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Autore: RossaPrimavera    18/03/2011    3 recensioni
Sud Carolina, 1776. Celeste ha 17 anni e una candida bellezza, la sua giovane vita dedicata ad occuparsi dei suoi numerosi fratelli.
William Tavington, colonnello dei Dragoni Verdi, è un uomo spregiudicato, che non conosce limiti ai propri desideri.
Il loro incontro è uno scontro, ma il destino si premurerà di sconvolgere le loro vite, rendendoli così diversi da sembrare irriconoscibili.
"Ho solo 17 anni,e quando mi guardo allo specchio il mio volto mi pare di un candore assoluto. Davvero, non credevo di poter far gola a qualcuno. Non ad un uomo del genere comunque."
"Tu sei pazza, Celeste. Tu, tra noi, sei come nessun'altra."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In Punta di Piedi

di Elle H.


CAPITOLO 5
Do you, remember me?

(Spine e gabbie di sospetti; due luoghi senza ossigeno; l'evasione)

 

“Every rose has its thorn 
Just like every night has its dawn
 
Ogni rosa ha le sue spine
Proprio come ogni notte ha la sua alba”

-Every Rose has its Thorn, Poison-

 

La foschia mattutina fu infranta dal galoppo impetuoso di un cavallo, trascinando con se tutta la feroce disperazione di due anime.
Si arrestò solamente ad un imperioso schioccar di redini dell'esperto cavaliere, fermando la corsa non lontano da una piccola cittadina.
Un uomo, il viso rabbuiato da un'espressione cupa, smontò agilmente da cavallo, tendendo la mano a una giovane donna, con indosso una lacera camicia da notte e una giubba inglese che era il doppio di lei.
La ragazza rabbrividì, il volto illuminato dal tenue bagliore dell’alba, le figure di entrambi avvolte in un silenzio carico di sottintesi.
Bastarono poche parole, nulla di più di pallidi sussurri.
“Buona fortuna, Celeste”
“Buona fortuna... William”
Bastò il tempo infinitesimale di uno sfiorarsi di labbra per sancire definitivamente l’addio.

 

“Ayer la vi por ahí tomando
Queriendo morir, llorando
Quien le hizo eso a ella, tan bella
Que ahoga hoy sus sueños en esa botella

 
Ieri l’ho vista in giro che beveva 
Volendo morire, in lacrime 
Chi le ha fatto questo, lei tanto bella 
Che oggi affoga i suoi sogni,

 in questa bottiglia”
-Ayer la vi, Don Omar-

 

