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Autore: Rain e Ren    20/03/2011    8 recensioni
Forks, 3.221 abitanti.
Bella Swan è una ragazza di 17 anni con una spiccata tendenza alla solitudine.
Edward e Alice Cullen, assieme ai fratelli Rosalie e Jasper Hale, sono i ragazzi più amati della scuola.
Cosa li unisce? Niente.
Cosa li allontana? Niente.
Questo, almeno, è ciò che credono tutti. Nessuno conosce la realtà dei fatti. E non sembra che qualcuno voglia smuovere questa situazione. Ma si sa, quando meno te lo aspetti la vita inizia improvvisamente a cambiare corso, e prende a scorrere in una direzione che credevi aver abbandonato per sempre. E questo succederà proprio a Bella che, stringendo i denti dal dolore, sarà costretta ad affrontare il passato che ha gelosamente confinato nei meandri del suo cuore.
A volte basta un nome a squarciare il cuore! E ricominciare sembra più difficile che mai!
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Holà a tutte

Holà a tutte!!

Si, lo so: sono in un ritardo pazzesco, ma chi ha letto l’avviso che ho lasciato conosce già le mie motivazioni. Permettetemi comunque di chiedere scusa ancora una volta prima di lasciarvi al capitolo senza rompere troppo.

 

p.s Le risposte alle recensioni le ho inviate ad ognuna di voi come risposta!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

14. Family

(parte prima)

 

 

 

 

(Bella Pov)

 

 

 

Quando finalmente arrivò l’annuncio che potevamo slacciare le cinture di sicurezza respirai a fondo.

Avevo preso il primo aereo disponibile ed ero volata verso Phoenix. Il fatto strano era che solo in quel momento mi trovavo a pensare seriamente alle parole di Phil.

 

“ Tua madre sta per partorire!”

 

Che accidenti voleva dire? Ovvio, non nel senso etimologico della parola. Però mi chiedevo davvero che significato avesse mai quella frase. E, soprattutto, com’era possibile che Renèe fosse incita e io non ne sapessi nulla. Che non me l’aveva detto era chiaro; ma come avevo fatto a non accorgermene io? I segnali c’erano stati – sicuramente – tutti. Anche solo un’inflessione della voce poteva esserlo stato.

Ma era colpa mia. Colpa mia che non l’avevo mai voluta ascoltare, che le avevo sbattuto il telefono in faccia così tante volte che non riuscivo più a contarle. Io che, per il mio dolore, avevo chiuso fuori il mondo impedendogli d’entrare con la sua luce. Era stato un esilio il mio. Un esilio che mi ero voluta.

E ora, ora che l’aereo volava rapido verso Phoenix, ora mi chiedevo cosa mai avrei fatto una volta che fossi arrivata. Dove sarei andata? E, soprattutto, cosa mi aveva spinta a partire? Avevo anche lasciato in sospeso tante cose. Con che coraggio l’avevo fatto? E mi era chiaro che avrebbe potuto sembrare una fuga la mia.

Mi abbandonai contro lo schienale e chiusi gli occhi. Per il momento dovevo arrivare a Phoenix. Poi avrei deciso cosa fare. Poi avrei cercato le risposte.

 

Quando arrivai all’indirizzo che Phil mi aveva dato trovai tutto chiuso e la macchina di mia madre con un biglietto attaccato al parabrezza. Sopra, con una calligrafia frettolosa e tremante, c’erano scritte le informazioni per arrivare all’ospedale e il consiglio di utilizzare la macchina lì davanti.

Non ricordo come arrivai all’ospedale, ma sono certa d’aver infranto più di una volta il codice stradale. Il fatto era che non volevo pensare a niente. Non a mia madre. Non al fatto che stesse per partorire. Tantomeno a ciò che avevo lasciato in sospeso a Forks. Avevo bisogno di avere la mente libera e concentrarmi sulla strada che dovevo percorrere.

Quando arrivai corsi alla reception per chiedere di mia madre.

“ Lei è una parente?” Mi chiese un’infermiera con aria annoiata.

“ Io sono…”

“ Bella!” La voce di Phil che esclamava il mio nome interruppe le presentazioni. “ Sei venuta!” Come se non lo sapesse. Mi aveva lasciato la macchina apposta.

