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Autore: Helena Velena    24/03/2011    2 recensioni
Ulcere e rimorsi di Severus Snape nei suoi giorni da Preside, ossessionato, come se non bastasse, da un oggetto misterioso che Albus Silente gli ha lasciato in eredità.
Genere: Comico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Horace Lumacorno, Luna Lovegood, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Ci sarebbero state conseguenze pesanti, non poteva farsi illusioni.
Conseguenze pericolose.
Già, come se il resto fosse una passeggiata.
Snape trascorse nervoso alcuni giorni di pace circospetta, senza moduli da firmare né decreti da amministrare; annusava l’aria che tirava ad Hogwarts per prevenire le ripercussioni innominabili della morte della Martorius, aspettandosi il peggio.
“La burocrazia è un’emanazione del male…” rimuginava fra sé, tentando di trarre qualche conclusione intelligente dagli avvenimenti recenti.
Non era stato un caso che la segretaria si fosse rivelata in realtà una spia di Lord Voldemort.
Nessuna maledizione giungeva a incenerirlo, però, e anche Lumacorno tirava avanti indisturbato, godendosi per quanto possibile la sua futile vita costituita dalle solite e inconcludenti meschinità.
Evidentemente il cadavere nel laghetto non era stato trovato… per il momento.
Snape non voleva illudersi, non era certo il tipo, ma sembrava proprio che le capacità da inquisizione del Ministero, corroborate in aggiunta dalla ferocia dei Mangiamorte, non si mostrassero efficaci come si sarebbe aspettato.
“L’Oscuro Signore è distratto…”, concluse. “Qualcosa si prepara…”
Era certo che, qualsiasi “qualcosa” fosse, ne avrebbe presto subite le conseguenze.
Per il momento, dunque, Snape non osava procedere coi suoi piani urgenti e tortuosi riguardo alla spirale, perché era probabile che qualcuno lo tenesse d’occhio dall’ombra.
Fuori sembrava freddo e guardingo, dentro invece scalpitava.
“Maledizione… ah, ma, maledizione…”
Il Distillato Stricto dell’Orbe aveva una data di scadenza piuttosto breve, sempre più vicina, per via di tutto quel sangue fresco che gli era costato di sicuro alcuni anni di (pessima) vita.
Anche se all’apparenza sembrava tutto tranquillo non voleva dire che le cose andassero per il verso giusto. Lui lo sapeva bene, per tutta la vita aveva pagato caro ogni momento di calma, saldando il conto con lo sfacelo che sempre accompagna la tempesta.
Il terzo giorno dopo la consegna della spada una squadra di prestanti e rumorosi Auror fece irruzione a Hogwarts.
Senza presentarsi al Preside né chiedere permessi a nessuno gli agenti del Ministero iniziarono le procedure per le indagini, delimitando alcune aree inaccessibili grazie a una magia che faceva apparire dalle bacchette un nastro giallo ricoperto di scritte nere. Era imbevuto di un incanto che lo rendeva invalicabile; in pochi minuti Snape si trovò tagliato fuori dalle sue stanze, dal sotterraneo e da ogni possibile rifugio nel quale potesse anche solo pensare di combinare qualcosa di utile.
“Maledizione… ci mancava la Squadra Alchemica! Infiniti ficcanaso che indagano negli affari miei… con tanto di permessi ministeriali...”
Grazie all’ausilio dei loro bauletti ripieni di pozioni e preparati speciali, gli agenti dell’Alchemica avevano già iniziato i minuziosi rilevamenti sulla scena del delitto, che in quelle fasi sembrava identificarsi con la semplice sparizione della Martorius.
Tra tutti spiccava un tipo alto con lunghi capelli biondi e baffoni da vichingo, circondato da uno sciame di taccuini prendiappunti in scala ridotta, nonché di proporzionate piume a scrittura automatica.
Indossava una mantella scozzese sui toni del marrone e sembrava impegnato a studiare i suoi appunti svolazzanti che si avvicendavano sotto una lente enorme dal lungo manico di corno, che impugnava con disinvoltura.
Se quello era il capo degli Auror, Snape era sempre il Preside!
Con questa convinzione apparecchiata a metà nell’animo, ma tutto sommato adeguatamente timoroso, gli si avvicinò.
“Sarebbe lei… il referente di tutta questa confusione nella mia scuola?”, domandò Snape parandosi davanti allo sconosciuto, facendo appello a tutte le proprie facoltà più fastidiose e indisponenti.