Da quando il corpo di Andrew Allworthy si era lanciato frettolosamente nella pubertà, cambiando fino a divenire quello che era oggi, il suo carattere era  mutato fino ad essere irriconoscibile.
Sotto quella massa di indisciplinati capelli biondi, che gli avrebbero conferito un aspetto da cherubino se non fosse stato per la durezza degli occhi, il suo volto pareva incapace di trattenere i sentimenti.
Sempre animato da una continua smania d’agire, in seguito ai duri mesi trascorsi nella ribellione, la sua bocca fine era atteggiata in una perenne piega di disprezzo.
“Andrew, avresti la buona grazia di metterti a sedere e ascoltare tuo zio?” lo redarguì il padre con asprezza, mentre il cognato si sedeva accanto a loro, posando il bastone a cui era solito sostenersi negli ultimi tempi.
“Oh non fa niente Conrad, i giovani di questi tempi sono tutti così irrequieti … Prendi una bottiglia di brandy, già che ci sei” disse con un gesto beneaugurante.
Il ragazzo si avvicinò alla credenza dove, per la prima volta, aveva il permesso di poter prendere una delle tante bottiglie, sempre presenti da quando era solo un bambino.
Fu sorpreso di trovarne appena tre, e ancor più stupito di intravederne almeno cinque vuote, nascoste in un angolo.
“Siamo contenti del vostro ritorno, sani e salvi… Sono stati tempi durissimi per entrambi, ma la riappacificazione è sempre un lieto evento” esordì Jules Kinglake, impacciato dal consueto imbarazzo per ogni manifestazione di sentimenti tra uomini.
“E’ stato un viaggio pesante Jules, grazie a dio possiamo finalmente bere qualcosa” ringraziò stancamente Conrad Allworthy, mentre il figlio si sedeva sul divano al suo fianco.
“E’ una mia impressione, o ti scarseggiano le bottiglie? Ti sei dato al bere eh, zio?” domandò in modo irriverente Andrew.
Prima che il padre potesse rimproverarlo, lo zio gli fece un cenno, limitandosi a riempire i bicchieri fino all’orlo.
Gli occhi dell’uomo rimasero fermi sulla figura del nipote, che si esprimeva ormai con tutta la sicurezza di un uomo fatto e finito.
“Come procede la guerra, cognato?” domandò, evitando cautamente la domanda di poco prima.
Un respiro profondo e spossato fu la prima risposta che ricevette.
“Siamo in una posizione di stallo. Quei bastardi inglesi non arretrano di un centimetro, ma anche noi ci stiamo facendo valere. Ma non ho voglia di parlare ancora di questa dannata guerra … Parlami dei ragazzi”
Lo sguardò del cognato si velò ulteriormente d'angoscia.
“Mentre ero all’emporio, Lucy vi avrà raccontato qualcosa, giusto?”
Entrambi annuirono silenziosamente, rimembrando la breve conversazione con la moglie.
“All’inizio credevo non sarebbero riusciti a superare il colpo … erano convinti Celeste fosse morta, a nulla valevano le nostre rassicurazioni. Hanno passato notti intere sconvolti dal pianto o chissà da quali terribili supposizioni. Alla fine si sono quietati,affidandosi più alla presenza di Daniel che alla nostra,  ma non si sono mai rassegnati … fino al ritorno della ragazza” concluse, vuotando il bicchiere in un sorso con una smorfia.
Conrad Allworthy centellinò il liquido ambrato primo di portarlo alla bocca, pensieroso.
“E Celeste come sta? Cosa vi ha rivelato?”
“Poco o nulla. Ha raccontato ciò che ha spinto il colonnello inglese a riportarla qua, ovvero l’assassinio della sua amica da parte di alcuni americani di passaggio; ma di ciò che era successo prima, di dove si trovasse o il nome dell’uomo … nulla. Non siamo riusciti a cavarle una parola di bocca”
“Credi l’abbiano minacciata o la ricattino perché non racconti nulla?” chiese prontamente Andrew, stringendo così forte il bicchiere da rischiare di romperlo.
Ma lo zio scosse lentamente la testa.
“No, non credo. Sono portato a supporre che la ragazza nutra un qualche legame con quell’uomo o con qualcun altro che cerca di coprire”
Andrew tentò di protestare, ma il padre lo bloccò con un gesto, lasciando proseguire il cognato.
“Vedete lei aiuta Lucy, gioca con Eloise e i ragazzi, mangia, cammina, legge, suona. Vive come prima, ma … è assente. I suoi occhi non comunicano niente. E’come se fosse … vuota” finì, incapace di descrivere a parole la condizione di quella che era sempre stata la nipote preferita.
“Ed è per questo intanto che si scola le tue bottiglie?”chiese allusivamente Andrew, indicando l’angolo della stanza.
Il padre strabuzzò gli occhi, quasi strozzandosi con un sorso di brandy.
Jules fissò il nipote con astio.
“Tua sorella non è un’ubriacona … ha solo qualche problema, e non dubito che riuscirà a risolverli”
Conrad si limitò a sospirare nuovamente, passandosi una mano sul viso con fare stanco.
“Stasera dopo cena le parleremo. E’ anche una questione di vitale importanza: potremmo avere importanti dettagli sugli inglesi e sui loro spostamenti” concluse.
“Non c’è problema, ci penso io” disse il fratello, alzandosi.
“Usa molto tatto, Andrew, te ne prego. Celeste mi è sembrata ancor più fragile di quanto non fosse prima” lo ammonì lo zio, gli occhi quasi supplicanti
Il ragazzo gli rivolse un sorriso incredibilmente aspro.
“Celeste non è mai stata fragile
"

 
 

"Nel mio cuor dubitoso 
sento bene una voce 
che mi dice:
 "Veramente 
potresti essere felice". 
Lo potrei, ma non oso."
-Umberto Saba-
 

 
 

