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Autore: PoisonVeleno    24/03/2011    1 recensioni
èla storia della cugina di Lily Evans, chiamata anche lei Lily (Lylith in realtà). l'amicizia con lei la porterà ad altre amicizie, tra cui quella con Severus...ma si trasfomerà in altro? tratta gli eventi più importanti della sua vita e poi seguirà anche le trame dei libri con alcuni cambiamenti.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Evans, Nuovo personaggio, Severus Piton, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'Lylith, storia dell'altra Lily Evans.'
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primo cap
    grazie a chiunque abbia anche solo letto. è la mia prima fanfiction e l'idea è davvero complicata, perciò ringrazio chi seguirà Lylith fino alla fine.



L’evento più determinante della mia vita è anche il più doloroso. Accadde quando avevo 8 anni, precisamente il giorno del mio nono compleanno.

    Mi chiamo Lylith Evans, ma tutti mi chiamano Lily. 

Mi dicono che somiglio molto a mia madre per il carattere silenzioso ed introverso, ma allo stesso tempo curioso e allegro; e anche perché le somiglio fisicamente, con i miei occhi azzurri, i capelli castani e la pelle quasi bianca.

    Il giorno del mio compleanno, mamma mi aveva detto di venire con lei nel suo laboratorio. A me e papà era proibito andarci, ma aveva deciso che ero diventata abbastanza grande e io ero semplicemente estasiata all’idea di vedere come e che cosa ci fosse! 

Naturalmente lei era già lì. Stava preparando qualche strana sostanza colorata in un grosso pentolone, il calderone. C’erano tantissimi strumenti che si muovevano da soli e strani oggetti dentro barattoli di vetro. La stanza era invasa da fumi ma si disperdevano verso l’alto, sembrava che dove passavo non potessero entrare, come fossi protetta da una bolla invisibile.

Mia madre era felice quanto me. “Ti meriti di venire qua. Non solo perché è il tuo compleanno, ma ieri hai dimostrato di essere davvero come me, quando hai fatto volare quelle foglie. Magari anche il tuo fratellino sarà così.”

Sorrise e si guardò la panciona. Lì c’era mio fratello, dicevano. Non ero ingenua, i miei migliori amici oltre a lei erano e sono i libri, sapevo perfettamente come nasceva un bambino. Ma gli adulti non mi credevano. Tranne mia madre, ovviamente.

    Quello che era successo il giorno prima con le foglie, in realtà, era che a pranzo eravamo andati da amici di mio padre e io trovavo la conversazione sui monopattini tremendamente noiosa e mi ero alzata per giocare con le foglie. Ne avevo presa una dall’albero ed è diventata gialla. 

Sono appassite tutte le foglie dell’albero e si erano disposte a nuvoletta sopra di me. Nessuno si era accorto di niente, così ho gridato per scherzo “vai” al mucchio di foglie. 

Non so come, sono volate sopra le teste di tutti e non si staccavano se non le toccavo io. Tornati a casa, mia madre contentissima mi aveva promesso la visita nel laboratorio.

“Ma non capisco. Che vuoi dire, mamma?” lei sorrise di nuovo e disse che avrei capito presto. Dette queste parole mi abbracciò, ma inavvertitamente rovesciò una cosa che assomigliava ad un occhio di pesce dentro il calderone e cominciammo a sentire sibili provenire da lì. Si spaventò moltissimo, e mi disse di correre subito via. Io non la volevo lasciare ma lei mi spingeva fuori. Aveva appena chiuso la porta dietro di lei, ma le si era impigliato il vestito… mi voltai indietro e la vidi letteralmente saltare in aria. 

Tutto il laboratorio era esploso, sostanze strane e colorate e fumi da tutte le parti. Mio padre e la famiglia di mio zio che nel frattempo era arrivata per la mia piccola festicciola, accorse subito al boato. Quello che vide fu me paralizzata e la stanzetta distrutta. Poco più lontano da me c’era il cadavere di mia madre coperto di sangue e sostanza inquietanti. Mia zia mi portò a casa dove trovai le mie cugine Tunia e Lily che facevano molte domande, ma non ebbi la forza di rispondere a nessuna.

