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Autore: Araiha    27/03/2011    3 recensioni
Il rumore stridulo di una sveglia squarciò il silenzio. La povera ragazza presa alla sprovvista, cadde senza alcuna grazia dal letto sbattendo con il sedere sul pavimento. “ Per le mutande di pizzo di Giacomo Leopardi, che sempre sia lodato” sbraitò, lanciando con violenza quell'aggeggio infernale contro il muro. Il rumore cessò di colpo. Ovviamente l'idea di resettare la sveglia premendo l'apposito pulsante, non le aveva neanche sfiorato la mente.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi di nuovo qui, prima di tutto mi scuso per il ritardo, ma lo studio mi ha seppellita viva, credo però di riuscire a farmi perdonare con questo capitolo un po' più lungo.

Vedo che Riccardo è molto amato, in effetti anche io lo adoro, e dire che ancora non ha dato il meglio di sé! Per quanto riguarda il nostro caro Emanuele... beh in questo capitolo si scopriranno alcune carte. Spero che continuiate a leggere e a commentare.

Baci Araiha

 

Via, via, vieni via con me,
entra in questo amore buio,
pieno di uomini...
via, entra e fatti un bagno caldo,
c'è un accappatoio azzurro,
fuori piove un mondo freddo...

(Via con me. Paolo Conte)

 

 

Il temporale si faceva sempre più forte e i loro respiri sempre più corti e sfuggenti. Galatea era ipnotizzata dai tratti di quel viso, mai fino ad allora così vicino. Gli occhi verdi erano screziati con un colore più chiaro, forse l'argento, il naso sottile divideva il viso in due metà perfette. Un viso meraviglioso, senza imperfezioni, a quella distanza appariva ancora più inumano. Sulla fronte ricadevano ciocche bagnate di capelli neri che sembravano quasi pece che gocciolava giù, inesorabilmente sul viso della ragazza, come a macchiarla di un peccato. Sentiva in cuor suo di aver peccato, perchè aveva rotto un giuramento. Aveva giurato di non dipendere mai più da nessuno ed ora si ritrovava in balia di uno sconosciuto. Nello stesso esatto istante in cui i loro sguardi si erano fusi, qualcosa dentro lei era collassato, come una stella che esplode, da qui il passo fu breve a capire che quella non era una semplice cotta. Era come ingoiare del veleno, sapeva che le avrebbe causato dolore, ma era più forte di lei.

Le gocce di pioggia cadevano dal viso del ragazzo al suo, sempre più veloci, quasi a formare dei fili che li legavano insieme. Perse il contatto con la realtà, dimenticò improvvisamente di trovarsi nel cortile del suo palazzo sotto un temporale, sdraiata a terra, sentiva soltanto il battere del suo cuore furioso, e ostinato a voler coprire il rumore assordante che lo circondava. Guardò le labbra appena schiuse di Emanuele a pochi centimetri dalle sue, la sua pelle bianca aveva un buon odore, di mandorle, l'arsenico si estrae dalle mandorle amare, ricordò improvvisamente. Ecco, stava bevendo arsenico e non poteva farne a meno.

Il forte rumore di un tuono li riportò immediatamente alla realtà. Lui si alzò immediatamente e la aiutò, poi riprese l'ombrello che durante la caduta era arrivato a diversi metri di distanza. Si diressero gocciolanti verso il portone senza spiccicare parola, Gala avrebbe voluto dire qualcosa, ma il suo cervello si era deciso a non collaborare, quindi si limitò a fissare la punta consumata delle sue convers. Salirono in ascensore e le porte automatiche si chiusero con un rumore stridente. Lo scrosciare esterno dell'acqua fu chiuso fuori.

Come mai eri giù?”: chiese lei improvvisamente, non si era accorta di quanto quella domanda sembrasse stupida, finchè non l'ebbe pronunciata. Spostò lo sguardo sul piccolo schermo nero che segnava il piano, sperò con tutte le sue forze che quel dannato ferro vecchio si desse un mossa, iniziava anche a sentire freddo.

