Holà
a tutte!!
Si, lo so: sono in un ritardo pazzesco, ma chi ha
letto l’avviso che ho lasciato conosce già le mie motivazioni.
Permettetemi comunque di chiedere scusa ancora una volta prima di lasciarvi al
capitolo senza rompere troppo.
p.s Le risposte
alle recensioni le ho inviate ad ognuna di voi come risposta!
14. Family
(parte prima)
(Bella Pov)
Quando
finalmente arrivò l’annuncio che potevamo
slacciare le cinture di sicurezza respirai a fondo.
Avevo preso
il primo aereo disponibile ed ero volata verso Phoenix. Il fatto strano era che
solo in quel momento mi trovavo a pensare seriamente alle parole di Phil.
“ Tua madre sta
per partorire!”
Che
accidenti voleva dire? Ovvio, non nel senso etimologico della parola. Però mi chiedevo davvero che significato avesse mai
quella frase. E, soprattutto, com’era possibile che Renèe fosse
incita e io non ne sapessi nulla. Che non me
l’aveva detto era chiaro; ma come avevo fatto a non accorgermene io? I
segnali c’erano stati – sicuramente – tutti. Anche solo
un’inflessione della voce poteva esserlo stato.
Ma era
colpa mia. Colpa mia che non l’avevo mai voluta ascoltare, che le avevo
sbattuto il telefono in faccia così tante volte che non riuscivo
più a contarle. Io che, per il mio dolore, avevo chiuso fuori il mondo
impedendogli d’entrare con la sua luce. Era stato un esilio il mio. Un
esilio che mi ero voluta.
E ora, ora
che l’aereo volava rapido verso Phoenix, ora mi chiedevo cosa mai avrei
fatto una volta che fossi arrivata. Dove sarei andata? E, soprattutto, cosa mi
aveva spinta a partire? Avevo anche lasciato in
sospeso tante cose. Con che coraggio l’avevo fatto? E mi era chiaro che avrebbe potuto sembrare una fuga la mia.
Mi
abbandonai contro lo schienale e chiusi gli occhi. Per il momento dovevo
arrivare a Phoenix. Poi avrei deciso cosa fare. Poi avrei cercato le risposte.
Quando
arrivai all’indirizzo che Phil mi aveva dato
trovai tutto chiuso e la macchina di mia madre con un biglietto attaccato al
parabrezza. Sopra, con una calligrafia frettolosa e tremante, c’erano
scritte le informazioni per arrivare all’ospedale e il consiglio di
utilizzare la macchina lì davanti.
Non ricordo
come arrivai all’ospedale, ma sono certa d’aver infranto più
di una volta il codice stradale. Il fatto era che non volevo pensare a niente.
Non a mia madre. Non al fatto che stesse per partorire. Tantomeno a ciò
che avevo lasciato in sospeso a Forks. Avevo bisogno di avere la mente libera e
concentrarmi sulla strada che dovevo percorrere.
Quando arrivai corsi alla reception per chiedere di mia madre.
“ Lei
è una parente?” Mi chiese un’infermiera con aria annoiata.
“ Io
sono…”
“
Bella!” La voce di Phil che esclamava il mio nome interruppe le
presentazioni. “ Sei venuta!” Come se non
lo sapesse. Mi aveva lasciato la macchina apposta.
Lo fissai
intensamente, forse con aria un po’ ebete. Mille e più domande
affollavano la mia mente, ma neanche una raggiungeva le mie labbra.
“ Tua
madre è appena entrata in sala parto.” M’informò
venendomi incontro e stringendomi brevemente. Non avevamo mai avuto
chissà quale rapporto, io e Phil, ma
comprendevo che l’ansia del momento giustificasse quel piccolo contatto
umano.
Lo presi per un braccio ed entrambi ci sedemmo su una panchina
là vicino; non era mia intenzione chiedere nulla – non in quel
momento almeno – ma Phil prese a parlare a ruota libera e non ci fu
più verso di fermarlo.
“ Non
voleva dirtelo.” Iniziò quasi si stesse liberando da un grosso
peso. “ Quando abbiamo scoperto la gravidanza
eravamo al settimo cielo, ma lei non voleva condividere questa gioia. Diceva
che non era giusto che fosse così felice, che sarebbe stato un dolore
atroce per te. È arrivata persino a dire che questo bambino era uno
sbaglio, o addirittura una punizione. E che si odiava in
quanto non poteva e non voleva interrompere questa gravidanza. Diceva
che nonostante tutto amava già quella creatura.”
