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Autore: EffieSamadhi    24/03/2011    1 recensioni
“Ehi, questo è nuovo” commentò, sfiorando con la mano un tatuaggio all’altezza del cuore. “E’… sono…”
“Il nome di mia madre” completò lui, spostando la propria mano su quella di lei. “E quello di mio fratello. E il tuo.”
“Mancano Angel e Jerry” gli fece notare.
“Oh, loro sono qui” ribatté lui, indicando un altro tatuaggio. “Ma questo è un posto speciale. Mia madre, Jackie, tu… avete il mio cuore.”
Adia osservò il tatuaggio, poi alzò gli occhi nei suoi, guardandolo con amore. “Farò di tutto per meritarmelo, Bobby” bisbigliò, suggellando la promessa con un bacio.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

25. Prendimi Così

 

 

            Seguirono due settimane piuttosto difficili da sopportare, almeno da parte di Bobby. Non c’era voluto molto per portare a termine la ristrutturazione della casa, e una volta conclusi i lavori, i tre fratelli erano tornati alle loro occupazioni: Angel era stato letteralmente inghiottito da Sofi, entusiasta all’idea di diventare presto la signora Mercer; Jerry aveva ripreso il proprio ruolo all’interno della ditta, ed era tornato ad occuparsi delle solite questioni lavorative. Bobby era tornato dal vecchio Artie, sperando che la promessa di un lavoro fosse ancora valida.

            “Assumerti? Certo, ho detto che l’avrei fatto. Lo sto facendo, no?”

            “Sì, è solo che… lo sai, no? Quello che pensa di me la gente…”

            “Di solito non te ne preoccupi.”

            “Sì, lo so, ma…” Bobby si interruppe e si grattò la nuca, sorridendo. “Dio, quella donna mi sta facendo diventare matto.”

            “Non ti ha ancora mollato?” gli chiese l’altro, sorridendo a sua volta.

            “No, non mi ha ancora mollato.”

            “Da quando vi frequentate?”

            Bobby scrollò le spalle. “Ho perso il conto. Un mese, forse un mese e mezzo.”

            “Come sta andando?”

            “Sta andando bene.” Fece una pausa. “L’ho portata a casa mia. A conoscere la mia famiglia, intendo.”

            “Bobby Mercer sta davvero mettendo la testa a posto, allora. Com’è andata?”

            “Oh, direi alla grande. Le figlie di Jerry la adorano. La chiamano ‘zia’ e le hanno chiesto di leggere loro la favola della buonanotte.”

            Artie rise. “Sai, non vorrei essere nei tuoi panni. Appena si sarà sparsa la notizia, tutti gli uomini di Detroit ti odieranno.”

            “E perché?”

            “Perché ti sei preso l’ultima brava ragazza rimasta in città, ecco perché.”

            Bobby sorrise ancora. “Beh, io sono stato via per otto anni. Hanno avuto tutto il tempo per provare a prendersela.”

 

            I dettagli dell’intervento erano stati concordati da Adia direttamente con il medico che l’aveva in cura ormai da cinque anni; nonostante la promessa fatta a Bobby circa l’informare Aaron dell’operazione, Adia non ne aveva parlato con nessuno che non fosse il dottor Turner. Cercava di evitare l’argomento anche con Bobby: sapeva che lui avrebbe finito col tirare in ballo Aaron, e lei non aveva alcuna intenzione di parlarne ancora. Era nervosa, anche se avrebbe preferito non ammetterlo. Era nervosa e aveva anche un po’ di paura: non per l’intervento – ormai era diventata un’operazione quasi di routine –, ma per quello che ne sarebbe seguito. Le sarebbero occorse almeno quattro settimane di riabilitazione, per recuperare la completa mobilità della gamba, e in tutta sincerità, lei non era convinta che Bobby avrebbe saputo reggere tanto stress. In fondo, non poteva essere cambiato così tanto.

            La sera prima del ricovero in ospedale, Adia insistette per rimanere sola, ma Bobby non si dimostrò disponibile a cedere alla richiesta. “Nossignora, non ti lascio sola la notte prima dell’operazione” protestò, chiamandola dal lavoro durante la pausa pranzo.

            “Dai, Bobby, potresti. Tanto, ho intenzione di mangiare qualcosa e di andare subito a dormire.”

            “A maggior ragione, se i tuoi programmi sono questi, avrai bisogno di compagnia per non annoiarti, no? Ok, scherzavo” si corresse immediatamente, nel cogliere l’inizio di un rimprovero da parte della ragazza. “Ma non ti lascio sola comunque” aggiunse, mentre la sua voce cambiava di tono.

            All’altro capo del filo, Adia sorrise. Quei cambiamenti sembravano farsi sempre più frequenti, e sembravano proprio voler testimoniare il mutamento profondo del carattere di Bobby. “E va bene, allora. Ma non ti fare strane idee” lo redarguì.

            “Nossignora, niente strane idee. Oh, alla cena ci penso io.”

            “Come sarebbe a dire che alla cena ci pensi tu?” ribatté lei, stupita. “Non mi risulta che tu sia un asso in cucina.”

            “Non mi risulta che lo sia nemmeno tu. E dai, agnellino, fidati di me.”

            “Bobby…”

            “Fidati di me, ok? Tanto non cambierò idea nemmeno se mi pregherai in cinese. Lo sai che sono fatto così.”

            “Sì, lo so che sei fatto così.”

            “Devo andare, ho quasi finito la pausa. Facciamo alle sette, allora?”