Ero andato a buttare la spazzatura, quando ti ho sentita” rispose semplicemente Emanuele, la voce era ferma e composta come sempre. Era curiosa di vedere l'espressione del ragazzo, ma non fu abbastanza coraggiosa per spostare lo sguardo. Dalla sua voce, infatti, sembrava che non si fosse accorto di ciò che pochi secondi prima sarebbe potuto accadere. Certo detto così sembra stupido, ma in quel preciso istante aveva sperato con tutte le sue forze che succedesse qualcosa, dopo avrebbe anche potuto avere un inferno di vita, avrebbe anche potuto lavare l'appartamento fino a farlo risplendere, avrebbe dato qualsiasi cosa per uno schifoso, insignificante bacio.

Si fece pena da sola, disperarsi per una cosa così sciocca. Si colpì mentalmente con una mazza da baseball in mezzo agli occhi.

Forse è vero ciò che si dice...”, pensò, mentre le porte si aprivano con il consueto stridio, “...l'amore esiste solo a senso unico”. La consapevolezza affondò in lei più duramente del previsto, quindi per eliminarsi dalla testa queste idee, corse velocemente fuori dall'ascensore, troppo piccolo quello spazio per poterlo dividere con lui. Ma giunta davanti alla porta si ricordò che quella mattina si era dimenticata le chiavi. Si battè una mano sul viso, nel frattempo Emanuele l'aveva raggiunta. “Questa mattina hai dimenticato le chiavi a casa, quindi ne ho approfittato per farne un duplicato, spero non ti dispiaccia”, infilò la chiave nella serratura e le porse il suo mazzo di chiavi. Galatea fissò per un lungo istante ciò che teneva in mano, le chiavi erano tenute insieme da un anello di metallo a cui era legato un enorme fiocco rosso di seta.

Solo in quel momento realizzò che aveva lasciato la sua casa in mano ad un ragazzo che non conosceva, che sprovveduta che era stata! Avrebbe dovuto vedere le cose in modo più oggettivo da quel momento in poi. Decise così, quale sarebbe stata la sua missione quel pomeriggio: conoscere Emanuele Salviati ad ogni costo, e da qui, capire se poteva fidarsi davvero di lui.

Persino lei riuscì a cogliere quanto la sua mente fosse contorta, prima permetteva ad una persona di vivere con lei e dopo si preoccupava di saperne di più sul suo conto. Ma Galatea era così, non sempre i suoi pensieri seguivano una linea logica, e di conseguenza neanche le sue azioni.

Entrò nell'appartamento e come di consueto lasciò cadere la borsa a terra, ma ciò che vide subito dopo, fece si che anche la sua mascella raggiungesse il parquet. La sua casa, non era più la sua casa! O meglio, non era come l'aveva lasciata quella mattina.

Per i calzini a righe di Giacomo Leopardi” si fece scappare lei con un suono simile ad uno squittio. Intanto i suoi occhi perlustravano l'ambiente in cerca di una spiegazione. Il salone sembrava appena uscito da una rivista di arredamento: la libreria aveva ripreso il suo scopo originario, il divano era stato sgombrato, così come le poltrone, su cui erano adagiati i cuscini arancioni ben spiumacciati. Nulla sul pavimento intralciava il passaggio, dal lampadario non pendeva più niente, e ogni cosa sembrava essere stata tirata a lucido e fatta risplendere con peripezia.

Ancora con la bocca spalancata dalla sorpresa, Gala si avvicinò alle porte scorrevoli della cucina. Le sue scarpe impregnate d'acqua, ad ogni passo producevano uno strano rumore. Con lentezza scostò leggermente le due ante, quasi con timore. Anche lì tutto sembrava proprio come avrebbe dovuto essere: ante e cassetti richiusi, niente cartoni di pizza o vecchie confezioni di merendine ipocaloriche, persino il rubinetto aveva smesso di gocciolare. Si avvicinò al tavolo quadrato, la luce plumbea, dalla finestra si specchiava sul piano sgombro e lucido, passò l'indice sulla superficie color ciliegio è notò con incredulità che nulla di appiccicoso o viscido lo aveva macchiato.

L'unica cosa a cui pensò fu: “gli alieni!”. Difatti nessun essere umano avrebbe avuto il coraggio di impegnarsi in una simile missione. Poi Emanuele ancora gocciolante entrò nella stanza. Si era tolto la giacca, e la camicia bianca che aveva indossato da sotto, aveva aderito al petto. Lo sguardo della ragazza passò così dal sorpreso all'imbarazzato. “ Questa mattina ho sistemato un po', spero non ti dia fastidio.” : disse lui, mentre prendeva un bicchiere dalla credenza, nel farlo però un lembo della camicia si era alzato, rivelando una piccola porzione di pelle del fianco. Gala per poco non svenne, si appoggiò al tavolo che stava sfiorando e cercò di regolare la respirazione.

