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Autore: LoveChocolate    27/03/2011    1 recensioni
Un antico forziere contenente la Spada del Potere, due re a contendersela, un ladro e una schiava con il compito di trovarla.
Ramis, capo della banda di ladri chiamata Banda del Vento, viene incaricato da un re creduto morto di recuperare il forziere contenente la Spada D'oro, custodito su un'isola creata e protetta da un mago, che da a chiunque la possiede l'autorità di sovrano del regno di Arcuanta. Ma Ramis non conosce il contenuto del forziere e affronta, insieme al resto della banda, un viaggio pieno di pericoli e difficoltà, accompagnato da una misteriosa schiava con capacità innate e segrete...
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Clio prese a mangiare pacatamente: era affamatissima ma non lo diede a vedere.
Quando l’uomo dagli occhialetti le aveva offerto il cibo, non era neanche riuscita a ringraziare per la sorpresa.
Si era limitata a prendere in mano il bicchiere e il piatto e a guardarlo con occhi straniti e pieni di gratitudine.
-Puoi mangiare, sai?-, aveva cantilenato l’uomo rimettendo a posto gli scacchi e chiedendo all’altra ragazza una partita ancora.
Lei l’aveva ignorato: continuava a guardare Clio come se fosse una preda.
Quest’ultima notò che aveva degli occhi grandissimi e un viso appuntito, oltre che una corporatura quasi eccessivamente esile.
-Qual è il tuo nome?-, domandò improvvisamente alzando il mento.
Clio ingoiò il boccone e rispose.
L’uomo con gli occhialetti alzò un dito ed intervenne: -Clio! Come la musa greca, hai presente? È per questo che ti chiami così?-, domandò.
Lei si strinse nelle spalle: -Non lo so.-, mormorò.
C’era qualcosa che non andava. I suoi padroni non si erano mai soffermati a conversare con lei. Come se fosse una persona… normale.
-Io, comunque, sono Chilè.-, si presentò l’uomo.
-Io Veda.-, disse, invece, la ragazza.
Clio rispose con un semplice gesto del capo che poteva ricordare un inchino.
Passarono parecchi secondi, ed entrambi la fissarono in attesa che dicesse qualcosa. Appellandosi alla routine, posò il piatto – nonostante fosse ancora affamata – e domandò: -Posso… posso fare qualcosa per voi?
 
-Non l’ho sentita urlare.-, commentò Massur dopo qualche minuto di viaggio.
Ramis, seduto accanto a lui, continuò a guardare dritto di fronte a sé, come se non avesse sentito.
In realtà aveva sentito, ma non aveva ascoltato. La sua mente era altrove.
La sua mente era all’Isola D’oro, dove avrebbero rischiato la vita per prendere un forziere di cui non conoscevano neanche il contenuto.
Il colpo più grosso della loro carriera.
Si era rimesso la bandana e il cappuccio: sentiva caldo.
Cercò di concentrarsi su quello, e non sul pericolo imminente.
Era meglio pensare alle cose concrete in momenti in cui i pensieri cercano di mangiarti l’anima.
-Mi stai ascoltando?-, domandò Massur.
Ramis scosse la testa: -Come?
-Ramis, che diamine hai?
Il ragazzo sospirò: -Caldo.-, rispose serafico.
Massur scoppiò in una risata e ripeté: -Non l’ho sentita urlare.
-Non l’ha fatto.-, rispose Ramis, senza voltare lo sguardo.
Massur alzò le sopracciglia, sorpreso: -Non ha cercato di scappare?
-Si è dimenata un po’ quando le ho tappato la bocca, ma poi si è subito calmata. È stata educata bene.-, commentò con tono aspro.
Dopo qualche secondo l’omone continuò: -Credi che ci darà problemi?
L’altro sospirò: -Non lo so. Onestamente, non mi sono neanche soffermato a pensarci.
Finalmente, si girò verso Massur con sguardo pensoso.
Ripeté la domanda dell’amico: -Credi che ci darà problemi?
-Te l’ho appena chiesto io.-, replicò.
Massur rise di nuovo.
-Chiedilo direttamente a lei.-, gli consigliò, poi.
Ramis non disse niente e tornò a guardare di fronte a sé.
Dopo qualche minuto, d’improvviso, con il carro in corsa si alzò e, ponendosi sulla parte laterale del mezzo di trasporto, aprì la portiera ed entrò.
 
Veda vide Ramis apparire quasi dal nulla. Ebbe un sussulto quando la sua concentrazione fu interrotta dal rumore della portiera che si apriva e poi, con la stessa velocità, si chiudeva.
Ramis non disse niente, ma il suo sguardo parlava per lui.
C’era qualcosa di strano.
Già, perché, straordinariamente, stavolta non era Veda che stava giocando a scacchi contro Chilè.
Era Clio.
E la cosa più straordinaria era che stava anche vincendo.
 
