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Autore: Fe85    24/03/2011    0 recensioni
L'Irlanda del Nord e l'Australia sono due colonie della Gran Bretagna. Possono due rappresentanti delle suddette nazioni incontrarsi e aiutarsi a vicenda? Mael, scrittrice in erba, ha perso l'ispirazione a causa del fiasco del suo ultimo libro, e Patrick, pilota di Formula Uno, che ha perso la memoria in seguito ad una sparatoria.
[Seconda Classificata al Contest "Tropes&Cliches" indetto da Sisya-chan]
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«La colpevole è Lei, signora Parkins. Ha diluito del sonnifero nella minestra di suo marito, dopodiché l’ha strangolato con le sue collant, recuperate in un cassonetto dell’immondizia dai miei uomini. Le ho fatte analizzare personalmente alla Polizia Scientifica, e i miei dubbi si sono trasformati in certezze» proclamò la detective Jennifer “Know-It-All” Baker con un sorriso trionfante stampato sul volto.

Mael Hunt rilesse con attenzione il paragrafo che aveva appena digitato sul pc, correggendo qua e là le imprecisioni grammaticali e stilistiche che le erano sfuggite durante la stesura. Da quando il suo ultimo libro non aveva riscosso molto successo tra il pubblico, continuava a domandarsi cosa ci fosse di sbagliato nel suo stile o nelle trame che elaborava. Scrivere le era sempre piaciuto, e aveva coltivato quella passione sin da piccola: le sue labbra si incresparono in un sorriso quando ricordò il periodo in cui era un membro del giornalino scolastico, o quando, durante le vacanze estive, si recava a Canberra da suoi nonni e si dilettava con la loro macchina da scrivere.

Eppure, non le sembrava di essere cambiata molto da allora.

Le sue riflessioni vennero bruscamente interrotte dallo squillare incessante del suo cellulare, posto sul tavolo in mogano della sala. La ragazza abbandonò controvoglia la sua postazione, e con un sospiro si apprestò a rispondere, nonostante sapesse già chi fosse il mittente della telefonata.

“Ciao, zuccherino! Ti disturbo per caso?” la voce arzilla di un uomo sulla sessantina fece capolino dall’altra parte del telefono, infastidendo non poco Mael. Suo padre era un agente dei servizi segreti in pensione che si divertiva ad affibbiarle i soprannomi più umilianti e “patetici”, come li definiva lei stessa. Inizialmente, era convinta che usasse quel tono mieloso con l’intenzione di sostituire la madre che era morta qualche anno prima in un tragico incidente in barca, ma con l’andare del tempo, capì che voleva solo chiederle dei favori.

“E’ una domanda retorica.” controbatté lei ironicamente, lanciando uno sguardo al monitor del computer acceso che sembrava la stesse richiamando al dovere.

L’uomo scoppiò a ridere divertito, abituato al sarcasmo della figlia.

“Devo parlarti di una cosa importante. Raggiungimi a Bondi Beach tra mezz’ora, a dopo!” prima che Mael potesse rispondergli, Michael Hunt aveva già riattaccato.

“Non lo sopporto quando fa così! Non riuscirò mai a finire la storia in tempo!”sbuffò la ragazza annoiata, abbandonando il cellulare sul divano color crema. Forse uscendo, si sarebbe distratta un po’ e avrebbe trovato l’ispirazione per portare a termine il suo thriller. A dispetto del suo nome, il cui significato originario è “principessa”, lo pseudonimo che la identificava, ovvero Black Maid, era perfettamente in linea con ciò che scriveva. Mael detestava i romanzi d’amore in cui c’era sempre il classico e scontato lieto fine per i due protagonisti innamorati che, superate mille avversità, riuscivano a sposarsi.

Probabilmente perché la storia con Kevin, il suo compagno, non si era conclusa nel più felice dei modi. La sera del loro anniversario si era recata a casa sua per fargli una sorpresa e portargli il suo regalo (un album pieno zeppo di loro fotografie), ma là trovò una sgradita e inaspettata sorpresa.

Kevin non era da solo, bensì con un’altra donna.

