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Autore: Beatrix Bonnie    21/03/2011    4 recensioni
Extraiures, fuorilegge... o meglio, fuori dagli schemi. Questo è il racconto della vita e dell'amicizia di Reammon e Septimius, due maghi irlandesi che hanno imparato ad andare oltre i pregiudizi del loro tempo e a vivere fuori dagli schemi.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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Il giovane musicista

Agosto 1961, villa Saiminiu

Septimius si stava aggiustando il colletto della camicia e il panciotto davanti allo specchio, rimirando soddisfatto la sua immagine riflessa.
«Perché non posso venire anche io? Perché devo stare a casa con Wolly?» protestò una vocina alle sue spalle.
Septimius si voltò compassionevole verso sua sorella: si reggeva al suo bastone di ebano con la testa di un drago d'argento e lo osservava con sguardo truce e afflitto insieme. «Mamma ha detto che se esci ti ammali, Scilla. Lo sai che sei cagionevole» rispose Septimius comprensivo.
Cagionevole. Non era affatto vero: lei non si era mai ammalata, nemmeno una semplice influenza, mentre suo fratello era a letto con la febbre ogni tre per due. Ma a lei era proibito di uscire, a lui no.
Forse Septimius intuì i pensieri di sua sorella, leggendoli negli occhi scuri così uguali ai suoi. «Mi dispiace» sussurrò allora, accarezzandole la spalla. La camicetta bianca, all'altezza del gomito sinistro, era chiusa con un nodo.
«Dai, vieni giù in salotto. Dovrebbe arrivare il signor Maleficium con suo figlio: possiamo spiarli da dietro la porta, si ti va» esclamò Seprimius, nel tentativo di rincuorare sua sorella. A lei non era permesso di presentarsi a nessuno, non doveva vedere nessuno che non fosse della famiglia perché secondo i genitori avrebbe rischiato di prendere qualche malattia.
Priscilla sembrò pensarci sopra qualche secondo, poi sorrise.
I due fratelli scesero silenziosamente le scale e si nascosero dietro la porta che conduceva in cucina.
Proprio in quel momento qualcuno bussò al portone e Wolly l'elfo domestico andò ad aprire. «Prego, signor Maleficium, signorino Maleficium» esclamò la vocetta dell'elfo, conducendo in salotto i due ospiti.
Il signor Maleficium era un bell'uomo alto, dall'aria importante, elegante e curato nel vestire. Lo seguiva un ragazzino sui dieci anni, con i capelli biondi pettinati all'indietro e il nasino all'insù. Nell'insieme era un bel bambino, soprattutto vestito con quel piacevole completino azzurro che si intonava ai suoi occhi celesti.
«È carino» ridacchiò Priscilla, osservando il giovane Maleficium. La sua opinione ovviamente valeva quel che valeva, pronunciata da una bambina di sei anni che non aveva mai visto nessun coetaneo ad esclusione del fratello gemello. Però era indubbio che il ragazzino avesse un certo fascino.
Onoria MacGaril, ormai signora Saiminiu da parecchi anni, fece il suo ingresso in salotto. Era una donna altera, con i capelli biondi raccolti in un nodo dietro la testa e il mento perennemente rivolto verso l'altro, come se fosse per lei un peccato anche solo abbassare gli occhi su qualcosa che fosse sotto di lei. «Abharrach Maleficium» disse la donna, sorridendo e allungando le mani verso l'ospite per salutarlo con due baci sulle guance. «È un piacere rivederti».
«Il piacere è mio» rispose cordialmente l'uomo.
Gli occhi di Onoria indugiarono sul ragazzino biondo che accompagnava il mago. «E questo gentile ometto?» domandò con un sorriso.
Il mago mise una mano sulla spalla del bambino e lo presentò alla donna: «Questo è Eoin, mio figlio».
Il giovane Eoin fece un inchino molto educato rivolto alla signora.
«Com'è cresciuto!» esclamò invece Onoria. «Me lo ricordo che era alto così!» e a quelle parole fece un gesto con la mano per segnare l'altezza.
«Oh, così la mamma lo conosce» bisbigliò Priscilla, all'orecchio del fratello.
«Certo» rispose Septimius, in tono risaputo. «I Maleficium sono della schiatta di Iuchar Tuiren, come la mamma».
Priscilla allungò il collo per scrutare meglio il ragazzino. «Ma non siamo parenti, vero?» domandò con circospezione. Chissà se i genitori le avrebbero permesso di conoscere il giovane Eoin, anche se non era della famiglia.
Suo fratello scosse lentamente il capo. «No. Zio Belisar dice sempre che appartenere alla stessa schiatta non vuol dire essere per forza parenti» spiegò alla sorellina.
«Non mi piace lo zio Belisar» commentò con astio Priscilla, riferendosi al fratello della loro madre, anche se effettivamente lei non ci aveva mai parlato, per via del fatto che era cagionevole e non poteva vedere nessuno. Ma le era bastato uno sguardo per capire che Belisar MacGaril era un pallone gonfiato, almeno quanto suo figlio Giustinianus.
Nel frattempo, Onoria aveva condotto il suo ospite in un'altra stanza, per mostrargli un vecchio quadro di un suo antenato che Abharrach si era gentilmente offerto di restaurare.
Il giovane Eoin, invece, era restato in salotto. Si stava guardando distrattamente in giro, quando il suo occhio fu rapito da un bel pianoforte a mezzacoda che si trovava in un angolo della stanza. Controllando con circospezione che non ci fosse nessuno (non poteva, infatti, immaginare di essere spiato dai due gemellini Saiminiu), si sedette allo sgabello del piano e cominciò a suonare.
Proprio in quel momento sbucò da dietro una porta un bimbetto moro. Forse la natura gli aveva donato altre qualità, ma non certo la bellezza: il naso era adunco e un po' sproporzionato per il visino magro, gli occhi scuri erano resi più cupi da un paio di occhiali con uno spesso bordo blu e i capelli neri e lisci erano tagliati sotto le orecchie. Nel complesso, non era affatto un bel bambino.
«Ciao» lo salutò con la sua vocetta acuta.
«Ciao» rispose Eoin, con un mezzo sorriso.
Il bambino si avvicinò al pianoforte e schiacciò a caso qualche tasto bianco. «Sai, questo è mio» disse, indicando il piano.
«Oh, scusa» rispose il ragazzino, credendo che il bambino si fosse offeso.
Ma quando fece per scendere dallo sgabello, lui lo fermò: «Stai pure, tanto io non so suonare. Tu invece sei bravo».
«Papà dice che ce l'ho nel sangue» rispose Eoin con semplicità. Qualcuno sosteneva che nei Maleficium ci fosse una vena artistica: da sempre, c'era un qualche membro della famiglia che sapesse padroneggiare una delle arti. Suo padre Abharrach era un pittore e restaurava dipinti per hobby, mentre lui aveva una particolare predisposizione per la musica.
