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Autore: Queen of Superficial    18/03/2011    18 recensioni
Due pseudogroupies incasinate con le stanze da letto che comunicano tramite un palo dei pompieri. Un non più giovane frontman di una band nel pericoloso olimpo degli dei del rock. Una ragazza innamorata di un'idea, di un artigiano di sogni inconfessabili che poco ha a che fare con l'uomo reale. Una serie di assurdità in fila per due, con la partecipazione straordinaria di ricordi rock, di band nevrasteniche, di chitarre ipnotiche, di fatti di vita non vissuta ma senz'altro vivibile. Così, senza ipocrisia, in una spirale di violente emozioni sulle note di una Manson che creano un'improbabile, tenera, storia d'amore. La storia, tirata a lucido, di qualunque di voi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In realtà questa dedica
all'inizio
non era per lui
e invece
,
al Reverendo
e al nostro amore
per le cose fragili.

 

 

 

Novantadue giorni dopo quella mattina al concerto,
finito il flashback,
finito il racconto,
finiti i ricordi,
finito il cardiopalma,
finiti i drammi gravi,
finite le discussioni,
finite le colpe
e mia sorella Splinter
di nuovo in pista.

 

Objects in the mirror are closer than they appear.”
(Il retrovisore destro dell'hummer di mio padre, il Signor Superficial.)

 

Devi ancora scrivere la nostra biografia. Com'è che doveva chiamarsi?”
“Tipo 'e quindi?', se non sbaglio.”, risposi, annoiata.
“Ma non doveva chiamarsi 'Voglio farmi il chitarrista'?”
Matt represse una risata, e il mio gomito giunse a fare un saluto alle costole di Fleur in maniera piuttosto violenta, insieme a un'espressione idiomatica in italiano che capimmo io, Bliss, Splinter, e il diretto interessato.
Fleur, in tutta risposta, tossicchiò e scoppiò a ridere.
“Scusa, non avevo visto il chitarrista.”
“Suvvia, non è poi così basso.”
“Grazie, Bliss.”
“Prego, Matt.”
Uno schieramento degno dell'esercito vietnamita, su un prato verdeggiante accarezzato dai raggi di sole.
Vestiti eleganti (da Vivienne Westwood, ovviamente), e fuori posto come bambini alla prima comunione. Gettai un'occhiata inutile a Chris oltre un nugolo di zie di qualcuno conciate a festa.
“Un posto squisito per un matrimonio.”, commentò Splinter, che in realtà avrebbe voluto dire “porca troia, che palle”, ma una frase del genere contravveniva ai suoi rigidi dettami di bonton.
Dominic ci affiancò in volata, tendendo premuroso un bicchiere di succo di frutta a Bliss e un bicchiere di champagne a Matt, che lo passò galantemente a me. Gli lasciai giusto il fondo.
“Bambina?”, commentò.
“Ho bisogno di ubriacarmi amore, non farci caso, tanto raramente si nota la differenza con quando sono sobria.”
I miei “amore” erano sempre sfavillantemente ironici. Mi sorrise con gli occhi, guardandomi di sbieco.
“Vado a prenderne un altro”, disse Dom, omettendo il punto di domanda.
“Fà una cosa, se la trovi prendi direttamente la bottiglia.”, lo corresse Splinter, facendosi aria con un ventaglio di pizzo rosso e nero.
“Dici che l'hanno chiesta i testimoni.”, aggiunsi, guardando il panorama di gente assiepata qui e là.
“Adoro i matrimoni!”, ci informò Fleur.
“Complimenti.”, risposi, secca.
“A quando un bel Ria Bellamy?”, cinguettò.
“A mai.”
“Ma perchè?”
“Mi scoccio di scegliere le bomboniere.”
“Te le scelgo io.”
“Semmai io.”, intervenne Splinter, rivendicando la sua occupazione di organizzatrice di eventi.
“Mi piace il mio cognome.”
“Puoi metterlo col trattino.”
“E tu puoi evitare di farmi proposte di matrimonio per conto di Matt al posto suo.”
Un silenzio puntellato di ironici sorrisi e risatine sotto i baffi mi costrinse a tornare alla carica.
“Ma poi noto che i tuoi suggerimenti sono sempre squisitamente bipartisan, Fleur. Perchè non chiedi 'a quando un bel Juniper Howard'? Non ti piace come suona? O Dominic e Bliss, che tra l'altro sono pure con un piede in maternità, sono dispensati dall'incombenza di contrarre matrimonio? Fammi capire.”
A quel punto Matt scoppiò proprio a ridere in faccia a tutti, strappandomi un sorriso di gratitudine.
Intercettai Dominic e afferrai la bottiglia direttamente dalle sue mani. Avrei pure rifiutato il flute, se non fosse stato per l'occhiata di severa disapprovazione che mi aveva preventivamente rivolto mia sorella, sospettando che mi sarei attaccata direttamente al Pinot senza colpo ferire. Aveva guardato significativamente me e poi Matt, come a dire, ehy, c'è il tuo fidanzato lì, sforzati di essere femminile. Non ebbi il coraggio di rispondere sai quanto gliene frega a Matt se bevo dalle bottiglie, dai bicchieri, dalle cannole dell'acqua o dalle bocce per i pesci rossi. O pure da una scarpa. Non fa caso a queste cose. Ma avrei rischiato di imbastire una discussione sul costume e il galateo (che comunque conoscevo benissimo, sapevo perfino apparecchiare con dodici posate) che ci avrebbe portato via il tempo – che non avevamo – e la voglia di vivere – che non avevamo - , quindi glissai e lasciai correre.
Piuttosto, sventolai la bottiglia in direzione di Chris, che finalmente si degnò di registrare la mia presenza – dietro lo champagne – e ci venne incontro a balzelloni.
“Ehilà, piccola.”
“Parli con me o con la bottiglia?”
“Con te, tesoro.”, mi disse, fraterno. Ma l'avevo visto, guardava la bottiglia.
Gliela tesi, buttando giù il terzo bicchiere.
“Dimmi.”, disse, dopo aver bevuto anche lui.
“Chris, hai tu le sigarette.”
“Ah, sì.”
Me ne diede una. Me la accesi. Ringraziai il creato.
Matt mi versò un altro bicchiere.
“Bellamy qui sta cercando di farmi ubriacare.”
Localizzai un punto all'orizzonte.
“Oddiofrank.”, dissi, senza spazi.
Trè Cool si approssimò al nostro già nutrito gruppo di annoiati.
“Avete saputo che la sposa arriva a cavallo?”, disse, allegro.
“La cosa non può che precipitarmi nella più cupa preoccupazione, visto che la sposa normalmente cade da ferma.”, disse Bliss, attirando l'attenzione.
“Ci ho appena fatto caso, somigli a una ciliegia.”
“Come?”
“Una ciliegia. Chi è quel cieco che ti ha vestito così?”
Mi stirò un sorriso tutto gengive con tre chili di veleno tra i denti.
“Noi damigelle d'onore non abbiamo i privilegi dei testimoni di nozze.”
“Che comunque sono vestiti come i gemelli del destino.”, osservai, gettando un'occhiata a me e Chris, entrambi in nero e beige. Un accostamento terrificante, ma provate a dirlo alla sposa. Però c'era andata meglio che a Splinter e Bliss, intrappolate in strati e strati di tulle rosso sangue.
Mi avvicinai all'orecchio di Matt.
“Le hai mai viste tutte insieme?”
“Cosa?”
“Le groupie dei Muse.”
Mi guardò sorpreso.
“No”, disse, focalizzando improvvisamente cosa aspettavano i miei occhi puntati all'orizzonte.

 

Ho visto belle donne, spesso da lontano,
ognuno ha il proprio modo di tirarsele vicino.
Ho visto da vicino chi c'era da vedere,
e ho visto che l'amore cambia il modo di guardare.”
(Ligabue, Atto di fede.)

 