Lo fissai intensamente, forse con aria un po’ ebete. Mille e più domande affollavano la mia mente, ma neanche una raggiungeva le mie labbra.

“ Tua madre è appena entrata in sala parto.” M’informò venendomi incontro e stringendomi brevemente. Non avevamo mai avuto chissà quale rapporto, io e Phil, ma comprendevo che l’ansia del momento giustificasse quel piccolo contatto umano.

Lo presi per un braccio ed entrambi ci sedemmo su una panchina là vicino; non era mia intenzione chiedere nulla – non in quel momento almeno – ma Phil prese a parlare a ruota libera e non ci fu più verso di fermarlo.

“ Non voleva dirtelo.” Iniziò quasi si stesse liberando da un grosso peso. “ Quando abbiamo scoperto la gravidanza eravamo al settimo cielo, ma lei non voleva condividere questa gioia. Diceva che non era giusto che fosse così felice, che sarebbe stato un dolore atroce per te. È arrivata persino a dire che questo bambino era uno sbaglio, o addirittura una punizione. E che si odiava in quanto non poteva e non voleva interrompere questa gravidanza. Diceva che nonostante tutto amava già quella creatura.

Phil prese fiato. Gli occhi gonfi e lucidi. Potevo immaginare quanto dolore stesse provando al momento. Dolore per quanto mia madre aveva detto in quei mesi, ma anche dolore perché quel senso di colpa atroce che – ora lo sapevo – aveva accompagnato Renèe per tutto il tempo lui non riusciva a comprenderlo. Non appieno comunque. E non poteva far nulla per alleviarlo.

Presi fiato e pensai a quanto mi era appena stato detto. Fino a quel momento la rabbia verso mia madre era stata come un fuoco dirompente impossibile da spegnere; in quel momento mi rendevo conto di quanto in realtà anche lei avesse sofferto. Non era una giustificazione per quanto aveva fatto, per essere scappata da me. Era solo il semplice rendersi conto che alle volte – e io ero in primo piano in questo discorso – il dolore fa fare alla gente cose terribili, cose che normalmente non si farebbero mai.

Phil mi stava osservando, forse aspettando che dicessi qualcosa. Ma io avevo la gola secca, e qualsiasi cosa avessi detto non avrebbe comunque alleviato ciò che lo devastava dentro. E allora mi limitai a stringergli la mano, forte, cercando di dire attraverso quel semplice gesto tutte le parole che la mia bocca non formulava.

Fu un’infermiera ad interrompere quel momento, arrivando tutta trafelata e osservando Phil con aria incerta.

“ È sua moglie la signora in sala parto?” Chiese cercando una conferma. Phil annuì con agitazione. “ Vorrebbe assistere al parto? Sarebbe meglio anche per sua moglie…” Si bloccò immediatamente, forse resasi conto del pallore che aveva colpito l’uomo all’improvviso. Sapevo che Phil odiava gli ospedali e tutto ciò che li riguardasse, perciò la sola idea di dover metter piede in una sala parto doveva averlo terrorizzato non poco. Ed infatti mi fissò speranzoso, e forse impazzito, chiedendomi silenziosamente aiuto.

Che fare?! Dopo 4 anni passati a sbatterci il telefono in faccia e a nasconderci le cose, ORA, avrei dovuto assistere mia madre nel momento in cui dava alla luce quella creatura che sarebbe stato/a il/la mio/a fratellino/sorellina?! Folle!

“ Vengo io ad assistere mia madre.” Si, proprio folle. Eppure furono queste le parole che mi uscirono dalle labbra quasi d’istinto.

L’infermiera mi fissò chiaramente restia a farmi stare in sala parto. E fu allora che persi le staffe.

“ Senta. Mia madre è là dentro e stà partorendo, io sono sua figlia e sono maggiorenne e in quanto tale ho tutti i diritti di assisterla. Quindi mi faccia strada e facciamola finita.” Sbottai arrabbiata per il suo comportamento poco consono. Da quando il compito delle infermiere era dare giudizi anziché fare il proprio lavoro?

La donna parve riscuotersi alle mia parole e mi fece cenno di seguirla; osservai Phil un’ultima volta e poi le andai dietro.