Chilè trovava il modo di comportarsi della nuova entrata divertente.
Non aveva mai avuto degli schiavi, e non sapeva come funzionasse la cosa.
Sapeva solo che adesso nel gruppo c’era un nuovo membro pronto ad eseguire qualunque ordine.
Un rapporto simile a quello che avevano loro con Ramis?
No, era decisamente diverso.
La cosa lo incuriosiva e, allo stesso tempo, lo divertiva.
Alla domanda: -Posso fare qualcosa per voi?- aveva risposto con una risata.
Poi si era sentito in imbarazzo all’occhiataccia di Veda e aveva cercato di rimediare chiedendo a Clio se volesse giocare a scacchi.
Veda era sembrata divertita all’idea: magari per una volta avrebbe visto qualcuno che non era lei perdere contro il suo avversario storico.
Invece era rimasta delusa. E Chilè era rimasto basito: quella ragazzina stava riuscendo a batterlo.
A differenza di Veda, lei pensava alle mosse prima di farle.
Non imprecava quando Chilè le mangiava una pedina e non esultava quando lo faceva lei.
Rimaneva in silenzio, concentrata e serena.
Giocare con lei non era propriamente divertente: ma era stimolante.
All’improvviso era entrato Ramis, ed era rimasto sorpreso come tutti loro.
Più che comprensibile, pensò.
 
Ramis rimase interdetto.
La situazione parlava molto chiaramente: Chilè era in netto svantaggio.
Erano anni che si conoscevano, e Ramis non aveva mai visto l’amico perdere in un gioco di logica.
Poi decise di non perdere di vista l’obiettivo principale: informare la ragazza di tutto ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
E farle capire che non c’era tempo né spazio per la paura, le gridate, le crisi isteriche e tutto ciò che le situazioni di pericolo comportano in una persona normale.
Loro erano dei ladri, lei era stata comprata da loro.
Si sarebbe dovuta tramutare in un ladro anche lei, altrimenti l’avrebbero rivenduta al miglior offerente prima di partire.
Ramis interruppe il silenzio ordinando: -Veda, Chilè, lasciateci soli.
Chilè non esitò un istante, uscì dal carro e andò a posizionarsi vicino a Massur, col carro ancora in corsa.
Veda, invece, rimase immobile con uno sguardo accigliato.
 
La rabbia nei confronti del fratello che la ragazza aveva dimenticato, adesso era rimontata.
Si era ripromessa di parlargli, dopo la scenata nel castello di Derenna Ru. Poi non ce n’era stata l’occasione, ma non riusciva a far finta che niente fosse.
-Mi hai sentito, Veda?-, fece lui.
La ragazza gli si avvicinò e gli sussurrò aspramente: -Ai tuoi ordini.
Poi gli diede uno spintone e uscì.
 
Clio aveva visto il comportamento della sua nuova padrona cambiare da un secondo all’altro.
Prima, spensierata. Poi, sorpresa. Dopo ancora, irritata.
Si chiese il perché di quello strano comportamento, e si chiese anche perché quel ragazzo dagli occhi azzurri aveva voluto rimanere da sola con lei.
Ma, ovviamente, non disse niente.
Lei era una schiava, rammentò a sé stessa.
Ora erano rimasti da soli. Lei si alzò immediatamente: era così che bisognava fare.
Se il padrone era seduto, rimanere in piedi con gli occhi bassi.
Se il padrone era in piedi, alzarsi immediatamente.
In ogni caso, il padrone non doveva mai vedere il suo schiavo rilassato.
Era così che le era stato insegnato, così che andava fatto.
Ancora una volta, sentì un senso di ira ribollirle dentro, ma cercò di reprimerlo.
-Padrone.-, lo salutò.
Lui non rispose: si limitò a scrutarla.
 
Sì, la ragazza era stata senza dubbio educata bene, si ritrovò a pensare Ramis.
Faceva uno strano effetto sentirsi chiamare “padrone”.
Di solito lo chiamavano “capo” o, semplicemente, Ramis.
Talvolta “Figlio del Vento”, ma i suoi compagni usavano questo appellativo più che altro per schernirlo.
“Padrone”; così non lo aveva mai chiamato nessuno.
-È mia sorella.-, spiegò alla schiava.
Lei non rispose.
Lui rimase in silenzio per qualche secondo, dopodiché si avvicinò alla scacchiera e osservò le pedine: -Stavi vincendo a scacchi contro Chilè.-, constatò.
 
