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Autore: cabol    22/03/2011    1 recensioni
Il salvataggio di una fanciulla in difficoltà scaraventa due viandanti nel cuore di un sanguinoso mistero.
Perché terrificanti ululati si levano dai boschi?
Perché sono scomparse alcune persone?
Cosa sparge il terrore in una tranquilla campagna?
Quale perversa oscurità sta avvolgendo la rocca di Luna Splendente?
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo 4: La rocca

La rocca di Luna Splendente


Partirono subito, sempre guidati dalla ragazza che appariva di ottimo umore e chiacchierava allegramente, illustrando quei paraggi come solo chi vi aveva trascorso tutta la vita avrebbe potuto fare. Robert la ascoltava affascinato, anche se, di tanto in tanto, lanciava a sir Raoul degli sguardi curiosi che il gentiluomo, immerso in chissà quali riflessioni, parve non notare per nulla. In meno di mezzora il gruppetto giunse in vista della rocca.

La rocca di Luna Splendente sorgeva su un colle verdeggiante e constava di un’ampia cerchia muraria che racchiudeva un massiccio torrione cilindrico sormontato da una terrazza merlata. Il sentiero che conduceva alla possente porta scea, difesa da due torrette, correva per oltre cento metri fra le mura a destra e una ripida scarpata a sinistra, costringendo eventuali assalitori ad avanzare sotto il tiro nemico senza neppure poter contare sulla protezione offerta dallo scudo che si sarebbe trovato dalla parte del dirupo.

Sull’arco che sovrastava il fornice, un’iscrizione scolpita recava una quartina, identica a quella sulla porta del villaggio, testimone del culto di Sergaries.

 

Viandante benvenuto

chi in questo loco scende:

sulla sua chioma splende

la luce di Sergaries.

L’ampio cortile della rocca era dominato dal possente cassero, evidentemente il nucleo iniziale dell’insediamento, davanti al quale si ergeva un elegante edificio più moderno, che costituiva il palazzo vero e proprio. Questo, di forma rettangolare, si elevava di due piani da terra, coperto da un tetto in ardesia che pareva aver bisogno di un po’ più di manutenzione, completamente circondato da un camminamento merlato, tranne sul lato addossato al massiccio torrione. Davanti alla scalinata che conduceva all’ingresso del palazzo, si ergeva un pozzo, identico a quello che si poteva vedere nella piazza del villaggio. In fondo al cortile, addossato alle mura, un edificio in pietra, alquanto male in arnese, pareva essere destinato ad alloggiare la guarnigione. A lato di questo si distinguevano le stalle, evidentemente tenute in maggior considerazione degli alloggi militari, giacché apparivano in discrete condizioni.

Nei pressi del pozzo, una donna elegantemente vestita osservava, evidentemente incuriosita, i viaggiatori che si stavano avvicinando. Un attimo dopo, un uomo robusto, anche se di bassa statura, comparve sulla soglia della casa. Nel riconoscere, l’ancella, la dama si avvicinò con passo deciso. Sul bel viso era dipinta un’espressione di contrariato stupore.

«Lucy! Ma quanto ci hai messo? Cominciavamo a preoccuparci sai? E chi sono questi signori?».

Nel vedere i due giovani che accompagnavano la ragazza, la dama esibì uno smagliante sorriso. Era alta e sinuosa, vestita con una cotta damascata grigia bordata di velluto blu decorato con splendide perle, che esaltava le sue forme generose. Portava, come si addiceva alle donne sposate, un copricapo a corona di velluto blu con velo e soggola di lino bianco, dal quale, tuttavia, sfuggivano abbondanti ciocche civettuole di capelli biondi. Il volto altero era addolcito dalla bocca vermiglia, atteggiata a un sensuale sorriso, mentre gli occhi glauchi dallo sguardo sbarazzino e seducente parevano studiare attentamente i due nuovi arrivati. Lucy, dal canto suo, osservava con attenzione il volto della castellana, quasi a indagarne le espressioni per prevenire una reazione temuta.

