Black Moody’s FanFics Corporation presents
Turandot
Atto primo
Là sui monti dell’Est
la cicogna cantò,
ma l’april non rifiorì,
ma la neve non sgelò.
Dal deserto al mar – non odi tu
mille voci sospirar:
Principe, scendi a me!
Tutto fiorirà,
tutto splenderà…
[ da
“Turandot” – Atto primo ]
Non erano tempi facili quelli che il Togenkyo, fiorente regno della parte orientale del mondo, stava attraversando: molte guerre interne lo avevano logorato, e le ribellioni di alcuni gruppi di demoni contro il potere centrale – e contro gli umani in generale – avevano finito per costituire il colpo di grazia. L’equilibrio del paese era fragile, sconnesso, e sarebbe bastato ben poco per farlo crollare definitivamente. Molti erano coloro che sceglievano la via dell’esilio, in cerca di fortuna, e altri si arrendevano all’evidenza dei fatti. Purtroppo i problemi non si limitavano a questioni belliche e politiche: uno di essi era costituito dal figlio dell’ultima imperatrice.
La somma Kanzeon Bosatsu, sovrana del Togenkyo intero,
aveva un unico erede, e adesso che si sentiva prossima alla scomparsa aveva
necessità di affidare il regno nelle sue mani. Ma il principe, da diversi anni
ormai, non sembrava intenzionato ad attenersi ai desideri della madre: correva
voce – ed era fondata – che fosse un giovane tanto bello quanto spietato, che
obbligava i suoi pretendenti, donne e uomini che fossero, ad affrontare una
prova crudele. E nessuno, fino ad allora, si era salvato.
Nonostante ciò, ancora in gran numero si presentavano al
palazzo imperiale chiedendo di sottoporsi al cimento, e l’imperatrice non aveva
completamente perso la speranza che prima o poi uno di essi avrebbe ottenuto la
vittoria e la mano di suo figlio, salvando così la sorte del Togenkyo e dei
suoi abitanti. Presto o tardi, un miracolo sarebbe avvenuto.
Correva l’anno della Tigre, e quella sera tutta la
capitale era in fermento: l’ultimo pretendente sconfitto, il tredicesimo dacchè
l’anno era iniziato, sarebbe stato giustiziato al sorgere della luna, e nessuno,
per quanto ribrezzo e sgomento provasse, voleva perdersi lo spettacolo, con la
tipica curiosità atroce del popolo verso le esecuzioni. La folla si stava
radunando nella vasta piazza che si apriva dinnanzi al palazzo imperiale,
mentre la luce fredda del crepuscolo andava scemando per lasciare spazio alla
notte; vi erano mendicanti, gente comune vestita di abiti scuri e semplici,
alti dignitari e cortigiane sfavillanti nei loro gioielli, e soldati armati di
lunghe picche e alabarde che controllavano ogni angolo della zona. L’attesa era
più che mai fremente: colui che di lì a poco sarebbe stato condotto al patibolo
era il principe Homura Toshin, giovane, attraente e valoroso, e molti provavano
pena per lui.
Tra la gente vociante avanzavano, lenti e cauti, un uomo
piuttosto anziano e una serva che lo sorreggeva: lui indossava una lunga veste
chiara, strappata in più punti, che un tempo doveva essere stata estremamente
sontuosa, e aveva i capelli raccolti in una grossa treccia che gli arrivava
fino a metà schiena; benchè camminasse con fare stanco, il suo aspetto tradiva
una regalità invidiabile, il volto e gli occhi una profonda giustizia. La
ragazza che era con lui era minuta e bruna, l’espressione gentile, e lo teneva
sottobraccio senza mostrare alcun segno d’insofferenza. Chi li avesse visti non
avrebbe mai potuto immaginare che quell’uomo dimesso fosse in realtà il sovrano
di un regno limitrofo, ormai decaduto, il saggio Komyo Sanzo Hoshi.