Un mezzo sorrisetto beffardo, le braccia incrociate nel mantello, un piede puntato in avanti e la testa leggermente reclinata concretizzarono in un attimo lo Snape più velenoso ed efficace: quello delle dannatissime grandi occasioni rognose, che avrebbe dato un braccio per evitare.
Lo sconosciuto alzò lo sguardo dai suoi taccuini, poi li scansò agitando una mano nell’aria, come se stesse scacciando delle mosche importune, infine mise a fuoco verso Snape, con grandi occhi nocciola dall’espressione maniacale.
“Il Preside Severus Snape, immagino”, rispose dopo la lunga pausa mirata ad un’ispezione visiva insistente degli occhi indagatori, la prima di una lunga serie.
“Non si impressioni dei miei poteri deduttivi superiori, niente di magico, sa? Solo organizzazione e cervello!”
Indicò uno dei taccuini che svolazzava in alto fra gli altri cento, ad una certa distanza.
“Le sembro… impressionato?”, ribatté il Preside facendosi insidioso.
“Mi auguro che le sue deduzioni non siano tutte così grossolane… perché, vede, lei non mi impressiona per niente… anzi, a prima vista mi appare piuttosto malsicuro nei suoi tentativi…”
Mentre lo spocchioso detective si trovava ancora impegnato ad assorbire quei primi insulti, Snape proseguì imperterrito, sapendo bene cosa andava a toccare.
“A proposito, potrebbe dirmi chi è lei e che cosa sta facendo ad Hogwarts, oltre che… ingombrare il mio ufficio… e dare esempio delle sue incapacità?”
I taccuini iniziarono a vorticare turbolenti intorno ai due maghi, in sinistro accordo con l’atmosfera piena di ostilità.
“Sono Buvaël Bartox, Auror Ispettore Anziano e Capo della Squadra Alchemica!”, rispose il detective all’apice della propria irritazione, montata esponenzialmente nel corso dell’ultimo minuto. Nessuno l’aveva mai provocato in quel modo, né sfidato così apertamente.
“E…?” fece Snape senza scomporsi.
Bartox si prese qualche secondo stiracchiato prima di rispondere, sembrò recuperare il controllo, rientrare in sé.
Ricominciò a scandagliare la figura del Preside col suo sguardo opprimente e sospettoso, carico di minacce al punto tale che, scrutando al fondo di quegli occhi assillanti, si poteva vedere Azkaban.
“Con i miei talenti superiori e la mia sagacia, sto compiendo un’indagine sulla sparizione di Elga Martorius per conto del Ministero della Magia, Preside Snape”, rispose infine, ritrovando un colorito più naturale rispetto al rosso collera affiorato poco prima, per via della sua natura sanguigna.
“E non le nascondo che siete tutti sospettati! Lei sicuramente, in prima persona!”
Altre occhiate inquisitorie analizzarono la dura scorza di Snape, si soffermarono sulle mani immobili, sulla gestualità bloccata, interrogando senza fine i propositi certamente colpevoli di quel corpo rigido, sospetto a cominciare dal fatto di estendersi nel mondo fisico.
Snape ponderò le parole.
Dopo tutti i rischi e i sacrifici non poteva certo permettersi di finire ad Azkaban per oltraggio a pubblico ufficiale…
“La Martorius scomparsa, dice?”
Aveva modulato la risposta col suo tono più mellifluo ed insinuante, che risultava come sempre irresistibile, in un senso strettamente provocatorio.
“Non è in ferie o in permesso?”, proseguì. “So che al Ministero avete tutti contratti da privilegiati, che vi permettono di andare in vacanza e trascurare il vostro lavoro nei momenti meno opportuni…”
“Lei è il Preside e non si preoccupa del fatto che un suo dipendente non si presenta al lavoro?”, ribatté Bartox sempre più autoritario e padrone di sé.
“Non sa se è in ferie, se è malato? Ma che razza di Preside è lei, signor Snape?”
Afferrò uno dei taccuini che nel frattempo si erano incuneati in avanti, che stazionavano nell’aria quasi immobili, governati soltanto da un lieve moto sussultorio; incombevano minacciosi sopra a Snape, che a stento si stava trattenendo dallo schiantarli tutti in un sol colpo.
“Un Preside sospettato, ecco cos’è!” aggiunse risoluto il detective, controllando con la lente i nuovi appunti che stava tracciando la piuma sul libretto nella sua mano. “E le sue risposte evasive costituiscono un insulto alla mia intelligenza!”