Quando, nemmeno due minuti dopo, mi trovai davanti alla porta della sala parto con un grembiule verdognolo addosso e una cuffia dello stesso colore in testa la prima cosa alla quale pensai fu: che diavolo stò facendo? Ed era una domanda pertinente. Solo che la tensione del momento la rendeva alquanto inappropriata. Decisi di non pensarci. Decisi di aprire quella porta e fare ciò che avevo deciso di fare. In fondo erano una parte della mia famiglia, sia Renèe sia la creatura che stava per far nascere. E concentrandomi su quel pensiero aprii la porta.

 

L’espressione di Renèe non mi sorprese affatto.

Il suo viso prima deformato dal dolore e dallo sforzo mutò improvvisamente lasciando che la sorpresa avesse il sopravvento sul resto. La vidi irrigidirsi, gli occhi spalancati, e guardarmi come se in realtà non fossi stata reale.

“ Bella…” fu solo un flebile sussurro quello che le uscì, talmente basso che se non avessi visto le sue labbra muoversi non avrei creduto al fatto che aveva parlato.

Mi avvicinai piano al lettino e strinsi forte i pugni finché le nocche divennero bianche. Non dovevo far trasparire nulla, tantomeno la tensione e l’ansia che sentivo dentro; Renèe era già abbastanza agitata di suo per il parto, non era il caso peggiorare le cose.

Per tutto il tempo, finché non le arrivai accanto, mia madre non staccò gli occhi da me non facendo caso ai richiami dei medici. Poi, inaspettatamente, sussultò e lanciò un urlo di dolore.

“ Signora!” Urlò un medico lì accanto.

Oggi, nella mia memoria, quegli attimi sono una massa informe di rumori, passi e urla. Ricordo che le grida di mia madre mi sembravano ululati strazianti; e l’aiuto dei medici pareva superfluo mentre, tra uno strillo e l’altro, gli occhi di Renèe continuavano a fissarmi in un turbinio di emozioni che mi provocavano fitte dolore al cuore.

Fu nel momento in cui non fui più in grado di sopportare che le presi la mano di scatto. Così, abbandonando definitivamente il comportamento che avevo abbracciato in 4 anni, strinsi le sue dita sottili con le mie. E i suoi occhi che mi fissarono con la sorpresa mista alla speranza furono un regalo grandissimo per me.

“ Ora devi pensare a far nascere questa creatura. Devi pensare solo a lei, mamma.” Dissi guardandola negli occhi. Sorridemmo in contemporanea, pregne improvvisamente di un’affinità che non avevamo mai avuto. Pregne della speranza che le cose fossero destinate a cambiare definitivamente.

 

Respiravo piano e a fondo trattenendo fra le dita una tazza di thé fumante. Lo portai alle labbra e così facendo ne aspirai anche l’odore; profumo di menta, fresco e pungente. Un vero toccasana per i miei nervi ormai al limite. Era stata quella che avevo in seguito scoperto essere la ginecologa di mia madre a offrirmi quel calmante naturale.

“ Siediti qui e bevi questo.” Mi aveva detto porgendomi la tazza e indicandomi la panca davanti alla stanza di Renèe. “ Sei stata davvero coraggiosa.” Aveva aggiunto prima di scusarsi richiamata dal lavoro. Coraggiosa?, avevo pensato perplessa. Io direi pazza!. Ma in fondo sentivo di aver fatto la cosa giusta. E quella sensazione si era intensificata nel momento stesso in cui avevo visto il bambino nascere. Leonardo. Così si chiamava il mio nuovo fratellino.

Sentii la porta della stanza di Renèe aprirsi e abbassai istantaneamente la tazza. Era Phil.

Ci osservammo per qualche istante prima che lui mi si avvicinasse per stringermi. Rimasi basita per quel gesto. Io e Phil non avevamo mai avuto tutta questa confidenza. Tuttavia, dati i momenti appena trascorsi, immaginavo che qualcosa si fosse modificato.

“ Grazie.” Mi sussurrò all’orecchio prima di lasciarmi andare e spingermi verso la stanza di mia madre.

Esitai per un istante. Piuttosto sciocco da parte tua, Bella., mi dissi mentre la mano tremava sopra la maniglia. Vuoi tirarti indietro proprio ora?!