La prima che intercettai farsi largo tra le zie di chiunque fu lei.
Un paio di occhiali da sole enormi, i capelli lisci e castani che frullavano nel vento che si era alzato improvviso, ignorando il bonton di mia sorella, che gli stava rimproverando la scostumatezza di presentarsi così inatteso a rovinare i capelli degli invitati.
Mi aveva visto appena scesa dalla macchina, o forse aveva visto lui, fatto sta che stava venendo verso di me a passo marziale, non sorrideva, non muoveva un muscolo.
Si piantò davanti a noi, senza tradire la benchè minima emozione.
“Quanto tempo.”, le disse Bliss.
“Sempre troppo.”, rispose.
La indicai con un gesto della mano.
“Gentiluomini, Nishe.”
Si abbassò gli occhiali da sole per guardarli negli occhi con aria malandrina, facendo girare le strette di mano.
“Glastonbury 2004.”, informai.
“Mi ha pestato un piede.”, disse.
“Perchè tu mi avevi chiamata stronza.”, ribattei.
“Dopo che mi avevi pestato un piede.”, specificò.
“No, prima.”, la corressi.
“E' sufficiente.”, intervenne Splinter a fugare la discussione sventolando tra noi il ventaglio.
“Quale onore conoscere finalmente il controverso fidanzato della mia vecchia amica Ria.”, chiosò, ironica, guardando Matt.
Si studiarono a vicenda, per nulla intimiditi l'uno dall'altra.
“Oh Tea.”, gridò Bliss, in direzione di una cascata di boccoli biondi poco lontano che si guardava intorno spaesata.
“Vestita come la fata turchina.”, commentai.
Anche Nishe si voltò a guardare.
“GoodGoneTea, una volta.”, sussurrai.
Tea ci localizzò e ci venne incontro.
Fleur puntò un indice lungo a una ragazza con le trecce, poco più giovane di noi, che guardava Fiorellino.
“Bells!”, articolò. Bells lo sentì, agitò una mano e anche lei venne verso di noi.
Non tradivano emozione, non erano destabilizzate dalle visioni, né in alcun modo si sentivano intimorite. Delle professioniste.
Evey Zonk maledisse una montagnella d'erba che la fissò terrorizzata, inciampando in un tacco.
“Ehilà, gente.”, ci salutò.
“Ma Trillow dov'è?”
“E' là, sta arrivando insieme alla tua Lady.”
I Muse cominciarono ad accusare una lieve confusione.
“C'è anche The Goddess. Kid, poi, credo. Ehy, ma quella è Hysteria? Ha cambiato capelli?”, elencò soavemente Fleur, classificando giovani donne che arrivavano da ogni parte.
Ciao Matt, ciao Dom, ciao Chris, scusate i diminutivi e il “tu”, è che vi aspettavano da una vita. Scusate questa confidenza improvvisa e cementata chissà dove, abbiamo condiviso troppi eventi secolari per cascare nel baratro della forma.
“Lasciamo perdere l'elenco di tutti i concerti a cui ci siamo conosciute e che successivamente abbiamo visto insieme, rischiamo di distrarci dal motivo.”, disse Bells, abbracciandoli tutti e tre con lo sguardo, dolcemente.
“Il motivo?”, chiese conferma Dominic.
“Già. Siamo qui per un matrimonio.”
“E a questo proposito, non ho capito cosa devo fare.”, intervenne Nishe.
“E quando mai?”, la presi in giro, beccandomi un'occhiata di sfida.
“E' bello.”
Si zittirono tutti, voltandosi verso Matt.
“E' bello vedervi qui tutte insieme. E' emozionante, in un certo senso. Non sono sicuro di quale sia la parola adatta.”
“Importante?”, suggerii.
Mi lanciò uno sguardo di approvazione.
“Importante, sì.”
Mi sentivo inibita anche solo a sfiorarlo, sotto i loro occhi. Era come se due realtà parallele ma distanti nello spazio e nel tempo finalmente collidessero, dando vita a una chimica impossibile. La chimica del desiderio esaurito, del sogno alle spalle. Della realtà, di gran lunga più straordinaria di come l'avremmo mai interpretata. Naturalmente, non avevo permesso che nessuna di loro apprendesse della questione con Matt dai giornali.
A proposito di giornali, reporter vestiti in modo anonimo si approssimarono da lontano, portati dall'onda di Danny Trillow e qualche nostra vecchia amica ancora nel giro. Ne ero fuori anche io, a quel punto. Nessuna di noi ballava più sotto il palco, scuoteva la testa davanti alle proposte dei roadie. Mi chiesi se le nuove leve erano in grado di fare ciò che facevamo noi. Mi chiesi che fine avevano fatto le mie vecchie amiche che non riguardavano i Muse, forse anche loro già in pensione, pure se ancora palesemente sotto i trenta?
Mi chiusi in un risentito mutismo senza alcuno scopo particolare. Matt mi gettò un'occhiata in tralice, sentendo odore di nostalgia e tristezza, con quella tipica sensibilità intuitiva e partecipe che sfoderano gli uomini quando il tuo problema non sono loro. Sono tutti e tre là, Matt, Dom e Chris, senza gli strumenti e i vestiti sgargianti, con noi spersi intorno, universi in netta collisione, le catene invisibili dei legami oscuri e inspiegabili ben serrate intorno a tutti quanti. Era dai tempi di Jimmy Page e i Led Zeppelin che quel fortunato fotografo coi capelli blu non si trovava davanti a una scena del genere, e infatti era incredulo, davanti allo spettacolo inatteso che si ritrovava a documentare. Una giornalista che conoscevo più o meno si scontrò con i miei occhi, chiamandomi come nessuno mi chiamava più. “Possiamo farvi una foto, Capitano?”
“A chi precisamente, Lullaby?”
La giornalista saltò sul posto, incredula.
Poi si ricompose.
“Conosci il mio nome, Capitano.”
“E tu il mio.”
Bliss si frappose tra Dom e Matt, accanto a me.
“No one of us was known with her real name, in the industry.”
Sentire il suono chiaro e antico di “in the industry”, imparato da Pamela Des Barres, mi fece sentire la gloria di nuovo dietro le spalle.
“Gli artisti che seguiamo forse è raro che ci conoscano, ma tra di noi ci conosciamo tutte.”, dissi a Matt, senza staccare gli occhi da quelli di Lullaby.
“Allora, Capitano?”, incalzò la giornalista.
“Ne manca una, veramente.”
“No, sono qua.”
Mi sentii afferrare alle spalle e scoppiai a ridere. Poi una mano si tese tra me e Matt.
“Piacere.”
Matt la strinse, e le sorrise.
“Piacere mio.”
Guardai Lullaby.
“Erika Heineken.”
“Mi ricordo.”
Mi voltai verso Bliss, che fischiò come sapeva fare solo lei, e come faceva davanti alle transenne. Le nostre amiche e colleghe si zittirono di colpo e si voltarono a guardare me.
“A te va bene?”, chiesi a Matt.
“A noi va bene.”, intervenne Dom, guardando il migliore amico come se da un momento all'altro potesse esplodere.
“Certo.”, mi concesse Matt.
“E' un po' surreale, non credi?”, mi strizzò l'occhio Evey Zonk, posizionandosi accanto a me.
Sospirai.
“Cosa, esattamente?”
“Una foto così. Adesso.”
“Non si smette mai di essere ciò che si è, Zonk. Lo dovresti sapere meglio di tutti, qui in mezzo.”
“Mi sa che mi hai superata.”
“Siete ancora capaci di mettervi in posa?”, chiesi, alzando la voce, con un sorriso intrappolato tra le corde vocali.
Matt al centro, tra Chris e Dom, e noi, con l'eleganza che avevamo sempre avuto, in memoria dei vecchi viaggi, a cazzeggiare intorno in pose assurde. Catturata nell'aria una vecchia felicità, strattonai Erika Heineken per la mano e praticamente rovesciammo Matt e qualche altra di noi cascando per terra, sotto gli occhi divertiti di tutti gli altri.
Flash.

 

Be careful on what you wish,
because you just might get it.”

(The Pussycat Dolls.)

 