Mael si rifiutò categoricamente di ascoltare le bugie del fidanzato, e scappò via. Oltre a sentirsi tradita e umiliata dalla persona che amava, si sentiva persa, senza alcun punto di riferimento; lei stessa riconosceva di aver bisogno di un qualcuno che le trasmettesse sicurezza, vista la sua natura insicura. Il suo lavoro di insegnante in una scuola elementare l’aveva aiutata a dimenticare, e poi, si sa, il tempo lenisce tutte le ferite, anche quelle radicate nel profondo dell’animo: i bambini, con la loro allegria e spensieratezza, le avevano dato il coraggio di andare avanti, e di voltare pagina.

Infatti, dopo aver festeggiato il suo venticinquesimo compleanno in compagnia di pochi, ma fidati amici, Mael decise così di dare un taglio netto al passato e di iniziare una nuova vita. Purtroppo, benché i propositi fossero lodevoli, in campo sentimentale non vi furono novità consistenti.

“Mi farò chiamare Bridget Jones.” si ripeteva in continuazione, sperando di non emulare la sua “eroina” in tutto e per tutto.

Tuttavia, il destino aveva in serbo per lei un evento del tutto inaspettato. In concomitanza con la delusione ricevuta, Mael riprese a scrivere seriamente, dato che era stata costretta ad accantonare la sua passione a causa degli studi accademici. Ricominciò un po’ per gioco, senza considerare la possibilità di rivolgersi ad una casa editrice per essere pubblicata. La sua inventiva partorì il personaggio di Jennifer Baker, una detective dell’Interpol e suo alter ego che si trovava invischiata nei casi più incredibili, ma che riusciva puntualmente a risolvere grazie alle sue fenomenali deduzioni. Ciò che colpì il signor Taylor, editore contattato di nascosto dalla migliore amica di Mael, Tanya, non era il fatto che Jennifer Baker fosse una donna emancipata, forte e determinata; quello si poteva classificare come un fattore emergente dei libri contemporanei.

La particolarità di quell’elaborato era che tutti i personaggi maschili, tranne l’assistente della detective, perissero miseramente, come dei pesci privati della loro fonte di sostentamento.

“Credo che possa funzionare, studieremo le reazioni dei lettori. Benvenuta nella giungla, Mael Hunt!” esclamò il signor Taylor quando la contattò, a sua insaputa, per avvertirla che sarebbe stata pubblicata.

L’emozione che Mael provò nello stringere tra le dita la versione cartacea del suo operato era indescrivibile; il suo sogno era diventato realtà e le sue parole si erano trasformate in concretezza.

Le sue parole profumavano di inchiostro nero. Una sensazione indimenticabile per una scrittrice emergente che aveva finalmente tagliato il traguardo. Per una volta nella sua vita, poteva sostenere di essere una vincente, a dispetto di coloro che dubitavano della sua bravura. Non appena i suoi alunni appresero la notizia dalla preside, organizzarono un piccolo banchetto per congratularsi con la loro insegnante preferita, riuscendo a commuovere Mael che fece di tutto per non scoppiare a piangere davanti a loro.

Al principio, il consenso del pubblico fu molto buono, infatti i suoi libri andarono letteralmente a ruba, e le librerie di Sydney furono costrette a procurarsi altre copie per soddisfare i clienti. Poi, però, l’incanto svanì, quasi come l’incantesimo di mezzanotte di Cenerentola, e Mael attraversò un nuovo periodo di crisi.

Si sentiva a pezzi come un giocattolo rotto da un bambino capriccioso.

Tramite i giornali scoprì che la gente si era stancata dei thriller di Black Maid e preferiva di gran lunga “La Collina dei Desideri” di Mary Stuart, dal quale ricavarono anche una fiction televisiva.

Mael, amareggiata, si rifugiò in casa, uscendo solo per andare al lavoro, e smise di scrivere per tre mesi, fino a quando una visita del signor Taylor sbloccò la situazione. Nemmeno il suo papillon a pois fucsia, che normalmente la faceva ridere, sortì alcun effetto.

“Pare che il Grande Capo voglia concederti un’ultima chance. Scrivi qualcosa entro la fine di giugno, poi passa da me, così gli diamo un’occhiata insieme.”

Il signor Taylor era molto paziente, ed era convinto che lei avesse talento, ma non voleva vederla arrendersi alle prime difficoltà; secondo lui, solo Mael poteva trovare la soluzione per uscire da quel pasticcio.