I due cercarono di farsi strada tra la folla, in cerca di
qualcuno, e inavvertitamente si scontrarono con un gruppetto di nobili
circondati dalla propria scorta. La ragazza si prodigò subito in umili scuse,
ma quelli non vollero sentire ragioni:
- Spostati, vecchio! – vociò una delle guardie
all’indirizzo di Komyo – Sei d’intralcio! E tu, donna, chiudi quella bocca! -
Fece per spingerla indietro con il bastone della lancia,
quando una mano spuntò dal niente, bloccandolo:
- Non torcere loro un solo capello, soldato, o dovrai
risponderne a me – disse il proprietario di quella mano chiara.
Le guardie, i nobili, l’anziano re e la serva si
voltatono: un giovane alto e biondo li scrutava con espressione severa, una
luce autoritaria negli occhi viola. Il suo portamento fiero, la piega severa
delle labbra, la bellezza del suo viso pallido e, non ultima, la lunga katana
che portava al fianco ebbero il potere di far allontanare in fretta e furia, e
senza ribattere, nobili e scorta.
Komyo sorrise appena, avanzando verso di lui: - Ti
ringrazio, figlio mio. Grazie al cielo ti abbiamo trovato –
L’altro scosse la testa: - Semmai sono stato io a
ritrovare voi, padre – ribattè, in tono volutamente piatto.
- Mio signore – la serva s’inchinò – Perdonatemi, temo
sia stata colpa mia -
- Lascia stare, Yaone, non intendo discuterne più – tagliò
corto il biondo.
Nel frattempo, il buio era calato, e qua e là brillavano
le fiamme guizzanti di torce e lanterne. D’improvviso la folla si zittì, le
voci ridotte a mormorii, e tutti puntarono gli sguardi verso il centro della
piazza: un dignitario riccamente vestito, seguito da altri soldati, era sceso
dalla scalinata del palazzo imperiale, un rotolo di pergamena in pugno.
Rullarono i tamburi.
- Fate silenzio e prestate ascolto al sommo Jiroushin,
portavoce della divina imperatrice! – gridò un araldo.
Il dignitario gettò un’occhiata cupa attorno a sé, poi
srotolò la pergamena e declamò quel che vi era scritto.
Popolo
del Togenkyo!
La
legge è questa: il principe Seiten
sposo
sarà a chi, di sangue regio,
spieghi
i tre enigmi ch’egli proporrà.
Ma chi
affronta il cimento e vinto resta,
porga
alla scure la superba testa!
Il
principe Homura avversa ebbe fortuna:
al
sorger della luna, per man del boia
muoia!
La fine del discorso fu sottolineata da sussurri di nuovo sgomento e da un secondo rullo di tamburi. Il sommo Jiroushin ripiegò con cura il rotolo, girò i tacchi e risalì la scalinata della reggia assieme alla sua scorta, svanendo oltre lo scuro porticato sulla sommità.
Il giovane biondo inarcò perplesso un sopracciglio: - Che
storia è questa? –
- Non ne ho la più pallida idea, mio signore – ammise
Yaone guardandosi nervosamente attorno.
- Bah… Ehi, tu! – esclamò lui, prendendo per un braccio
una donna che passava lì vicino – Spiegami che cosa sta accadendo -
Quella lo fissò sbalordita: - Davvero non lo sapete,
giovane altezza? –
Il biondo ebbe un moto di stizza: - Se lo sapessi non te
lo chiederei. Avanti, parla! – replicò.
- Si vede che venite da lontano. Chiunque qui sa che il
principe Seiten Taisei, o Son Goku, poiché questo è suo nome, ha indetto da anni
una terribile prova. Chiunque voglia averlo in sposo deve prima sciogliere i
tre indovinelli che gli vengono proposti dal principe in persona – spiegò la
donna – Chi ci riesce otterrà la sua mano, e chi perde… beh, lo avete visto.
Chi perde viene giustiziato -
- Per gli Dei! Perché mai un futuro imperatore dovrebbe
fare una cosa tanto spietata? – interloquì Komyo.