To walk down the isle, dicono gli inglesi.
Affiancavo Chris alla postazione dei testimoni, ci stavamo abbracciando a beneficio dei fotografi che schizzavano qui e là cercando di rendersi invisibili, operazione facilitata da una chiesa sconsacrata che era un trionfo di drappi rossi. In prima fila, Dom, Matt, Bliss, Splinter, Brian Molko e Fleur fissavano l'altare, dietro cui sarebbe apparsa la persona che doveva officiare la funzione. C'era voluto un viavai di permessi oltreoceanici per autorizzare quella follia, ma devo dire che era riuscita proprio bene.
Rivolta verso l'ingresso, mi aspettavo l'arrivo trafelato ed emozionato dello sposo, e invece si materializzarono The Rev e Johnny Christ, in evidente e palese ritardo. Alzandomi l'orlo del vestito, un po' impedita dai tacchi – che detestavo, nel caso non si fosse capito -, zompettai verso di loro, arrivando a un palmo dal naso di The Rev.
“C'era traffico.”, si giustificò, interdetto.
“Sei un coglione.”, lo informai.
“Sei bella, Ria.”
“Anche tu ti mantieni, Johnny. Dov'è Brian?”
“Eh, praticamente...”
“Jimmy.”, ammonii The Rev, “Stringi, per cortesia. Dov'è?”
“Niente, qua fuori. Stava un attimo litigando con...”
Sbuffai all'aria, “Andate a sedervi!”, gli urlai, facendo sussultare entrambi. Qualcuno sollevò una risata all'indirizzo dei due irsuti e coriacei metallari, ammoniti severamente da una ragazzina evidentemente in ansia.
“Dove?”, mi domandò Rev.
“Là, dove c'è Matt. Lo vedi Matt?”
“Bellamy?”
“Ma quale Bellamy, Shadows, il tuo cantante, te lo ricordi il tuo cantante? Là!”, dissi, puntando un indice a braccio teso a una panca in terza fila, da cui Matt Shadows mi rivolse un sorriso incerto.
Matt, quello Bellamy, seguiva i miei movimenti tradendo una certa confusione.
Intercettai Brian poco fuori dalla chiesa, senza minimamente identificare quello con cui stava parlando, e lo trascinai per un braccio lungo la navata.
“Non avrei mai pensato di portarti all'altare.”, disse, piuttosto ad alta voce, beccandosi un'occhiataccia.
“Siediti, cretino.”
“Ma stavo parlando...”
“Ma niente. Niente ma.”
The Rev gli diede una pacca sulla spalla, e io riguadagnai velocemente il mio posto accanto a Chris.
Finalmente, sulla soglia della navata, apparve lo sposo.
Synyster stirò uno sguardo indeciso alla pancia di Bliss, la quale la coprì con una mano, come a dire cosa vuoi.
Lo sposo, rosso in viso, ci sorrise, si sistemò la cravatta, e si voltò verso l'ex tabernacolo.
In un impeccabile abito rosso come i suoi capelli, l'officiante della funzione guadagnò la scena, con un fragoroso applauso.
Bliss e Splinter lasciarono le panche per sfilare a passo deciso verso l'uscita, attraverso la navata laterale. Mio padre e Morris alzarono gli occhi all'unisono, intrappolati tra Gertrude, Vivienne Westwood e Pluggie.
Pamela Des Barres, l'officiante, alzò entrambe le mani per sedare l'ovazione, e chiuse gli occhi un paio di volte. Poi guardò me e Chris.
“L'uno di fronte all'altro, per favore.”
Io e Chris obbedimmo, rapiti.
“Preferirei aveste i vostri compagni al fianco.”
Fiorellino guadagnò il braccio di Chris, sorridendo luminosa.
“Anche lei, Capitano.”, mi disse, trapassandomi con i suoi occhi azzurri la leggendaria Miss Pamela.
Le sorrisi, per come mi aveva chiamata.
Mi voltai verso Matt, e gli tesi una mano.
Lui mi sorrise, si alzò, uscì dalla panca e la prese, fermandosi accanto a me.
“Scusate, solito problema.”, dissi, togliendomi le scarpe con grazia. Le prese Fleur, e Matt mi gettò un'occhiata divertita, come a dire, sei sempre la solita.
Flash su flash. Che diletto ci troveranno questi a fotografare un testimone degli sposi scalzo.
Poi Matt alzò un pollice in direzione dello sposo, come a dirgli “vai alla grande, amico”.
Due secondi dopo, le familiari note di Knockin' on Heaven's Door si sparsero per tutta la chiesa, mentre le damigelle d'onore, sorridenti, facevano da apripista spargendo petali di rosa rossa sul tappeto bianco che portava fino all'altare. Dietro di loro, in fila per due, tutte le groupie dei Muse con cui avevamo fatto la foto, altere e commosse, che gettavano sguardi emozionati l'una all'altra e sulla folla in piedi. Una ad una, si posizionarono tutte dietro Miss Pamela, a fare da anfiteatro vivente, colorate, sorridenti, casiniste insolitamente silenziose.
Guardai Matt e Dom squadrarle, affascinati.
Poi, finalmente, la sposa, proprio sull'assolo di Slash che, mi accorsi con sorpresa, stava suonando in frac su un palco sopraelevato nella navata a sinistra, in mezzo al suo vecchio gruppo. Come diamine avevo fatto a non accorgermene prima non ebbi il tempo di chiedermelo, perchè la vidi avanzare, circonfusa da un alone di luce bianca, al braccio di Brian May, elegantissimo, con tutti quei capelli.
Era orfana di entrambi i genitori, per quello scriveva, mi diceva spesso.
E intanto era là, nel giorno più importante della sua vita, al braccio di chi le avrebbe fatto da padre per lo spazio di una navata.
Gettai un'occhiata significativa ad Erika Heineken, sapendo che era opera sua. Annuì impercettibilmente, facendo sì, sì, sono stata io, con quell'espressione di finta innocenza che avevo imparato così bene.
La sposa aveva un abito bianco (indovinate di chi.) lungo fino ai piedi senza spalline, e i capelli le ricadevano sciolti sulle spalle, ton sur ton con l'arredamento. Il bouquet di rose rosse aveva un che di dissacrante, che poi era la qualità che più amavo di lei.
Le ultime note della canzone dei Guns'n'Roses scemarono, e Miss Pamela guadagnò il suo posto.
“Amici, parenti, groupie e rockstar.”, iniziò, strappando sorrisi dovunque, “Siamo qui riuniti oggi per festeggiare questa irresponsabile decisione dei nostri amici Malaga Walsh e Tom Kirk.”
Risate cristalline puntellarono l'aria qui e là.
Matt mi strinse la mano.
“Lo faremo davanti agli occhi degli amici a cui hanno delegato il delicato compito di testimoniare, il mio bassista preferito, Christopher Wolstenholme con la sua bella moglie... - “Fiorellino.”, suggerì Bliss, e Pamela sorrise – Fiorellino, e la mia groupie preferita dopo Tura Satana, il Capitano Ria Montague, e il suo Matt Bellamy. Complimenti, tesoro.”
Eh, grazie, pensai.
Io e Matt ci guardammo e sorridemmo.
“E dietro le mie spalle, come potete notare da soli, ci sono queste splendide bambole dei Muse.”
Le bambole dei Muse salutarono, ironiche.
Non ero mai stata così fiera di loro, cosa che, infatti, non riuscivo a nascondere.
“E ora, se nessuno ha niente in contrario, direi che possiamo iniziare.”
“Prima, se permettete, però, vorrei dire una parola.”
Dal nulla, mi spuntò come una margherita un mal di testa che neanche avessi cercato di aprire a testate una porta blindata.
La sigla di un live degli Arcade Fire mi si infilò martellando nelle orecchie, anche se nessuna musica suonava nell'ambiente. L'intera platea di invitati si ovattò davanti ai miei occhi, mi aggrappai flebilmente alla manica di Matt per non cadere. Lui se ne accorse, e cercò preoccupato nei miei occhi la risposta a una domanda muta. Organizzai un tentativo di sorriso, riprendendomi un po', e per poco non mi arrivò in faccia il ventaglio che mi aveva lanciato Splinter, notando i miei barcollamenti: ancora una volta, Matt mi salvò afferrandolo al volo, per poi porgermelo, gentilmente.
Sventolandomi, mi voltai verso il pulpito, su cui Erika Heineken faceva bella mostra del suo vestito color magenta, abbracciando la folla con sguardi ironici.
“Una volta eravamo a casa di Bliss e c'eravamo ubriacate col vino del signor Morrissey, quello gran riserva, ed eravamo su un canale di musica... Il giorno dopo dovevamo partire per andare a un festival, quindi avevamo deciso di passare l'ultima notte a casa completamente ciucche, giustamente. Comunque, a un certo punto parte il video di Feeling Good, credo, e solitamente calava un silenzio religioso quando c'erano i Muse in tv o per radio, comprensibilmente, ne converrete... ma io c'ho st'immagine stampata in testa di Ria che salta in piedi sul divano che canta a squarciagola
This ain't a love song, this is goodbye sovrastando Matt. L'ha cantata tutta a cappella, col bicchiere in mano che accusava i movimenti convulsi che lei faceva provocando piccoli tsunami di vino bianco che rischiavano di benedire i presenti e il salotto. E noi le andavamo dietro, battendole le mani e facendole il coro. Lei conosceva tutto il testo, erano quelle sue fisse un po' indie che non l'hanno mai abbandonata, noi no, invece. Comunque, c'era questa ragazza che strillava a un televisore and I'm a little bit lost without you, and I'm a bloody big mess inside e altre cose che francamente ora non ricordo. Comunque c'erano Bliss e Mash in un angolo, sedute, che facevano girare il vino nei bicchieri, e Bliss chiese: 'Secondo te canteremo mai sul serio davanti a Matthew?' e Mash scoppiò a ridere e rispose: 'Certo, il giorno che avremo la possibilità di fare una cosa del genere io mi sposo...', e non riusciva a trovare qualcuno di abbastanza assurdo da abbinare. Così io le suggerii: Tom Kirk. E lei disse, ecco, mi sposo Tom Kirk. Quindi, Capitano, mi sa che oggi ci tocca cantare. E a te, Mash, mi sa che ti tocca sposarti Tom Kirk.”
Fleur si alzò in piedi e gridò un “brava!” che fece riecheggiare applausi, risate e fischi per tutta la chiesa.

Si voltarono tutti, all'improvviso, verso di me.
“Va bene, va bene, è ovvio che cantiamo. E' una roba così assurda che bisogna dargli il giusto finale, mi pare ovvio. Comunque me lo ricordavo benissimo, e speravo vivamente di essere l'unica.”, dissi.
Lei mi fece no-no col ditino.
Le sillabai un vaffanculo a fior di labbra, e poi le sorrisi.
Lei lanciò un bacio all'indirizzo di Mash, e rientrò nelle file, accompagnata da un applauso dolce.
“Che figura di merda.”, sussurrai a Matt.
“Siete strabilianti. Roba che manco gli alieni.”
E certo che avremmo cantato.
Se c'arrivavo viva.

 

Come fai a far vedere la realtà dietro un velo?
Le metti una luce dietro, almeno l'ombra si dovrebbe vedere.”
(Erika Heineken.)

 

Funzione mediamente delirante celebrata da una Pamela Des Barres in splendida forma.
Uscita dalla chiesa segnata dal riso arborio arrivato violentemente negli occhi di entrambi gli sposi.
Regali mediamente assurdi, tra cui sette notti a Las Vegas in una suite stile mondo sottomarino, brillantissima idea di Dominic.
Tom con due occhiaie che facevano spavento, nonostante tutti poi gli avevano spaccato la schiena con violenti schiaffoni dicendo che, minchia, stava proprio bene.
Mash che a un certo punto si voltò, guardinga.
Un cirrocumulo di donne variopinte si precipitò a posizionarsi nella linea di tiro.
“E ora!”, sentenziò, teatrale “Lancio il bouquet.”
Le contendenti squittirono deliziate.
Distolsi gli occhi per evitarmi quello spettacolo agghiacciante, con il solo risultato di rischiare di finire a terra per l'impatto violentissimo della mia testa contro qualcosa di nerboruto e friabile.
“Ria!”, ululò Fiorellino, sfondando il muro del suono, “Hai preso il bouquet!”
“Per essere precisi, è il bouquet che ha preso me.”, rettificai, massaggiandomi la testa. Comunque, raccolsi i fiori e li mostrai a Matt, come per dire, hai visto, ma Matt avvampò, e improvvisamente non lo vidi più, inghiottito da un nugolo di gente che lo informava minacciosamente che era il prossimo. Quando lo liberarono, mi sorrise dolcemente, e io mi girai il mazzo di fiori in mano scrutandolo con attenzione. “Non c'è mica scritto 'Matt' da qualche parte, qui.”
Rise. “Perchè, avevi in mente qualcun altro?”
“Perchè, tu avevi qualche vaga intenzione di sposarmi, scusa?”
“E chi altri credi che ti sposerebbe?”
“Stai insinuando che non sono una donna da sposare, per caso?”
“Solo se tu stai insinuando che, semmai dovessi sposarti, non sposeresti me.”
“E dopo che ci siamo sposati cosa facciamo?”
Si strinse nelle spalle, con un lampo di inguaribile ironia negli occhi.
“Quello che fanno tutti. Un figlio.”
Ci guardammo e neanche il tempo di contare fino a zero eravamo già piegati in due dalle risate.
“Cosa fate?”, cinguettò Mash, apparendo tra noi in tutta la sua efebica bellezza.
“Progettiamo di mettere al mondo un mitomane dissociato e sociopatico, con uno spiccatissimo talento che lo tormenterà fino alla fine dei tempi. Tu?”
“Mah, io mi sono appena sposata con Tom Kirk.”
La abbracciai stretta.
“Sono fiera di te.”
“E io lo sono di te.”
Ci sorridemmo, poi occhieggiai malamente l'allestimento di un palco su un angolo del prato.
“Si balla?”, chiesi, innocentemente, mentre Mash si lasciava stringere da Matt.
“E si canta.”, aggiunse lei, sarcastica.
Sospirai, rassegnata.
E come no.

 

In realtà io nutro un grandissimo rispetto nei confronti delle groupies.
Dipende da cosa intendi per 'groupie'.
E non sto parlando di donne che vogliono sesso e basta,
ma di persone che ti stanno intorno e hanno voglia di divertirsi.
Quelle ragazze trasformano l'esperienza del tour in momenti da ricordare,
e non c'è proprio niente di male in questo.
La gente ne ha cambiato il significato,
facendole passare per donne di malaffare negli ultimi dieci anni.
Ma quando parlo delle groupies, non mi riferisco al sesso.”
(Matthew Bellamy, NME.)