Respirai a fondo e aprii la porta con la tensione ben visibile sul volto. Ma ciò che trovai oltre quella soglia la fece sparire completamente: c’era mia madre con Leonardo stretto tra le braccia. E l’espressione di Renèe era qualcosa che non vedevo da troppo tempo. Le aveva disteso il viso, facendola sembrare più giovane. E le aveva riacceso lo sguardo. Sembrava tanto una bambina davanti a qualcosa di sensazionale in quel momento. Ma in fondo, una nascita, non è davvero qualcosa di sensazionale?

Rimasi in silenzio ad osservare quell’immagine cercando d’imprimerla nella mia mente. Volevo percepirla come mai avevo fatto con qualcosa, e così facendo attaccarla alla mia anima.

Fu Renèe stessa ad interrompere l’idillio; alzò la testa di scatto e trovò me, appoggiata alla porta, che la osservavo silenziosamente.

“ Bella…” Lo stesso flebile sussurro di poco prima le uscì dalle labbra. Non sapeva cos’altro dire, e continuò a fissarmi mordendosi il labbro inferiore della bocca.

Mi avvicinai piano, decidendo di sedermi sul letto accanto a lei. Trassi un bel respiro.

“ Mi dispiace!” Soffiai fuori con decisione prima che tutta la determinazione accumulata svanisse. Non osai alzare lo sguardo, ma fui costretta a farlo quando sentii la mano di Renèe appoggiasi alla mia, innaturalmente gelida.

“ Sono io che mi devo scusare. Per il mio comportamento e per ciò che non ti ho mai detto.” Disse piano fissandomi negli occhi. “ Come madre so di essermi comportata nel peggior modo che potessi. Non avrei mai dovuto abbandonarti. Non sarei dovuta scappare.”

Ma l’hai fatto…” Mormorai sicura, ma non c’era cattiveria nella mia voce.

“ Si…” Ammise con un sospiro che sapeva di resa. Forse era la prima volta dopo 4 anni che ammetteva anche solo a se stessa il suo errore. “ Sono scappata. E ti ho lasciata nel momento peggiore, nel momento in cui più avevi bisogno di me. E la cosa peggiore è che l’ho fatto convinta di essere in buona fede.

Lara… Lara era la bambina. Quella che continuava a vivere nel suo mondo fatto di sogni e favole; era quella che prendeva tutto con una risata e che non pensava al futuro. Lara mi somigliava troppo! E in lei vedevo me stessa.” Si, lo sapevo già. Lara era come uno specchio per Renèe: lo specchio della sua esistenza e del suo carattere. Mentre io…

“ Tu eri diversa. Tu sei diversa.” Disse abbassando lo sguardo e portandolo sul piccolo Leo che aveva iniziato ad assopirsi tra le braccia della madre. Avevo l’impressione che avesse paura nel pronunciare quelle parole. “ Tu mi spaventavi Bella.” Ammise con un sospiro facendo sussultare il mio cuore.

“ P-Paura…di…me…?!” Borbottai percependo il tremore della mia voce e delle mie mani. Non potevo credere a quanto sentivo. Renèe… Mia madre lei…lei aveva sempre…avuto paura di…di me?! Sentii qualcosa agitarsi dentro di me. E non era rabbia o dolore come immaginavo – come speravo –. Era rammarico. Era tristezza. La consapevolezza che forse lei non mi aveva mai amata davvero. E mi fece male.

“ Non che non ti abbia amata, Bella.” Disse lei quasi ad interpretare i miei pensieri ora confusi. “ Anzi. Ti ho sempre amata infinitamente. Tanto quanto amavo Lara. Ma mi rendevo conto che tu eri diversa da tua sorella, ed era giusto così. Ciò che mi spaventava non eri tu come persona, ma il modo in cui ti approcciavi in certe situazioni. Eri già…adulta, quando avresti dovuto essere ancora una bambina.

Chiuse gli occhi e buttò fuori l’aria. Era stato uno sforzo enorme per lei raccontarmi tutto questo. E altrettanto era stato lo sforzo mio nell’ascoltarla.

Mi chiesi, improvvisamente, se in tutta quella storia non fossi sempre stata io quella sbagliata. Mi sentivo come un’incognita che nessuno aveva e avrebbe mai svelato, un mistero che sarebbe rimasto tale per sempre, e che si sarebbe impolverato e sciupato fra le pieghe del tempo. Che fosse davvero destino che finisse così? Era stato tutto inutile ciò che avevo cercato di fare?