Phil prese
fiato. Gli occhi gonfi e lucidi. Potevo immaginare quanto dolore stesse
provando al momento. Dolore per quanto mia madre aveva detto in quei mesi, ma anche
dolore perché quel senso di colpa atroce che – ora lo sapevo
– aveva accompagnato Renèe per tutto il tempo lui non riusciva a
comprenderlo. Non appieno comunque. E non poteva far nulla per alleviarlo.
Presi fiato
e pensai a quanto mi era appena stato detto. Fino a quel momento la rabbia
verso mia madre era stata come un fuoco dirompente impossibile da spegnere; in
quel momento mi rendevo conto di quanto in realtà anche lei avesse
sofferto. Non era una giustificazione per quanto aveva fatto, per essere
scappata da me. Era solo il semplice rendersi conto che alle volte – e io ero in primo piano in questo discorso – il dolore
fa fare alla gente cose terribili, cose che normalmente non si farebbero mai.
Phil mi
stava osservando, forse aspettando che dicessi qualcosa. Ma
io avevo la gola secca, e qualsiasi cosa avessi detto non avrebbe comunque
alleviato ciò che lo devastava dentro. E allora mi limitai a stringergli
la mano, forte, cercando di dire attraverso quel semplice gesto tutte le parole
che la mia bocca non formulava.
Fu
un’infermiera ad interrompere quel momento,
arrivando tutta trafelata e osservando Phil con aria incerta.
“
È sua moglie la signora in sala parto?” Chiese cercando una
conferma. Phil annuì con agitazione. “ Vorrebbe
assistere al parto? Sarebbe meglio anche per sua
moglie…” Si bloccò immediatamente, forse resasi conto del
pallore che aveva colpito l’uomo all’improvviso. Sapevo che
Phil odiava gli ospedali e tutto ciò che li riguardasse, perciò
la sola idea di dover metter piede in una sala parto doveva averlo terrorizzato
non poco. Ed infatti mi fissò speranzoso, e
forse impazzito, chiedendomi silenziosamente aiuto.
Che fare?! Dopo 4 anni passati a sbatterci
il telefono in faccia e a nasconderci le cose, ORA, avrei dovuto assistere mia madre
nel momento in cui dava alla luce quella creatura che sarebbe stato/a il/la
mio/a fratellino/sorellina?! Folle!
“
Vengo io ad assistere mia madre.” Si, proprio
folle. Eppure furono queste le parole che mi uscirono dalle labbra quasi
d’istinto.
L’infermiera
mi fissò chiaramente restia a farmi stare in sala parto. E fu allora che
persi le staffe.
“ Senta. Mia madre è là dentro e stà
partorendo, io sono sua figlia e sono maggiorenne e in quanto tale ho tutti i
diritti di assisterla. Quindi mi faccia strada e
facciamola finita.” Sbottai arrabbiata per il
suo comportamento poco consono. Da quando il compito delle infermiere era dare
giudizi anziché fare il proprio lavoro?
La donna
parve riscuotersi alle mia parole e mi fece cenno di
seguirla; osservai Phil un’ultima volta e poi le andai dietro.
Quando,
nemmeno due minuti dopo, mi trovai davanti alla porta della sala parto con un
grembiule verdognolo addosso e una cuffia dello stesso
colore in testa la prima cosa alla quale pensai fu: che diavolo stò facendo? Ed era una domanda pertinente. Solo
che la tensione del momento la rendeva alquanto inappropriata. Decisi di non
pensarci. Decisi di aprire quella porta e fare ciò che avevo deciso di fare. In fondo erano una parte della mia famiglia, sia
Renèe sia la creatura che stava per far
nascere. E concentrandomi su quel pensiero aprii la porta.
L’espressione
di Renèe non mi sorprese affatto.
Il suo viso
prima deformato dal dolore e dallo sforzo mutò improvvisamente lasciando
che la sorpresa avesse il sopravvento sul resto. La vidi irrigidirsi, gli occhi
spalancati, e guardarmi come se in realtà non fossi stata reale.
