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Autore: Dark Magic    27/03/2011    6 recensioni
Questa shot è un momento mancato della storia “Parole false”, ma si può leggere anche separatamente. Isabella Swan è a capo del giornalino scolastico e, un giorno, si ritrova a dover recitare in una recita scolastica, insieme ai suoi amici, tra cui Edward Cullen, il capitano della squadra di calcio, nonché migliore amico di quest’ultima. Il copione, ed anche la storia, è realizzato da Tanya, la ragazza più popolare della scuola proprio per le sue storie. Cosa succederà durante la recita? Edward e Bella sono legati solo da un legame d’amicizia o c’è qualcosa di più profondo?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Tra verità e bugia: lezioni di teatro
 
Una giornata può iniziare bene o male ma, alle volte, riserva sorprese che non mi sarei mai aspettata di ricevere. Come può una giornata cambiare il corso degli eventi senza che tu abbia il tempo di rendertene conto e, in certi casi – non il mio –, scoprire o almeno apprendere ciò che c’è stato tra due persone, non è stato solo un vago, equilibrato, sentimento come l’amicizia?
Perché dico vago? Beh, mi sembra semplice: tutti scambiano me e il qui presente Edward Cullen per più di amici. E come dar loro torto se, dopo questa rocambolesca giornata, ora siamo davvero più che semplici amici?
Forse, per meglio capire - o farvi una risata - potrete leggere queste righe, per comprendere come i nostri sentimenti siano usciti allo scoperto o, per meglio dire, Edward ha “tirato” fuori. Il suo tipico modo di fare, strafottente e sicuro di sé, ha creato questa nuova situazione in cui io, Isabella Swan, mi ritrovo in infermeria con le labbra notevolmente impegnate con altre, dal sapore dolce e fresco come petali di menta.
 
«Bella? Davvero hai scritto queste… cose nel giornalino scolastico?» sbotta mio padre incredulo di fronte all’idea che la sua graziosa e innocente bambina di appena diciassette anni, si diletti nel trattare determinati argomenti o situazioni. Il suo volto rosso e gonfio dice tutto, non se lo sarebbe mai aspettato, e neanche io poiché non sono quel tipo di ragazza. I suoi baffi brizzolati per l’età avanzata - già evidente - si spostano, eseguendo un movimento ritmico, su e giù, per seguire le labbra che cercano di emettere un suono, ma sono incapaci per via dello sbigottimento e lo shock che sembra averlo colpito.
«Di che ti sorprendi? Sono una ragazza di diciassette anni. È normale che io sappia che la cicogna non esiste, anzi: non c'è mai stata, per dirla tutta» gli occhi scuri del mio caro e ingenuo papà saettano dal mio volto indifferente alle parole scritte su quel pezzo di carta, diventato così famoso per via della roba “piccante” inseritavi dalla sottoscritta.
Non è un segreto, il fatto che, all’interno della sede del giornale, ci siano altri autori di storie, puramente amatoriali e scritte da fan per i fan per allietare le monotone giornate scolastiche dell’anonima Forks High School.
«Non può essere… tu… io… non puoi…» incredibile come in un istante mio padre si sia trasformato in un pesce: già, mio padre assomiglia a un pesce per il suo volto - di solito accompagnato dalla tipica espressione corrucciata e l’aspetto da burbero ispettore di polizia che l’ha sempre contraddistinto da quando io sono venuta al mondo. Un uomo silenzioso, calmo nei modi, ma tremendamente goffo e impacciato quando si tratta di ballare o compiere qualche passo che richieda un’eleganza innata, ma per sua fortuna sul lavoro questo piccolo, quanto importante inconveniente, non si è mai verificato, altrimenti altro che sceriffo della città! Sarebbe lo zimbello deriso e preso in giro per avere la grazia di un ippopotamo, proprio come capita spesso a me, quando il simpatico e sempre sorridente Emmett McCarty trova il modo per attuare i suoi stupidi ma divertenti scherzi, ai danni di una delle più popolari ragazze della scuola: io.