“Come si pregiava di sottolineare la Martorius in ogni occasione…” riattaccò Snape con tono venato di esasperata sufficienza, “la sua indispensabile mansione di segretaria dipendeva strettamente dall’ufficio preposto, al Ministero, ed io non ricoprivo una carica sufficientemente elevata per sindacare…”
Non si interruppe, esitò impercettibilmente.
Bartox aveva incuneato lo sguardo verso di lui, di nuovo.
L’ispezione invadente dei penetranti occhi irrequieti era ricominciata, più incalzante che mai, ma presto il contatto visivo si trasformò in qualcosa di diverso, di inaspettato.
Il Capo della Squadra Alchemica doveva essere un Legilimens.
Snape riconobbe al volo la familiare sensazione di avere la mente sotto assedio, percepì senza sforzo la presenza estranea dell’intruso che pretendeva di violare i suoi pensieri.
Hmphf… volgare dilettante…
Al Preside venne quasi da ridere sotto la sua faccia di pietra, dietro la smorfia sprezzante scolpita nell'ardesia.
Le vicissitudini spietate della vita l’avevano costretto a diventare un Occlumante da competizione ed era stato addestrato consumando lacrime dal Mago migliore e più ferrato, Silente. Si era allenato duramente, buttando sangue in infiniti confronti col Maestro più oscuro e più potente, Lord Voldemort, a cui era sempre riuscito a nascondere segreti pericolosi anche in mezzo ad infinite torture; era capace di lasciare intravedere solo ciò che voleva far trapelare per confondere le acque, calcolando nel frattempo ogni vantaggio.
Aveva sempre vinto, quella era la sua specialità.
Infatti.
La Legilimanzia di Bartox si rivelò un’offensiva ridicola, come il pugno tirato da una formica; Snape occultò in scioltezza ogni verità sulla Martorius, e offrì al poliziotto una serie di visioni che potevano confonderlo, provò a fare il proprio gioco.
Il Preside e la segretaria erano seduti a un tavolino lezioso nella stanza della torre, prendevano il tè delle cinque chiacchierando sommessamente, con la familiarità di due sorelle anziane.
Hmmm… poteva fare meglio di così.
Snape si insultò da solo, aveva buttato lì la prima idea che gli era venuta. Ma quanto plausibile… poteva essere?
Sbirciò il suo contendente di sottecchi.
Bartox non riuscì a nascondere la sua faccia sorpresa e perplessa, incapace di credere che Snape potesse risultare amichevole ed espansivo con chicchessia.
E come dargli torto?
L’attacco mentale ricominciò, urgeva un’altra visione, altro materiale per depistare il nemico.
Ed ecco Snape e la Martorius vestiti con abiti da campagna, pervasi da spirito bucolico e affaccendati a raccogliere margherite in mezzo ai prati.
“Sa cosa le dico?” ciancicava la segretaria, a tutto volume anche nella visione.
“Starebbero bene questi mazzolini nel suo laboratorio di Pozioni!”
“Non chiedo… di meglio…”, rispondeva l’improbabile Snape che la accompagnava.
No, no, no! Maledizione…
L’espressione di Bartox stava diventando più profonda, sospettosa, e il Preside si scoraggiò non di poco.
Ogni giorno, alla prova dei fatti, si scopriva addosso nuovi limiti penosi.
Pur con tutta la sua grandezza inarrivabile di Mago e di spia consumata, risultava terribilmente difficile per un solitario come Snape inventarsi situazioni amichevoli, allo scopo di dipingere un rapporto cordiale credibile con la defunta segretaria.
Cercò di ispirarsi ai pochi avvenimenti piacevoli della sua vita di relazione ma scartò subito l’idea successiva: la Martorius su di un’altalena, un Severus sorridente che la sospingeva.
Ah, no!
Emanò invece il quadro visivo di una situazione ordinaria, come se si rifacesse a un grande classico: lui che raccoglieva un registro caduto di mano alla Martorius e glielo porgeva con un sorriso imbarazzato.
Bah, andava un po’ meglio.
Ma di poco.
Dannatamente difficile, fuori della sua portata…
Si sorprese a pensare che si sarebbe trovato più a suo agio sotto le torture di Lord Voldemort, impegnato nella dissimulazione dei familiari intrighi di potere.
Ma c’era dell’altro.
La Martorius l’aveva odiato, l’aveva spiato, e lui l’aveva uccisa.
In nient’altro era consistito il loro schifoso rapporto, a parte l’infinita avversione reciproca e le massicce dosi di disprezzo condivise, e adesso Snape doveva trovare il modo per rivestire il tutto di rose e viole.