“
Bella…” fu solo un flebile sussurro quello che le uscì,
talmente basso che se non avessi visto le sue labbra muoversi non avrei creduto
al fatto che aveva parlato.
Mi
avvicinai piano al lettino e strinsi forte i pugni finché le nocche
divennero bianche. Non dovevo far trasparire nulla, tantomeno la tensione e
l’ansia che sentivo dentro; Renèe era già abbastanza
agitata di suo per il parto, non era il caso peggiorare le cose.
Per tutto
il tempo, finché non le arrivai accanto, mia madre non staccò gli
occhi da me non facendo caso ai richiami dei medici. Poi, inaspettatamente,
sussultò e lanciò un urlo di dolore.
“
Signora!” Urlò un medico lì accanto.
Oggi, nella
mia memoria, quegli attimi sono una massa informe di rumori, passi e urla.
Ricordo che le grida di mia madre mi sembravano ululati strazianti; e
l’aiuto dei medici pareva superfluo mentre, tra uno strillo e
l’altro, gli occhi di Renèe continuavano a fissarmi in un turbinio
di emozioni che mi provocavano fitte dolore al cuore.
Fu nel
momento in cui non fui più in grado di sopportare che le presi la mano
di scatto. Così, abbandonando definitivamente il comportamento che avevo
abbracciato in 4 anni, strinsi le sue dita sottili con
le mie. E i suoi occhi che mi fissarono con la sorpresa mista alla speranza
furono un regalo grandissimo per me.
“ Ora devi pensare a far nascere questa creatura. Devi pensare solo a lei,
mamma.” Dissi guardandola negli occhi. Sorridemmo in contemporanea,
pregne improvvisamente di un’affinità che non avevamo mai avuto.
Pregne della speranza che le cose fossero destinate a cambiare definitivamente.
Respiravo
piano e a fondo trattenendo fra le dita una tazza di thé fumante. Lo
portai alle labbra e così facendo ne aspirai anche l’odore;
profumo di menta, fresco e pungente. Un vero toccasana per i miei nervi ormai al limite. Era stata quella che avevo in seguito scoperto
essere la ginecologa di mia madre a offrirmi quel calmante naturale.
“
Siediti qui e bevi questo.” Mi aveva detto porgendomi la tazza e
indicandomi la panca davanti alla stanza di Renèe. “ Sei stata
davvero coraggiosa.” Aveva aggiunto prima di scusarsi richiamata dal
lavoro. Coraggiosa?, avevo pensato perplessa. Io direi pazza!. Ma in
fondo sentivo di aver fatto la cosa giusta. E quella sensazione si era
intensificata nel momento stesso in cui avevo visto il bambino nascere.
Leonardo. Così si chiamava il mio nuovo fratellino.
Sentii la
porta della stanza di Renèe aprirsi e abbassai istantaneamente la tazza.
Era Phil.
Ci
osservammo per qualche istante prima che lui mi si avvicinasse per stringermi.
Rimasi basita per quel gesto. Io e Phil non avevamo
mai avuto tutta questa confidenza. Tuttavia, dati i momenti appena trascorsi, immaginavo che qualcosa si fosse modificato.
“
Grazie.” Mi sussurrò all’orecchio prima di lasciarmi andare
e spingermi verso la stanza di mia madre.
Esitai per
un istante. Piuttosto sciocco da parte
tua, Bella.,
mi dissi mentre la mano tremava sopra la maniglia. Vuoi tirarti indietro proprio ora?!
Respirai a
fondo e aprii la porta con la tensione ben visibile sul volto. Ma ciò che trovai oltre quella soglia la fece sparire
completamente: c’era mia madre con Leonardo stretto tra le braccia. E
l’espressione di Renèe era qualcosa che non vedevo da troppo
tempo. Le aveva disteso il viso, facendola sembrare più giovane. E le
aveva riacceso lo sguardo. Sembrava tanto una bambina davanti a qualcosa di
sensazionale in quel momento. Ma in fondo, una
nascita, non è davvero qualcosa di sensazionale?
Rimasi in
silenzio ad osservare quell’immagine cercando
d’imprimerla nella mia mente. Volevo percepirla come mai avevo fatto con
qualcosa, e così facendo attaccarla alla mia
anima.