«Io sono Eoin Maleficium, comunque» si presentò il ragazzino.
«Septimius Saiminiu» rispose il bambino. Era stata Priscilla a convincerlo a presentarsi al giovane Maleficium: sperava che, mandando avanti il fratello, poi, magari, avrebbe potuto fare conoscenza anche lei con il ragazzino biondo.
Ma proprio in quel momento Onoria e il suo ospite rientrarono in salotto e le speranze di Priscilla si infransero: sua madre non le avrebbe mai permesso di farsi vedere da un estraneo. Onoria parve stupita di vedere il figlio in giro, ben sapendo che nascosta da qualche parte doveva esserci la sorellina, ma decise di sfruttare velocemente la situazione.
«Questo è Abharrach Maleficium, tesoro. Saluta come si conviene ad un giovanotto della tua età» disse rivolta al piccolo Septimius.
Il bimbo si fece avanti e si produsse in un buffo inchino che fece intenerire il signor Maleficium.
«Io e Septimius dobbiamo raggiungere mio marito Sextans al magione Deamundi, per la festa di fidanzamento del giovane rampollo. Perché non sfruttiamo tutti il nostro metrombino?» propose Onoria in tono gioviale.
In realtà il signor Maleficium avrebbe preferito non presentarsi a quella festa, perché i Deamundi non gli andavano molto a genio, ma visto che non sapeva come declinare l'offerta senza far insospettire la signora Saiminiu, fu costretto a fare buon viso a cattivo gioco. Fu così che i quattro si diressero verso l'uscita, lasciando Priscilla, delusa e amareggiata, nascosta dietro la porta della cucina.
La proprietà dei Deamundi si estendeva su un'area di circa cento ettari, al centro dei quali si erigeva una dolce collina che ospitava il castello, che fin dai tempi più antichi era stata la residenza della potente famiglia di maghi. In occasione del fidanzamento dell'unico figlio, Meccorin Deamundi, i genitori avevano dato una festa di particolare sfarzo, invitando tutte le famiglie purosangue più in vista della società magica.
Unici assenti, perché non avevano ricevuto l'invito (ma non si sarebbero presentati nemmeno se l'avessero ricevuto), erano la sorella e con il marito della signora Evangeline Deamundi. Sua madre l'aveva implorata di riallacciare i rapporti con la sorella, ma lei nemmeno ci aveva provato, perché sapeva che non c'era possibilità di riappacificarsi con Josephine.
Per la grande occasione, uno stuolo di elfi domestici aveva preparato un sontuoso buffet nel giardino antistante il castello.
Septimius si guardò intorno con aria annoiata, osservando con scarso interesse i maghi e le streghe dall'aria importante, vestiti con abiti di lusso, che erano impegnati in noiose conversazioni da adulti. Pensò che gli dispiaceva di aver lasciato a casa la sorella senza essere riuscito a presentarle il giovane musicista, ma, forse, se le avesse portato un po' di quelle prelibatezze del buffet, lei l'avrebbe perdonato. Così si avvicinò con aria circospetta al tavolo di fronte a lui e cominciò a ficcarsi in tasca qualche tartina e pasticcino.
«Ti stai intascando i dolcetti?» gli chiese una voce divertita alle sue spalle.
Septimius si voltò allarmato, ma si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo quando riconobbe il giovane Maleficium.
«Sono per il mio elfo domestico» si giustificò con un mezzo sorriso. I suoi genitori gli avevano sempre detto di non rivelare a nessuno l'esistenza di Priscilla, altrimenti sarebbero venuti dei guaritori a portarsela via per curare le sue malattie. Per fortuna Eoin non commentò ulteriormente la cosa. «Bella festa» disse allora Septimius, tanto per fare conversazione. In realtà non gli pareva affatto che fosse una bella festa, ma i suoi genitori gli avevano insegnato ad essere educato.
Tuttavia il ragazzino biondo fece una smorfia tale che Septimius fu costretto a chiedere: «Perché fai quella faccia?»
«Mah, niente. È che non mi piacciono molto i Deamundi» rispose quello scrollando le spalle.
«Perché, che hanno?» domandò allora Septimius, incuriosito.
Eoin incrociò le braccia al petto. «Be', si considerano superiori a tutti gli altri» rispose con malcelato astio.
Septimius sgranò gli occhi. «E non lo sono?» chiese incredulo, con tutta l'innocenza di un bambino di sei anni.
«No, affatto!» esclamò l'altro con decisione.
Septimius era spiazzato: gli avevano sempre insegnato il contrario. «Ma sono l'unica famiglia rimasta delle nobile stirpe di Con Cetchthach!» protestò, facendo leva su argomentazioni logiche, per quanto fosse possibile data la sua giovane età.
«Non mi interessa! Essere nobile Purosangue non significa considerarsi sempre superiori! Certo, bisogna essere orgogliosi delle proprie origini, ma anche gli altri hanno la loro dignità in quanto maghi, in quanto persone» rispose invece Eoin, come se stesse facendo un'arringa in mezzo alla folla.
Il piccolo Septimius era sempre più scioccato: nessuno gli aveva mai parlato in quel modo. «E tutte queste cose chi te le ha insegnate?» chiese ancora, rivolto al ragazzino.
«La musica!» proruppe Eoin, con entusiasmo. «Vedi, in musica ci sono tante note, ma non sono tutte uguali, altrimenti non si potrebbe nemmeno suonare. Però, nella loro diversità, hanno tutte la stessa importanza. E così si ottiene la più nobile delle arti umane, la musica».
Il ragazzino fece una pausa, perché un gruppo di adulti si era avvicinato al tavolo, poi riprese con un tono di voce più basso: «Lo stesso vale per una società: siamo tutti diversi, per origine e attitudine, ma abbiamo tutti la stessa dignità, come le note musicali. Mio padre mi ha insegnato queste cose. Sai, il motto della mia famiglia è Pax ordum pax orbis: pace degli ordini, pace del mondo».
«Uau...» fu l'unica cosa che riuscì a dire Septimius, sebbene non avesse afferrato proprio tutto di quel discorso. Tuttavia, si ritrovò anche lui a pensare al motto della sua famiglia, Faoi sciath na Firinne, Sotto lo scudo della Verità. Strano, visto che i suoi genitori gli avevano da sempre insegnato a mentire su sua sorella gemella, anche se a fin di bene, perché non se la portassero via i guaritori. Però non sembrava proprio che il loro motto li avesse ispirati come invece aveva fatto con il giovane musicista e le sue teorie sulla concordia..



