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Autore: Val2910    23/03/2011    3 recensioni
Ace ormai è morto da due anni (o almeno dovrebbe esserlo).
Nami, pronta per rincontrare i compagni, parte per il suo viaggio verso l’arcipelago Shabaody.
Se questa fosse una storia normale, la rossa riuscirebbe ad arrivare sana e salva all’arcipelago, raggiungere i suoi compagni e prepararsi ad affrontare nuove avventure.
E considerando che non ha la più pallida idea del fatto che Ace è ancora vivo, potrebbe anche incontrarlo e superarlo senza farci caso.
Ma prendendo in considerazione le bolle volanti e cadenti, colpi bassi, favole dove i protagonisti sono dei gran fighi, un sentimento innato per la pizza e l’ossessione per il colore arancione... allora direi che questa non è una storia normale.
E quindi che Nami avrà molto da fare prima di raggiungere i Mugiwara...
[AceXNami] Prima fanfic a capitoli che scrivo, mi piacerebbe sapere che ne pensate. Buona lettura!
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nami, Portuguese D. Ace
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Attenzione: questo capitolo non è l'originale, ma è stato modificato per alcuni particolari (tipo personaggi OOC o tecniche di scrittura inadeguate). Per chi già sta seguendo la storia può stare tranquillo: il "succo" è sempre quello.


Su un punto imprecisato della GrandLine

Era in grossi guai.
E a peggiorare la situazione, stava volando sul mare.

“Come volano le bolle di Watheria?”
“Le bolle di Watheria, a differenza di quelle di Sabaody, volano con un gas speciale: inodore, incolore, senza effetti sugli esseri viventi ma leggero come l’elio, che si solidifica sulle pareti della bolla e la rende resistente, facendola sollevare” aveva detto il vecchietto.

E, visto che per la nostra navigatrice questo sarà un racconto pieno di guai, possiamo cominciare dicendo che fra tutti i fulmini che i maghi le avevano scagliato durante la fuga uno aveva colpito la bolla di striscio, ma non facendola scoppiare subito. Bensì, creando un piccolo buco che faceva uscire il gas e l’aria lentamente.
E nel mare aperto non c’era nemmeno un pezzettino piccolo piccolo di terraferma dove atterrare.
“Fantastico...” pensò.
Aveva aspettato due anni per diventare più forte. Ma non si era preparata per una cosa del tipo sto-per-cadere-in-mezzo-al-mare-sconfinato.
Sospirò: “Forza, Nami! Sei una ragazza ricca (ovvio), bella (ben più che ovvio), ma soprattutto intelligente! Usa quella bella testolina che ti ritrovi e risolvi la situazione! Sei una navigatrice in gamba, si o no?”.
Cinque minuti dopo, Nami era in lacrime e depressa: “Non ce la farò mai...”.
Dopo aver sfogato alla meglio la sua malinconia, prese fiato e cominciò a guardare la cosa in modo più razionale: “Bene, sto per cadere in mezzo al mare.  Con me ho una bolla che volerà per ancora qualche oretta prima di affondare,un log pose, cartine, e... una mela”.
Prese il frutto e se lo rigirò fra le mani.
“Dubito che una mela mi possa aiutare a navigare per miglia e miglia”.
Cominciò a pensare che sarebbe caduta in mare, che dopo un po’ non sarebbe più riuscita a nuotare e che sarebbe affondata come un sasso. Sempre che l’intervento di un mostro marino non l’avrebbe messa in pericolo prima.
Nel mentre di tutti questi allegri e positivi pensieri, con la cosa dell’occhio percepì un’ombra sull’acqua. Diede un’occhiata per assicurarsi che i mostri marini non fossero venuti prima del dovuto.
Sbarrò gli occhi: “... una barca?”.
Un piccolo peschereccio, per essere più precisi. Ma in quel momento il tipo di imbarcazione era l’ultima cosa che contava.
La navigatrice si sfregò le mani, facendo scorrere nella sua testa milioni di idee su come sfruttare il povero pescatore, dal farsi dare un semplice passaggio a debiti vari.
Iniziò a scendere in picchiata verso la barca, tenendo la mano sulla manopola del freno, pronta per essere azionata al momento opportuno.
Dovevano mancare pochi metri, quando si accorse di colui che stava navigando.
Un fantasma, ecco l’unica soluzione logica.
Rimase paralizzata da quell’individuo, e non poté muovere la mano che doveva azionare i freni...