Ma poi Leo scoppiò a piangere. Forte. E mi riscosse dai miei pensieri così autolesionistici. E in quel momento, vedendo mia madre cullarlo cercando di farlo smettere, riuscii a capire cosa sentiva quel bambino al momento. La protezione di una madre… Il suo amore… Ero certa che Renèe avesse amato me e Lara allo stesso modo. E che nonostante quant’era successo il suo amore non era mai venuto meno. E se io ero lì, in quel momento, e avevo potuto assistere alla nascita del mio fratellino non era stato un caso. Avevo lottato per quel momento, con le unghie e con i denti. E almeno quell’attimo familiare lo avevo ottenuto.

Forse era stata proprio la mia diversità di carattere a portare a ciò. Non lo sapevo ne lo avrei mai saputo. Non era una domanda a cui si poteva trovare una risposta quella.

“ Mamma…io…” Non potei finire di parlare: Phil entrò come un tornado nella stanza e si affiancò a sua moglie in un lampo. Quanto amore vedevo nei piccoli gesti e nelle occhiate!

Vidi entrare anche la ginecologa di mia madre; lei mi sorrise gentilmente.

Mi morsi il labbro inferiore. C’erano ancora tante cose che avrei voluto dire a Renèe. Troppe cose. Ma non ero certa che la mia bocca le avrebbe mai formulate. E così, dopo aver adocchiato una macchina fotografica che doveva essere di Phil, la presi e la porsi alla donna in camice bianco che ancora mi fissava.

“ Potrei chiederle di farci una foto?” Domandai gentilmente porgendole l’oggetto.

“ Certamente!” Rispose entusiasta; sicuramente non era a conoscenza del nostro rapporto madre-figlia.

“ Renèe. Phil.” Li chiamai distogliendoli dal piccolo Leo. “ Facciamo una foto?”

Mia madre mi guardò incredula spalancando i grandi occhi chiari. Phil, invece, mi sorrise caloroso.

“ Facciamo una foto, mamma.” Le sussurrai fingendo di posizionarmi meglio per entrare nell’obbiettivo. “ Facciamo una foto come famiglia.”

Sono certa che una lacrima abbia rigato il volto di Renèe in quel momento. E lo stesso è accaduto a me. Ma per la prima volta dopo tanto tempo, quella, era una lacrima di gioia.

 

Quando Phil aprì la porta di quella stanza – della mia stanza – rimasi basita. Sulla parete bianca e azzurra troneggiava la scritta “Bella” di un blu acceso; il letto era perfettamente al centro della stanza, con la testiera contro la parete scritta; sul lato destro una porta finestra che dava sul piccolo balcone ora celato dalle tende. Nella stanza c’erano anche un grande armadio bianco che avrebbe fatto impazzire Alice e una scrivania di legno chiaro con appoggiato sopra un computer portatile bianco.

Mi voltai con gli occhi sbarrati verso Phil e boccheggiai qualcosa. Lui ridacchiò divertito.

“ È la tua stanza Bella.” Disse semplicemente con un’alzata di spalle.

“ Ma ?!” Feci sarcastica indicando l’enorme scritta del mio nome. “ Io intendevo…”

“ Prenditela con tua madre.” Disse alzando le mani in sua difesa e interrompendomi. Io aggrottai le sopraciglia.  “ È stata una sua idea. Voleva che tu avessi una tua stanza se mai…

“ Se mai avessimo chiarito e io avessi avuto voglia di venire qui di tanto in tanto.” Finii per lui tornando ad osservare la stanza. Ero certa l’avesse arredata Renèe: era proprio nel suo stile. Renèe che, tra parentesi, era ancora all’ospedale e sarebbe stata dimessa entro pochi giorni con il mio nuovo fratellino.

“ Io ti capisco se non vuoi.” Si affrettò a dire trafelato. “ E comunque la stanza non è finita. Dobbiamo ancora aggiungerci qualcosa qua e là e…” Si bloccò ad un mio repentino gesto della mano.

“ È bellissima.” Mormorai entusiasta con gli occhi che brillavano. Phil sorrise felice.

“ Mi fa piacere.”

Rimanemmo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Io continuavo a fissare la stanza sentendo qualcosa di caldo sciogliersi nel mio petto. Mi sentivo tranquilla – nonostante ciò che avevo lasciato in sospeso a Forks – finalmente certa che almeno qualcosa sarebbe andato per il verso giusto.