Pensò che l'unica soluzione accettabile sarebbe stata quella di chiamare Riccardo e supplicarlo di prendere il suo posto in quella casa (forse non sarebbe neanche stato necessario supplicarlo) mentre lei scappava in Tibet a piedi. Lo guardò versarsi dell'acqua, risistemare la bottiglia nel frigorifero, e bere tutto d'un fiato. Qualsiasi cosa facesse sembrava essere appena uscito da una rivista di moda. Mordendosi a sangue il labbro inferiore, vide le gocce di pioggia che dai suoi capelli si tuffavano sul collo, per poi percorrerlo fino a scomparire oltre il colletto. Ma quale Riccardo, quel ben di Dio non l'avrebbe lasciato a nessuno. Dopotutto quanto poteva essere mai alta la pena per sequestro di persona?

Le tue cose le ho messe nella tua camera, ovviamente lì non ho toccato niente” il tono era sempre lo stesso: neutro e annoiato. Galatea borbottò distratta qualcosa che si avvicinava a un ringraziamento. Ma persa com'era nei suoi pensieri a luci rosse, contornati da fiori di pesco, aveva perso di vista la questione principale. Aveva davvero pulito e messo in ordine l'intero appartamento da solo, quando ci sarebbe voluto almeno una squadra di poliziotti antisommossa? O era pazzo e autolesionista, oppure era un Dio come aveva sospettato fin dall'inizio. Ancora una volta fu Emanuele a farla riprendere, si stava distraendo troppo spesso, “vai prima tu a farti una doccia, o ti ammalerai” era più che altro un ordine non un consiglio. Annuì distratta e corse in bagno rossa di imbarazzo.

Aprì il getto della doccia e si fissò allo specchio. Aveva iniziato a tremare dal freddo, la maglietta bianca era diventata trasparente e sotto al simbolo dei Queen spiccava il reggiseno giallo con le ciliege disegnate su, si fece ancora più rossa in viso e distolse lo sguardo.

Magnifico! Aveva anche avuto una panoramica della sua biancheria. Si pentì immediatamente di avere solo capi con disegnini e scritte ridicole. Si spogliò in fretta, cercando di non pensarci e si infilò sotto il getto bollente, il calore dell'acqua le sciolse la tensione sulle spalle, e il bagnoschiuma al cioccolato fondente, fece il resto, cancellandole ogni pensiero superfluo dalla mente. Le faceva ancora male la schiena, il colpo era stato abbastanza forte da procurarle un grosso livido che si stava delineando sulla base della schiena.

Dopo la breve doccia (non voleva che il suo coinquilino congelasse) si avvolse nel suo accappatoio azzurro e frizionandosi i capelli con un asciugamano uscì dal bagno colmo di vapore. “ Ho finito, vai pure”: gli urlò prima di correre in camera sua, non se la sentiva di incrociare di nuovo quello sguardo controllato e asettico. Una volta che si fu chiusa la porta alle spalle si sentì finalmente a proprio agio. Almeno lì le cose erano rimaste immutate, il caos regnava sovrano ed era impossibile muoversi senza urtare qualcosa. Sospirò di sollievo e si sedette sul pavimento stringendosi addosso la spugna azzurra. Aveva bisogno di pensare in modo coerente, e in tutto quel casino anche la sua mente sembrava meno ingarbugliata.

Di una sola cosa era certa: il suo cervello non ragionava più come prima. Non si era mai preoccupata di cosa pensassero gli altri, non si era mai sentita così in soggezione. Poggiò la testa al bordo del letto e i suoi occhi blu si fissarono al soffitto. “Forse era proprio questo l'amore di cui le persone vanno tanto blaterando, le farfalle nello stomaco, i brividi lungo la schiena ecc...” pensò mentre si mordeva una pellicina del indice. “Che gran fregatura! Perchè mai qualcuno dovrebbe cercare una cosa che fa stare così male. Sarebbe meglio una malattia tropicale, almeno eviti figuracce”. Si issò in piedi e cercò qualcosa da indossare. Dopo dieci minuti di nera indecisione, nei quali aveva anche preso in considerazione il tubino nero tipo donna del mistero, optò per un paio di pantaloni della tuta rosa e una maglia che le arrivava quasi alle ginocchia. Tanto Emanuele non le avrebbe rivolto comunque neanche uno sguardo.