“Sono contenta che sei qui” sussurrò Sophie, trotterellando verso il grande letto dalle coperte candide, infilandovisi sotto e stringendosi tra le due sorelle.
Celeste sorrise, attirando a se la bambina e stampandole un bacio sulla guancia fresca e vellutata.
“Anche io sono tanto felice di poter stare con voi” le rispose, mentre la sorellina le tirava le dita della mano per gioco, tentando di farle scrocchiare le ossa.
Dall’altro lato del letto intanto Cecilia ascoltava.
“Ti ho sentito litigare con papà ed Andrew l’altra sera. Hai detto di non voler rispondere alle loro domande”disse a bassa voce, con tono accusatorio; del quale si pentì subito, non abituata a rivolgersi in quei termini alla sorella maggiore.
Ma la giovane non parve darvi peso.
“Sì, l ho detto” rispose semplicemente, sistemando meglio le coperte sui loro corpi.
Vi fu un lungo attimo di silenzio, in cui Celeste suppose che le sorelline si fossero addormentate.
Sophie sicuramente, a  giudicare dal respiro pesante, il pollice infilato in bocca; ma Celia, con rinnovata caparbietà, non ancora.
Dal basso dei suoi 10 anni mostrava già un intuito formidabile.
“Quell’uomo, quello che ti ha portato via … tu non lo odi, vero?”
Celeste esitò prima di rispondere, preoccupata dall’idea che una sua risposta potesse compromettere le vaghe informazioni date al padre e al fratello maggiore.
“No, non lo odio” rispose infine, sospirando flebilmente.
Pausa di riflessione, in cui Celia parve rimuginare tra se.
“Quindi non è una persona cattiva?”
Celeste sorrise alla sua benedetta innocenza.
Avrebbe tanto voluto risponderle qualcosa come “No, non è persona cattiva. E’ un bastardo è vero, ma è quanto di meglio possa desiderare”, ma limitò con decisione le proprie parole.
“Non lo so Celia, non lo so. Dormi, che è tardi” concluse, il sorriso che mutava in una piega amara.
Udì sbuffare la sorella mentre le voltava la schiena, tirando a se le coperte.
La maggiore poggiò la testa sulle braccia, osservando la stanza buia, illuminata fiocamente dallo spiraglio sotto la porta, cullandosi con i rumori della casa.
Non era grande, giusto lo spazio necessario per tutti loro, costretti a dormire rannicchiati l’uno all’altro. Il padre e Andrew si erano stabiliti alla locanda, in attesa di ripartire per un'altra missione.
Sentì in lontananza le voci degli uomini, rintanati tra i boccali di birra, intenti a fare progetti e discutere della guerra.
 Il solo pensare a quell’ambiente le riportò come uno schiaffo in pieno viso una manciata di ricordi nostalgici.
Più di due mesi erano trascorsi da quella terribile, dolorosa mattina.
Si era impressa ogni singolo istante nella mente, terrorizzata dal perdere le ultime immagini che aveva di quell’uomo che le aveva sconvolto l’esistenza.
Come in una serie di immagini, i ricordi si dipanavano nella sua testa come se si srotolassero da un rocchetto di filo.
 “Buona fortuna Celeste”
“Buona fortuna, colonnello”
Intollerabile che tutto si fosse concluso così, con quelle miserabili parole.
Non riusciva però a pensare ad un'altra conclusione possibile: nemmeno gettarsi l’una tra le braccia dell’altro sarebbe bastato.
Era una certezza: non si sarebbero mai più rivisti.
A nulla erano valsi lo sgomento incredulo dello zio, la gioia urlante dei fratelli, il successivo ritorno del padre e di Andrew: l’inquietudine provata mentre aveva osservato l’uomo allontanarsi in un galoppo selvaggio, come se avesse uno stuolo di demoni ad inseguirlo, non si era più staccata dalla sua pelle.
L’aveva lasciata vuota, inerme.
Completamente allo sbaraglio.
Spesso le sue notti erano come quella: insonni, gli occhi fissi sul soffitto, immersa nel tepore dei placidi respiri delle sorelle.
Ripensava a Tavington, a Katrina.
Si chiedeva perché, pur essendo tornata alla vecchia vita tanto agognata, non riusciva più ad essere felice.
E non si dava pace.
La mattina seguente si alzò prima degli altri, infilandosi silenziosamente i consueti abiti casalinghi e annodando i capelli in una semplice crocchia. Quasi rimpiangeva la morbidezza dei tessuti  in cui era stata avvolta per tanto tempo.
Come faceva ormai ogni giorno, la mattina amava inoltrarsi nei campi poco fuori l’abitato, spesso con Daniel ma preferibilmente da sola, magari con l'unica compagnia di una sottratta bottiglia di brandy in cui affogare i pensieri.