«Perdonatemi, signora. Purtroppo Morella si è imbizzarrita e, se non avessi incontrato questi gentiluomini, avrei rischiato di farmi molto male. Sono stati così gentili da accompagnarmi al villaggio e riportarmi qui. Ho comprato tutto quanto vi serviva».

La bella signora pareva molto incuriosita dall’aspetto elegante dei due cavalieri, in particolare da sir Raoul. Rispose con molta dolcezza, pur mantenendo gli occhi fissi sui nuovi arrivati.

«Va bene, Lucy. Ora vai a casa a preparare quel vestito. Penserò io a questi gentiluomini».

«Grazie signora. Vado subito».

Visibilmente sollevata, la ragazza corse verso l’ingresso, inchinandosi davanti all’uomo sulla soglia che, per tutto il tempo, era rimasto a guardare alternativamente le due donne, con aria pensierosa. Prima di sparire dentro la casa, si voltò un attimo per sorridere alla volta di Robert.

La dama fece per rivolgersi ai due giovani visitatori ma, prima che potesse aprire bocca, l’uomo si avvicinò al gruppetto prendendo la parola con fare disinvolto e affabile.

«Onorato di conoscervi, signori. Sono sir Mordred Galehaut e vi ringrazio di cuore per averci riportato la nostra Lucy, sana e salva».

Era di corporatura massiccia, basso e muscoloso, con mani evidentemente avvezze al lavoro o all’uso delle armi. La mandibola arrogante e il suo sguardo altero, uniti ai modi autoritari dimostravano come fosse uomo avvezzo a comandare, anche con la forza. Il capo, rotondo, era coperto da radi capelli neri, accuratamente riportati a coprire gli ampi spazi vuoti della sommità del cranio. La voce, perfettamente impostata, era suadente e ferma, una voce abituata a parlare alle folle, la voce di un comandante o di un attore.

Osservandolo meglio, sir Raoul si accorse di alcune cicatrici che occhieggiavano qua e là dagli abiti e che gli fecero supporre di trovarsi di fronte a un uomo d’arme. Vestiva con classica eleganza, con un’ampia veste di lunghezza talare dalla quale spuntava un paio di stivali di cuoio più adatti a un avventuriero che a un possidente e portava, appesa alla cintura, una frusta dall’aspetto minaccioso. Le mani erano adorne di grossi anelli di notevole valore e una grossa catena d’oro gli cadeva sul petto.

«Sono lieto di conoscervi, sir Mordred. Sono sir Raoul Velmont di Lumbar e questo è Robert, il mio maggiordomo. Siamo solo stati fortunati a poter salvare Lucy».

«Consentitemi di interpretare il desiderio di mio cognato, sir Ernest Thibersmenil, invitandovi a restare nostro ospite a cena e per qualche giorno. Ernest sarà felice di ringraziarvi personalmente ma le sue condizioni di salute non gli consentono di lasciare la sua camera».

Sir Raoul sorrise al castellano e accennò un inchino.

«Accettiamo volentieri, sir Mordred. Spero di poter rendere omaggio a sir Ernest appena possibile».

«Sarà mia sorella stessa, a condurvi da lui». Il nobiluomo indicò la bella dama con un gesto della mano, invitandola ad avvicinarsi.

«Sono veramente onorata e lieta che la nostra Lucy ci sia stata resa da un giovane del vostro fascino e lignaggio, sir Raoul. Sono dama Lavinia, la consorte di sir Ernest, il signore della rocca».

Le parole e i gesti della dama erano estremamente seducenti e quasi sfacciatamente rivolti a sir Raoul che, comunque, non diede il minimo segno di imbarazzo nell’elegante inchino con cui salutò la donna.

«Semmai, dama Lavinia, è mio l’onore di rendere omaggio alla vostra beltà».

«Di bene in meglio, un giovane tanto affascinante e galante porta una ventata di luce ed eleganza nella nostra dimora».