Clio provava una strana sensazione quando era in compagnia di quel ragazzo.
Di solito, riusciva sempre – o quasi – a capire cosa stavano provando le persone. Era una sensitiva: le veniva naturale.
Ma quel suo nuovo padrone, per lei rimaneva un mistero.
La sua voce manteneva sempre lo stesso colore neutro, dimostrava un autocontrollo eccessivo. Non riusciva a capire se fosse felice, preoccupato, irritato o triste.
E, di conseguenza, non sapeva come comportarsi.
-È stato il padrone a chiedermi di giocare con lui.-, rispose come per giustificarsi.
-Chilè non perde mai a scacchi.-, la informò, sempre con lo stesso tono di voce neutro.
Non sembrava un rimprovero, ma nemmeno un complimento.
Ancora una volta, non rispose.
 
Ramis sospirò. Quella ragazza gli rendeva le cose estremamente difficili.
Per l’ennesima volta, si era creato un silenzio imbarazzante spezzato solo dal respiro di lei.
Lui, invece, aveva imparato a respirare silenziosamente, e lo aveva insegnato anche agli altri.
-Dovrai imparare a respirare nel modo giusto.-, le disse allora.
Lei alzò gli occhi per una frazione di secondo, guardandolo con aria interrogativa. Poi, però, li riabbassò subito e rispose: -Imparerò, signore.
-A camminare senza fare rumore.-, aggiunse lui.
-Imparerò.-, ribatté lei.
-A muoverti senza attirare l’attenzione.-, incalzò.
-Imparerò.
-A tenere in mano una spada, ad usarla. A difenderti, se necessario, a mantenere il controllo in qualsiasi situazione. Ad obbedire agli ordini…-, si fermò. Poi si corresse: -Ma questo lo sai già fare.
 
Clio alzò gli occhi.
Perché avrebbe dovuto imparare tutte quelle cose?
Volevano trasformare in criminale anche lei?
Non era stata comprata semplicemente per cucinare e badare ai cavalli?
Però non si lasciò spaventare: il padrone la stava semplicemente sfidando, lei se ne rese conto.
A differenza di quello che avrebbe fatto qualunque schiava con un minimo di buon senso, disse in tono brusco: -Non mi spaventano le sfide.-
 
Ramis rimase sorpreso.
Non tanto per quello che la ragazza aveva detto, quanto per il fatto che l’aveva detto. E con quel tono, poi.
Gli venne da sorridere, ma si trattenne.
-Come, prego?
-Ho detto che non mi spaventano le sfide.-, disse lei, fredda, con una punta di asprezza nella voce.
Ramis alzò impercettibilmente il mento, leggermente infastidito.
Gli occhi neri di lei lo fissavano impertinenti, in attesa di una reazione.
La timida schiava di prima era sparita, ma riapparve subito dopo, quando la ragazza si rese conto di aver parlato con troppo ardire.
Abbassò immediatamente lo sguardo e mormorò delle scuse.
 
“Stupida”, si disse Clio.
Che cosa le era passato per la mente?
Parlare in quel modo il suo padrone?
-Chiedo scusa, padrone. Perdonami.-, mormorò.
Abbassò immediatamente gli occhi aspettando la sua reazione e sperando che non sarebbe stata troppo violenta.
Lui, invece, sembrò ignorare completamente sia le scuse che le affermazioni precedenti.
Invece, le ordinò: -Adesso ascoltami attentamente. Molto attentamente. Sono stato chiaro?
-Sì, padrone.-, rispose lei.
 
In un gesto fulmineo, Ramis si ritrovò dietro la ragazza, si gettò per terra e gettò lei con sé. Poi sfilò un coltello dalla cinghia alla quale lo aveva legato, legata a sua volta alla caviglia, e glielo puntò alla gola.
Lei non fece una piega.
Ramis lo aveva sempre sostenuto: quando si è con una lama puntata alla gola si ascolta sempre molto più attentamente.
Spesso doveva ricorrere a questo metodo con Veda, talvolta con Chilè, ma con lui era tutto molto più complicato: ci voleva un’ora solo per calmarlo.
Con la schiava, invece, fu piuttosto semplice.
-Sono stato chiaro?-, ripeté, poi.
Il carro sobbalzò e Ramis sentì il corpo della ragazza irrigidirsi quando la lama fredda incontrò, per sbaglio, la pelle della sua gola.
Però non emise un gemito: -Cristallino.-, rispose.
-Bene.-, commentò. –Tu non sei in un gruppo di mercanti. Noi siamo ladri professionisti. Mercenari. Riceviamo un incarico e lo portiamo a termine, dopodiché ci prendiamo il bottino. Tu sei la nostra schiava, ma ciò non vuol dire che non faccia parte della squadra.
Fece una pausa.
-Ora, siamo ricercati. Se ci trovano, finiamo tutti sulla forca: compresa te. Se non ci trovano, ed è questo l’obiettivo comune, siamo salvi. Fin’ora è tutto molto semplice. Adesso arriva la parte bella: puoi decidere di credere o no alle mie parole, ma ti garantisco che è tutto vero. Conosci Arsenna Ru?
-È il nostro re.
 