Un frullio di pagine all'improvviso, e il nugolo dei taccuini si ritirò dal suo spazio aereo, disponendosi attorno a Buvaël Bartox in una formazione ordinata.
“… ed io non ricoprivo una carica sufficientemente elevata per sindacare l‘operato della Martorius. Non esercitavo potere nemmeno sulla mia segretaria, si figuri, Signor Bartox… se potevo immaginare la sua scomparsa. Andava e veniva come voleva, e né lei né il Ministero mi tenevano al corrente…”
Snape terminò come se nulla fosse la sua tirata isterica, durante la quale si era perpetrato il debole attacco mentale del detective; quest'ultimo, dal canto suo, rifinì la propria disamina con una lunga occhiata dubbiosa.
Pareva quasi convinto che Snape nascondesse un'anima candida, dopotutto, e che l'avesse burberamente attaccato solo per non rivelare, per quanto possibile, la sua vera natura nascosta: quella di un nevrotico zitellone intrattabile, che Bartox sembrava ormai intenzionato a voler compatire.
Le patetiche visioni riguardanti la Martorius dovevano avere funzionato, pensò Snape, convinto com'era Bartox, in tutta la sua boria, di essere realmente riuscito a carpire i segreti di una mente permeabile ed indifesa.
"E' libero di andare, Preside Snape, per il momento. Ma non si allontani da Hogwarts, deve rimanere a completa disposizione delle mie analisi e della mia intelligenza."
Anche l'atteggiamento interpersonale del detective era cambiato, era virato sensibilmente dall'intimidatorio al paternalistico.
"E come dovrei fare, me lo spiega? Dove dovrei... dormire?" rimpallò Snape irrigidito, quasi senza muovere le labbra disgustate. "Le mie stanze sono tutte occupate, i suoi agenti sono dappertutto. O forse Lei vorrebbe consigliarmi una buona dose di Distillato della Morte Vivente, perché io non disturbi oltre le sue indagini?"
Buvaël Bartox fece il gesto di accomiatarsi, e non riusciva più a contenere un certo sorriso bonario che gli si apriva impudente da mustacchio a mustacchio.
Cominciava a provare tenerezza, per Snape: gli ricordava sua zia.
Comprendeva quanto fosse vincolato, tra le incombenze della Presidenza e le infinite responsabilità più o meno ufficiali, e capiva come avesse una facciata da difendere. Naturale che cercasse di non far sapere al primo venuto le piccole consolazioni di uno spirito da comare, sfogate tra i pettegolezzi e i pomeriggi coi pasticcini che aveva condiviso con la Martorius.
"Via, via, Preside Snape," disse infatti ridacchiando, battendogli affettuosamente una mano sulla spalla. "Vedrà che una soluzione si trova!"


A Snape venne approntato un lettino di fortuna in Sala Grande, lontano dalle sue cose nelle stanze requisite. L'unico brandello di privacy gli venne concesso sottoforma di un paravento bianco sequestrato dall'infermeria.
Di notte gli Auror montavano la ronda intorno a lui, di giorno sbaraccavano il suo giaciglio e facevano riapparire le tavolate in tempo per la prima colazione di Hogwarts.
"Era difficile...", considerava Snape, "ma credo di avere battuto anche il mio precedente record d'impotenza. Potrei fare di meglio, però potrei fasciarmi come una mummia, e tuttavia non riuscirei a dimostrarmi più inutile di così..."
Il vero problema riguardava il suo piano, la sua spirale, la sua pozione.
Entro pochi giorni il Distillato Stricto dell'Orbe sarebbe stato da buttare, proprio come la sua missione e perciò la sua vita.
L'ombra del fallimento aveva steso le nere propaggini verso di lui, dopo tutto il dolore e la fatica, senza contare che il Capitano Bartox lo trattava come se Severus fosse una via di mezzo tra un convalescente dal cuore spezzato e il principale sospettato del peggiore crimine. Gli gironzolava intorno compiacendolo e intrattenendolo, sembrava quasi che Bartox non avesse niente da fare.
Il tempo scorreva, la pozione scadeva, mentre Snape si consumava sull'orlo del panico, tenuto in salvo per una sorta di miracolo dei suoi nervi tirati allo spasimo.
Dopo alcuni giorni di quella vita impossibile, Bartox se lo prese sottobraccio, cercando di condire le accuse che aveva in serbo per lui con la peggiore indulgenza; lo fece nel solito tono con cui si rivolgeva a Severus, che poi era quello che riservava a sua zia.