Il sorriso di sir Raoul non si smorzò affatto nel vedere l’occhiata di fuoco che il fratello aveva lanciato alla civettuola dama. Piuttosto, si trovò quasi involontariamente a studiare la bella gentildonna e il suo ombroso congiunto. In realtà, i due non si somigliavano per nulla. Lei alta, raffinata, sempre seducentemente sorridente, un po’ vacua ma decisamente affascinante, lui basso, piuttosto pacchiano nell’ostentazione della ricchezza, sempre assolutamente gentile anche se un po’ altezzoso.

«Venite, sir Raoul, mio marito sarà lieto di conoscervi».

L’elegante figura della giovane signora si diresse verso il portone d’ingresso della casa, adorno di un frontale che appariva notevolmente più antico della struttura, impreziosito da un bassorilievo con lo stemma della Luna circondata da stelle, il simbolo della dea Sergaries. Anche su questo frontale, come nella torre del villaggio, si poteva leggere chiaramente la stessa quartina.

 

Apre la via al mistero

il disco della fide,

nel core, ov’è merzide

la luce di Sergaries.

«Splendido, questo frontale … mi pare di capire che siate devoti di Sergaries». Sir Raoul si era fermato ad ammirare le raffinate decorazioni che circondavano l’iscrizione.

La dama lanciò un’occhiata svogliata al portone.

«Ehm, sì, certo. Questa rocca è appartenuta a un’importante stirpe di sacerdotesse». Il suo sguardo abbandonò l'iscrizione per fissarsi, assai più interessato, sul giovane.

«Oh, comprendo. Mi sembra che mi abbiano detto che c’è anche un tempio dedicato alla luna». Un lampo di delusione passò negli occhi della donna.

«Sì. È nel cortile interno del torrione. Ora non c’è nessuna sacerdotessa, però».

Detto questo, la dama si voltò ed entrò con passo rapido nella casa, seguita da sir Raoul e da Robert. Percorsero un ampio androne, alquanto spoglio e buio, dal quale una maestosa scalinata conduceva al piano superiore, mentre un arco elegantemente decorato con i simboli di Sergaries, introduceva a quella che pareva una grande sala.

Robert guardò sir Raoul con aria interrogativa. Il gentiluomo capì al volo la muta domanda del fedele maggiordomo e gli sorrise ammiccando. Un attimo dopo, il giovane sparì sotto l’arco, alla ricerca di Lucy.

Lungo la scalinata, una serie di ritratti di buona fattura parevano osservare quanto accadeva in quell’ambiente. Dama Lavinia cominciò a salire le scale, seguita da sir Raoul. Questi osservava con curiosità i quadri e a un tratto, si fermò davanti ad uno di essi. La dama si accorse della sosta del giovane e si voltò a guardarlo con aria interrogativa.

«Interessati, questi ritratti … sembrano della bottega di mastro Gilbert di Elosbrand … rappresentano i precedenti castellani?».

«Complimenti, sir Raoul, è proprio da quella bottega che vengono i mastri ritrattisti che hanno fatto quei dipinti». La dama pareva davvero stupita che il gentiluomo mostrasse interesse per quei dipinti. «Sì, sono i precedenti castellani… e le sacerdotesse. Sapete, è un’usanza che risale a oltre duecento anni».

Giunti al piano superiore, percorsero un breve corridoio scarsamente illuminato sul quale si aprivano due porte e giunsero in una grande stanza dalle pareti coperte da scaffalature ingombre di libri e pergamene. Un fuoco ardeva in un caminetto in fondo alla stanza e un uomo sedeva su una poltrona, con un bicchiere in mano, apparentemente assorto a scrutare le fiamme. L’aria era impregnata di un forte aroma di liquore.

«Sir Ernest, ho l’onore di presentarvi sir Raoul Velmont che ha soccorso la nostra Lucy alla quale si era imbizzarrito il cavallo e l’ha riportata da noi».