 

Mash inciampava nell'abito da sposa, e io litigavo con Erika Heineken.
“Senti, Heinekrapfen, qui si parlava di cantare, non di suonare.”
“E invece già che siamo qua facciamo tutte e due le cose.”
“Ma non penso proprio.”
Splinter fece svolazzare il ventaglio un po' in giro, per allentare la tensione, a uso bacchetta magica. La guardammo leggermente stranite.
Sbuffai, e scesi dal palco, trascinandomi dietro Erika Heineken.
“Non abbiamo gli strumenti.”
“Abbiamo la batteria e il basso già sul palco.”
“Appunto, e per fare quello che vuoi fare tu ci vogliono due chitarre.”
“Ve le do io.”
“Prego?”
Mi voltai verso Matt.
“Ho detto che ve le do io, le chitarre. Erika, prendi pure la mia Glitterati. E tu prendi la mia Manson nera.”
Incrociai le braccia sbuffando, ma sorridevo.
Mi diede un bacio a fior di labbra.
“Forza. Fammi vedere che sai fare.”
“Non mettermi ansia.”
“Cos'è tutto questo panico da palcoscenico?”, mi canzonò, accarezzandomi i capelli.
“Ho imparato dal migliore.”, gli risposi, dandogli un bacio sul naso.
E lo lasciai lì, a sorridere, mentre Erika mi porgeva la chitarra nera.
“Senti, fai tu la lead guitar.”
“Non ci provare, ce la giochiamo col tocco.”
Fece lei la prima chitarra.
Ci assiepammo tutte dietro il palco, mentre già si sentiva il pubblico scaldarsi.
“Cosa facciamo, allora?”
Bliss fece roteare le bacchette della batteria.
“Io sono incinta, non fatemi fare le capriole come Stewart Copeland.”
“E ricordatevi che io non sono Cliff Burton.”, intervenne, accordando il basso, Splinter. Un po' impedita dal vestito.
“Dove cazzo è il charleston?”, domandò Bliss, interdetta.
“Hein, non mettere la mano sopra il kaos pad che se ne cade la chiesa.”
“Perchè non facciamo Knights of Cydonia?”
“E certo, ma perchè non direttamente i Dragonforce?”
“Eh, arrangiamo una mazurka al volo, che ne dite?”
“Basta litigare, ragioniamo.”
“Ok. Ce l'abbiamo una tastiera?”, intervenni.
Si zittirono tutte, come un branco di piccioni davanti a un sacchetto di briciole di pane.
“Non so. Domando.”, mi rispose Mash, che si affacciò di tre quarti sul palco e venne investita da un applauso roboante.
“Scusate, volevo solo sapere da mio marito se c'è una tastiera in giro.”
“Te la trovo subito.”, le rispose prontamente Tom.
“Ma cosa vuoi fare?”, mentre aspettavamo.
“Hold the Line dei Toto.”, dissi.
“Che?”, corale.
“Perfetto. Vedete, che come coro funzioniamo.”, aggiunsi.
“Mash sta alle tastiere. La facciamo a doppia chitarra, ci mettiamo due assoli, uno il Capitano e l'altro Heineken. L'importante è che Splinter e Bliss ci vengono dietro con bassline e batteria. Il ritornello tutte insieme. E qualche improvvisazione di mezzo ai microfoni. Ce la facciamo?”, intervenne Hysteria, l'unica con un minimo di organizzazione mentale apprezzabile, che infatti di solito prenotava i biglietti aerei e gli alberghi.. E, in mancanza di biglietti aerei e alberghi, allestiva al millimetro in quattro e quattr'otto esibizioni ai matrimoni.
“Aspettate un attimo.”, intervenne Bells, “Non abbiamo mica intenzione di metterci pure a ballare?”

 

It's not in the way you've been treating my friends.”
(Toto, Hold the line.)

 

Salimmo sul palco, abiti eleganti e chitarre a tracolla. Io ed Erika ci gettammo un'occhiata significativa, guadagnando il proscenio. Ci eravamo disposte a gruppetti, dietro ogni strumento musicale e annessi microfoni. Sentii i quattro colpi di bacchette da parte di Bliss, alla batteria, e sospirando iniziammo a suonare.
E poi fu il delirio. Chitarre indemoniate sugli assoli e le improvvisazioni, suonate spalla a spalla, piatti della batteria in vibrazione costante, un pubblico che ci siamo sentite, per un momento, davvero al Gods of Metal. Le abilissime dita di Mash vestita da sposa che massacravano la tastiera, e le voci che si scontravano a mezz'aria creando melodie di cui non eravamo certo consce di essere capaci. Un basso
commovente. Un'esibizione
vibrante. Una parte a doppia chitarra davanti alla quale ci levammo la soddisfazione delle bocche semiaperte di Bellamy, Gates, Slash, e qualche altro illustre chitarrista che realizzava la chimica donna+chitarra come esistente, contrariamente a quanto pensava l'opinione pubblica. I Toto, dovunque fossero, risorsero a nuova vita. Steccammo più di una volta, ma l'entusiasmo era tale che ce ne accorgemmo solo noi. Alla fine del brano, un applauso scrosciante ci accolse nell'olimpo momentaneo.
Vidi Matt fischiare con le dita sotto il palco, e mi strinsi accanto ad Heineken. Ci guardammo, reprimendo la tentazione di lanciare le chitarre addosso a Bliss per almeno due buoni motivi: primo, erano di Matt, e secondo, Bliss era abbastanza incinta.
Ma, quel che più importa, è che Heineken si decise che era il momento di fare stage diving e si buttò a braccia aperte di spalle tra la folla, atterrando poi, alla fine, esattamente tra le braccia di Brian May, sfiorando l'angina pectoris per la sorpresa.
Io repressi un infarto e andai ad abbracciare Matt, mentre un coro di urla sconnesse che includeva “evviva gli sposi” fece effetto onda d'urto per tutto il prato.
“Sono fiero di te, bambina.”
“Grazie.”
“E non sapevo che sapessi suonare la chitarra.”
“Non ho fatto niente di particolarmente complicato.”
“Ciò non toglie che io pensavo strimpellassi appena.”
“Tu pensi sempre un sacco, Matt, e spesso a vanvera.”, gli dissi, schioccandogli un bacio.
Poi mi abbracciai Bells, scompigliandole i capelli, e le feci i miei migliori complimenti per l'acuto con cui aveva spaccato le vetrate della chiesa.
“Come ti sei sentito?”, chiesi poi a Matt.
“A fare che?”
“A fare la groupie tu, per una volta.”
Scoppiò a ridere, abbracciando sia me che Bells.
“Voi siete pazze.”
“E siamo pure maledettamente brave.”, lo bacchettò scherzosamente lei.
“Mai detto il contrario.”, le rispose.
“Sì, adesso però andiamo a mangiare e facciamo suonare qualcun altro.”, conclusi.
E tutti e tre, sottobraccio, ci avviammo verso il lunghissimo tavolo sotto il gazebo.
“Ma il navigatore satellitare per trovare i posti?”, commentò Bliss, spuntando alla mia sinistra, mentre tutti fissavamo un piatto con su scritto: “Steven Tyler.”
“Nessuno di noi è Steven Tyler.”, soggiunsi, da brava capitan ovvio.
Un solerte cameriere smise di fare l'occhiolino a Fleur e ci venne in aiuto.
Accogliemmo commossi l'arrivo degli stuzzichini al salmone.
Mentre ci mettevamo a sedere, lo sentii chiaramente, quello stronzo che canticchiava, guardandomi di sbieco.
“Fleur.”, lo ammonii, severamente.
Mi ignorò, e continuò a cantare, eloquente.

Hold the line, love isn't always on time.

 

All'amore, io, non ho mai chiesto di salvarmi la vita.
Mi è bastato che ci fosse quando ne sentivo la mancanza,
che non mi abbandonasse.
Anche quand'era sgangherato e ridicolo,
non l'ho mai lasciato andare.”
(Vincenzo Malinconico.)

 

La sera scendeva in un tripudio di sfumature del blu, rendendo all'umanità il disservizio di avviarsi alla notte a costo zero, senza alcuna implicazione secondaria, archiviati tutti i pensieri.
Da lontano vidi mio padre che si sbracciava per attirare la mia attenzione, con quella tempestività atroce a frantumare la quiete altrui, ma lo ignorai, perchè ero concentrata sugli zigomi di Matt, piegati in un sorriso.
Improvvisamente, gli squillò il telefono (in evidente combutta con mio padre e la sua crociata contro il diritto degli altri di vivere senza le sue interruzioni), e io gli stavo pericolosamente addosso, a rischio di sembrare indiscreta. Non potevo, però, spostarmi, perchè eravamo accerchiati da vecchi amici. Sfilò l'iPhone dalla tasca dei pantaloni sbuffando di fastidio, per controllare il mittente, offrendomi una visuale involontaria dello sfondo del display. Mi si accese un sorriso di pura tenerezza. Dormivo abbracciata al cuscino, presumibilmente nuda, con le lenzuola bianche attorcigliate addosso e i capelli spettinati, le braccia scoperte che finivano nelle mani su cui avevo ancora gli anelli. Si aggiustò i capelli, sorridendomi a sua volta.
“Questa quando me l'hai scattata?”
“Hai intenzione di rispondere?”, mi chiese, glissando la mia domanda.
Uscii dalla trance focalizzando il nome del mittente.

John Montague.
Ma è scemo?
“Papà?”
“No tesoro, sono Morris.”
“Non potevi chiamarmi sul mio?”
“Ci ho provato, non rispondi.”
“Non potevi chiamare Bliss?”
“Ho pensato fosse più probabile trovarti con Matt.”
“E da dove è uscita tutta questa delicatezza?”
“Ricordati che ti ho vista crescere e ti conosco bene.”
“Questo è fuori da ogni dubbio, mi pare.”
Sorrisi.
“Cosa c'è?”, mi sembrò il caso di chiedere.
“Ti devo parlare. Puoi venire un attimo qui?”
“Certamente. Dov'è papà?”
“E' andato un attimo a controllare il regalo con Pluggie e Gertie.”
“Ma a proposito di cosa?”
“No, niente. Così, a scanso di equivoci.”
Attaccai, con un bruttissimo presagio di tempesta, e porsi il cellulare a Matt.
“Cosa voleva John?”
“Non era John. Era Morris.”
Mi fissò, interdetto.
“Mi vuole parlare un secondo.”
“A proposito di che?”
“Non saprei. A scanso di equivoci, ha detto.”
“A scanso di equivoci.”, ripetè Matt, quasi non riuscisse a focalizzare il nesso.
“Eh.”
Scansati, equivoco.

 

Io non ci tengo a sapere i fatti miei.”
(Vincenzo Malinconico.)

 

Cosa c'è?”
Mi piantai a braccia conserte, sfoggiando un piglio inquisitorio da Perry Mason.
“C'è una cosa di cui ho deciso di parlarti.”

