gli sarebbe costato sul portafoglio – rivelò anche una candida carne coperta, in alcuni punti da segni ormai vecchi in altri da più recenti, di segni di punture dovute ad una dose di farmaci piuttosto costante.
Solo una volta aveva visto un simile supplizio, e cioè nelle braccia di una Nemu Kurotsuchi che imprudentemente e senza farlo apposta aveva mostrato in pubblico le sue braccia, nell'atto di sistemarsi una giacca di lana inadatta alla stagione.
Quasi sicuramente le braccia martoriate di Nemu non erano dovute a farmaci salvavita, quanto alla spregiudicatezza di un padre che di certo non andava chiamato tale per lui. Ma paragone inappropriato a parte, Uryuu infilzò con l'ago la carne di Cirucci appena la vena fu ben visibile grazie al laccio legato appena sopra il gomito. Seppur con una certa fatica dato tale braccio che nonne voleva sapere di stare fermo, riuscì perfettamente nell'impresa.
La puntura inizialmente non venne minimamente percepita dalla donna ancora colpita da forti spasmi carichi di dolore. Fu solo qualche secondo dopo che si mostrò a rilassarsi nei movimenti e nella respirazione, portando sollievo ai due improvvisati soccorritori.
Finendo infine a tornare con una respirazione normale seppur esausta, ignorando ora la presenza dei due ragazzi inginocchiati accanto a lei.
“Coso... Direi che siamo stati grandi eh?!”
la voce di Pesche era ancora un po' stranita dall'evento seppur felice che non ci fosse scappato il morto. Non ancora almeno, dato che era sicuro che Cirucci li avrebbe massacrati a dovere.
Di risposta a quelle mezze parole entusiaste, Uryuu si limitò a sospirare brevemente e chiedere un nuovo favore al fotografo.
“Pesche, ti dispiacerebbe portarle un bicchiere d'acqua? Omettendo per cosa serve sia chiaro...”
“Ah si... Torno in dietro e.... Ah! Me li passi tu gli spiccioli per l'acqua?”
alle volte davvero non capiva se Gauitche lo prendesse in giro o memo, oppure semplicemente si limitava ad essere spontaneamente sincero. Ma anche senza quella piccola domanda personale, il giovane universitario non aveva voglia di polemizzare su una cosa simile.
Prese dalla tasca dei pantaloni un paio di spiccioli, e li consegnò un po' riluttante ad un giovanotto che ringraziò raggiante.

[…]