L’uomo parve riscuotersi e si girò lentamente verso i due nuovi arrivati. Era di corporatura robusta e doveva essere stato veramente attraente, con lineamenti delicati e le spalle possenti. Pure, il colorito giallognolo della pelle e gli occhi vacui, iniettati di sangue, trasmettevano immediatamente un’impressione di malattia. I capelli scarmigliati erano precocemente ingrigiti, conferendogli un aspetto senescente, quantunque non dovesse aver superato da molto la cinquantina. Era vestito semplicemente, con un pesante mantello di lana e non portava alcun ornamento, escluso un grosso anello d’oro alla mano destra, il cui castone nero racchiudeva la forma stilizzata di un'aquila d’ametista. La voce impastata suonò incerta e apatica.

«Siete voi, mia signora? Sono lieto che mi abbiate portato un ospite di rango. Sapete quanto ami circondarmi dai miei pari … Onorato di conoscervi sir …».

«Raoul Velmont, sir Ernest. L’onore è mio, credetemi. È un onore conoscere il signore di Brightmoon … e un Cavaliere dell’Aquila».

Gli occhi dell’uomo ebbero un guizzo. Il suo sguardo si fissò verso il giovane che gli stava davanti e che lo guardava sorridendo. Per un istante, i suoi occhi parvero riaccendersi d’interesse, poi un velo d’apatia tornò a coprirli.

«È stato tanto tempo fa. Quasi un’altra vita …».

Improvvisamente, la voce di sir Mordred giunse dal fondo del corridoio.

«Lavinia! Puoi raggiungermi, per favore?».

La giovane dama sbuffò e lanciò uno sguardo dubbioso ai due uomini. Poi parve decidersi.

«Perdonatemi mio signore. Vado a vedere cosa richiede la mia attenzione, sapete com’è Mordred … quando ha qualcosa da fare dimentica pure le leggi dell’ospitalità … sir Raoul, col vostro permesso».

«Andate, mia signora. Sir Raoul resterà con me, per quanto la mia compagnia sia certamente meno … piacevole».

La giovane donna non sentì neppure le ultime parole del marito, giacché si era immediatamente diretta verso le scale, a passo sostenuto e con un’espressione evidentemente seccata. Sir Raoul era rimasto in silenzio, contemplando l’uomo che aveva davanti. C’era sarcasmo, nella sua voce, misto a rabbia e dolore.

«Scusatemi, sir Raoul. Non sono un buon ospite … vi sono veramente grato, credetemi. Lucy è una brava ragazza, ho sempre avuto simpatia per lei. Non so perché … forse … mi ricorda Erika … ha gli stessi occhi. Forse non mi crederete ma ho amato davvero mia moglie. E lei amava me. Ma ormai tutto è finito».

«Non vedo perché non dovrei credervi, sir Ernest. C’è molto dolore nella vostra voce … e rimpianto. Dama Erika doveva essere una donna davvero notevole».

«Oh, sì. Era … straordinaria … Accomodatevi qui accanto, sir Raoul … volete favorire? È Acquavite di Mirlond … un’ottima acquavite».

Sir Raoul sorrise e prese il bicchiere che l’altro gli porgeva, sedendosi sulla poltrona accanto. Il suo sguardo cadde su due altre bottiglie di liquore ormai vuote e osservò con preoccupazione il gentiluomo seduto davanti al fuoco.

«Volentieri, sir Ernest. Ma continuate, vi prego».

«La conobbi quando lasciai il servizio nell’esercito. Ero stanco della vita militare e volevo crearmi una famiglia, prima di diventare troppo vecchio per farlo … ma vi sto annoiando, sir Raoul. Non siete certamente venuto qui per sentire i ricordi di … un … uno come me».

«Al contrario, sir Ernest. Vi ascolto con autentico interesse».