La guerra aveva aggirato quella zona, senza presentarsi a reclamare le sue vittime ad ogni porta, e l’aria fresca la faceva stare bene.
Le dava la forza necessaria per aggirare l'inquietudine.
Inaspettatamente incrociò Andrew nella piccola cucina. Il passo felpato della giovane sorprese il fratello, che stupito si voltò, rivelandosi intento a riempire il tascapane con alcune provviste.
“Che ci fai già in piedi?” chiese di scatto, con palese tono indagatore.
Come le era già successo da quando era ritornato, Celeste avvertì un senso di disagio in sua presenza che non aveva mai avvertito. Dove era finito il dispettoso ragazzo biondo con cui era solita battibeccare? Tutto di Andrew le pareva cambiato, e sapeva, con dolorosa certezza, che dietro i suoi bei tratti induriti dalla guerra, erano avvenuta una crudele metamorfosi.
“Esco a fare due passi, ho bisogno di pensare” gli rispose, incrociando le braccia spazientita.
Andrew scorse il suo abbigliamento con gli occhi, e non trovando nulla di  anomalo parve tranquillizzarsi.
Poi un nuovo dubbio parve sfiorarlo.
“Non starai andando a incontrare qualcuno, vero?”
Celeste alzò gli occhi al cielo “E chi dovrei incontrare?” chiese laconicamente, avviandosi alla porta e stringendosi nello scialle di lana beige.
“Forse quel figlio di puttana inglese che ha osato toccarti”
Rabbia, pura aggressività che nulla c’entrava con la fraterna protezione.
La giovane si fermò, voltandosi guardinga. Ed Andrew ne approfittò per attaccarla.
“Potrai anche fare la faccia da innocentina con nostro padre, ma io la so più lunga! Cosa credi, che non abbia fatto le mie ricerche?!” urlò, tentando poi di calmarsi, mentre la sorella lo osservava senza battere ciglio.
Attendeva Celeste; voleva scoprire dove voleva andare a parare il fratello.
“Dicono che i dragoni verdi, dopo altre accurate torture ad alcuni dei nostri, abbiano ottenuto altri nomi.
 E provveduto, come ben sai, a visitare ogni casa a loro disposizione; ovviamente, premurandosi di stuprare e uccidere ogni donna e ragazza che trovavano sul cammino.”
Si avvicinò a lei, esaminandole criticamente il viso. Strano: Celeste aveva sempre pensato che la forma dei loro occhi fossi identica.
Si chiese come mai in quel momento le parve così diversa.
“Perché con colonnello del genere a guidarli, "Il Macellaio", hanno deciso di lasciarti in vita?”
Uno sguardo irato, che mai aveva rivolto a qualcuno della sua famiglia, fu l’unica risposta della ragazza.
“Perché non ti fai gli affari tuoi?” aggiunse in un sibilo.
“E tu perché non mi racconti ciò che sai?! Se mi rivelassi ciò che conosci di loro, delle loro abitudine, di quell’uomo … potremmo elaborare un piano, attaccarli a sorpresa magari!” disse concitato, tentando di coinvolgerla.
La vide indifferente, il viso contratto in una smorfia di disprezzo.
“Questi sono affari miei Celeste, sono un uomo a tutti gli effetti ora!” ribadì afferrandola per le spalle, scuotendola.
La sorella lo lasciò fare, per poi prendergli le mani, spostandole con fermezza dal proprio corpo.
“Quello che so, è che quando ho detto il mio cognome a uno di quei bastardi che hanno ucciso Katrina, la mia amica, lui si sarebbe premurato di far fare la stessa fine anche a me, se quel colonnello che tanto odi non mi avesse salvato.”
Si allontanò da lui, dirigendosi di nuovo alla porta “Sai, aveva un conto in sospeso con te, a sentir quel che diceva. Dovevi per caso dei soldi ad un certo Ian?” chiese, guardandolo di sbieco.
Vide il fratello spalancare gli occhi, tra l’inorridito e l’inferocito.
La giovane lo guardò stringendo gli occhi, gonfia di spregio.
“Quale uomo fatto e finito metterebbe in tale pericolo la propria famiglia?!”
Afferrò la maniglia con decisione, tentando di scivolare lontano da quel quel silenzio teso.
Ma le ultime parole del fratello la fermarono, paralizzandola sul posto.
“Comunque anche senza il tuo aiuto, ho saputo svelare la sua identità; dopotutto, non è stato difficile.
Non vedo perché dovresti proteggere un uomo come William Tavington”
Celeste scappò, sbattendo violentemente la porta dietro di se.
Udire quel nome fu uno schiaffo in pieno viso.