Doveva prendere esempio da Jennifer Baker e indagare, ma dentro se stessa.

                                                                       *

Enniskillen (Irlanda del Nord), due settimane prima.

Patrick O'Brien stava passeggiando vicino agli argini del fiume Erne con fare assente. Enniskillen era una cittadina sconosciuta alla maggioranza delle persone, ed era ricordata solo per tre motivi: l’otto novembre 1987 l’IRA, l’organizzazione militare che vuole l’indipendenza dalla Gran Bretagna, uccise dei civili protestanti per mezzo di una bomba. Il cantante del gettonato gruppo degli U2, Bono, aveva preso molto a cuore la situazione, e aveva ricordato quel sanguinoso evento in una delle sue canzoni, Sunday Bloody Sunday.

Il terzo motivo riguardava Patrick personalmente: a soli ventiquattro anni si era visto stroncare la carriera a causa di uno scandalo in cui era stato coinvolto a tradimento.

Patrick, chiamato come il santo patrono irlandese dalla madre che era una fervente cattolica, era un affermato campione di Formula Uno che correva nei circuiti di tutto il mondo. Era stato notato dal suo agente durante una gara di go-kart quando frequentava la scuola dell’obbligo, e ritenendolo un investimento per il futuro, l’aveva preso sotto la sua ala protettrice.

Patrick, ingenuamente, non faceva altro che ringraziarlo per averlo portato all’apice del successo, senza sapere che l’alto l’aveva ingaggiato unicamente per il proprio beneficio personale.

L’amico e rivale, Arthur Mc Stuart, aveva provato più volte a metterlo in guardia, ma lui, testardo e orgoglioso com’era, non gli aveva prestato ascolto.

Si fermò dinnanzi ad un piccolo ponticello di legno, ammirando il panorama circostante. Se non altro, poteva godere di quello spettacolo naturale a cui non aveva mai fatto caso prima, quando era troppo occupato a girare da una città all’altra.

Quanto gli mancava l’adrenalina che lo assaliva prima della partenza, e la gioia di vedere la bandiera a scacchi sventolare ogni volta che tagliava il traguardo. Perché era stato così stupido da perdere tutto?

Era stato troppo avido, come una falena che si avvicina troppo alla luce e rimane scottata.

Ricordava ogni minimo particolare di quella dannata sera che gli aveva portato via la fama, la popolarità perfino Eliza, sua fidanzata, nonché modella brasiliana che calcava le passerelle di Milano.

Steve, uno dei loro meccanici, l’aveva invitato a bere qualcosa al Golden Duck, il pub in cui si ritrovavano di solito per brindare alle vittorie della loro scuderia. Lo distrasse con una scusa (“guarda quelle due bionde…hanno dei sederi da urlo!” gli aveva detto con il suo tono da spaccone), e gli versò una pastiglia di ecstasy nel cocktail. Dopo averlo bevuto, Patrick era irriconoscibile: fece scoppiare una rissa, nella quale fortunatamente non vi furono feriti gravi, ma scattò l’arresto da parte dei carabinieri. I suoi genitori gli pagarono la cauzione, e solo in un secondo momento venne a sapere che Steve aveva organizzato un complotto alle sue spalle insieme al signor Karvard, il suo responsabile che voleva rimpiazzarlo con un altro pilota.

Arthur gli era rimasto accanto, nonostante il polverone sollevato dalla stampa che condannava il suo comportamento immorale a priori e lo considerava un fenomeno da baraccone. Il suo carattere introverso e schivo ne risentì ulteriormente, rendendo il ragazzo ancora più taciturno.

Patrick sospirò, osservando una famiglia di paperelle che nuotava placidamente tra le acque dell’Erne.

“Quanto vi invidio, voi non avete problemi…” ad un tratto la sua attenzione venne catturata da un brusio proveniente da alcuni cespugli poco distanti da lui.

“Hai portato tutto?” domandò un uomo con una cicatrice sulla guancia destra al suo compare.

“Certo, quel bastardo la pagherà cara e scoppierà insieme alla sua famiglia!” gli fece eco l’altro con un ghigno malefico stampato sul volto.

Il giovane si avvicinò di qualche passo, immaginando che il discorso stava prendendo una brutta piega. A tradire la sua presenza fu un legnetto che il suo piede pestò accidentalmente.