Mi sentivo vuota. Senza nessuna ragione di vivere. 

Mia madre, il mio modello, la mia amica, confidente e supporto non c’era più. 

Il mio mondo, era finito, crollato, sparito. Scoppiai a piangere e non mi fermai nemmeno quando vennero tutti ad abbracciarmi e consolarmi, che mi faceva solo aumentare le lacrime. Piansi tutta la sera, nel mio letto. Non ebbi nemmeno la forza di leggere un po’, cosa che facevo tassativamente tutte le sere.

Naturalmente leggere così tanto mi rendeva quasi un’emarginata a scuola. Gli altri bambini facevano discorsi stupidi, e io mi allontanavo. Io non volevo giocare con le barbie né parlare di trucchi e tacchi. Volevo parlare della vivisezione, dell’atmosfera, di Dostoevskij e altre cose insolite per una bambina. 

Anche se quando mi invitavano a giocare a palla o con la corda, accettavo. 

Lily non sapeva che dire, aveva quasi la mia stessa età, un anno circa più grande di me, ma ricordo che un suo abbraccio dolce era più piacevole di quello stritolante degli zii. Tunia mi batteva sulla spalla e mio padre era depresso e inconsolabile. 

Naturalmente non riuscii a dormire quella notte, ma solo alle sette di mattina mi calò una grande stanchezza. Non ebbi il tempo di riposare che ci siamo tutti vestiti di nero (non che fosse una novità per me, io mi vestivo quasi sempre di nero, grigio o blu) e andammo in chiesa per il funerale. 

Non ero mai entrata in una chiesa e non mi piacque per niente. Al cimitero mio padre dette l’ultimo sguardo alla mamma e poi se ne andò, dimenticandosi di me. Anche io mi diressi alla bara aperta e osservai il viso di mia madre. Adesso non era più coperto di sangue, ma sereno come l’avevo sempre vista. Le accarezzai i capelli, in quel momento meno simili ai miei che mai e poi andai anche io a casa. Sapevo la strada perché ricordavo il percorso fatto dalla chiesa e siccome questa era vicino la scuola sapevo tornare a casa.

Appena entrata capii che qualcosa non andava. La porta era aperta. Mio padre era girato e piangeva. Lo chiamai ma non rispose. Riprovai. Si girò verso di me, aveva una pistola. Me la puntò contro. “sei troppo uguale a lei…io non posso crescerti così. Solo lei poteva, io non so che fare…senza di lei…e tu che le somigli così tanto! Mi dispiace tanto, ma io davvero non saprei come fare…con una come te.”

Credevo volesse spararmi e chiusi gli occhi. Mi sbagliavo. Lo scoppio ci fu, ma non fui io a morire. 

il corpo cadde dalla sedia, dalla testa uscì una grossa chiazza di sangue. Sapevo che un colpo alla testa è mortale per chiunque così prima pulii tutto, poi chiamai lo zio. Avevo perso tutti e due i genitori nel giro di due giorni. Mia madre il giorno del mio compleanno. Mentre posavo la pistola, vidi nel cassetto un biglietto e un grosso pacco. Per me. Da parte loro. era un telescopio. L’anno scorso avevo ricevuto il microscopio. 

Era ormai sera, ma nel paesino di Eastwood, vicino Nottingham, la stelle si vedevano bene. E poi era il 18 novembre, la sera scendeva presto. Era già tutto montato. Lo puntai verso il cielo. La prima stella che vidi, la controllai sulla mappa del cielo di novembre e la ribattezzai Vyvith, come mia madre. 

E non potei fare a meno di pensare, che se tutto questo era successo, era per colpa mia. ma ancora non sapevo niente di quello che doveva ancora arrivare. e di quanto sarebbe stato doloroso, odioso, difficile e meraviglioso. 

grazie Lily.

  
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