Il risveglio di Cirucci venne accolto dal buio più assoluto.
Appena aperte le palpebre coperte di un pesante ombretto viola, ciò che la modella vide fu una insistente cappa nera che a poco a poco decise di rischiarirsi – grazie ad uno spiraglio di luce di una porta semi aperta – per lasciar spazio alle ombre di scope e di flaconi dall'inconfondibile odore di detergenti per la casa. Per quanto una iniziale confusione albergasse nella sua testa dolorante, stava con calma focalizzando il luogo in cui si trovava.
Come diamine avesse fatto a finire da un corridoio a un magazzino per le scope era per lei un autentico mistero, almeno per il momento si intende, che la portò a tentare di alzarsi in piedi dalla postura seduta borbottando in modo sommesso.
“Uhh... ma che cazzo...?!”
Ma non fece che un misero tentativo di rialzarsi sulle gambe traballanti, poiché subito venne inchiodata con la schiena al muro da una mano sconosciuta.
“Resta ferma dove sei, devi riposare”
Oh?! Ma chi cazzo sei?!”
allarmata per quel contatto sconosciuto, Cirucci Tunderwitch spalancò gli occhi viola in quell'ombra ora non più così pesante – non dopo che tali occhi si erano abituati a quel buio – ritrovandosi a smorzare il respiro dalla sorpresa, e aggiungendoci pure dalla paura, quando intravide un paio di occhiali e un volto visti solo qualche minuto prima di finire in mezzo a polverose scope.
Ci impiegò qualche secondo per capire che a parlargli era stato quel dannato quattrocchi che le aveva dato della vecchia una decina di minuti fa, portandola per questo ad arricciare le labbra disgustata da quella sua presenza e scostandosi via – con gesto seccato – quella sua mano dalla spalla.
“Pezzente! Cosa mi hai fatto eh?! Lasciami immediatamente andare o chiamo la p-polizi-”
“Hai avuto una crisi, ecco cosa c'è. E se lo vuoi tanto sapere, ti ho fatto solo un favore a trascinarti in questo luogo appartato lontano dalla vista di tutti!”
alla modella decisamente non piaceva essere interrotta nel mentre che insultava un suo sottoposto. Ma quando sentì la parola “crisi”, allora non poté che capire con calma cosa quel rompiscatole stesse dicendo.
Stava parlando della sua persona e stava principalmente parlando di quel suo problema. Decisamente un elemento scomodo che tentava ad ogni modo di nascondere a chiunque, ritrovandosi per questo a provare un sottile odio verso quel ragazzo che alla fine le aveva salvato la vita oltre che la reputazione.
Si morse con frustrazione il labbro inferiore, portando lontano lo sguardo da quello del quattrocchi che la fissava severo e con insistenza, tentando di deglutire per mantenere autorità.
“Come ti chiami?”
la domanda portarono il giovane – e non voluto – salvatore a lasciarsi momentaneamente andare ad una espressione lievemente sorpresa, prima di ritornare severo e presentarsi a lei con annesso quadro della situazione.
“Mi chiamo Uryuu Ishida. Sto studiando... Beh, diciamo che per farla breve sto studiando per diventare medico chirurgo. Quindi direi che hai avuto fortuna che ci fossi io che comprendeva un minimo di quelle tue strane siringhe...”
… che stranamente nessuna modella dovrebbe avere visti i componenti non ancora rilasciati sul mercato, avrebbe volentieri aggiunto. Ma data l'espressione della donna, le lasciò intendere tutto aumentando così la sua frustrazione.
Poi, dopo tali e pacate parole tra i due si antepose un silenzio piuttosto lungo e di difficile comprensione. Quantomeno Uryuu non seppe dirsi se per la situazione in generale che ancora sconvolgeva la ragazza oppure perchè... Sinceramente non lo sapeva pure lui. Ma stava iniziando a maledire Pesche e il suo ritardo nel portare una bottiglia d'acqua.
Almeno in quella situazione si sarebbe aspettato un flebile “grazie” da parte di Cirucci. Ma ciò non avvenne nel mentre che i secondi passavano tesi e incalcolabili in quell'anonimo sgabuzzino lasciato imprudentemente aperto dal personale di servizio. Era stata una fortuna trovare quella porta aperta in quel corridoio comunque non del tutto nascosto da occhio umano.
Le aveva fatto ben due favori in una sola volta ma quella non lo calcolava di striscio.
Sapeva fin troppo bene che a fare il medico capitava di incontrare soggetti simili – che altro non facevano che aumentare poi l'arroganza e la superbia del medico stesso come nel caso di suo padre – ma visto che di risponderle un inutile “non c'è di che” non gli andava affatto, preferì soffermarsi su ciò che aveva visto nelle siringhe.
E in principale, il nome del medicinale a lui totalmente sconosciuto.
A proposito, quell'Hogyoku è un farmaco non ancora in commercio vero? È interessante che una come te se ne sia imposessat-”
Una come te, cosa?!”
Ci fu uno scatto improvviso e carico di rabbia da parte di una Cirucci ora ritornata aspra come un limone scaduto, quando il futuro dottore pronunciò quelle ultime parole non certo dettate da pregiudizio alcuno. Scattò con ira la testa spettinata verso lo sguardo gelido dell'Ishida, incurante che le aveva salvato la vita e decisamente seccata per quel suo intromettersi nella sua vita privata.
Anzi, decise di cambiare totalmente strategia verso uno stronzo che non si meritava affatto di vederla incazzata in quel modo specifico, accantonando velocemente la furia che momentaneamente l'aveva colta finendo col sorridergli con una punta di cattiveria superiore nell'atto di rialzarsi in piedi – ora con meno incertezza – ben decisa a non dirgli in nessun modo grazie. Non a lui.
Non a nessuno che le chiedesse qualcosa in cambio ogni santissima volta.
Cinguettandogli per questo, parole simili al veleno.
Sappi, caro il mio quattrocchi, che una come me – calcò con fare derisorio quell'ultima parola, scrutandolo attentamente in quella penombra – ha amicizie piuttosto elevate che uno straccione come te può solo sognarsele! Speravi che ti ringraziassi? Oh mio caro, dopo che mi hai rovinato questo vestito che tu a malapena puoi permetterti, dubito fortemente sai?!”
Concluse il tutto con un tono a dir poco soddisfatto – ovviamente accennando alla camicia di pizzo strappata per farle quella benedetta iniezione – guardandolo di scorcio con un sorriso a dir poco soddisfatto nell'atto infine di aprire quella porta e inondare di luce il piccolo ripostiglio.
Dette infine le spalle ad un Uryuu che deglutì nervoso, non aspettandosi di certo una sua lapidaria risposta. Un qualcosa di decisamente odioso che quasi portò – senza che il medico se ne accorgesse – quasi a vomitare per la frustrazione.