“Chi va là?!” tuonò uno dei due uomini, estraendo una pistola.

“E’ solo un moccioso, Clark. Sbarazziamoci di lui.”

Un brivido percorse la schiena di Patrick, ma il ragazzo si impose di mantenere la calma e di riflettere lucidamente sulle possibilità che aveva di fuggire.

Ragionare si rivelò più difficile del previsto in quel momento critico. Il suo cuore tamburellava impazzito nel suo petto, proprio come il motore a scoppio di una motocicletta.

“Non vi conviene sottovalutarmi, o mio padre ve la farà pagare!” sentenziò con il tono di voce più freddo che gli riuscì, mentre arretrava lentamente e una goccia di sudore gli colava dalla fronte.

I due sconosciuti si scambiarono un’occhiata complice, dopodiché quello che sembrava essere il capo, puntò l’arma contro di lui e mirò alla sua testa.

“Muori.”

Il colpo risuonò secco nell’aria, facendo scappare alcuni uccelli, accampati in alcuni alberi sempreverdi.

                                                                       *

Mael stava guidando a bordo della sua utilitaria, canticchiando una canzone che le era rimasta impressa dalla mattina. Era in viaggio da una ventina di minuti, e si era lasciata alle spalle la città di Sydney per dirigersi a Bondi Beach dal suo “vecchio”. Bondi Beach distava solo sette chilometri da Sydney, ed era molto rinomata tra i surfisti per le sue onde gigantesche e per la sabbia bianchissima e finissima; lei vi aveva perfino ambientato uno dei suoi primi racconti. Una leggera brezza marina, profumata di salsedine, le scompigliò i lunghi capelli castani, lasciati liberi dalla treccia che abitudinariamente li teneva uniti.

Approfittando della giornata soleggiata, molte persone avevano deciso di concedersi un po’ di relax e di far sguazzare i propri figli nell’acqua cristallina di quel tratto di mare. Per la maggior parte dei turisti, l’Australia era vista come una meta irraggiungibile e un continente tutto da scoprire, ma Mael non era di quell’idea. Lei era affascinata dalla storia europea e dai misteri racchiusi nelle poesie e nelle opere d’arte del Vecchio Continente, perché sosteneva che la sua patria non possedesse un’identità vera e propria, dato che ricalcava le orme della Gran Bretagna.

Parcheggiò la sua macchina in uno spiazzo antistante la spiaggia, e dopo essersi sistemata gli shorts, si incamminò verso lo stabilimento balneare che suo padre aveva aperto un anno prima.

“Mael, sono qui!” gridò Michael per farsi sentire dalla figlia, e ricevendo qualche occhiataccia dai bagnanti.

“Che razza di figure mi fa fare!” pensò Mael tra sé e sé, desiderando di essere inghiottita da una voragine. Perché i genitori si divertivano sempre a mettere in imbarazzo i figli? Chissà, la prossima indagine di Jennifer Baker avrebbe potuto vertere su quell’argomento.

La giovane notò che suo padre non era da solo: alla sua sinistra vi erano un signore della sua stessa età, ma decisamente più distinto e vestito in modo impeccabile, e un ragazzo con i capelli rossi, gli occhi verdi e una spruzzata di lentiggini sul viso. Era piuttosto alto e aveva un fisico prestante, oltre ad una vistosa fasciatura che gli circondava il capo.

“Scott, Patrick, sono lieto di presentarvi Mael, la mia primogenita.” cinguettò Michael, spingendo la figlia verso i due in modo da poter stringere loro la mano.

“Il piacere è mio, signorina Hunt. Io sono Mark O'Brien.” replicò lo sconosciuto, accennando un inchino. Il ragazzo, invece, rimase immobile e non aprì bocca “questo è mio figlio Patrick. Come ho spiegato a suo padre, due settimane fa è stato vittima di un incidente, e gli è stato diagnosticato un trauma cranico con conseguente amnesia. I medici, tuttavia, sono ottimisti e sostengono che sia una condizione temporanea; infatti potrebbe riacquistare la memoria da un momento all’altro” fece una pausa, scrutando il giovane al suo fianco, chiuso nel suo mutismo. “A Enniskillen non è al sicuro, dato che i malviventi che gli hanno sparato lo credono morto, e quindi ho pensato di rivolgermi a suo padre, il quale, in nome della nostra vecchia amicizia, si è offerto di ospitare mio figlio a casa vostra per una settimana. Io e i miei colleghi stiamo seguendo una pista che dovrebbe portarci a catturare i colpevoli, ma abbiamo bisogno di tempo.”