Su un punto imprecisato della GrandLine. 5 minuti prima.
Il sole picchiava forte quel giorno, ma Ace non sentivo comunque caldo, non con il rogia che aveva.
A detta sua, ad avere più caldo erano i pesci, che non ne volevano proprio sapere di venire vicino alla superficie e abboccare l’esca.
Non che fosse una buona scusa per giustificare la sua totale inesperienza e bravura in fatto di pesca...
... o forse si.
In qualsiasi caso non avrebbe potuto dirlo a nessuno: con lui c’erano solo il peschereccio, il sole, il mare e la brezza.
Ci sarebbero anche i pesci, ma l’idea di parlare con animali acquatici non lo persuadeva più di tanto.
La cosa peggiore, era che lui preferiva vivere lì, da solo.

 -Stupido -
Era quello che pensava di lui Marco. Era quello che pensavano tutti, in realtà.
Aveva appena finito di spiegare la sua decisione. Marco era immobile, pallido, quasi sotto shock. Aveva gli occhi spalancati e puntati su di Ace, quasi inorriditi da quello che era per dire una cosa simile. Era sempre stato un caro amico, lui. E ora, in quello stato, lo faceva  stare male. Era chiaro: anche lui non era contento di ciò che avevo scelto.
-Fammi capire bene:- Provò a dire, con un tremolio di voce - tu vorresti continuare a fingerti morto a tutto il mondo, alle persone che si preoccupano per te, che hanno pianto lacrime amare a mai finire il giorno che Akainu ti conficcò quel dannato pungo e ai tuoi amici,... solo perché credi che tuo fratello possa capire che deve diventare più forte se vuole sopravvivere nel nuovo mondo? – Il capitano della seconda flotta rispose con un tono secco: -Si, più o meno, qualcosa del genere-
-Ma il troppo magma ti è andato alla testa? Ace! Che ti prende?!?-
 
Sollevò la testa: un flashback. Gli capitava spesso da quando aveva iniziato a vivere da solo.
-Lui però soffre sicuramente più di te!-
Questa era la cosa che più lo tormentava: se n’era andato sperando che Rufy imparasse la lezione, diventasse più forte, si scordasse di Ace e tanti saluti.
Ma se avesse avuto per sempre lo stesso peso sulle spalle, come era successo con Pugno di Fuoco riguardo a Sabo?
Scosse la testa.
“No, Rufy non è tipo del genere” sollevò l’amo per vedere se aveva preso qualcosa “Spero”.
Un sibilo.
Si voltò di scatto, ma non vide niente.
Eppure aveva giurato di sentire un sibilo.
Anzi, lo sentiva ancora.
Ma da dove veniva?
Si guardò a destra e a sinistra, ma non c’era nulla.
Allora dal mare...
Ma nemmeno lì niente, e il rumore si faceva sempre più forte, come se si avvicinasse.
In alto?
Ace sollevò la testa, rimanendo basito: una strana palla trasparente, con dentro una “cosa” che gridava in una maniera assordante.
Non ebbe il tempo di rendersi conto della situazione, né di spostarsi, né di abbassarsi, che venne travolto in pieno cadendo in mare.