Lo sguardo febbricitante di sir Ernest si fissò un attimo sul giovane elegante seduto accanto a lui. Qualcosa inumidiva le sue ciglia. Tornò a volgere lo sguardo sul fuoco del camino e ricominciò a parlare, con voce incerta prima, sempre più sicura, poi.

«Giunsi in questi paraggi … diretto a Elosbrand e … mi fermai a Brightmoon per la notte. Udii i racconti degli avventori dell’osteria … parlavano di quanto era bella e affascinante la loro signora. Mi incuriosii e l’indomani cercai di vederla. Rimasi folgorato. Provai di tutto pur di entrare nelle sue grazie e, quando ci riuscii, pensai di aver toccato il cielo».

La voce del cavaliere si era fatta stranamente dolce e musicale, quasi una serenata sussurrata alla memoria di quella donna ormai scomparsa.

«Ci sposammo e, per due anni, fummo molto felici. Poi lei rimase incinta. Da allora tutto cominciò a cambiare. La gravidanza di Erika fu subito difficile. Passava intere giornate a letto, incapace di alzarsi e di mangiare. Finì con l’indebolirsi e non era più in grado di amministrare le terre. In quel periodo, Lavinia venne ad abitare poco distante. La incontravo quasi tutti i giorni, insieme a suo fratello, sulla strada per il villaggio. Amavo cavalcare e cacciare e Mordred si offrì di accompagnarmi. Diventammo amici. Io non avevo la più pallida idea di cosa fare per gestire la rocca e il villaggio ma Mordred mi aiutò tantissimo. In quel periodo, Lavinia frequentava quotidianamente la mia casa, per assistere Erika».

«Erano amiche?».

«Sì … forse … Erika non era facile all’amicizia ma, in quel frangente, forse aveva bisogno di un appoggio … migliore del mio».

Prese il bicchiere e lo svuotò d’un fiato.

«Quando fu il momento del parto, fu Lavinia ad assistere Erika. Purtroppo, la bambina nacque morta … Erika fu sconvolta … impiegò due mesi a riprendersi … era provata, nel corpo e nello spirito, capite? Tanta sofferenza per nulla. Sergaries l’aveva abbandonata … anche la sua fede ne soffrì … era una donna forte, la più forte che io abbia mai conosciuto … più forte di tanti uomini».

«Fu certamente un’esperienza terribile. Mi dispiace che tanta sofferenza abbia turbato la vostra vita, sir Ernest».

Il fuoco nel camino proiettava ombre angoscianti sulle pareti. Gli occhi del cavaliere erravano fra quelle ombre, forse cercandovi i nemici oscuri che lo tormentavano.

«Ma io lo meritavo! Io fui un inetto! Non seppi starle accanto in quei momenti … Maledissi Sergaries ma io … io avevo abbandonato Erika già da prima … o forse non l’avevo mai avuta. Poi, quando sembrava che si stesse riprendendo … quando cominciavo a sperare che l’incubo fosse finito … la Dea se la prese».

«Voi accusate Sergaries, al villaggio si mormora che a colpirla sia stato … Engwhir».

«Sergaries, Engwhir … cosa volete che cambi? Gli Dei si trastullano con i destini dei mortali … sono tutti uguali … promettono … illudono … poi ci danno tutti la stessa cosa … la morte … il nulla. Che fola infame!».

Si era alzato, pur malfermo, per gridare il suo sdegno. Aveva pronunciato le ultime parole con maggior enfasi, ad alta voce, come un’invettiva verso il cielo. Rimase fermo un attimo, con gli occhi sbarrati, poi cadde sulla poltrona, come stremato. Vuotò un altro bicchiere di acquavite, chiuse gli occhi e cominciò a russare.

Sir Raoul contemplò in silenzio l’uomo addormentato. Raccolse il bicchiere che era rotolato verso il camino e lo ripose sul tavolino, vicino alla poltrona. Si avvicinò alla mano inerte del cavaliere e, delicatamente, sfilò l’anello purpureo. Lo osservò attentamente alla luce del fuoco, poi lo rimise al dito di sir Ernest.