La loro interlocutrice scosse il capo: - Non
chiedetemelo. C’è chi dice che il principe sia vittima di un incantesimo o robe
simili, ma nessuno ci crede granchè. Sarebbe molto più semplice trovare una
soluzione, forse… -
Detto questo, la donna li salutò con un inchino e
sgattaiolò via, lasciando i tre sconcertati. Il re e Yaone presero a parlottare
a bassa voce, mentre il giovane giocherellava con un lembo del mantello con
fare assente. Ciò che aveva appena appreso aveva instillato in lui due diversi
pensieri: da una parte, ammirava il principe per la sua totale e sincera
assenza di misericordia, fattore che riteneva a volte obsoleto per governare un
regno con mano salda; dall’altra, sentiva crescere verso di lui una rabbia
gelida, sebbene non gl’importasse niente degli sconsiderati e sconsiderate che
avevano sfidato la sorte. Trovava sleale e insensata la storia dei tre enigmi.
Con un sospiro irritato, il biondo si passò le dita tra i
capelli: - Basta, non me ne importa – borbottò, come per rimproverarsi.
Ma come finì la frase, un boato s’innalzò dalla folla
stipata davanti a lui, a suo padre e alla ragazza. Un piccolo corteo si stava
facendo strada tra la gente, ben illuminato da lanterne bianche, e in mezzo
alle persone che lo componevano stava un uomo alto e bruno, esangue come la
morte cui andava incontro, i polsi cinti da due pesanti catene: Homura Toshin
non mostrava alcun segno di paura, eppure fu sufficiente la luce smarrita che
aveva negli occhi e la consapevolezza che stava incamminandosi verso la lama
del boia perché il popolo riprendesse a sussurrare, simile al vento tra le
foglie di un albero.
- Che il cielo lo salvi! È così giovane! – diceva
qualcuno.
- Principe, abbiatene pietà! Pietà! – si ritrovò a
gridare qualcun altro, un braccio proteso verso la reggia.
- Non uccidetelo! – aggiunsero altre voci supplichevoli.
Yaone nascose il volto tra le pieghe del manto di Komyo:
- È atroce, atroce! – singhiozzò. Aveva visto tanti orrori, da quando lei, il
re e il biondo principe erano fuggiti dal loro regno d’origine, ma ogni volta
era come la prima.
- Quel dannato… Che si mostri, il vigliacco! – proruppe
il figlio del vecchio sovrano, a denti stretti – Che io lo maledica! -
Poteva essere giusto uccidere, ma faccia a faccia in uno
scontro, con giuste motivazioni, per quanto soggettive, non certo in quella
maniera. Che uomo era uno che giocava con le vite altrui come se fossero stati
dadi da lanciare e riprendere?
Il corteo funebre che accompagnava il principe Homura
scomparve oltre l’angolo della piazza, i brusii cessarono quasi, e in quel
preciso istante, mentre una luna immensa faceva capolino da dietro la sagoma
nera del palazzo imperiale, le arcate in cima alla scalinata s’illuminarono a
giorno, le porte si spalancarono e, circondato dalla corte, un ragazzo avanzò
nella luce delle torce: abbigliato di chiaro, altero, aveva lunghi capelli
dello stesso caldo colore delle castagne e un bastone scarlatto con sfere d’oro
alle estremità stretto nella mano destra. Non ci voleva molto per intuire che
si trattava di Son Goku, l’erede al trono, colui che era noto come Seiten
Taisei. E non ci volle molto perché i tre esuli si accorgessero che era bello oltre
ogni dire.
Il principe non parlò. Si limitò a scrutare con freddezza
la folla prostrata sul lastricato della piazza e poi voltò loro le spalle,
dirigendosi con passo deciso verso l’interno del palazzo. Nel giro di pochi
minuti, le arcate furono nuovamente buie e deserte.
Dopo quell’apparizione fugace, calò un assoluto silenzio
tra gli astanti. Molti se ne andarono, e alcuni restarono ai bordi della piazza
ad aspettare, nessuno sapeva cosa. E al centro stava, immobile, circondato dal
padre e dalla ragazza, il giovane biondo, gli occhi ancora puntati verso l’alto
porticato: mai, in tutta la sua vita, aveva visto una creatura tanto
meravigliosa e dannata, mai si era sentito come adesso. Avrebbe voluto correre
lassù e colpire Son Goku con tutta la sua forza, facendogli capire l’empietà di
cui si faceva coscientemente carico, e al tempo stesso… al tempo stesso,
avvertiva un fuoco sconosciuto rodergli le vene, qualcosa che gli faceva sì
desiderare di avventarsi contro il principe Seiten, ma per motivi che non si
limitavano all’ira.