Qualche secondo dopo
Nami uscì dall’acqua ansimando, afferrò con la mano il bordo della barca e facendo forza sulle braccia gettò il corpo privo di coscienza del ventiduenne a bordo.
Salì sulla barca anche lei, e ne approfittò per guardarlo bene: aveva i capelli corvini medio-lunghi e mossi e un velo di lentiggini che gli coprivano le guancie. Indossava una maglietta nera e dei jeans.
“La somiglianza è incredibile, ma è possibile che si tratti davvero di Ace?” pensò la rossa.
Se davvero voleva una risposta, innanzitutto doveva svegliarlo.
Provò a scuoterlo un po’ per le spalle, ma non ottenne nulla.
«Proviamo con le maniere forti... » disse la navigatrice.
Avvicinò il suo pugno ben stretto all’altezza dell’orecchio tenendo il gomito alto, prese fiato e mandò con tutta la sua forza l’arto in avanti.
Nami rimase sorpresa nel vedere la mano del ragazzo alzarsi di scatto e parare il colpo a pochi centimetri dalla faccia.
Il ventiduenne si sollevò sui gomiti e aprì gli occhi: «Se proprio volevi svegliarmi, potevi anche usare quella cosa chiamata “respirazione bocca a bocca”...»
Nami sbarrò gli occhi: «COSA?! TU HAI FATTO FINTA DI ESSERE SVENUTO, SOLO PERCHE’ VOLEVI CHE TI BACIASSI?!» » iniziò a dare una raffica di colpi, tutti abilmente schivati o parati con gli avambracci dall’uomo.
Il moro le bloccò i polsi con una mano, immobilizzandola: «A dir la verità non ero svenuto, ma addormentato, cosa che capita spesso per chi è narcolettico come il sottoscritto. Secondo: non è un bacio, ma respirazione bocca a bocca!».
A quella risposta la rossa cominciò  dimenarsi, finché non riuscì a liberare i propri polsi.
«Ad ogni modo,» continuò lui «come sei arrivata fin qui, senza una barca?».
Nami si ricordò della bolla e lanciò uno sguardo in acqua. Riuscì a intravederla mentre affondava sempre più in basso, assieme alle sue valige. A quella profondità poteva già darla per irrecuperabile.
“Mi toccherà fare un bel po’ di shopping” constatò.
«Beh,» gli rispose «non ho mai detto di essere arrivata qui con una barca, Ace».
«Come mi hai chiamato?» domandò il pirata, scuotendo la testa.
«Ace. Come Portuguese D. Ace, il tuo nome!»
Il moro assunse un’aria pensierosa: «Mi spiace, ma non mi chiamo Ace. Ma se t’interessa conosco un tizio con quel nome, magari è anche il tuo tipo...».
«Avanti, Ace! Tanto non ci casco!»
«Non so di cosa tu stia parlando»
Nami stavolta non rispose. Che avesse davvero preso un granchio?
In effetti, sembrava poco più alto dell’Ace che aveva conosciuto ad Alabasta (NdA: Il corpo umano raggiunge il suo massimo all’età di 25 anni, quindi non mi sembra strano che Ace possa essere diventato un po’ più  alto, nonostante abbia già vent’anni). E sembrava anche un po’ più muscoloso. E le lentiggini e la narcolessia potevano anche essere una semplice coincidenza.
“C’è solo una cosa che il vero Ace può avere” si disse fra sé e sé la navigatrice.
Anche se, per controllarlo avrebbe dovuto passare dei momenti imbarazzanti.
Poco male.
Gli saltò addosso facendolo cadere per terra, e infilò la mano sotto la sua maglia per provare a togliergliela.
«Hey!» replicò il ventiduenne, fermandola «Va bene che sei una bella ragazza, ma una maniaca sulla mia barca non la voglio!».
Nami, non ascoltandolo, lo girò e lo spogliò definitivamente del capo.
Rimase sorpresa.
Ace con un po’ di forza (ma non troppa) la scansò e si rimise in piedi.
«Me la passi?» chiese Pugno di Fuoco indicando la T-Shirt nera abbandonata sul pavimento del peschereccio, vicino alla ragazza.