Clio sentì un brivido di irritazione che attraversava il corpo di Ramis.
Sì, conosceva Arsenna Ru. Era il re di Arcuanta. Si diceva che fosse crudele, che fosse un barbaro.
Per lei non faceva differenza: era una schiava e tale sarebbe rimasta, con o senza Arsenna Ru.
-Ha un fratello.-, disse il ragazzo.
-Aveva un fratello.-, precisò lei.
Conosceva la storia di Derenna Ru e di Arsenna Ru. Sapeva che il primo era morto, ed era così che il secondo aveva preso il potere.
Il suo padrone sogghignò: -È quello che credono tutti. In realtà è vivo.
Clio ci mise un po’ a digerire quell’informazione.
Il ragazzo continuò: -Vuole un forziere. Anche se non so che cosa voglia farci. E in cambio ci darà il bottino più grande che potremo mai sognare di guadagnare.
-Perché lo vuole?-, domandò la ragazza.
Lui avvicinò ancora di più la lama del coltello alla gola della schiava, stringendola ulteriormente.
Un altro strattone del carro le sarebbe stato fatale.
-Dimenticavo: niente domande.
Lei non rispose.
-Dobbiamo prendere un forziere e portarglielo. Il forziere si trova…
-…sull’Isola d’Oro.-, concluse Clio.
 
Ramis ritirò il coltello e fece voltare la ragazza con un movimento repentino, guardandola negli occhi: -La conosci?-, domandò sorpreso.
Lei sorrise senza rispondere.
“Maledizione”, pensò. Aveva perso il controllo.
Mai perdere il controllo, era la prima regola.
Quella ragazza si rivelava sempre più strana: prima batteva a scacchi Chilè, poi lo sfidava verbalmente. Dopodiché chiedeva perdono, parlava tranquillamente con una lama alla gola e ne sapeva più di tutti loro sui più grandi misteri del regno.
-Rispondi.-, incalzò Ramis.
 
Clio sapeva tutto su quell’isola, sul forziere e su quello che c’era dentro.
Quando il suo padrone aveva fatto riferimento ad un forziere, inizialmente non aveva capito.
Poi, però, aveva collegato tutto: Derenna Ru che resuscitava dai morti e che, sicuramente, voleva la sua vendetta. E quale vendetta migliore se non riprendere il potere appellandosi all’antica legge della spada?
D’altronde, l’isola e la spada stessa erano stata creata da un mago, un mago al servizio degli Spiriti, esattamente come lei.
Ma, evidentemente il padrone non ne sapeva niente. E non sarebbe stata di certo lei a raccontagli tutto: la sua priorità era di mantenere il segreto.
Poi, ecco che un brivido le attraversò la schiena.
Nella sua mente si insinuò una sensazione che poi prese il totale controllo di lei.
Vide il suo padrone e la sua padrona. I due fratelli.
Li vide a bordo di una nave, che discutevano: non poteva sentire quello che dicevano.
Andavano avanti a discutere per un po’, dopodiché lei gli gettava le braccia al collo e affondava il suo viso sul suo petto.
Forse piangeva.
Poi la sensazione se ne andò. La visione cessò.
E Clio si ritrovò di fronte al suo nuovo padrone all’interno del carro: lui la fissava con un viso privo di emozioni.
Non l’aveva colpita.
 
Ramis stava pensando.
La ragazza si era appena bloccata, esattamente come gli avevano detto quando l’aveva comprata.
Non andava bene, non andava per niente bene.
Se fosse successo durante la missione? In situazioni di pericolo avrebbe significato un gran problema.
Aspettò pazientemente che gli occhi della ragazza rimettessero a fuoco qualcosa: rimasero fissi nel vuoto per quasi un minuto.
Poi, con un profondo respiro, finalmente la schiava tornò in sé.
 
Nessuno parlò per un minuto buono.
Ognuno aspettava che l’altro prendesse la parola per primo.
Alla fine fu Clio ad interrompere il silenzio: -Ne ho sentito parlare.
-Di che cosa?-, domandò Ramis, improvvisamente dimentico.
-Dell’Isola d’Oro.-, gli rammentò Clio.
 
Ramis rimase interdetto per qualche secondo.
Poi comprese: la schiava stava rispondendo alla sua domanda precedente.
Come se quel minuto di assenza non fosse del tutto esistito.
Scosse la testa confuso, e decise che per ora era meglio chiuderla lì.
Sulla nave che li avrebbe portati sull’isola, avrebbero continuato il discorso.
E stavolta, senza interruzioni.
  
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