Ho deciso, affermazione già di per sé sinistra, diventava ancora più sospettosa pronunciata davanti a due testimoni oculari che di solito nei processi all'intenzione venivano adoperati per farmi ragionare a freddo: Vivienne Westwood e Jimmy “The Rev” Sullivan.
“Dana sta per avere un figlio.”
Strabuzzai gli occhi, frastornata.
“Non sono un po' vecchia per un fratello minore.”, articolai, senza punto interrogativo.
Comunque complimenti per il panegirico e la delicatezza, volevo dire. Ma poi mi accorsi che c'era un pezzo mancante, nell'economia del discorso.
“E...?”, lo incoraggiai a continuare.
“Sta per avere un figlio nel senso che è incinta da circa tre mesi.”
“E...?”
“E non è di tuo padre.”
Sbattei le palpebre un paio di volte.
“Che vuol dire?”, chiesi, stupidamente.
“Che tuo padre anni e anni fa, quando ancora stava con me, quindi pensa, addirittura prima di Pluggie, ha subito una vasectomia, cosa che tu non sapevi.”, intervenne Vivienne.
“E quindi il bambino non può essere di tuo padre.”, precisò The Rev.
Li squadrai uno ad uno, realizzando improvvisamente dove volevano andare a parare.
“Dana sa della vasectomia?”
“No, e tuo padre non gliel'ha ancora detto. Siamo tutti un po' frastornati.”
“Mi associo. E ora mi dite cos'è che non mi state dicendo?”
Jimmy mi toccò un braccio, e io sorpassai piercings e eyeliner per fissarlo negli occhi, presagendo il perchè di quell'accortezza improvvisa.
“Tre mesi fa eravate tutti a quel concerto compresa Splinter, e Dana era venuta ad avvisarti dei propositi di matrimonio. Quando tornò a casa, andò di corsa da Gertie a confessarle, tra le lacrime, che era stata di nuovo a letto con Matt. Era molto scossa.”, chiosò Morris, quasi strizzando gli occhi in attesa della mia reazione.
Non so perchè ci aveva tenuto a specificare quanto fosse scossa. Dubito si aspettasse un qualche tipo di partecipazione umana da parte mia allo stato d'animo di Dana, comunque. Spero.
“Quindi.”, articolai, atona.
Jimmy manifestò evidente preoccupazione accendendosi una sigaretta volante.
Bliss si materializzò dal buio accanto a noi.
“C'è un vertice ONU?”
“Dana è incinta, e probabilmente il padre è Matt, dato che mio padre ha subito anni or sono una vasectomia di cui nessuno era a conoscenza a parte i qui presenti.”, le riassunsi, guardandola.
Al che anche lei sbattè le ciglia.
“Però.”, commentò.
“Dice che quando siamo state al festival con Splinter e lei è venuta ad avvertirci delle imminenti campane a festa è stata di nuovo a letto con Matt.”
“E chi lo dice?”
“Gertrude sostiene che, tornata a casa, sia corsa da lei in lacrime per confessarglielo.”
“E dov'è Gertrude?”
“Con papà e Pluggie a controllare non so a che proposito il regalo di nozze di Mash e Tom.”
Gli altri tre seguirono il nostro ping pong verbale con vivo interesse.
“Vai a chiamare Splinter, per favore.”, le chiesi, asciutta.
“Subito.”, disse, e si dileguò.
“Posso conferire un attimo privatamente con Jimmy, per cortesia?”
Morris e Vivienne saltarono sul posto, poi annuirono grevi, e sparirono nel buio con i bicchieri in mano.
Afferrai The Rev per il bavero della giacca e lo trascinai verso gli alberi, schienandomi da sola a un tronco e attirandolo il più vicino possibile, per fugare eventuale gente dal venirsi ad unire a noi credendoci lì a fare salotto.
“Cosa ne pensi?”
“Penso che dovresti chiedere a Matt.”
“Senz'altro, ovviamente, ma io intendevo un po' più alla larga.”
Mi guardò confuso, cosa non facile visti il buio semipesto e la distanza-bacio tra di noi che rendeva il viso dell'altro leggermente sfocato.
“Spiegati meglio.”
“E' vera questa storia della vasectomia?”
“Io non la sapevo. Mi ha chiamato Vivienne e mi ha raccontato tutto, chiedendomi se secondo me era il caso di parlarti o meno. Morris non voleva, ma lei gli ha detto che avevi il diritto di sapere se il tuo fidanzato stava per avere il figlio di un'altra.”
“E a Vivienne chi gliel'ha detto?”
“Morris. E a Morris lo ha detto Gertrude, alla quale lo ha detto Danette.”
“Colgo un'inquietante somiglianza col gioco del telefono. Papà che dice?”
“E che ne so? A Danette non ha detto niente della vasectomia, comunque, e sta decidendo cosa fare.”
“Mio padre che decide cosa fare? Ma siete impazziti tutti?”
Sorrise, e si puntellò con un braccio sulla corteccia sopra la mia spalla per non perdere l'equilibrio preservando la distanza cospiratoria.
“Disturbo?”
Il tono asciutto e invadente della domanda scaturì un “sì” secco sia da parte mia che da parte di The Rev prima ancora che potessimo focalizzare l'interlocutore.
“Immaginavo. Allora me ne vado, non c'è problema.”, disse Matt, ancora più secco di noi.
Focalizzai di colpo.
Lo afferrai per un braccio, e lui si voltò a guardarmi gelido.
“Non volevo interromperti.”, mi disse, sprezzante.
Scoppiai a ridere e lui mi guardò, incerto se essere più sorpreso o incazzato.
“Addirittura.”, commentò, metallico.
Scoccò un'occhiata piena di disprezzo a The Rev.
“Vedo con piacere che ti fidi di me.”, gli dissi, tenendo il punto.
“E' un po' difficile, se ti vedo appoggiata a un albero con un tizio addosso che praticamente respira dalla tua bocca, in un luogo appartato. Tizio che, se non ricordo male, è lo stesso che ti stringeva tra le braccia in mezzo ai veli alla tua festa di compleanno l'anno scorso. O sbaglio?”
“Ottimo occhio.”
“Ed è pure l'amico di quello che ha mandato a carte quarantotto la salute mentale del mio migliore amico, quello di cui tuttora sospetto sia innamorata Bliss, di quel gruppo con cui ci svegliò nel tourbus uno dei primi giorni che ci frequentavamo. Quelli della tarantella metal.”
“Già, e pensa che Bliss non lo sapeva neanche.”
“Cosa?”
“Che The Rev suonasse in quel gruppo.”
“E questo che c'entra?”
“Niente, è solo che c'è stata una sequela di problemi tra me e Bliss perchè lei ha dovuto scoprire da sola che The Rev suonava negli Avenged Sevenfold, e in cambio successivamente non mi ha detto che aveva una storia con Synyster, com'è caratteristica precipua di tutti i Morrissey, occhio per occhio, dente per dente.”
“Stiamo divagando.”, mi corresse Matt, ancora sull'orlo di una crisi di gelosia.
“Direi di no, perchè questo ci riporta alla domanda cardine, ovvero che ne sapevo io che The Rev suonasse negli Avenged.”
“Come lo sapevi?”, mi incalzò, spostando gli occhi tra me e The Rev, in attesa di uno spunto per esplodere.
Sospirai.
“Non credo di avervi mai presentati. Jimmy, ti presento Matt Bellamy, il mio fidanzato.”
Matt non mosse un muscolo, ma gli rivolse uno sguardo carico di disprezzo.
“Matt, lui qualche volta è The Reverend Tholomew Plague, ma normalmente è Jimmy Sullivan.”, dissi, poi lo qualificai. “Mio cugino.”
L'espressione di Matt mutò di colpo, inghiottita dalla sorpresa.
“Mio cugino.”, ricalcai il concetto, “Il figlio della sorella della mia defunta madre.”
Mio cugino, estremamente divertito, gli tese la mano, confermando a tutti di essere rimasto il solito coglione nonostante la trentina in arrivo.
Matt la strinse, meccanicamente.
“Ciao, piacere, scusate.”, disse, in rapida sequenza.
“Che figura di merda.”, aggiunse.
“Io oggi ho cantato, siamo pari.”, gli strizzai l'occhio.
“Non preoccuparti, amico, non lo dirò a nessuno. E poi io avrei fatto la stessa cosa, al posto tuo.”
“No, tu avresti preso a menare direttamente come un mulino infuriato.”, lo corressi.
“Quanto sei puntigliosa.”
“Menomale che c'è Matt che è una persona matura.”
“Che se la tiravi un po' più per le lunghe mi assestava una craniata sul setto nasale che ci ricordavamo tutti il matrimonio.”, mi corresse lui.
Sospirai.
“Ma dove eravate?”, starnazzò Splinter, sbucando dall'oscurità.
“Cosa c'è, una riunione di elfi dei boschi?”, domandò Bliss, apparendo anche lei.
Dietro di loro, Dominic, più o meno ubriaco.
“Fantastico, ci siamo tutti. Bliss, vieni qua. Voi due”, dissi, spostando l'indice tra Splinter e Jimmy, “fate la parte neutrale.”
“Ria.”, mi ammonì Bliss.
“Sì.”
“Sii educata e urbana. Te ne prego.”
Matt intuì velocemente la natura della riunione di elfi dei boschi.
“Che altro è successo?”
Piantai gli occhi nei suoi.
“Ti ricordi l'ultimo festival a cui siamo stati? Tre mesi fa?”
Fece mente locale.
“Sì.”
Guardai Bliss, che mi sfiorò lo sguardo, incoraggiante.
“Bene. Sei stato di nuovo a letto con Dana?”
Matt spalancò gli occhi.
“Come?”
Mi avvicinai a lui, serrando i nostri occhi in una morsa da cui era impossibile scappare, e feci appello al coraggio che non avevo.

“Sei stato di nuovo a letto con Dana?”

 

I don't wanna know.”
(Milow, I don't wanna know.)