La rossa la prese e gliela consegnò senza fiatare.
«Cosa c’è?» domandò lui mentre si rivestiva «è solo una cicatrice, fa così tanta impressione?».
«Non avevo mai visto la cicatrice di una ferita che passa da un lato all’altro di un corpo» mormorò Nami «Volevo solo vedere se avevi il tatuaggio di Barbabianca sulla schiena».
«Allora lo hai visto, anche se la metà si è cancellata» aggiunse lui.
Rimasero qualche secondo in silenzio. A rompere il ghiaccio fu il pirata: «Ma... ci siamo già incontrati?».
La navigatrice alzò la testa: «Davvero non ricordi?»
«No, per niente!»
«Sono Nami»
«Nami? Quale Na-» Ace s’interruppe di colpo. «Nami, “la Gatta Ladra”?»
«Si, esatto!»
«Quella nella ciurma di Rufy?»
«Si! Ora, visto che mi hai anche riconosciuto, che ne dici di darmi un passaggio fino a terra e... che ne so, di prenderci un bel boccale di birra io, te, tuo fratello e tutti gli altri miei nakama?».
 Il pirata rimase muto per un po’, finché un ghigno divertito (e per Nami con un accento di cattiveria) non si posò sulle sue labbra: «Ni!».
Nami scosse la testa «Eh? Che significa?»
«Semplice...» fece lui, mantenendo un sorriso sghembo sul suo volto «... è quella parola che si ottiene mettendo metà “no” e metà “si”, ovvero “Ni”!»
«Ma perché metà “no” e metà “si”? Voglio dire, qualsiasi cosa possa mai significare, perché non dire semplicemente una parola che sia metà “si” e metà “si”?»
«Diciamo pure che in una situazione come questa significa: “Spiacente, ma non posso”»
Nami era stranita: «Come non puoi? Non mi sembra che tu abbia molto da fare qui!»
«Non vedi che sto pescando? E’ una buona occupazione»
La rossa, non troppo convinta, si diresse verso uno scatolone di legno che sembrava un contenitore per le riserve di cibo, e sollevò il coperchio.
La cassa era completamente vuota, fatta eccezione per un pesciolino poco più grande di una sardina.
«La tua non mi sembra una pesca molto produttiva».
Il moro la affiancò e chiuse subito il coperchio. «L’altra cassa, in compenso, è piena» si spiegò.
La navigatrice aprì anche il coperchio dell’altra, prima che Pugno di Fuoco potesse fermarla.
«Ace, è piena di oggetti e cianfrusaglie!»
«Ho detto che era piena, non che era piena di pesce. Non ho mica mentito» disse chiudendo anche il secondo scatolone.
«Mi dici che succede?» chiese lei. «Perché non vuoi andare a terra? Rufy già lo sa che sei vivo? Lo deve assolutamente sapere!»
«Ecco il punto».
«Che?»
Ace distolse lo sguardo per un secondo, respirando profondamente: «Vedrò di spiegartelo come posso: Rufy è convinto di avere sempre la situazione in pugno, di potercela fare per ogni difficoltà che incontrerà, e finora i nemici che ha avuto sono sempre stati alla sua portata. Ma le cose nel Nuovo Mondo stanno per cambiare: deve rendersi conto che se non sta attento al massimo rischia di pagare un prezzo molto alto»
«E tu come vorresti farglielo capire, se nemmeno vuoi scendere a terra?»
«E’ qui il punto: non scenderò a terra. Sono stato il suo primo prezzo alto da pagare, e se non vuole che capiti ancora deve diventare più forte»
«No! » rispose secca «Non puoi non rivederlo, e fargli credere che sei morto! E’ già diventato più forte! Ora puoi dirgli che sei vivo liberamente!».
Ace ridacchiò: «Non penserai che bastino solo due anni di allenamento per diventare forti...»
«Ma fingerti morto sarebbe troppo, troppo...» non le veniva in mente la parola.
«...crudele?» provò il moro.
«Esatto! Sarebbe troppo crudele».
«Per tua informazione, il mondo è crudele con tutti. E la gente che dice il contrario in realtà non fa altro che chiudere gli occhi, perché sono i primi a non sopportarlo».