 

“I was totally in love with you.
Lost in you, captivated by you.
Amazed by you, dazed by you.
Laugh with me and cry with me
spend those silent times with me
You and I were lovers.
 
Ero totalmente innamorato di te.
Perso di te, affascinato da te.
Stupito di te, stordito da te.
Ridi con me e piangi con me
Spendi questi silenziosi momenti con me.
Io e te siamo stati amanti.”
-We Were Lovers,  Jean Jacques Burnel-

 
Un letto freddo e sfatto.
Un tentativo inutile di scappare, nascondersi, proteggersi.
Spinte laceranti e lacrime.
C’era stato un tempo in cui il colonnello William Tavington era stato l’uomo più ambito da tutte le prostitute del campo. Erika, arrivata pochi mesi prima, aveva sentito solo favoleggiare dell’incredibile bravura e costanza dell’uomo. Aveva sperato, un giorno, di poter finalmente capitare nel suo letto.
Poi, da qualche mese a quella parte, le cose erano precipitate.
Alcuni membri dei dragoni si erano lasciati sfuggire in un sussurro il breve racconto di una ragazza dall’incredibile bellezza, con cui il colonnello era arrivato a intavolare ben di più di qualche notte di sesso.
Incredibile: le donne quando si trovavano riunite tra loro fantasticavano su questa ragazza impossibile e misteriosa; che qualità doveva possedere per essere riuscita, così si diceva, a far innamorare un uomo come il colonnello, tutt’altro che malleabile?
Solo al ritorno del colonnello si erano però rese conto di quanto fosse in realtà grave la situazione: non c’era nessuna donna al fianco dell’uomo, ma tutto di lui pareva invaso da una rabbia cieca e devastante.
C’era stato un tempo in cui le prostitute facevano la fila per essere scelte da quell’uomo; ora la prescelta per la notte era considerata una sventurata.
E mentre il colonnello spingeva dentro di lei con una brutalità tale che, pur non essendo avvezza a gentili maniere, le era impossibile frenare delle lacrime di dolore, si scopriva a desiderare che avenisse qualcosa, qualsiasi cosa perché lui si fermasse e potesse lasciarla scappare da quell'inferno.
Cercava gli occhi dell'uomo, tentando di supplicarlo con lo sguardo per fargli capire quanto stava soffrendo, ma egli ne era del tutto indifferente.
Sorrideva persino a tratti. Un ghigno perverso illuminava il suo bel volto.
William Tavington era consapevole del brusio di voci che giravano sul suo conto, e soprattutto sulla figura di Celeste.
La sola idea che qualcun altro potesse nominarla o pensare a lei non faceva che accendere la sua rabbia, che brillava come un tizzone ardente nel buio della sua anima.
La rabbia, quella cieca collera inestinguibile, era diventata la sua principale compagnia in ogni istante delle sue giornate:  razzie e repressioni il più violente possibili, dove si prendeva la personale briga di fare a pezzi ogni membro di una famiglia di ribelli; battaglie all’ultimo sangue, in cui non si faceva scrupolo di staccare più teste possibili; un numero esorbitante di bottiglie di brandy e whisky ingollate una dopo l’altra.
 Il ritrovarsi una ragazza qualsiasi o una puttana da trascinare nel proprio letto erano solo una naturale conseguenza di tutti questi elementi.
Guardò finalmente la ragazza sotto di se, lo sguardo annebbiato dall’alcool, a cui cercava di fare più male possibile e al contempo saziarsi.
Lunghi capelli scuri, occhi sgranati colmi di lacrime, un corpo fin troppo pieno e dalla pelle tipicamente cotta dal sole.
Aveva un nome … Anne? Mary? Erika forse. Che importanza aveva, dopotutto?
Celeste. Mesi in cui aveva tentato di ripudiare in un angolo della mente quel corpo di cui conosceva l’esatta mappa, quei lunghi capelli di rame, quegli indimenticabili occhi di cristallo, quella pelle lattea ed evanescente.
Di lei era rimasto un puro spettro rarefatto nei sui incubi, una creatura capace di perseguitarlo persino mentre uccideva, colmandolo di sensi di colpa.
Persino mentre si scopava l’ennesima puttana.
Tornò a guardarla: non era Celeste, non avrebbe mai potuto essere lei. Non possedeva lontanamente il suo profumo, o il suono della voce, o quell’impenetrabile sorriso mentre gemeva, abbarbicata a lui come dell’edera.
Piangeva Erika, singhiozzava ad alta voce ormai.
“Per favore … basta, signore, basta. Mi fate male” urlò lamentandosi, straziata da un dolore interno, la sensazione di qualcosa che si spaccava dentro al suo corpo.
Celeste non si era mai lamentata così, aveva sofferto in silenzio continuando a guardarlo negli occhi.
 “Sapete colonnello, mio padre da piccola mi diceva sempre che nei miei occhi si può vedere il mare”
“Sta zitta!” urlò, mollandole un manrovescio sul volto,centrandole il naso e rompendolo.
Erika urlò più forte che mai.
Irato l’uomo afferrò un cuscino e glielo pose sul viso con decisione, soffocando i singhiozzi e mozzandole il respiro.
Il corpo si dimenò violentemente, artigliando l’aria con mani ormai vuote di ogni speranza; William Tavington ottenne infine un misero godimento, riversandosi in quel corpo ora calmo e placido, che andava già lentamente a raffreddarsi.
Si alzò dal letto, dirigendosi ancora nudo alla toilette del proprio alloggio e versandosi un altro bicchiere di whisky; si guardò allo specchio.
Tremava dalla rabbia, ma era anche mosso  da un doloroso senso di angoscia.
Si voltò a guardare il letto: eccola lì, l’ennesima puttana morta per dar sfogo alla sua rabbia.
 