 

Cercò lo sguardo di Dominic per un secondo, che istintivamente gli si fece più vicino.
Sospirò.
“Dopo che mi si è stampata addosso tu te la sei presa a morte, e mi hai trattato malissimo, se ben ricordo.”
Questo è quel che si dice mettere le mani avanti.
“Dopo che sei sparita con Splinter e Bliss, e poi vi ha raggiunto anche Fleur, Dominic mi ha rincorso per tutta la location e mi ha trovato che parlavo con Brian, cercando di fare il punto della situazione. Ma sapevo benissimo che avevi tutte le ragioni per non fidarti di me, anche se ero piuttosto ossessionato dall'idea che tu vedessi ancora Billie Joe.”
Continuai a guardarlo.
“Io e te ci siamo rivisti solo il giorno dopo, quando ci siamo guardati, ci siamo abbracciati e non ci siamo detti niente, a parte... Vabbè, non è importante. Comunque, ho passato la serata con Dom e Brian.”
E quindi.
“E quindi no, non sono stato a letto con Dana. L'ultima volta che l'ho vista, c'eri tu con me.”
Guardai Dominic.
“Va bene.”
All'improvviso, mi sentii addosso una pioggia di occhi. Sgradevolissima.
“Cosa?”
“Ho detto va bene.”
“Tutto qui?”
“Dovevamo scomodare Scotland Yard?”, mi informai, un po' infastidita dalla loro incredulità di fronte al rito abbreviato con cui avevo assolto l'imputato da tutte le colpe.
Rivolsi un ultimo sguardo a Matt, e poi lo sorpassai senza dire una parola, seguita a stretto raggio da Dominic.
“...mia cugina ha solo bisogno di un attimo per...”, sentii giusto dire a Jimmy, che solitamente non mi qualificava mai, rimarcando l'assurdità dell'ennesima situazione, prima di franare addosso al batterista e lasciare che mi coprisse la testa con le braccia, di modo che non dovessi più sentire niente. Mai più.

 

Stamattina camminando a testa bassa ho inavvertitamente investito una sposa.”
“Gesù. E poi che hai fatto?”
“E che dovevo fare. Ho gridato 'evviva gli sposi' e me ne sono andata.”
(Milady - l'altra, 2009)

 

Milano, due giorni dopo.
“Non ce la facevo più.”
Fissai interdetta Dominic, che aveva fatto praticamente irruzione nella stanza, vedendomi con stupore restituire da lui uno sguardo esasperato.
“L'ho notato.”, commentai, guardandolo dal basso verso l'alto.
Mi fissò lui, come se non mi avesse mai vista prima, sinceramente sorpreso.
“Da cosa?”
“Dal fatto che sei piombato qui senza neanche bussare e che, nel qual caso non te ne fossi accorto, io sto facendo il bagno.”
Sbattè le palpebre un paio di volte, focalizzando la vasca da bagno piena di bolle con me dentro, che per fortuna, a parte le braccia appoggiate sui lati, testa-collo-principio delle spalle, e un ginocchio lucido di acqua e sapone, ero totalmente coperta dalla schiuma.
“Sei nuda?”, domandò.
“Perchè tu fai il bagno vestito?”, domandai.
“Hai ragione.”, ammise, dopo un sospiro.
Ci guardammo per alcuni secondi.
“Beh? Schiodi?”, lo incoraggiai, desiderando disperatamente di potermi muovere senza rischiare di svelarmi inavvertitamente. Mi si stava velocemente incriccando il collo.
Restò a fissarmi per interminabili attimi, inespressivo, come se cercasse di collegare i concetti vasca, bagno, Ria.
Poi disse: “Ho parlato con Bliss.”
Sbuffai, ridacchiando.
“Sei un adorabile figlio di puttana. Passami le sigarette e siediti.”
Mi sorrise.
“Non mi interessa mica la tua, di figa.”
“Come si vede che hai studiato ad Oxford.”
“Vero? Me lo diceva sempre, mia madre.”
Mi accesi una sigaretta e soffiai il fumo verso il soffitto.
“Veniamo al punto.”
“Chi mi dice che il bambino non sia di Synyster, Ria?”
Diretto come un cazzotto di Cassius Clay.
Lo guardai, senza rispondere.
“E' una domanda che ho fatto a lei per prima, ovviamente. E lei mi ha risposto 'te lo dico io'.”
“E tu cosa vuoi fare?”
Si mosse un po', seduto sul copriwater. Indimenticabile.
“Non lo so.”, ammise.
Tacemmo.
“Però io credo che tu sappia la verità.”, mi informò, scrutandomi il viso.
“Potrei dirti la stessa cosa a proposito di qualcun altro.”, lo gelai soave, distogliendo lo sguardo.
Ma non avevo la minima intenzione di parlarne.
“E' tutta la vita che stai dall'altra parte, Dom. Che sei tu quello di cui non ci si può fidare. Prima o poi arriva la contropartita a chiudere i conti, e ti ritrovi dalla parte sbagliata, all'improvviso. Non sai cosa fare, non ci sei abituato, e ti scopri ancora più ossessivo e irrazionale di quelle che schernivi se facevano problemi per il tuo modo di fare, quelle che ritenevi oppressive e insopportabili quando si rifiutavano di capire tu come eri fatto, o scambiavano una botta e via per una promessa di matrimonio.”
Tacque e accese una sigaretta. Certi gesti dicono molto più di qualunque ammasso di sillabe messe là per convenzione.
“Tu difenderesti il tuo migliore amico anche contro l'evidenza, come è giusto che sia. E per quanto io stia diventando noiosamente ripetitiva perfino per me stessa, non faccio altro che pensare che non esista via d'uscita davanti a questo accanimento terapeutico del padreterno nei nostri confronti, visti già i caratteri non facili e gli anni vissuti in maniera a dir poco non convenzionale. Quindi, sta a noi prendere le decisioni tenendo ben presente che sarà il tempo a dirci se siamo o no in grado di affrontare le conseguenze delle nostre scelte, e questo ci può anche stare. Possiamo litigare, tirarci appresso le piante e chiuderci fuori gli uni dalle vite degli altri, ma non possiamo coinvolgere bambini che neanche sono nati in scontri aperti corna contro corna tra testardi, egocentrici disadattati innamorati persi della propria libertà. Io, tu, Bliss e Matt non siamo adatti a fare i genitori. Non siamo proprio adatti al mondo. Sembriamo talmente fighi visti da fuori, ma stiamo cercando di far combaciare opposti fisici talmente eclatanti che è chiaro che siamo destinati al fallimento. Me lo dici in quale maniera tu e Bliss potreste trasformarvi in genitori? Ma vi conoscete? Vi avete reciprocamente presente? In che impresa vi state imbarcando? E io e Matt come facciamo a stare insieme, che a cadenza settimanale ne tiriamo fuori una nuova e siamo fatti così male e di così tanti cassetti ermeticamente chiusi che non saremo mai capaci di rivelarci del tutto l'uno all'altra? Si può mai basare una storia d'amore sul non detto? Sul sospetto? Sui reciproci assoli di chitarra? Ma ti rendi conto o no di quello che cerchiamo di far funzionare, tutti quanti? Roba che sarebbe più semplice andare a sciogliere i ghiacci perenni col phon.”
“Ne sono alquanto consapevole.”, scherzò, sbuffando via una nuvoletta azzurra.
Mi mossi un po' nella vasca, tirando fuori i piedi e appoggiandoli sul bordo.
“Dio, quanto siamo diventati ripetitivi. Diciamo sempre le stesse cose.”
“Almeno cambiamo versione in prosa, fortunatamente tu e Matt avete una certa mano, con le parole.”
Gli scoccai un'occhiata a metà tra il consapevole e l'ironico.
“E' tuo.”
“Come?”
“Il bambino. E' tuo.”
Mi guardò.
“Non può essere altrimenti, Dom, credimi.”
Cercò di dissimulare, ma era evidente il sollievo, tanto che si concesse un sorriso un po' meno stanco.
“Non mi stai solo dicendo quello che voglio sentirmi dire, vero?”
“Non dire scemenze, ho detto che il bambino è tuo, non ho mica detto 'ma certo, Dominic, che hanno inventato una macchina del tempo. E' giù nell'atrio, chiedi al portiere se comincia ad accenderla e io vi raggiungo tra due minuti'.”
Scoppiò a ridere.
“Posso venire a darti un bacio?”, mi chiese, gentile.
“Non sono mica radioattiva.”, gli risposi, sorridendo.
Si puntellò con le mani sul bordo e si chinò a baciarmi una guancia. Gli appoggiai la fronte contro una tempia, baciandolo a mia volta.
“Ah, Dom...”, lo bloccai, mentre stava per uscire.
“Sì?”
“In nome di tutti i santi, quando sarà il momento, impediscile di chiamarlo Roderick.”
Scoppiò a ridere di nuovo.
“Ti voglio bene, Ria.”
“Anche io ti voglio bene, Dom.”
Scossi la testa, sorridendo dolcemente.

 

La gente non ha le emozioni chiare,
altro che le idee.”
(Vincenzo Malinconico.)

 