Un attimo era bastato, e già gli sembrava d’impazzire nel
tentativo di scrollarsi di dosso quelle sensazioni.
- Figlio – lo chiamò Komyo in tono sommesso – Che cosa ti
succede? -
Lui non rispose subito. Stava riflettendo: l’unico modo
per avvicinare il principe era quello di proporsi come prossimo pretendente, e
se avesse superato la prova avrebbe potuto prendersi il gusto di dimostrargli
che non era invincibile né intoccabile, e poi se ne sarebbe andato lasciandolo
a consumarsi nella sconfitta. Inoltre, se vinceva…
Il biondo scosse la testa con foga. Era meglio non
abbandonarsi a certi pensieri stupidi in una situazione del genere. Ma l’idea
di partenza lo allettava: - Parteciperò a quella maledetta prova, padre –
rispose quindi, avanzando verso la scalinata.
Il re e Yaone lo rincorsero, l’aria basita: - Mio
signore, ma che cosa state dicendo? – esclamò la serva.
- Figlio, questa è follia! – rincarò Komyo, prendendolo
per un braccio – Perché mai dovresti farlo? Tu certo non lo ami! -
- Certo che no! – scattò il giovane, forse un po’ troppo
bruscamente – Lo faccio affinchè capisca che non può vincere sempre -
La ragazza si gettò a terra in ginocchio: - Mio signore,
vi scongiuro, ripensateci! Se doveste fallire, che ne sarebbe di noi? Avreste
il coraggio di abbandonare vostro padre per una stupida sfida? La mia vita non
ha valore, ma la sua, signore, non… -
- Basta! Ho preso la mia decisione, e non tornerò
indietro -
Con queste parole, il biondo si accinse a precipitarsi su
per i gradini, ma con sua grande sorpresa (e irritazione) tre alte figure gli
si pararono davanti, arrivate da chissà quali angoli, e una dopo l’altra gli
bloccarono la strada.
- Fermo, straniero, dove pensi di andare? – tuonò la
prima, abbigliata d’oro.
- Ecco un altro illuso che vuole suicidarsi! – aggiunse
con fare teatrale la seconda, vestita di rosso.
- Siete ancora in tempo a cambiare idea, altezza –
concluse la terza, ammantata di verde.
Il giovane scrutò scettico gli uomini che avevano appena
parlato: quello vestito d’oro aveva capelli chiarissimi e sembrava il più
autoritario del terzetto; quello che stava in mezzo, dalle vesti color sangue e
la chioma altrettanto scarlatta, lo guardava con aria beffarda e l’ultimo, moro
ed esile, teneva le braccia conserte e aveva un’aria affranta nei profondi
occhi verdi.
- E voi chi sareste? – chiese il biondo, seccato per quel
contrattempo.
Il rosso fece un passo avanti: - Siamo i tre ministri
supremi dell’imperatrice, screanzato! Io sono Sha Gojyo, il Gran Provveditore!
–
- Non fare lo sbruffone come tuo solito – intervenne il
primo – Comunque io sono il Cancelliere, Ryu Gojuin, e questi – indicò il
compagno vestito di verde – è Cho Hakkai, il Cuciniere -
L’altro s’inchinò garbatamente al giovane principe, poi
parlò: - Altezza, cosa state facendo, di grazia? –
Il biondo lo fissò: - Mi sembra che lo abbiate intuito.
Desidero cimentarmi con i tre enigmi, che altro sennò? – rispose.
I tre esplosero in un verso di disappunto che era per
metà una risata di scherno e per metà un grido frustrato.
- Saresti la quattordicesima vittima di quest’anno
tremendo, sciocco! – lo redarguì Gojuin – Tu, come i pazzi e le disperate che
ti hanno preceduto, finirai sotto la spada del carnefice, e ancora non si
estinguerà questo massacro! -
- Che t’importa di un ragazzino quale il nostro principe?