Ci volle qualche minuto affinché Mael potesse recepire completamente il discorso del signor O'Brien: aveva compreso che Patrick era momentaneamente affetto da amnesia, che era irlandese (come dimostravano i suoi tratti) e che…avrebbero dovuto convivere?! Forse, a causa della diversità dell’accento irlandese da quello australiano, aveva frainteso il significato di qualche parola.

“Mi faccia capire bene: dobbiamo abitare sotto lo stesso tetto per una settimana?” la ragazza si sentiva molto stupida in quel momento, e probabilmente, la sua faccia (rammentò che qualcuno aveva scritto che il volto è lo specchio dell’anima) esprimeva appieno ciò che pensava, dato che i tre la fissavano attoniti.

“Proprio così, Mael!” prese la parola Michael che diede una pacca sulla spalla a Patrick “sono certo che avrai nuovi stimoli per il tuo libro!”

Maledetto ricattatore. Quando voleva indorare la pillola, colpiva sempre i suoi punti deboli. Evidentemente, tutti aspettavano una sua risposta, e se avesse rifiutato, avrebbe fatto al figura dell’egoista. Ciononostante, quella situazione non le piaceva per niente, ed era praticamente convinta che non avrebbe portato a nulla di buono, perlomeno a lei. Prima del fatidico verdetto, si soffermò su Patrick: gli sembrava di averlo già visto da qualche parte. Si sforzò, andando a rintracciare qualche input che potesse esserle d’aiuto, finché non ebbe un’illuminazione. Qualche tempo fa, Tanya le aveva passato un link via mail a proposito di un clamoroso scandalo che riguardava un pilota di Formula Uno irlandese. Dunque, era lui.

“Non c’è problema, signor O'Brien.” capitolò Mael con un sonoro sbuffo, passando poi a salutare Patrick, mentre i due uomini tiravano un sospiro di sollievo.

“Ciao, io sono Mael.” proclamò lei, sorridendo ampiamente al giovane che la guardò confuso.

“Io sono Patrick, o almeno così dicono.” fu la sua risposta laconica e spiccia.

Nessuno dei due poteva immaginare che quella strana e improbabile convivenza avrebbe innescato nei due una sorta di reazione a catena

                                                                       *

“Maeeeeeeel, dov’è il mio dentifricio?!” strillò Brian dal bagno, intento a perlustrare un armadietto appeso sopra al lavandino.

Brian era il fratellino tredicenne di Mael, ed essendo nell’età adolescenziale, viveva una sorta di conflitto perenne con la sua famiglia. Era stato colui che aveva maggiormente risentito della morte della madre, ritenendo Michael l’unico responsabile, perché le aveva permesso di allontanarsi da sola con il loro yatch. Mael aveva cercato di prendere il posto della genitrice come poteva, occupandosi della casa e della gestione della famiglia, invana.

Da quando Mary era morta, l’armonia in casa Hunt era andata dissolvendosi, un po’ come la nebbia.

“L’avevi buttato nella vasca, non ti ricordi?”

Il ragazzino grugnì un “grazie” , e si lavò velocemente i denti, correndo poi verso la scuola.

Erano trascorsi tre giorni dall’arrivo di Patrick che aveva sconvolto non poco le abitudini di Mael: il ragazzo era un’inguaribile pigro e restava a letto fino a mezzogiorno (lui, furbamente, le aveva fatto credere che era colpa del fuso orario, ma lei non ci era cascata). Come se non bastasse, la trattava come una schiava, e non collaborava nelle faccende domestiche perché aveva sottolineato più e più volte di essere l’ospite, e non un domestico.

“Sei sicuro di non ricordarti niente? Non è che la tua è una messinscena?” insinuò Mael con una punta di sarcasmo nella voce, mentre lavava i piatti sporchi del pranzo.