Fu
Renèe stessa ad interrompere l’idillio;
alzò la testa di scatto e trovò me, appoggiata alla porta, che la
osservavo silenziosamente.
“
Bella…” Lo stesso flebile sussurro di poco prima le uscì
dalle labbra. Non sapeva cos’altro dire, e continuò a fissarmi
mordendosi il labbro inferiore della bocca.
Mi
avvicinai piano, decidendo di sedermi sul letto accanto a lei. Trassi un bel
respiro.
“ Mi
dispiace!” Soffiai fuori con decisione prima che tutta la determinazione
accumulata svanisse. Non osai alzare lo sguardo, ma fui costretta a farlo
quando sentii la mano di Renèe appoggiasi alla
mia, innaturalmente gelida.
“
Sono io che mi devo scusare. Per il mio comportamento e per ciò che non
ti ho mai detto.” Disse piano fissandomi negli occhi. “ Come madre so di essermi comportata nel peggior modo che potessi. Non
avrei mai dovuto abbandonarti. Non sarei dovuta
scappare.”
“ Ma l’hai fatto…” Mormorai sicura, ma non
c’era cattiveria nella mia voce.
“
Si…” Ammise con un sospiro che sapeva di resa. Forse era la prima volta dopo 4 anni che ammetteva anche solo a se
stessa il suo errore. “ Sono scappata. E ti ho lasciata nel momento peggiore, nel momento in cui più
avevi bisogno di me. E la cosa peggiore è che l’ho fatto convinta
di essere in buona fede.
Lara…
Lara era la bambina. Quella che continuava a vivere nel suo mondo fatto di
sogni e favole; era quella che prendeva tutto con una risata e che non pensava
al futuro. Lara mi somigliava troppo! E in lei vedevo me stessa.” Si, lo sapevo già. Lara era come uno specchio per
Renèe: lo specchio della sua esistenza e del
suo carattere. Mentre io…
“ Tu eri diversa. Tu sei diversa.” Disse abbassando lo sguardo
e portandolo sul piccolo Leo che aveva iniziato ad assopirsi tra le braccia
della madre. Avevo l’impressione che avesse paura nel pronunciare quelle
parole. “ Tu mi spaventavi Bella.” Ammise con un sospiro facendo
sussultare il mio cuore.
“
P-Paura…di…me…?!” Borbottai
percependo il tremore della mia voce e delle mie mani. Non potevo credere a
quanto sentivo. Renèe… Mia madre lei…lei aveva sempre…avuto
paura di…di me?! Sentii qualcosa agitarsi dentro
di me. E non era rabbia o dolore come immaginavo – come speravo –.
Era rammarico. Era tristezza. La consapevolezza che forse lei non mi aveva mai amata davvero. E mi fece male.
“ Non
che non ti abbia amata, Bella.” Disse lei quasi ad interpretare i miei pensieri ora confusi. “ Anzi.
Ti ho sempre amata infinitamente. Tanto quanto amavo
Lara. Ma mi rendevo conto che tu eri diversa da tua
sorella, ed era giusto così. Ciò che mi spaventava non eri tu
come persona, ma il modo in cui ti approcciavi in certe situazioni. Eri
già…adulta, quando avresti dovuto essere ancora una bambina.”
Chiuse gli
occhi e buttò fuori l’aria. Era stato uno sforzo enorme per lei
raccontarmi tutto questo. E altrettanto era stato lo sforzo mio
nell’ascoltarla.
Mi chiesi,
improvvisamente, se in tutta quella storia non fossi sempre stata io quella
sbagliata. Mi sentivo come un’incognita che nessuno aveva e avrebbe mai
svelato, un mistero che sarebbe rimasto tale per sempre, e che si sarebbe
impolverato e sciupato fra le pieghe del tempo. Che fosse davvero destino che
finisse così? Era stato tutto inutile ciò che avevo cercato di
fare?
Ma poi
Leo scoppiò a piangere. Forte. E mi riscosse dai miei pensieri
così autolesionistici. E in quel momento, vedendo mia madre cullarlo
cercando di farlo smettere, riuscii a capire cosa sentiva quel bambino al
momento. La protezione di una madre… Il suo amore… Ero certa che
Renèe avesse amato me e Lara allo stesso modo. E che nonostante
quant’era successo il suo amore non era mai
venuto meno. E se io ero lì, in quel momento, e avevo potuto assistere
alla nascita del mio fratellino non era stato un caso.