Affascinante come sei e con quegli occhi suadenti puoi trovare tutte le donne e
gli uomini che ti pare, e senza rimetterci le penne! Non ti sembra una
prospettiva più allettante? – disse Gojyo, il tono pericolosamente vicino alla
presa in giro. Il giovane gli riservò un’occhiata glaciale e non ribattè.
- Lasciatemi passare e non impicciatevi – ordinò invece,
e fece per superarli.
Fu Hakkai a bloccarlo di nuovo, qualche gradino più in
su: - Per favore, ne va della vostra vita! –
- Ha ragione! Fermati, figlio, ascoltaci! – implorò
ansante Komyo, che aveva raggiunto il gruppetto assieme a Yaone.
Il biondo serrò le palpebre, cercando di scacciare le
loro voci, soprattutto quella di suo padre. Sapeva di aver scelto di fare una
follia, sapeva che né vittoria né sconfitta erano scontate, sapeva anche che
avrebbe dovuto pensare a difendere l’anziano sovrano e non perdersi in una
sfida assurda, ma da tempo ormai si era ripromesso di vivere e morire soltanto
per sé stesso, senza affezionarsi a persona alcuna, senza che nessuno avesse di
che soffrire se fosse scomparso troppo presto. Senza avere nessuno da
proteggere per poi perderlo e perdersi comunque. Quello era il suo modo di
vivere, e non l’avrebbe tradito.
- Non sprecate fiato inutilmente, non mi convincerete! –
esclamò – Decido io per la mia vita, e così per la mia morte! -
Salì a grandi passi gli ultimi gradini e s’arrestò sul
limitare di una sorta di piattaforma che si apriva a metà della scalinata: al
centro di essa, sotto un piccolo padiglione, s’innalzava un enorme gong di
bronzo dorato. E prima che il re, la serva o i ministri riuscissero a fare
qualcosa, il giovane afferrò la mazza che giaceva lì vicino e percosse il disco
di metallo con forza, per tre volte.
I rintocchi risuonarono cupi nel cielo notturno,
echeggiarono tra le vie e gli edifici, e quando cessarono del tutto la piazza
ed il palazzo parvero riprendere vita all’improvviso: si accesero nuove torce,
fiaccole e lanterne, la gente accorse vociando e scalpicciando sulla pietra,
guardie e dignitari si riversarono fuori dal porticato imperiale, invadendo
l’intera scalinata, mentre Komyo e Yaone si stringevano l’uno all’altra con
rassegnata disperazione e Gojuin, Gojyo e Hakkai scuotevano la testa.
Il quattordicesimo pretendente dell’anno della Tigre
aveva fatto la sua mortale richiesta.
E in mezzo a tutti loro vi era Genjo Sanzo Hoshi, biondo
principe del perduto regno di Cho’an, che aveva appena giocato la prima carta
che avrebbe presto decretato il suo destino.
••• To be
continued •••
Note dell’autrice: immagino che la maggior parte di voi non conosca l’opera alla quale mi sono ispirata per scrivere questa storia e dalla quale ho ripreso il titolo (che altrimenti c’entrerebbe ben poco con la trama in sé)… ma forse è meglio così. In ogni caso, se state leggendo queste righe significa che siete arrivati in fondo al primo capitolo (pardon, atto), e la cosa mi fa piacere. Ammetto che come idea debba apparire un po’ “strana”, questa mia nuova fic, ma mi auguro che vi piaccia comunque…
Ho messo “alternate universe” tra gli avvertimenti perché, in fondo, sebbene si svolga sempre nel Togenkyo non è certo la situazione a cui siamo abituati leggendo Saiyuki; ho preferito invece evitare di mettere “OOC” perché non credo che i personaggi saranno così “stravolti”… o almeno spero @_@. Comunque starà a voi giudicare, mina-san… Mi raccomando, fatemi sapere cosa ve ne pare, ci tengo.
Nel frattempo vi saluto e vi do appuntamento (sempre che vi vada) al secondo atto, in cui Sanzo dovrà affrontare i tre enigmi… e Goku.
See you soon and go to the West! Black Moody