 

 

“Light up the fire
Right on the power
Weapon... 
I have it all.
 
Accendi il fuoco
Aggiusta la potenza
Armi... le ho tutte.”

-Red Fraction, Black Lagoon-
 

“Celeste è un idiozia, se ci trovano abbiamo finito di vivere!” si lamentò a bassa voce Daniel, strisciando a carponi con la sorella in testa, proprio come facevano da piccoli nel sottobosco.
Ora però avevano rispettivamente 15 e 17 anni, e si trovavano nella piccola, polverosa cittadina di Mary town.
“Sta zitto e lasciami ascoltare: devo scoprire che intenzioni hanno. Ho sentito papà dire a zio Jules che questa sera avrebbero stabilito un piano decisivo” spiegò in un sussurro Celeste, mentre assieme al fratello si nascondeva dietro alcuni barili di birra, posti esattamente sotto le grandi finestre spalancate dell’osteria.
Quella sera però non c’era aria di festa, la birra se ne stava tranquilla nei propri boccali: tirava aria di guerra e strategia, e la giovane sapeva di essere parte portante di quel piano.
Sapeva che quella sera avrebbero parlato di William, di un modo per ucciderlo e di conseguenza infrangere ogni strategia dei dragoni.
“Ma che ti frega di quell’uomo, dopo tutto quello che ci ha fatto?!” bisbigliò Dan, confuso dal comportamento della sorella, che prontamente lo fulminò con lo sguardo.
Entrambi si protesero verso il davanzale non appena udirono Benjamin Martin, capo della fazione ribelle, proferir parola.
“Amici miei, siamo fermi ormai da fin troppi giorni, e ci sono giunte notizie di continue rappresaglie da parte dei Dragoni Verdi su sempre più vitime innocenti. E’ ora di passare ad un altro contrattacco. Recentemente la figlia di Conrad, Celeste, è stata presa in ostaggio per diversi mesi da Tavington stesso. Amico mio, sei riuscito a raccogliere qualche informazione?”
Celeste, nel suo angolo, trattenne il respiro.
“Poco o niente, Ben. Celeste si rifiuta di parlare, anzi sostiene che quell’uomo l’ha salvata. Non vuole rivelarmi nemmeno il luogo dove è stata portata”
Si immaginò il volto affranto del padre, e nonostante un senso di colpa le pungesse con insistenza la coscienza, fu fiera di non aver aperto bocca.
Tutt’un tratto si udirono dei passi all’esterno e i due fratelli si rincantucciarono ulteriormente dietro le botti. Risuonò una porta sbattuta e la voce di Andrew invase la stanza.
“Salute compari, ho con me un gradito ospite che saprà aiutarci a risolvere la questione!” proferì, la voce eccitata.
Un brusio animato lo accolse.
“Figliolo, dove hai recuperato quest’inglese?” chiese qualcuno.
“Faceva parte di una pattuglia che esplorava la zona delle piantagioni; l’ho preso da dietro proprio mentre stava pisciando dietro un albero” spiegò sghignazzando, accolto da una serie di risate.
“E’ comunque pronto a rispondere a qualsiasi domanda” aggiunse poi.
Il rumore di un calcio e un gemito furono l’unica risposta.
“Ottimo lavoro Andrew … soldato, dicci il tuo nome” domandò Benjamin, perentorio.
Un attimo di silenzio in cui Celeste sperò che l’uomo si rifiutasse di parlare.
“Jasper Harris” biascicò una voce con tono piagnucoloso.
“Bene, Jasper … Cosa puoi dirci del colonnello Tavington?”
“T-Tavington? Io n-non lo conosco ...” ribatté balbettando, chiaramente terrorizzato dal solo nome.
Un altro rumore secco e un ennesimo gemito.
“Non appartengo al suo reggimento signore, sono solo un soldato semplice!” urlò stavolta, la voce invasa da un'improvvisa paura.
La sua fedeltà all'esercito non doveva valere un granché.
“Questo lo vedo ragazzo … ma voglio sapere ogni dettaglio su di lui, dall'accampamento risiede al numero di stivali!”
“Ben lasciami intervenire … Jasper, hai mai sentito nominare una ragazza di nome Celeste” chiese la voce del padre, cauta e gentile come sempre.
La giovane chiuse gli occhi, incrociando le dita.
Un lungo attimo di silenzio.
“C’era una Celeste, signore. Era una delle prostitute di una taverna poco lontano da qui”
Un calcio più forte degli altri gli strappo un alto lamento.
“Cosa hai detto che era?!” urlò Andrew, infuriato.
“Andrew stai calmo … Jasper, dicci quello che sai di questa giovane. L’hai mai vista?”
“Sì signore.  Giovane, magrissima e non troppo alta. Pelle come un cadavere, lunghi capelli rossi e occhi chiari”
L’intero locale trattenne il fiato, e con loro la giovane stessa.
Possibile che fosse capitato lì proprio uno di quei soldati che la guardavano come ipnotizzati quando passava?
“E’ lei … Che ruolo aveva Jasper? Hai detto che era una prostituta?” proseguì il padre, sempre più coinvolto.
“Non proprio signore … era l’amante del colonnello Tavington.”
Un brusio violento colse gli avventori, e la ragazza poté immaginare perfettamente il volto sconvolto del padre. Avvertì lo sguardo incredulo e accusatorio del fratello, ma si limitò a rifugiare il volto tra le mani, come a volersi proteggere dalle parole.
“L’amante… ? Dicci tutto quello che sai” fu Benjamin a porre le domande questa volta.
“Si signore, la sua amante. Viveva con delle altre prostitute in questa taverna, a metà strada tra Fort Carolina e l’accampamento in cui risiede gran parte dell’esercito. Gli ufficiali e alcuni tra noi soldati andavamo lì spesso la sera, ma solo gli ufficiali potevano intrattenersi con le prostitute. E nessuno poteva toccare quella ragazza al di fuori del Colonnello.”