"Ecco, Preside Snape, io non vorrei importunarla, ma sa... abbiamo trovato qualcosa, nel sotterraneo. Qualcosa che non ci sappiamo spiegare. Lei non c'entra col delitto, ne sono sicuro. Lei non potrebbe mai, non è nella sua natura. Però..."
A Snape non conveniva contraddirlo, ma naturalmente sentiva rivoltarsi lo stomaco ogni volta che saltavano fuori tutti quei "lei non potrebbe", che ovviamente alludevano alla sua supposta natura donnesca, o, per essere proprio generosi, al suo ruolo obbligato di Patronessa.
Ma in quella circostanza particolare seppe riconoscere fin dalle prime parole il lato emerso, quasi perduto dell'ultima occasione, e per non mancarla si adeguò più che poteva alla sua parte.
Bartox si riferiva alla spirale, glielo leggeva nella mente. Gli avrebbe chiesto di mostrargliela, di rivelargli a che cosa servisse.
"Sappiamo che è un oggetto magico potentissimo", stava dicendo il detective, attento ad emanare mille attenzioni rassicuranti. Snape lo seguì docile a braccetto, calandosi addosso la sua maschera più eccitabile e preoccupata.
"E' un aggeggio orribile... ho sempre cercato di evitarlo se potevo, perchè mi dà i brividi...", buttò lì Snape con tono lagnoso, e questo, in parte, corrispondeva al suo reale pensiero. "Ma se ne ha bisogno per le indagini vedrà che saprò fare la mia parte, se il Cielo mi assiste..."
No. Il Cielo non avrebbe mai, neanche per sbaglio, assistito Severus. Doveva pensare qualcosa in fretta, sarebbe stato solo come sempre, appeso per il collo unicamente alle proprie disperate facoltà. L'esecuzione precisa del piano significava l’abissale differenza tra riuscire e non riuscire, tra vivere e morire.
Hmphf, come se fosse una novità... anzi, almeno per quel giorno non si sarebbe annoiato.
I due uomini infilarono il sotterraneo, e per un attimo Snape fu grato all'inferno perchè non si udiva da nessuna parte la musica schifosa dei Carrow. Sbattuti fuori anche loro, eh?
Arrivarono alla camera, si fermarono davanti alla spirale.
"Cosa mi dice? Come si fa? Sempre se se la sente, beninteso, possiamo anche rimandare, si capisce."
Severus si mise nella posa del capestro, ostentando le vertigini. Poi fece finta di farsi forza, come se avesse annusato dei sali magici, e si decise a rispondere con tono impressionabile, simulando abilmente alcuni accenni di singhiozzo represso.
"Ecco, beh, (che orrore...), direi che... non è che vada utilizzata. Deve essere, piuttosto... praticata..."
La portava con lui, sempre. La custodiva e la covava come se fosse l'ultimo uovo di una fenice moribonda, ma di una specie fragile e mortale. La tirò fuori da una tasca segreta e al primo sguardo ne constatò la qualità.
Era ancora decente, poteva ancora funzionare.
Apprezzò con occhi quasi orgogliosi la pozione che l'avrebbe portato alla verità, oppure alla morte, o nel migliore dei casi ad Azkaban.
"Non sarebbe una cattiva forma di pre-pensionamento...", pensò al proposito il Preside, e veloce, tanto da non poter essere fermato e nemmeno notato, trangugiò il Distillato Stricto dell'Orbe, che sapeva di sangue marcio disgustoso e ribollito, naturalmente.
Vino amaro, tienilo caro...
Fu come se avesse bevuto la resurrezione in forma liquida, mentre l'energia impennò subito a mille; il volto gli si fece roseo, finalmente riempito da sangue abbondante e vitale.
Infine ricominciò la sua pantomima.
"Dovrebbe… funzionare così, guardi! Ah, che orrore... che orrore..."
Con un salto perfettamente calibrato Snape montò sulla spirale e cominciò la sua danza, questa volta in armonia con la potenza dell’universo e perfettamente bilanciato.
C'era riuscito, volteggiava sulla pietra in un equilibrio impensabile, con traiettoria sempre più vicina al centro d’origine delle ellissi sfuggenti, e restava vivo. Ormai era proiettato di sicuro verso la soluzione finale, verso il suo obiettivo.
Ancora pochi passi di danza, in equilibrio tra le forze dei mondi, e avrebbe saputo.
Fu pienamente cosciente, Severus, quando raggiunse il traguardo preciso, respirando l'aria di fuoco mentre la vita fuggiva, mentre altra vita lo riempiva.
Ora rischiava la conoscenza.
Luce. Luce. Luce.
   
 
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