“La mia non è una farsa. Non avrei motivo di fingere.” Patrick, ancora in pigiama, si grattò un fianco, accomodandosi poi su uno degli alti sgabelli di legno dove poco prima era seduto Michael che li aveva lasciati da soli per tornare a Bondi Beach. “Che cosa fai nella vita?”

“Insegno in una scuola elementare a giorni alterni, e poi scrivo. A te posso dirlo, dato che abiti dall’altra parte del mondo: io sono Black Maid.” Nonostante Patrick fosse uno sconosciuto per lei, dovette fare uno sforzo per pronunciare quelle parole.

Si sentiva quasi messa a nudo, vulnerabile.

Ma il suo “coinquilino” non era certo un animale feroce pronto ad azzannarla, tutt’altro. Sotto la sua coltre di indifferenza, si nascondeva un cucciolo spaventato da quella sua condizione.

Mael immaginò che soffrire di amnesia era come vivere in una sorta di limbo, senza sapere nulla riguardo alla propria identità o al proprio passato. Scoprì l’importanza dei ricordi, sia belli che brutti, che costituivano la vita di ogni individuo, e sperò di non dover mai affrontare una simile esperienza.

“I ricordi sono la vita, e la vita è formata da ricordi.” sorrise nel paragonare i due fattori all’elemento “causa-effetto” di cui usufruiva Jennifer Baker nelle sue indagini.

“Black Maid? Cos’è? Una nuova marca di chewing gum?”

Il sorriso di Mael svanì non appena udì il commento dell’irlandese. Aveva un bel faccino, ma era sfrontato da vendere. Contò fino a dieci e cercò di fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per evitare di mollargli un sonoro ceffone. Patrick non aveva ancora avuto a che fare con il suo lato infiammabile, e seppur involontariamente, lo stava facendo emergere.

“Niente, meglio lasciar perdere.”

“Ho letto il libro che c’era sul tuo comodino.”

Mael lo stava lasciando solo per dedicarsi alla stesura di un nuovo capitolo della sua storia, quando le si drizzarono le orecchie. Come aveva fatto in soli tre giorni a leggere un libro di trecentocinquantanove pagine? La risposta era molto semplice.

Non aveva nulla da fare, oltre a propinarle le sue battutine al vetriolo.

Tuttavia, pensò che ricevere un parere disinteressato da qualcuno al di fuori dell’ambiente poteva esserle utile, e magari positivo per ritrovare una certa dose di autostima. Si sistemò una ciocca di capelli ribelle dietro le orecchie, e si portò il mento sopra ad una mano, divenendo gentile e premurosa, quasi come se dalla risposta di Patrick fosse dipeso il suo avvenire; era piuttosto comica come scena.

“E come l’hai trovato? Sai, l’ho scritto io.”

“Detestabile.”

Ok, era appurato: i piloti di Formula Uno non si intendevano di thriller et similia. Non poteva definire Patrick un suo amico, ma quel commento fu come una pugnalata al cuore. Aveva ricevuto delle critiche anche aspre, ma da degli esperti del settore, e non da un “dilettante”.  Demolire la sua opera significava stroncare anche le sue certezze: non si credeva una scrittrice affermata, ma era convinta di possedere delle doti quantomeno apprezzabili.

“Cosa c’è che non va?” gli domandò imbronciata, con le braccia conserte.

“Ammetto di non conoscerti, però trovo il libro piuttosto impersonale e insipido. Ti limiti a descrivere con minuzia le indagini della poliziotta, gli ambienti, ma tralasci i suoi sentimenti. Sembra quasi che quella donna abbia paura di amare e di mostrarsi umana di fronte agli altri. Secondo me mostrare i propri sentimenti non è una cosa negativa, anzi. Ammiro molto chi ci riesce.”

Mael non osò ribattere, perché era rimasta pietrificata nel sentire la perfetta analisi stilata da Patrick riguardo alla sua persona. La verità era che non aveva ancora superato il tradimento di Kevin che l’aveva, ingiustamente, portata ad odiare qualsiasi rappresentante dell’altro sesso. Era diventata una femminista convinta, cancellando quasi l’esistenza degli uomini dalla sua vita.

“Adesso sì che sembro una delle protagoniste dei romanzi d’amore che odio tanto.”

Era pressoché incredibile che un ragazzo colpito da amnesia potesse farle la paternale. Inoltre, il suo era un parere “puro”, non influenzato dalle malelingue che la volevano ormai nel dimenticatoio.