            “Va bene, Mercer. Ci vediamo alle sette. Stupiscimi.”

            Una breve pausa all’altro capo del filo. “Ti amo, Adia.”

            “Sai, mi… mi piace come lo dici.”

            “E’ perché lo penso.”

 

            Adia osservò sospettosa il contenuto del proprio piatto. “Lo hai cucinato davvero tu? Non ci credo.”

            “Se devo essere sincero, non è tutto merito mio. Mi ha aiutato Sofi.”

            “Sofi? Sofi ha accettato di aiutare te?” domandò ancora, incredula.

            Bobby sbuffò, sedendosi. “Le ho dovuto promettere che non l’avrei presa in giro per sei mesi, prima di convincerla.”

            “E lo hai fatto per me?”

            “Ehi, non montarti la testa…” replicò lui, prendendola in giro. “Non volevo morire di fame, ecco tutto.”

            “Bobby…”

            “Sì?”

            “Ti amo.”

            “Dai, mangia, che si raffredda.” Adia decise di ubbidire, senza smettere di sorridere. Bobby era decisamente divertente, quando cambiava discorso a quel modo. “Hai… hai parlato con… no, lascia perdere.”

            “Con mio fratello, intendi?” gli domandò. Bobby annuì. Adia posò la forchetta. “No. No, non gli ho ancora parlato.” Fece una pausa, aspettando una risposta. “Beh, non dici niente?”

            “Non servirebbe a nulla, tanto” osservò lui, abbandonando a sua volta la posata. “Dico bene?”

            “No, forse no” rispose lei, ricominciando a mangiare. “Perché insisti con questa storia?”

            “Quale storia?”

            “Vuoi che parli con Aaron a tutti i costi. Perché?”

            “E’ tuo fratello.”

            “Lo so da ventotto anni, ma ti ringrazio per la precisazione.”

            “Non sto scherzando, Adia. E’ tuo fratello, ha diritto di sapere che domani un branco di sconosciuti ti squarterà la gamba da cima a fondo per rimetterti a posto.”

            Adia fece una smorfia. “Non credo sarà così macabra.”

            “Hai capito che intendo, Adia. Sicuramente andrà tutto bene, ma c’è sempre una possibilità che falliscano. Potrebbe… potrebbe esserci una complicazione, o che diavolo ne so. Io ci sarò, ma non sono la tua famiglia. Non potrei decidere niente, lo capisci?”

            Adia abbassò la forchetta e la appoggiò lentamente a lato del piatto. Deglutì e sbatté le palpebre un paio di volte, per allontanare le lacrime. Bobby aveva ragione. Qualcosa sarebbe potuto andare storto, e il dottor Turner avrebbe potuto presentarsi a Bobby con una liberatoria da firmare, o chissà che altro, e lei non avrebbe mai potuto lasciare che tutta quella responsabilità cadesse sulle sue spalle. Lui l’amava, certo, ma anche lei lo amava, e proprio in nome di quel sentimento non poteva lasciare che accadesse. Però, nonostante quella consapevolezza, non le riusciva di confrontarsi con Aaron: forse perché in fondo Aaron era simile a Bobby, e non avrebbe mai accettato di lasciarla sola davanti alla prospettiva di un’impresa così importante. Lasciare che suo fratello le stesse vicino, però, avrebbe sicuramente portato degli attriti tra lui e la moglie, e Adia non voleva essere la responsabile di un litigio. Aveva passato la vita intera a colpevolizzarsi per gli attriti in famiglia, e ora che era finalmente cresciuta, voleva crearne il meno possibile. Era stata lei la causa della rottura tra le sorelle e il padre, e lo era stata fin dalla nascita: era venuta al mondo quando la più giovane delle sorelle aveva già sette anni, e le era stato sempre difficile integrarsi. I genitori, che comunque avevano amato indistintamente tutti e sei i loro figli, avevano riservato più attenzioni a Adia, arrivata quando ormai nessuno dei due se la sarebbe più aspettata, e questo aveva in qualche modo alimentato una sorta di gelosia nelle quattro sorelle Chambers. Aaron era l’unico con il quale Adia fosse mai riuscita ad avere un rapporto sincero, forse dovuto al fatto di essere l’unico maschio in una famiglia composta in maggioranza da femmine. Ma nonostante quel rapporto speciale che erano riusciti a costruire, Adia non poteva dirgli dell’operazione. Non ci riusciva.

            “Io… io non posso, Bobby.”

            “Non puoi o non vuoi?” sussurrò lui in risposta.

            “Non posso. O forse non voglio, non lo so. Non voglio trascinarlo nei miei problemi.”

            “E’ tuo fratello. E’ obbligato a ficcare il naso nei tuoi problemi.”

            “Bobby, hai conosciuto sua moglie. Mi ucciderebbe.”

            “Chi se importa di quella stronza? Lei non ha niente a che fare con te. E’ con lui che sei imparentata, non con sua moglie.”

            “Lo so, Bobby, ma… lasciamo stare, ok?”

            “Sì, scusa” si arrese lui. “Non avrei dovuto tirar fuori l’argomento. Mi dispiace” concluse, allungando una mano per accarezzarle i capelli.

            “Sei perdonato.”

 

            Bobby aspettò che Adia si fosse completamente addormentata, prima di allontanarsi da lei. Le posò un bacio tra i capelli, poi lasciò l’appartamento senza fare rumore. Salì in macchina e guidò nervosamente fino a Evans Street, cercando di concentrarsi sulla strada e al contempo cercando le parole giuste da usare con Aaron.

   
 
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