“Per quale motivo?”
“Non saprei, signore, ma girano strane voci … si dice che il colonnello e la ragazza in questione avessero una storia d’amore in ballo, lei era molto più di una puttana per lui”
“E poi? Che è successo?” chiese suo zio concitato, preso dal racconto come tutti gli astanti.
“Questo signore non lo so, so solo che ci è stato riferito che quella taverna non esisteva più, e tutte le prostitute erano state trasferite al forte. Però si dice che una di loro sia stata uccisa, e che il colonnello Tavington abbia dovuto separarsi dalla ragazza”
Un silenzio meditativo.
“Dobbiamo parlare con lei padre, ora che sappiamo non potrà continuare  a mentirci” disse Andrew.
“E sia … ma prima bisogna pensare alla strategia. Fort Carolina è ad ovest, bisognerà elaborare un piano d’attacco e delle posizioni valide per raggiungere l'accampamento prima e poi…”
Celeste si tappò le orecchie per non sentire altro.
Udire la propria storia in bocca a qualcun altro l’aveva fatta inorridire.
Gli occhi colmi di lacrime, sentì la mano di Daniel sfiorarle il mento, ma lei si ritrasse prontamente.
Una terribile prospettiva si parava all'orizzonte.
“Torniamo in casa, Celeste” le disse con calma il ragazzo, sorprendendola.
Strisciarono ancora carponi per la strada polverosa, rientrando di soppiatto nella casa addormentata.
“Ti prego, dimmi che mentiva” era quasi una supplica quella di Dan, mentre scivolavano sulle scale.
Celeste non rispose, la sua mente lavorava già spedita.
Pianificava, tentava di farsi coraggio, di impedire alla propria voce di tremare.
“Devi darmi dei tuoi abiti” dichiarò infine.
Daniel strabuzzò gli occhi.
“Che cosa hai detto?!”
La giovane si diresse sempre più decisa  nella camera dei fratelli minori, facendo attenzione a non svegliare Devid, che dormiva placidamente.
In testa si era già delineato un piano, che peccava in ogni punto ed era tutto fuorché perfetto.
Ma era l'unica speranza, la sua unica speranza, per riprendere in mano la situazione.
“Mi hai sentito. Mi servono dei tuoi abiti, devo andarmene da qui”
Il ragazzo chiuse la porta con cautela, avvicinandosi a lei per impedirle di aprire l’armadio.
“Sei impazzita? Non dirmi che hai paura di nostro padre? Non ti farà niente, capirà che quell’uomo orribile ti ha obbligato a …”
“Sta zitto”
La voce secca, perentoria: era un ordine.
I due si guardarono, l’uno incredulo e l’altra con la colpa ben delineata sul viso.
“Tu lo ami” constatò infine il ragazzo.
Celeste evitò il suo sguardo.
“Dammi i tuoi abiti, Dan. Per favore” chiese, pregandolo quasi.
"Non se ne parla se non mi dici cosa hai intenzione di fare" si oppose quello, con più fermezza di quanta ne possedesse in realtà.
"Ho intenzione di raggiungere l'accampamento inglese e impedire che i ribelli attirino in qualche imboscata, o chissà quale altra diavoleria, Tavington" spiegò, picchiando il piede impaziente.
Il ragazzo la guardò attentaemtne, ma infine si spostò e lasciò che la sorella prendesse una camicia, dei pantaloni scuri, e il giustacuore.
Si spogliò di fronte a lui, senza imbarazzo, i movimenti resi frettolosi dall’esigenza di partire al più presto.
Dan distolse gli occhi.
“Come farai a trovare l’accampamento?”
“So che è a Ovest”
“E il cavallo?”
“Ne ruberò uno dalle scuderie”
Il piano faceva sempre più acqua da tutte le parti.
Celeste si legò i capelli, sospingendo poi la crocchia sotto un tricorno.
Fu solo una fortuna che la figura del fratello fosse ancora così smilza: gli abiti le erano appena appena un poco più grandi.
Non prese con se nulla a parte un tascapane con una fiaschetta riempita d’acqua e una bussola.
Non possedeva neppure una mappa, non aveva la più pallida idea di quanto avrebbe dovuto galoppare.
Ma era pronta, non aveva bisogno d’altro se non di coraggio e molta fortuna.
Mentre si avviava di soppiatto verso le scuderie in fondo al paese, Daniel la seguiva come un ombra.
“Cosa dirò a nostro padre?” domandò preoccupato.
“Che sono scappata e tu non sai niente” rispose lapidaria la sorella.
Il ragazzo si portò le mani tra i capelli, esasperato.
“Celeste ripensaci, ti prego. Pensa a quello che ci ha fatto, è un mostro... lo è, vero?” pareva persino dubbioso.
“Farei quello che sto per fare, se fosse un mostro?” fu la semplice e allusiva risposta.
Si avvicinò, posandogli un bacio sulla fronte fredda.
“Spero ci rivedremo fratellino. Lo spero davvero” disse, lasciandolo senza parole.
La giovane prese una giumenta scura, ancora con indosso i finimenti, e vi montò sopra con qualche sforzo.
Rivolse un sorriso triste al fratello, ma il suo cuore pulsava di adrenalina.
Riprendeva in mano le redini della propria vita, imbrigliando il destino a suo volere: commettere una sciocchezza del genere era una azzardo tremendo, ma lei era pronta  rischiare qualsiasi cosa per salvare quell'uomo.
Non si voltò neppure una volta.
Si lanciò verso ovest, incitando la bestia al galoppo.
“Spero ci rivedremo fratellino”
“Ma è ovvio che ci rivedremo…” rispose il ragazzo al paesaggio deserto.
All’improvviso non ne era più tanto sicuro.