La porta si aprì di nuovo, ma dolcemente e anticipata da un lieve toctoc.
Scoppiai a ridere, rovesciando gli occhi al cielo.
“Matthew Bellamy, chi mi ha cecato di iniziare ad ascoltare i Muse?”
Mi sorrise.
“Rimpiangi così tanto i tuoi eccelsi gusti musicali?”
“Era meglio se mi buttavo su Gerard Way.”
“Non è il tuo tipo.”
“Neanche tu sei il mio tipo. Sei la nemesi del mio tipo. Sei la nemesi di ogni cosa.”
Mi rivolse uno sguardo tra l'ironico e il dispiaciuto.
“Chiudi a chiave.”, gli dissi.
“Perchè?”
“Perchè avrei dovuto chiudere a chiave io.”
Mi sorrise di nuovo, e chiuse la porta.
“Vieni qui.”
Si avvicinò, e si sedette sul bordo della vasca.
“Vieni qui nel senso di qui dentro.”
Sospirò gettandomi un'occhiata ironica delle sue, come a rimarcare la mia incontentabilità, e si alzò in piedi. Lo sentii trafficare coi vestiti dietro di me, dopodichè disse: “Fatti più avanti”, entrò nella vasca da bagno sedendosi dietro le mie spalle e mi abbracciò stretta, lasciando che appoggiassi la testa all'indietro nell'incavo del suo collo.
Chiusi gli occhi, in pace.
Restammo così, in silenzio per un po'.
“Fare l'amore adesso sarebbe un clichè.”, sussurrai a mezza voce, per non rompere quella quiete.
“Te l'ho mai detto che adoro i clichè?”
Scoppiai a ridere.
L'amore... ma che razza di stronzate si va a inventare il padreterno.
“Matt, noi funzioniamo malissimo insieme.”
“Stiamo facendo terapia di coppia in una vasca da bagno?”
“Coppia? Quale coppia? Una coppia negli intervalli tra una storia e l'altra?”
Sentii un sorriso contro la mia spalla.
“Mi stai chiedendo stabilità?”
“No, ti sto chiedendo di scegliere da persona matura e consapevole. E, mentre lo fai, di essere onesto a qualsiasi costo. Altrimenti siamo destinati ad annegare nei nostri problemi insoluti e nelle cose che non ci siamo detti.”
“Ti ascolto.”
Lasciai che un po' di silenzio si gonfiasse tra i secondi e le molecole dell'aria, tipo cuscinetti.
“Ti basto io?”
“Credo che dovremo romperci le corna su ogni probabilità, prima di stare tranquilli. Tengo molto a te. Non come tenevo a Dana, o a chiunque sia venuta prima. Tengo a te in un modo completamente diverso.”
“Tu sei capace di dirmi che mi ami solo quando arriviamo ai ferri corti, e io devo ancora capire com'è questo fatto.”
Rise.
“Tu invece sei capace di dirmi che mi ami solo quando mi devi far sentire una merda. Perchè ci sei rimasta male per qualcosa, e sai che effetto ha su di me sentirmelo dire dalla tua voce. L'hai sempre fatto. Sempre.”
Risi anche io.
“La prima sera che ci siamo parlati, quando sono uscito dalla cucina e mi hai visto, l'espressione che ti è apparsa sul viso mi ha investito come un treno. E ancora mi tormenta. Ci ripenso spesso, sai. Non so se hai mai visto un fiore che sboccia, ma un attimo prima eri annoiata e un attimo dopo ti sei irradiata di luce. Ti ridevano gli occhi. Là per là ho pensato di essermi impressionato, ma nessuna mi aveva mai guardato in quel modo. E poi quando mi hai stretto la mano. Tenevi la mia mano nella tua e lo sentivo che, anche se mi guardavi, eri concentrata sulla sensazione della stretta, della mia pelle contro la tua. Come se aspettassi di toccare la mia mano da una vita, per sentire come era fatta, se somigliava a qualcosa, se era morbida o ruvida, se aveva una stretta potente o meno. E poi eri bella, Ria. Cazzo, quanto eri bella. Una pietra preziosa in mezzo ai sassi. E io ho finito di rovinarti, ovviamente.”
Avevo ascoltato tutto avvolta nel suo abbraccio, con gli occhi bassi, a scrutare l'acqua.
“I love you, Matt.”
Lo sentii respirare e sorridere, di nuovo, sulla mia spalla.
“Dillo ancora.”
“I love you, Matt.”
“Ancora.”
“I love you, Matt. I love you. I love you. I love you. I love you. I love you. I love you.”
Tacemmo.
“Perchè ti sei fermata?”
Ruotai su me stessa per baciarlo.
“Lo sai che non amo ripetermi.”, lo presi in giro.
“Non ami ripeterti? Ma se sembriamo tutti dei dischi incantati. Sono mesi che facciamo solo 'con chi sei stato a letto?, va tutto a puttane, con chi sei stato a letto?, va tutto a puttane, con chi sei stato a letto?, va tutto a puttane'. Dovremmo ringraziare Bliss e Dana per lo spunto che ci hanno dato per il remix. Almeno ora possiamo integrare con 'si può sapere di chi è il bambino?'”
Scoppiai a ridere così di cuore che per poco non straripò l'acqua.

Ho combattuto il cuore dei mulini a vento.

 

Quand'è che la smetterò di dare inizio a cose che non intendo finire?”
(Vincenzo Malinconico.)

 

L'ingresso in salotto fu segnato da un flipper di sguardi di sagace consapevolezza, come se tutti sapessero cosa era accaduto nel bagno.
“Arriva la nonna.”, si espresse Jimmy, tagliando a fettine il silenzio ironico sceso tra i presenti.
Scoppiai a ridere, poi notai che il suo sguardo non vacillava: a quel punto, ritenni che era il caso di preoccuparmi.
“In che senso arriva la nonna?”
“In quanti sensi può arrivare la nonna, Ria?”
Mi guardai intorno.
Dom, Bliss, Matt, mio padre, Synyster, mio cugino, una cartelletta rossa con su scritto “Parenti”.
Bien”, sbucò Chichi da dietro al bancone, servendo alcuni bicchieri di qualcosa che sperai essere pesantemente alcolico. “Domani avete la prova vestiti, poi le prove in chiesa. Tra quarantacinque minuti c'è, invece, la prova della Cena.”
La lettera maiuscola alla parola “cena” la misi io a mente, tale fu la gravità dell'enfasi con cui Chichi articolò la parola nel suo inglese precario.
Ci squadrai, chiedendomi se non fossimo troppo casual.
“Non siamo troppo casual?”, articolò Dominic, guardandosi la maglia con la stampa.
“Bravo, andate a mettervi camicia e cravatta.”, lo incoraggiai, gettando un'occhiata eloquente anche agli altri tre.
“Io vorrei tenere i jeans.”, protestò Bliss.
“Se vuoi farti ammazzare.”
“Saranno anche cazzi miei.”
“Come sempre.”, sbuffai.
“Danette dov'è?”, domandò Jimmy, creando cristalli di gelo totalmente gratuiti e francamente poco necessari all'atmosfera festiva che avremmo dovuto respirare.
“Danette non c'è.”, ribattè secco mio padre.
“Non viene al matrimonio?”, domandai, serafica.
“Tua sorella, dimostrandoti una grande solidarietà, mi ha fatto sapere che si rifiuta di sposarsi se in chiesa c'è lei.”
“Come ha risolto con Brian il problema dell'altezza?”, domandò Synyster, sinceramente interessato, salvandoci in corner da una lite furiosa.
Bliss si strinse nelle spalle. “Boh? Dice che orizzontali non si nota.”
Ridemmo affettuosamente del picco massimo di battuta sessuale che ci si poteva aspettare da quella grandama di mia sorella.
“Peccato solo che non si sposano su quei cosi tipo skateboard dove si stendono le Charlie's Angels nei film quando devono fare gli appostamenti alle macchine in corsa.”, commentò Dominic, evocando una fantastica immagine.
Scoppiai a ridere.
“Anche se, avrebbe un suo perchè.”, commentai.
“Sì ma io non sono ancora riuscito a capire come si colloca vostra nonna nell'economia del matrimonio.”, intervenne mio padre.

Io e Jimmy lo fulminammo con lo sguardo.
“Che hai contro la nonna?”
“Io? Niente. E' che è vostra nonna. Vostra, non di Splinter, capisci.”
Decidemmo di ignorarlo direttamente.
“Chi la va a prendere la nonna?”
“Synyster.”
Guardai Synyster.
“Papà, è un'idea tua per ricongiungerla al creatore prima che riesca a mettere piede in chiesa?”
“Non c'entro niente, io.”, si discolpò mio padre.
“Jimmy, ti sembra una buona idea mandare Synyster a prendere la nonna in aeroporto?”, gli chiesi, facendo su e giù nell'aria con la mano davanti a Synyster come a dire 'guardalo bene'.
Jimmy assottigliò gli occhi guardando il migliore amico, come se all'improvviso lo stesse accusando di qualcosa, infatti Synyster sbottò in un “what?” alquanto infastidito.
“Come si chiama tua nonna?”, mi chiese all'improvviso Matt.
“Willow”, gli risposi distrattamente, occupata a vestire e svestire mentalmente Synyster per renderlo più digeribile a mia nonna.
Dom e Matt si guardarono in faccia vicendevolmente, poi guardarono noi, scandendo in coro: “Grandmother Willow?”
Sbuffai.
“Sì. Grandmother Willow. Nonna Salice, come Pocahontas, e quindi?”
“Ma soprattutto, che ne sapete voi?”, si informò quella volpe di mio cugino.
Loro due si strinsero nelle spalle.
“I figli di Chris.”, dissero.
“Ah, certamente.”, li schernì Bliss.

 

Ho lasciato vagare i pensieri dentro all'aria che va
come un fiume in piena dopo un'alluvione.”
(Nomadi, La dimensione.)


 

Nella mia stanza, me ne stavo seduta ad accarezzare il materasso, canticchiando distrattamente Blackout.
“Ma che fai, canti Blackout?”, mi chiese Matt, materializzandosi sulla porta.
Sospirai.
“Pensavo a quando avevamo diciott'anni.”, gli dissi.
“Non molto tempo fa.”, scherzò, facendomi l'occhiolino.
Roteai gli occhi., con un sorriso.
“Non avrei mai pensato di vedere Splinter sposata con Brian Molko.”
Gettò un'occhiata eloquente alle foto che avevo ancora sui muri e poi aprì le braccia, come a dire 'guardami'.
Sorrisi dolcemente.
“Hai ragione, anche tu sei stato una bella sorpresa.”
“Ehi, non andare in crisi riflessiva, non risolveresti niente. E' tutto assurdo, bambina.”
Annuii, osservando quell'uomo che era diventato il perno di una vita che a volte non mi sembrava neanche la mia. Come se la osservassi da fuori, fotogrammi di un tempo immobile, mai davvero vissuto. Gli tesi una mano, chiedendogli in silenzio di raggiungermi sul letto, e poi mi stesi sul suo petto, guardando il soffitto ancora pieno di vecchie fotografie, osservando quanto contraddittorio e fragile fosse quel contrasto tra l'uomo sul mio letto e quello sul mio soffitto.

 

La chitarra riempie la tua stanza, come te la riempiono gli amori
forse a diciott'anni non c'è distanza tra le cose dentro e quelle fuori,
forse a diciott'anni si canta e basta, essere sentita o non sentita non ti cambia la vita.
Io non ho l'età, e ho le palle piene di vedermi questa gente intorno
manager cazzuti, falchi, iene, ti farò sapere quando torno
ma ti lascio un sacco di parole e quel po' di roba che mi avanza, qui nella mia stanza.
Passerà tutto questo vivere, questo andare e venire di treni, questa lettera da leggere e da scrivere, passerà questo vivere nei tuoi occhi da non poterlo più tenere dentro, da farti credere che il cuore ti scoppi
E allora canta, amore mio, finchè ti batte il cuore
Canta, finchè ti basta il cuore.
Tutto questo c'è nella mia stanza, giuro, non lo so se è poco o molto, so che non sapevo mai starci senza, e mi vien da ridere se mi volto... Se ti va puoi entrarci, sennò pace, vedi di giocartela a testa o croce, ma con la tua voce.
Passerà tutto questo vivere, questo fottutissimo tempo stupendo, questo dolore che ci fa ridere, passerà questo vivere nei tuoi occhi da non poterlo più tenere dentro, da farti credere che il cuore ti scoppi
E allora canta, amore mio, finchè ti batte il cuore
Canta, finchè ti basta il cuore.
E se non basta il cuore, canta con il mio.”