Con i capelli bagnati e a piedi scalzi prese dei libri e il quadernino ad anelli e camminò verso il corridoio. Passando davanti alla porta del bagno sentì il rumore della doccia.

Una volta in cucina Galatea posò tutto l'ingombro sul tavolo, si mise in ginocchio sulla sedia, cosicché si sedesse sui piedi freddi, ed iniziò a studiare. Dopo non più di mezz'ora la raggiunse anche Emanuele, si sedette di fronte a lei e iniziò a sfogliare un grosso tomo dalla copertina blu. Poi però alzò lo sguardo sulla ragazza e disse: “ho sprecato l'intera mattina per riordinare e pulire, non ti chiedo certo di fare lo stesso, visto che a quanto pare non ne sei in grado, ma almeno di essere un po più attenta d'ora in poi”. Gala presa di sorpresa annuì velocemente come una bambina poi riportò il suo sguardo sul capitolo che stava leggendo. Mentre però era immersa nella poetica di una povera anima del 1700 si ricordò la missione che si era preposta prima. “Quando sei nato?” sputò improvvisamente la prima domanda che le era passata per la testa continuando a tenere lo sguardo sul libro. Il ragazzo non fece una piega e rispose: “ 15 novembre 1989”. Quindi aveva solo un anno in più di lei, le era sembrato più grande, ma forse era lei che sembrava più piccola. “Quindi sei scorpione, mia nonna dice sempre che è meglio non farsi nemico qualcuno nato sotto questo segno, perchè gli scorpioni mordono con la testa e con la coda, mia nonna è fissata con queste cose” continuò Galatea mordicchiando il tappo della sua bic. “Tu invece quando sei nata?” non si aspettava che lui ricambiasse rivolgendole un'altra domanda. Sorrise felice e alzò gli occhi su di lui. Un tuono fece tremare i vetri della finestra. “Sono nata il 30 giugno del 90, quindi sono del segno del cancro, è il segno della vita” rispose velocemente fissandolo negli occhi, la sua attenzione fu poi attirata dal libro che teneva aperto di fronte a se. “Che studi?” chiese indicando tomo. Si sporse sul tavolo così da potersi appoggiare con il busto sul piano e spiare ciò che c'era scritto sulle pagine, intanto lo scrosciare della pioggia riempiva le pause. “Sto studiando Embriologia, la prossima settimana ho l'esame. Frequento l'università di medicina, spero di diventare un cardiologo come mio padre. Tu invece?”. Chissà perchè pur rivolgendole le stesse identiche domande lui sembrava meno invadente e più composto. “Letteratura, sono al secondo anno, ma ancora non ho deciso cosa fare in futuro.” Rispose in automatico la ragazza ritornando a sedersi. Dopo di ciò caddero nel più completo mutismo. Lui leggeva e trascriveva alcune frasi sul quaderno con sguardo concentrato, mentre Galatea non era riuscita a bloccare il fiume di immagini dove Emanuele indossava un camice bianco.

Galatea aveva appena finito il primo capitolo, quando il campanello squillò, quindi si alzò ed andò ad aprire. Ancora non capiva perchè il portone principale era sempre spalancato, in effetti il citofono era rimasto inutilizzato da quando si era trasferita. Aprì con calma la porta, aspettando di trovare Riccardo oppure Lara, invece le si mostrò in tutto il suo splendore una ragazza che non conosceva. La prima cosa che Galatea notò fu lo sguardo di superiorità che la sconosciuta le rivolse, poi i dieci centimetri di altezza che possedeva in più rispetto a lei. Ancora stupita da questa apparizione disse gentilmente: “Prego?” . La ragazza sfoggiò un sorriso perfido, che a Gala ricordò molto quello dello Stregatto, e pronunciò poche semplici parole “ sono la fidanzata di Emanuele, Elena, credo che lui mi stia aspettando”. Poi entrò senza aspettare una risposta, ignorandola bellamente. Galatea sentì perfettamente lo splash del suo cuore che cadeva in un secchio di merda, mentre richiudeva la porta.

 

Angolo ringraziamenti:

Ringrazio di cuore chi ha commentato lo scorso capitolo...

RossyMelly

Fendra

Fran__cesca9

...e chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite.

   
 
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