La malattia è in progressione”

Silenzio.

Fu come se aperta quella porta, un fantasma fosse passato in mezzo ai due congelandoli dalla paura.
Ma lo sguardo di Uryuu Ishida era dannatamente severo, mentre quello della modella che gli dava le spalle – e che con tutta probabilità si immaginava la sua reazione – era indecifrabile nascosto com'era dall'ombra dei lungi capelli neri.
E come colpi di pietra le parole del ragazzo continuavano, ferendola in modo invisibile in un orgoglio che spesso era messo a dura prova da un branco di maschi arroganti.
In particolare a quel Szayel Aporro Grantz che le procurava quelle siringhe non certo in modo gratuito.

Cirucci Tunderwitch, la tua malattia è in progressione. Questo quantomeno è ciò che ho dedotto osservandone i sintomi. A breve neppure questo intruglio strano ti salverà da una sorte ben peggiore...”
Non fu con intento crudele che Uryuu fu così lapidario nei confronti di una donna, piuttosto era nel suo stile essere conciso e cristallino verso un paziente che tanto ingenuo non era.
In definitiva non era da lui usare fronzoli o melodrammatiche scenate.
Per cui in parte comprese il modo in cui la donna assorbì una notizia già nota, notando un suo sospiro trattenuto e una presa al pomello della porta che si faceva più duro e crudele nel tentativo di trattenere rabbia.
Poi infine, sempre sotto lo sguardo scuro come la notte di un dottore in erba, la modella se ne andò a testa bassa dando – senza però farlo apposta – una spallata ad un Pesche Gauitche che finalmente sopraggiungeva con una bottiglia d'acqua minerale ormai del tutto inutile.

[…]

Verso sera inoltrata il suo studio alla biblioteca era decisamente terminato.
Uryuu Ishida, stanco di una intera giornata in cui ne erano successe di cotte e di crude, era intento a camminare con calma per il marciapiede illuminato dai lampioni sul ciglio della strada diretto alla sua umile dimora che condivideva assieme ad altri
disadattati.
Un cammino il suo fatto nel più tombale dei silenzio, perso nella mente e nei ricordi di un nonno saggio e spesso sibillino.
Spesso il nonno aveva un modo tutto suo di definire le persone, che al tempo che fu un Uryuu bambino affatto comprendeva. Forse era troppo piccolo per capire, oppure quelle spiegazioni erano troppo assurde da comprendere anche da un adulto di venti anni.
Eppure quella sua massima, quella di dire che gli esseri umani tentano sempre di raggiungere il paradiso con una scala, in quella sua stanca testa risultava piuttosto vera come non mai.
Sbuffando stanco per quel lento camminare che ancora vedeva parecchia strada prima di vedere il proprio quartiere, Uryuu si chiese se mai lui avesse tentato di usare una scala per raggiungere il paradiso.
Se mai si fosse circondato di ipocrisia e di gioia effimera, nella convinzione di essere nel giusto più assoluto.
Oppure se avesse macinato false speranze con una incantevole panacea, ignorando ogni giorno quanto fosse fragile e illusoria la scala sotto i suoi piedi.
Poi, dopo una attenta analisi fatta con il suo intelletto, decise che no... Lui non si era mai fatto illusioni ne false gioie nell'arco di tutta la sua vita.
Non aveva mai tentato di raggiungere questo fantomatico paradiso, cercando unicamente di farcela con le proprie forze standosene sempre con i piedi per terra.
Ed era quasi triste – a quel punto e accantonando ogni rancore – che persone come Mayuri Kurotsuchi o come Cirucci Tunderwitch, donna decisamente fastidiosa, si aggrappassero a scale dorate
consapevoli di essere in pauroso bilico tra dolore e gioia.

Ma per lui ora, che stava percorrendo la via di casa senza sogni per la testa, bastava non avere più a che fare nella propria vita con questi due individui e basta.



*segaossa: è un termine dispregiativo coniato nel medioevo per indicare quei medici ignoranti incapaci di fare una semplice amputazione, o dediti solo a segare arti senza sapere nulla di medicina. Rimane una parola dispregiativa tutt'ora, venendo usata anche come "parolaccia" denigratoria verso le competenze di un medico.

   
 
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