«Dormi, ora», mormorò, «con quello che mi hai raccontato, mi hai detto molto più di quanto volevi. Ma questa storia avrà un seguito, te lo prometto».

Si voltò e si diresse silenziosamente verso le scale, osservando attentamente i ritratti dei castellani e delle sacerdotesse. C’era qualcosa di familiare in quei volti ma non riusciva a capire esattamente cosa.

«Sir Raoul, mio marito vi ha lasciato libero?».

Dama Lavinia era comparsa sulla soglia. Era sorridente ma il volto acceso testimoniava un qualche turbamento. Probabilmente il colloquio con il fratello era stato piuttosto vivace. Sir Raoul si chiese quale ne fosse stato l’argomento.

«Dorme, mia signora. Non ho inteso disturbarlo e sono sceso giù. Mi ha raccontato la triste storia di dama Erika e il turbamento lo ha stancato oltremodo».

«Povera Erika. Se penso che sono stata io a suggerirle quella passeggiata a cavallo, non riesco a perdonarmi»..

«Sir Ernest mi ha detto che si è trattato di un tragico incidente».

«Sì … tragico, davvero. Erika aveva partorito una bambina morta … Dopo due mesi, lei aveva recuperato le forze ma era ancora terribilmente triste. Le chiesi se si sentiva di accompagnarmi in una passeggiata, sapevo che amava tantissimo cavalcare. Sulle prime non ne volle sapere, poi si convinse. Eravamo partite da poco, quando il suo cavallo s’imbizzarrì, cominciò a sgroppare e poi si lanciò a correre. Non riuscii a tenerle dietro e quando la raggiunsi … era troppo tardi. Il cavallo non c’era ma lei, poverina, era riversa al suolo, la testa fracassata contro una grossa pietra».

«Un incidente davvero drammatico. Immagino che vi abbia alquanto turbata, mia signora».

«Fu un trauma terribile … sapete, non avevo mai visto una scena tanto orrenda … tutto quel sangue … per fortuna mio fratello era nei paraggi, udì le mie grida e venne a soccorrermi».

«Mi dispiace, eravate molto amica di dama Erika, vero?».

«Eravamo amiche, sì. Ma lei era molto presa dal suo impegno con il tempio, forse anche troppo. Io … non dovrei dirlo ma … temo sia stato Engwhir a colpirla. Era una sacerdotessa importante e aveva più volte sfidato il Signore dei Disastri. Io … temo sia stata punita per questo».

Furono interrotti dall’ingresso di un uomo alto e robusto, dai capelli bianchi e il viso affilato, d’aspetto severo, vestito con una lisa livrea da maggiordomo. Doveva essere sulla sessantina, sebbene ancora vigoroso. Gli occhi scurissimi parevano quelli di un falco, dietro il naso grifagno. Dietro di lui, una donna piccola e rotondetta, dalla carnagione rosea e liscia nonostante l’età evidentemente non più verde, guardava con curiosità il gentiluomo.

«Perdonatemi, dama Lavinia. Mia moglie ed io avremmo bisogno delle vostre indicazioni per la cena».

«Potevate chiedere a sir Mordred, August. Non vedete che sono impegnata?». La voce della dama suonava alquanto stridula e gli occhi, prima sorridenti, erano diventati glaciali.

«Sir Mordred è uscito poco fa, signora. Poiché siamo quasi al tramonto, mi sono azzardato a disturbarvi».

«Va bene, August. Vengo subito». La dama, evidentemente seccata, si rivolse a sir Raoul con un sorriso sensuale. «Perdonatemi, sir Raoul, pare destino che non riesca ad approfondire la nostra conoscenza … rimedieremo più tardi, se non vi dispiace».

«Non preoccupatevi, mia signora. A più tardi».

Il giovane osservò le movenze feline della donna che si allontanava in direzione della cucina, poi si diresse verso l’uscita del palazzo. Sentiva il bisogno di rivedere la luce del sole.

  
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