 
 Elle's Space -
 
Tarataratata *ennesima fanfara di arrivo, accolta da paesaggio desertico con tanto di passaggio di palle di fieno*
Rieccomi a chiedere umilmente perdono, e a spiegarvi con pazienza che si: i miei tempi di pubblicazione sono lenti come la fame, ma purtroppo sono questi. Adeguatevi giovincelli miei! *si guarda attorno con fare impaurito da un possibile linciaggio*
Allora, che abbiamo qua... un capitolo come il precendente,  un po' "di stallo", e pur odiando vederli separati, era necessario. Ma dal prossimo l'atmosfera si vivacizzerà (evvai!), anche se inizia già a prospettarsi un finale imminente (cristo) D:

x ragazzapsicolabile91: l'aria carina e coccolosa del colonnello è venuta un po' meno... insomma, non credo che uccidere una povera disgraziata tanto per sfogarsi sia una cosa carina e coccolosa. Ma compatiamolo, è innamorato (anche se ammetterlo sarà dura, tipo come con Vegeta in Dragonball se hai presente!). Grazie ancora per i complimenti, spero che anche questo non ti deluda ^^

x herAmnesia: mi fa troppo piacere sapere di essere riuscita a comunicare qualcosa con questa storia *-* A volte scrivo capitoli che, ad una seconda lettura, mi sembrano un po' banali e devo rivederli. Spero di non fare mai questa impressione! Grazie mille per il complimento, è una delle cose più carine che mi siano mai state dette *arrossisce*

Passo e chiudo gente, buona lettura! :3

Elle H.

   
 
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