Eoin Maleficium! *-* Come si fa a non adorare questo tenero bambino biondino? Ahahah! Che effetto vi fa vedere l'austero ed elegante signore a cui siete abituati nelle vesti di un ragazzino? Per chi non lo conoscesse, il caro Eoin è il padre di uno dei miei protagonisti della saga sul Trinity ed è anche uno dei miei personaggi preferiti.
Una piccola nota: così come la Rowling fa dire a Sirius che le famiglie purosangue sono tutte imparentate tra loro, anche io ho sfruttato questo cliché. In realtà, come specifica Septimius, esiste la Schiatta di appartenenza (una sorta di clan, sono 8 in tutto) dentro cui si ritrovano diversi ceppi familiari non necessariamente imparentati tra loro. Tuttavia, è vero che le 20 famiglie che vantano il titolo di nobili sono tutte un po' incrociate tra loro! Così i figli di Belisar MacGaril (Giustinianus e Aretè, che qui non è ancora nata) si sposeranno con due fratelli O'Brian, cugini di Joey. La sorella di Joey, Evangeline appunto, è invece sposata con i Deamundi... insomma, un bel caos! Presto (ovvero quando pubblicherò il primo capitolo de “Il torneo Trecolonie”) vi farò avere una breve storia delle schiatte nobili d'Irlanda e gli alberi genealogici degli O'Brian e dei MacGaril, così avrete tutte le parentele sott'occhio (scommetto che non vedere l'ora! Ahahaha!).
Alla prossima,
Beatrix

EDIT: continua l'opera di risistemazione dei dialoghi!

   
 
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