Il moro smise di parlare: aveva già detto tutto quello che doveva dire.
 Lo aveva provato sulla pelle che significa non avere il lieto fine: se lo sentiva ancora, nella cicatrice sotto il tatuaggio sulla sua spalla, dove quel giorno, sentendo la lama fredda del coltello scivolare giù sotto la pelle, non aveva altra immagine che quella di Arlong che le mandava a pezzi il suo sogno.
«Un patto!»                                                                                                                                                                    
Il pirata alzò lo sguardo.
«Dammi un periodo di tempo. Dici che il mondo è crudele con tutti? Ti dimostrerò il contrario. Ma devi darmi del tempo. Se ci riesco, tu incontri tuo fratello!»
Ace la guardò negli occhi.
Di solito era lui il “fuoco”, ma stranamente riusciva a sentire in quella ragazza una scintilla pronta a diventare un vero e proprio incendio.
«Se riesci a convincermi, io incontro mio fratello. Ma se riesco a non farmi convincere, io che ci guadagno?»
«Ah, ora vuoi anche un premio?»
«Perché no? Mi spetterebbe!»
La rossa ci pensò su, poi prese un foglietto dalla borsa a tracolla.
«Che roba è? Una mappa?» chiese il pirata.
«Non una mappa qualsiasi! Questa contiene quasi tutta la metà del mondo dietro la linea rossa e un pezzo di Nuovo Mondo, utile sia per terra che per mare. E se proprio non ti serve, basta che la vendi al mercato nero e otterrai un mucchio di Berry!»
Ace la fissò per un attimo. Non gli interessavano le cartine, tantomeno quella. Eppure, quella ragazza non aveva altro da dare. L’idea di un patto, nonostante sembrava più una scommessa che un semplice accordo, lo incuriosiva: se davvero lei aveva un fuoco dentro, per raggiungere il suo obiettivo avrebbe fatto scintille. La voleva mettere alla prova.
«E va bene... Una mappa per un viaggio, la destinazione finale però la decido io»
La ragazza inarcò le sopracciglia: «Destinazione... finale?»
«Certo! Un viaggio esige anche una meta, un qualche posto dove andare. Altrimenti il viaggio stesso non avrebbe un senso...» disse l’uomo.
«Ok...» Nami non ci aveva capito molto «... e quale sarebbe questa “destinazione finale”?»
Il moro portò lo sguardo al cielo, poi si voltò verso di lei: stava sorridendo.
«Non te lo dico»
«Ci mancavano solo i misteri...»
«I misteri rendono un’avventura più interessante, no?»
«Prima di cimentarci in questa avventura che dici tu, potrei chiederti un favore?»
Pugno di Fuoco fece le spallucce: «Dimmi tutto!»
«Possiamo pescare qualcosa per la cena?» poi Nami si ricordò del pesciolino in fondo alla cassa «Qualcosa di possibilmente decente!».
Si sentì il rumore di qualcosa che affondava, ed Ace e Nami spostarono lo sguardo sull’amo che era appena sceso sotto il livello dell’acqua.
Ace ritirò subito la lenza facendo uscire fuori dall’acqua una grossa trota.
“Che colpo di fortuna!” pensò la navigatrice.
«Visto?» chiese Ace «Non sono mica messo così mal-...».
Ace cadde di lato, lasciando la lenza e facendo scappare il pesce.
L’ennesimo attacco di narcolessia era arrivato nel momento meno opportuno.
Nami sospirò: «Ne avremo di strada da fare...» guardò il corpo del pirata rimasto per terra «Mi toccherà svegliarlo» detto questo, schioccò le nocche delle mani e si preparò a svegliarlo come faceva a volte con il fratello minore di Ace.
E stavolta, lui non avrebbe avuto modo di pararsi...
  
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