(Roberto Vecchioni, La mia stanza.)
 

Al fuoco!”, un urlo forte e chiaro a rompere un precario silenzio.
“Ammazzati.”, risposi, sobbalzando dal letto e di riflesso levando le mani di dosso a Matt.
Synyster mi rise in faccia, sprecando una delle sue rare manifestazioni di gioia per l'occasione.
“Dobbiamo andare, belli.”, ci informò, mentre Matt si rimetteva in piedi, un po' a disagio, poi mi sorrise e uscì dalla stanza, scoccando a Synyster un'occhiata ironica.
Rimasi da sola con lui, guardando a terra, presa da una malinconia che non aveva radici particolari.
“Qualcosa ti preoccupa?”, mi chiese, facendo qualche passo verso di me.
“Sì. I migliori amici.”
“Di chi?”
“Di tutti, Bry. Di tutti.”, gli risposi, dandogli un cazzotto dolce sul petto, e poi uscimmo abbracciati.
“Passeranno tutti questi matrimoni.”
“E' esattamente questo che mi preoccupa.”
“La smetti di pensare in flash forward?”
Mi strinsi nelle spalle.
“Vedi, Synyster”, dissi, “è che pensare a ciò che è successo purtroppo non serve a niente, perchè non cambia le cose. Forse pensare in avanti aiuta a prevenire, chi lo sa.”
“Non so se vale la pena di provarci. Cos'è quella camicia rosa?”, disse, distraendosi dal discorso, quando nel nostro campo visivo entrò mio padre, sfoggiando una stoffa rosa tenue sotto la giacca nera.
Mio padre, da parte sua, non ci degnò di alcuna risposta.
Ci guardammo.
“Ci mancava solo una camicia rosa.”, commentai, caustica.
Guardando le schiene che sfilavano verso la porta di casa, mi prese alle spalle una nostalgia che non conoscevo, e io non sono mai propriamente sopravvissuta a niente che mi abbia preso alle spalle, tra cui The Rev, in quel momento, di quel giorno, così strano.
“Promettimi una cosa.”, gli dissi sottovoce, mentre mi lasciavo abbracciare.
“Cosa?”
“Semmai dovessi decidere di sposarmi, per qualunque motivo...”
“Darei fondo alle mie discutibili doti di dialettica per farti desistere.”
“...E questo è sottinteso.”
Mi guardò, come a dire vai avanti.
“Niente, Jim, niente.”
Mi sorrise, stringendomi un po' di più.
Sono davvero poche le cose, nella vita, che sanno farti andare avanti comunque. Scendere quelle scale, scostare quei veli, uscire da quei labirinti.
“Mi sei mancato.”
“Ti sono mancate le mie magliette, dì la verità.”
“Anche quelle. Più che altro, mi è mancato il mio migliore amico.”
“Io mi sono portato dietro in tour ogni bacio che mi hai dato, però.”
“Perchè siamo stati zitti per tanto tempo, Jimmy?”
“Forse volevamo qualcosa da proteggere, Ria. E cosa c'è di più importante da proteggere se non il proprio sangue?”
Sentii un'imprecazione di Bliss che prendeva di liscio uno scalino, aggrappandosi a Synyster per non cadere, con quella pancia pronta a uscire e metterci tutti davanti alla realtà dei fatti da un momento all'altro.
“I migliori amici, bello. Ci sono sempre loro, da proteggere.”

Pink is the new black.”
Synyster Gates.

 

 

E' che avevo nostalgia di un tempo immaginato, e basta. Gocce di nostalgia per ogni cosa che non avevo fatto in tempo a vivere. Ecco, cos'era.

 

 

 

Allora.

 

Se, generalmente, “allora” è un termine grammaticalmente poco adatto ai discorsi (della serie che la maestra storceva visibilmente il naso, quando ci faceva una domanda e noi iniziavamo la risposta con “allora”), credo che questo sia uno di quei casi in cui si può chiudere un occhio, e lasciare l'autore a parlare libero un po' come meglio crede; questo, in effetti, è uno di quei casi in cui lo scrittore deve spiegarsi. Non spiegare, no, proprio spiegarsi, riflessivo. Che un po' vuol dire spiegare a sé stesso, e un po' vuol dire spiegare ciò che ha capito quando si è spiegato da solo.
Allora.
Questo capitolo era nella mia testa dall'inizio della stesura di questa storia, solo che nella mia mente non era ancora apparso il nome degli sposi. Volevo che i Muse, però, incontrassero e si scontrassero da vicino con le loro groupies. Groupies che, all'epoca, erano ovviamente senza identità. Credevo che le avrei inventate poi, scrivendo, e invece, com'è caratteristica precipua della vita che, mentre scrivi qualcosa che per te è epocale, ti viene incontro e si plasma intorno alla tua storia come se una penna avesse sul serio il potere di cambiare il corso degli eventi, non è andata esattamente così.
Quelle ragazze sul prato, colorate rispetto al resto, investite di un'aura e di un ruolo oscuro e imprendibile per tutti gli altri, lo scrittore le ha incontrate davvero. Dietro uno schermo, mentre la storia prende forma sotto gli occhi di tutti e nessuno ne sa più dell'altro, mano a mano si sono srotolate davanti ai miei occhi vite altrui, come gomitoli di lana. Ho letto i loro sogni, le loro speranze, ho letto, credo, anche tra le righe di quello che non dicevano. Ho seguito i ragionamenti, ho visto la preoccupazione, l'emozione, l'affetto incommensurabile che nutrono per questi tre fortunatissimi uomini. Sono sempre stata una grande fan della marea immensa che si muove silenziosa sotto i palchi, dietro le transenne; qualche volta ho avuto anche il privilegio di sentirmi investita dalla loro luce. E poi c'è chi, perchè non ha potuto, un concerto ancora non l'ha visto. E io, invece, che catturo parole e immagini e le trasformo in racconti, ho visto i concerti dentro i loro occhi, anche senza averli mai guardati. Ho visto le speranze grandi, immense, che queste ragazze si portano dietro come zaini, che le rende così diverse dalle persone grigie alle quali si sforzano di accomunarsi, di somigliare, persuase che la vita vissuta al livello piano terra sia più semplice, ancora ignare del fatto che non sono state create per camminare, ma per volare. Quando personalmente ho visto Matthew Bellamy dal vivo per la prima volta, ho sentito colpirmi come un treno quegli straordinari sedici anni che non avevo più, e che ho vissuto a stretto contatto con il ferro di una transenna per un altro uomo, che non era lui. Non ho mai parlato davvero di ciò che penso di Matthew, di ciò che mi lega a lui, di ciò che vedo quando lo guardo e di ciò che sento quando lo ascolto, e non ne parlerò mai davvero, potete starne certe. Se sarete attente, qualcosa la vedrete attraverso gli occhi di Ria, che non è me. Non saprete mai dalla mia bocca, neanche, quanto io somigli davvero a Ria. Ogni volta che mi è stato chiesto, ho dato una risposta diversa. Ogni risposta era assolutamente sincera, sia chiaro. Questo per arrivare al punto: sto imparando immensamente dalle ragazze che vedete, in questo capitolo, interpretare le groupie dei Muse. Non ho dovuto cambiare una virgola di ciò che sono veramente, mi sono limitata a guardarle sulla linea dell'orizzonte, a proiettarle in avanti nel tempo. Si riconosceranno, spero, nei loro occhi. Prenderanno, forse, un po' più coscienza di chi sono veramente.
Spero che basti loro sapere che hanno preso dei personaggi vuoti, random, senza anima, e li hanno resi veri. Non reali, ovviamente, ma veri, che è il passo prima della realtà.
Sono convinta, per quel che vale, che un sogno si avveri molto prima di realizzarsi.
Il mio sogno personale lo avete avverato voi, semplicemente interpretando voi stesse. Ogni riga che mi avete scritto, ogni opinione che avete espresso mi ha reso di un gradino più vicina a ciò che spero, un giorno, di veder tramutato in realtà. Una cosa così folle che non l'ho detta neanche a me stessa, una cosa che, ovviamente, c'entra con le parole, anche se non so bene in che modo.
Devo a Matthew Bellamy un paio di cose interessanti. In primis, il fatto che ha preso una ragazza allo sbando senza più la minima idea di chi fosse e dove volesse andare, l'ha rimessa in ordine con grande fatica e ne ha fatto Queen of Superficial.
E poi, direi anche soprattutto, il privilegio di avervi conosciute, di avervi capite, di poter stare qui, dietro uno schermo, a inventare parole e guardarvi mentre vi battete per loro, mentre non vi rassegnate, non ci credete che è finita. So che sapete a cosa mi riferisco, e vi prometto che non è finita. Anzi, che la storia, la realizzazione di ogni cosa che si è avverata, inizia proprio da qui. Ogni volta che, nella vita, qualcosa vi sembra il capolinea, è solo perchè non è ancora nato qualcuno di abbastanza bravo a riconoscere le linee di partenza. Perchè quando parti è un po' come arrivare, non so se mi spiego. Pensateci, la prossima volta che partirete. C'è quella sensazione di esaurito, di chiusura che non se ne va, anche se siete consapevoli di stare andando, in realtà avete la sensazione di aver terminato qualcosa.
E invece credetemi, vi prego, è solo l'inizio.
Allora, ci lasciamo qui.
Tutti in attesa di sapere come va avanti la storia.
Quella che scrivo, cioè questa qui.
Ma anche un po' quella che stiamo guardando, che poi in realtà stiamo anche costruendo, che ne sapete voi.
Con immutato affetto
la vostra
Q.

 

P.S. Da qualche parte nel mondo, dentro una persona che forse neanche se ne rende conto, c'è Ria, che sta già cercando Matt. E quando lo troverà, se tutto andrà come deve andare, niente sarà mai più lo stesso. La riconoscerete subito, perchè le groupie non sbagliano mai, quando c'è da inquadrare una donna. Io starò ancora scrivendo di qualche sogno e qualche orizzonte, probabilmente, e se non me ne accorgerò mi avvertirete voi. Allora potrò scrivere di nuovo, di qualcun altro, la prossima volta. Ma non sapere le cose è la sensazione più bella del mondo. Chiedersi come finirà dà la possibilità di sperare in qualcosa di sensazionale, tipo un sogno già avverato che, finalmente, si realizza. Farfalle ed uragani. (Non riesco ad essere breve neanche nei Post Scriptum. Ci lavorerò su.)

 

Volevo solo dire grazie alle mie ragazze per ogni attimo insieme fin qui.

   
 
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