“ Phil.” Lo chiamai piano colta da un’improvvisa gaiezza. “ Se dicessi pizza e film cosa risponderesti?”

Lui mi fissò stranito per un momento prima di scoppiare a ridere forte.

“ Vado ad ordinare le pizze!”

 

Avevo deciso di fermarmi a Phoenix per un paio di giorni, una settimana alla grande. Volevo passare un po’ di tempo con Renèe, Phil e Leo prima che gli impegni scolastici mi portassero via chissà quanto tempo, e tornare anche solo per un fine settimana si rivelasse impossibile. E nel profondo avevo anche cercato tempo per pensare; pensare a Edward e a quanto era successo. Pensare a ciò che il mio ritorno avrebbe comportato: uno scontro diretto! E sarei stata io stessa a cercarlo, non appena fossi scesa dall’aereo. Perché bisognava chiarire, una volta per tutte, che senza basi non saremmo andati da nessuna parte.

L’aria serale di Phoenix non era calda come durante il giorno. Certo non c’era il freddo pungente di Forks, ma non era il caso di girare in canottiera come nelle ore di punta. E così, presa da un’improvvisa voglia, avevo chiesto a mia madre se aveva voglia di farsi una camminata digerente sulla spiaggia. E lei, sorpresa ma sorridente, aveva accettato, decidendo di portare anche Leo mentre Phil rimaneva a casa a guardare chissà quale partita.

Avevamo camminato lungo la spiaggia per una mezz’ora buona prima di decidere di fermarci ad ascoltare il rumore delle onde. Avevamo parlato tanto in quei giorni che avevo passato lì, molto più di quanto non avessimo mai fatto. In realtà si era trattato di limare i dettagli, visto che il passo lo avevamo fatto quel giorno in ospedale. Di chiarire anche le ultime cose per poi poter parale della vita che entrambe avevamo iniziato a vivere. E, alla fine, ci eravamo sedute in silenzio.

“ Sei sicura di non voler restare un altro po’?” Mi chiese Renèe prendendo la parola.

“ Non posso, mi dispiace. Ho già saltato troppi giorni di scuola e questo è l’ultimo anno.” Dissi pensando alle vere ragioni che mi avrebbero portata di nuovo a Forks. “ Magari torno per natale.” Avevo poi buttato lì per rincuorarla un po’. Lei aveva sorriso serena.

Mi girai a destra e a sinistra ad osservare il paesaggio e fu in quel momento che notai un viso conosciuto. Sgranai gli occhi e la osservai meglio: non poteva che essere lei! Ma che ci faceva lì?

Mi alzai e dissi a mia madre che tornavo subito, poi mi diressi verso la figura che se ne stava in riva al mare.

“ Alice!” La chiamai ma lei continuò a giocare con l’acqua. “ Alice!” Riprovai, ma ancora lei non si voltò a guardarmi. Mi prendeva in giro? Prima mi seguiva a Phoenix e poi fingeva di non conoscermi? “ Alice!” E stavolta la presi per un braccio lasciandola andare subito dopo.

No, quella non era Alice, anche se le somigliava in maniera incredibile. Era piccola e mingherlina come la mia amica, ma aveva i capelli lunghi legati in una coda, gli occhi azzurri anziché neri e i lineamenti del viso erano ancora troppo infantili. Poteva avere 11 o forse 12 anni la ragazzina che mi stava davanti.

“ Oh, scusa.” Dissi contrita. “ Ti ho scambiata per una mia amica. Tu le somigli molto.”

Lei continuò a fissarmi, forse impaurita da me. Era ovvio! Dovevo averla terrorizzata! Poi sentii una voce di donna chiamare un nome che non afferrai e la ragazzina si voltò di scatto e corse via verso quella che presumevo essere sua madre. La vidi dirle qualcosa prima che gli occhi della donna – e n’ero certa! – si posassero su di me.

No, quella ragazzina non era Alice, ma certamente le assomigliava in maniera incredibile. Com’era possibile?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ecco qua i vestiti di Bella & Co.

 

Bella: http://www.polyvore.com/cap_14_family_bella/set?id=29527072

 

 

 

 

 

 

Grazie mille agli 84 che hanno messo la storia tra le Preferite!!!

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Grazie mille a chi mi ha sostenuta fino a questo momento!!!

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