Avevo lottato per quel momento, con le unghie e con i denti. E almeno
quell’attimo familiare lo avevo ottenuto.
Forse era
stata proprio la mia diversità di carattere a portare a ciò. Non
lo sapevo ne lo avrei mai saputo. Non era una domanda a cui si poteva trovare una risposta quella.
“
Mamma…io…” Non potei finire di parlare: Phil entrò
come un tornado nella stanza e si affiancò a sua moglie in un lampo.
Quanto amore vedevo nei piccoli gesti e nelle occhiate!
Vidi
entrare anche la ginecologa di mia madre; lei mi sorrise gentilmente.
Mi morsi il
labbro inferiore. C’erano ancora tante cose che avrei voluto dire a
Renèe. Troppe cose. Ma non ero certa che la mia
bocca le avrebbe mai formulate. E così, dopo aver adocchiato una
macchina fotografica che doveva essere di Phil, la presi e la porsi alla donna
in camice bianco che ancora mi fissava.
“
Potrei chiederle di farci una foto?” Domandai gentilmente porgendole
l’oggetto.
“
Certamente!” Rispose entusiasta; sicuramente non era a conoscenza del
nostro rapporto madre-figlia.
“
Renèe. Phil.” Li chiamai distogliendoli dal piccolo Leo. “
Facciamo una foto?”
Mia madre
mi guardò incredula spalancando i grandi occhi chiari. Phil, invece, mi
sorrise caloroso.
“
Facciamo una foto, mamma.” Le sussurrai fingendo di posizionarmi
meglio per entrare nell’obbiettivo. “ Facciamo una foto come
famiglia.”
Sono certa
che una lacrima abbia rigato il volto di Renèe in quel momento. E lo
stesso è accaduto a me. Ma per la prima volta
dopo tanto tempo, quella, era una lacrima di gioia.
Quando Phil
aprì la porta di quella stanza – della mia stanza – rimasi basita. Sulla parete bianca e azzurra
troneggiava la scritta “Bella” di un blu acceso; il letto era
perfettamente al centro della stanza, con la testiera contro la parete scritta;
sul lato destro una porta finestra che dava sul piccolo balcone ora celato
dalle tende. Nella stanza c’erano anche un
grande armadio bianco che avrebbe fatto impazzire Alice e una scrivania di
legno chiaro con appoggiato sopra un computer portatile bianco.
Mi voltai
con gli occhi sbarrati verso Phil e boccheggiai qualcosa. Lui ridacchiò
divertito.
“
È la tua stanza Bella.” Disse semplicemente con un’alzata di
spalle.
“ Ma và?!” Feci sarcastica indicando l’enorme
scritta del mio nome. “ Io intendevo…”
“
Prenditela con tua madre.” Disse alzando le mani in sua difesa e
interrompendomi. Io aggrottai le sopraciglia. “ È stata una sua idea.
Voleva che tu avessi una tua stanza se mai…”
“ Se
mai avessimo chiarito e io avessi avuto voglia di
venire qui di tanto in tanto.” Finii per lui tornando ad
osservare la stanza. Ero certa l’avesse arredata Renèe: era
proprio nel suo stile. Renèe che, tra parentesi, era ancora
all’ospedale e sarebbe stata dimessa entro pochi giorni con il mio nuovo
fratellino.
“ Io
ti capisco se non vuoi.” Si affrettò a dire trafelato. “ E comunque la stanza non è finita. Dobbiamo
ancora aggiungerci qualcosa qua e là e…” Si bloccò ad un mio repentino gesto della mano.
“
È bellissima.” Mormorai entusiasta con gli occhi che brillavano.
Phil sorrise felice.
“ Mi
fa piacere.”
Rimanemmo
in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Io continuavo a fissare la
stanza sentendo qualcosa di caldo sciogliersi nel mio petto. Mi sentivo
tranquilla – nonostante ciò che avevo lasciato in sospeso a Forks
– finalmente certa che almeno qualcosa sarebbe andato per il verso
giusto.
“
Phil.” Lo chiamai piano colta da un’improvvisa gaiezza. “ Se
dicessi pizza e film cosa risponderesti?”