“Sai, sembra quasi che anche noi due siamo delle colonie, come gli Stati in cui viviamo.” affermò Mael, addolcita, e cambiando argomento. “Io non posso vivere senza la scrittura, e suppongo che nel tuo inconscio anche tu non possa resistere alla tentazione di tornare alla ribalta come pilota.”

Patrick le rivolse uno sguardo neutro, non capendo di cosa stesse parlando. Improvvisamente, però, ebbe un sussulto e si massaggiò delicatamente le tempie che avevano preso a pulsargli come dei tamburi.

“Io…non so cosa mi sia preso, ma sentendo la parola “pilota” è come se il mio animo si fosse scosso. E’ come se avessi preso la scossa elettrica” farfugliò confuso, mentre Mael gli passava un bicchiere colmo d’acqua.

“Se vuoi, posso rinfrescarti un po’ la memoria. Su Internet ci sono un sacco di tuoi fan club, dove la gente ti venera come un Dio” ammise lei scherzosamente, facendogli una linguaccia. Era contenta perché aveva appena ritrovato l’ispirazione necessaria per creare addirittura un nuovo caso, e il protagonista sarebbe stato lo stesso Patrick.

Sì, si sarebbe fatta spiegare i dettagli della sparatoria in cui era rimasto vittima il ragazzo da suo padre.

“D’accordo, sono proprio curioso.”

Quella convivenza si rivelò più proficua del previsto per entrambi, dimostrando così che anche tra due colonie così lontane poteva esserci un punto d’incontro.

 

 

FE SCRIVE...

Ciao a tutti,

e grazie a chiunque sia arrivato a leggere fin qui^^ Sono contentissima del piazzamento al contest, perchè in questa storia ho messo molto di me. Con Mael (e molti utenti di questo sito), condivido la passione per la scrittura e, proprio come lei, sto attraversando un periodo in cui non sono molto sicura delle mie capacità, e, come se non bastasse, l'ispirazione sembra partita verso lidi lontani.

A parte questo, vorrei precisare che per le informazioni riguardo l'Australia mi sono documentata su Wikipedia.

Questa storia dovrebbe essere una sorta di introduzione per una sorta di long-fic, che mi piacerebbe tramutare in un libro in futuro...un progetto ambizioso, lo soXD

Ringrazio ancora Sisya-chan per il suo giudizio (che potete leggere qui sotto) che in qualche modo mi ha "sbloccato" e Yu_Kanda per il bannerino che posterò di seguito. Last but not least, un mega grazie a chiunque commenterà^^

Fe

 

Grammatica e Sintassi: 9.5/10
Stile e Lessico: 9.8/10
Originalità: 10/10
Attinenza al tema: 10/10
Caratterizzazione dei Personaggi: 5/5
Gradimento Personale: 4.8/5
per un totale di 49.1 / 50

Una storia molto particolare e interessante, senza dubbio, l'ho apprezzata tantissimo.
Partiamo dalla grammatica. Ho notato qualche piccolo errore di battitura, ma nel complesso hai uno stile molto pulito e scorrevole, e sono arrivata all'ultima pagina quasi senza rendermene conto, tanto la storia mi aveva presa! In alcuni punti mi sono ritrovata a sorridere, come nello scambio di battute finale dei due protagonisti, o il particolare del papillon a pois fucsia! Quello che sicuramente ho potuto notare con piacere è un'attenzione precisa ai dettagli e all'ambientazione, segno che ci hai messo sicuramente molta cura e impegno nello sviluppare non solo i tuoi personaggi, ma anche il 'background' in cui si svolge la vicenda. Ho adorato Mael, anche perché trovo che sia molto facile immedesimarsi in lei (la mancanza di ispirazione, il femminismo convinto...), e allo stesso modo Patrick, semplicemente delizioso, e no, non solo per via dei capelli rossi e gli occhi verdi... xD
I prompt sono presenti e ben trattati, niente da aggiungere su questo.
Devo ammettere però che, per quanto abbia apprezzato il tuo lavoro, quel finale mi ha lasciata un tantino in sospeso, perciò sarei felice di leggere il seguito, se tu mai decidessi di scriverlo.

http://img850.imageshack.us/i/bannertropesclichsfe85.png/

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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