Lui mi
fissò stranito per un momento prima di scoppiare a ridere forte.
“
Vado ad ordinare le pizze!”
Avevo
deciso di fermarmi a Phoenix per un paio di giorni, una settimana alla grande.
Volevo passare un po’ di tempo con Renèe, Phil e Leo prima che gli
impegni scolastici mi portassero via chissà quanto tempo, e tornare
anche solo per un fine settimana si rivelasse
impossibile. E nel profondo avevo anche cercato tempo per pensare; pensare a Edward e a quanto era successo. Pensare a
ciò che il mio ritorno avrebbe comportato: uno scontro diretto! E sarei
stata io stessa a cercarlo, non appena fossi scesa dall’aereo.
Perché bisognava chiarire, una volta per tutte,
che senza basi non saremmo andati da nessuna parte.
L’aria
serale di Phoenix non era calda come durante il giorno. Certo non c’era
il freddo pungente di Forks, ma non era il caso di girare in canottiera come
nelle ore di punta. E così, presa da un’improvvisa voglia, avevo chiesto a mia madre se aveva voglia di farsi una
camminata digerente sulla spiaggia. E lei, sorpresa ma sorridente, aveva
accettato, decidendo di portare anche Leo mentre Phil rimaneva a casa a
guardare chissà quale partita.
Avevamo
camminato lungo la spiaggia per una mezz’ora buona prima di decidere di
fermarci ad ascoltare il rumore delle onde. Avevamo parlato tanto in quei
giorni che avevo passato lì, molto più di quanto non avessimo mai
fatto. In realtà si era trattato di limare i dettagli, visto che il passo lo avevamo fatto quel giorno in ospedale.
Di chiarire anche le ultime cose per poi poter parale della vita che entrambe
avevamo iniziato a vivere. E, alla fine, ci eravamo sedute in silenzio.
“ Sei
sicura di non voler restare un altro po’?” Mi chiese Renèe prendendo
la parola.
“ Non posso, mi dispiace. Ho già saltato troppi giorni di scuola e questo
è l’ultimo anno.” Dissi pensando alle vere ragioni che mi
avrebbero portata di nuovo a Forks. “ Magari
torno per natale.” Avevo poi buttato lì
per rincuorarla un po’. Lei aveva sorriso serena.
Mi girai a
destra e a sinistra ad osservare il paesaggio e fu in
quel momento che notai un viso conosciuto. Sgranai gli occhi e la osservai
meglio: non poteva che essere lei! Ma che ci faceva
lì?
Mi alzai e
dissi a mia madre che tornavo subito, poi mi diressi verso la figura che se ne
stava in riva al mare.
“
Alice!” La chiamai ma lei continuò a giocare con l’acqua.
“ Alice!” Riprovai, ma ancora lei non si voltò a guardarmi.
Mi prendeva in giro? Prima mi seguiva a Phoenix e poi fingeva di non
conoscermi? “ Alice!” E stavolta la presi
per un braccio lasciandola andare subito dopo.
No, quella
non era Alice, anche se le somigliava in maniera incredibile. Era piccola e
mingherlina come la mia amica, ma aveva i capelli lunghi legati in una coda,
gli occhi azzurri anziché neri e i lineamenti del viso erano ancora
troppo infantili. Poteva avere 11 o forse 12 anni la
ragazzina che mi stava davanti.
“ Oh,
scusa.” Dissi contrita. “ Ti ho scambiata
per una mia amica. Tu le somigli molto.”
Lei
continuò a fissarmi, forse impaurita da me. Era ovvio! Dovevo averla
terrorizzata! Poi sentii una voce di donna chiamare un nome che non afferrai e
la ragazzina si voltò di scatto e corse via verso quella che presumevo
essere sua madre. La vidi dirle qualcosa prima che gli occhi della donna
– e n’ero certa! – si posassero su di me.
No, quella
ragazzina non era Alice, ma certamente le assomigliava in maniera incredibile.
Com’era possibile?
Ecco qua i vestiti di Bella & Co.
Bella: http://www.polyvore.com/cap_14_family_bella/set?id=29527072
Grazie mille agli 84 che hanno messo
la storia tra le Preferite!!!
Grazie mille ai 32 che hanno messo
la storia tra le Ricordate!!!
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fino a questo momento!!!
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