Il mio nome è noto a tutti, ma la cosa più divertente è che io ne conosco pressappoco la metà, e forse la mia è un’esagerazione. Se io conosco tutti, non è solo per merito del mio modo di fare o del mio carattere, perché in quanto a quest’ultimo mi sento un po’ in difetto. Quanti ragazzi allontano per via del mio carattere da maschiaccio o per il semplice fatto che, impegnata come sono nella mia redazione, non trovo neanche il tempo per potermi organizzare con le mie amiche e uscire magari per vedere un film?
Non avrei problemi sul genere: la cosa più importante è che io stacchi la spina o metta in stand-by il mio cervello.
«Oh, papà! Non crederai davvero che io scriva roba del genere, vero?» gli chiedo con un tono ironico e leggermente esasperato, mentre lo vedo assottigliare lo sguardo verso il basso, in modo tale da poter osservare chi ha realmente scritto quell’articolo o, per meglio dire, quel capitolo. I suoi occhi si fermano su un punto particolare, mentre con una mano si accarezza i suoi preziosi baffi, con gesti lenti e affabili che come sempre riescono a calmarlo.  L’altra mano continua a stringere il giornale, ma noto con mio sommo sollievo che allenta di poco la presa; in quel punto, la carta è diventata, purtroppo, stropicciata, segno che mio padre non era pienamente padrone di sé in quel momento, ma la rabbia era fautrice dei suoi movimenti, anche quelli più semplici. I suoi occhi si spostano di scatto, come a voler cancellare con un colpo di spugna le immagini che gli pervadono la mente, fino a raggiungere i miei: vi leggo stupore, sollievo e poi… perplessità?
«Ehm, papà? Hai letto chi l’ha scritto? Perché della tua faccia non si direbbe, almeno…» non dirmi che non sei riuscito a scorgere, in una grafia orribile e disordinata, il nome di quella civetta di Tanya! In fondo è scritto persino con colori vivaci e alquanto discutibili. Solo al ricordo dei glitter adottati nel capitolo pubblicato nel sito della scuola, la mia schiena è attraversata da decine di brividi, come ogni volta che sento pronunciare quel nome. Forse il mio sarà anche antico, come afferma lei, ed anche fuori moda, ma è pur sempre migliore del suo che leggo scritto sempre come se al posto della penna, oppure della tastiera – meglio dubitare anche di questa – avesse tra le mani il suo lucidalabbra color fucsia, con migliaia di brillantini per renderlo ancora più “in”, a sua detta.
Inutile dire che le imprecazioni di Alice, colei che si occupa del settore moda nella redazione, e mia amica, si siano sparse per tutta la scuola e forse hanno addirittura raggiunto Seattle.
«No no, ho letto il nome. Forse avrei dovuto immaginarlo, ma preferisco non entrare nei dettagli, specialmente quando si tratta di certe cose…» Una risata, sì. Tutto ciò che riesco a fare o dire, è stato bloccato da questo mio eccesso d’ilarità.
Mio padre, d’altronde, non si aspetta di alzarsi la mattina e, invece di leggere il solito giornale della città, di trovarsi davanti agli occhi il giornale della figlia. Beh, sicuramente gli fa piacere sapere che io ne sono il capo, ma non deve essere stato altrettanto felice di trovare certe cose al suo interno. Ammetto che si è trattato di un colpo basso da parte mia, ma oggi più che mai ho bisogno di essere serena e tranquilla, perché ciò che mi si prospetta davanti sarà una lunga e irritante giornata.
«Era uno scherzo, papà. So ciò che pensi, entrambi che il nostro carattere e atteggiamento verso certi argomenti non rende facile discutere di simili cose. Ricordati che io sono la tua fotocopia in fatto di sentimenti, emozioni e altro. Non c’è bisogno di ripetere certi argomenti. La situazione è già imbarazzante così! Figurati cosa provo io quando mi ritrovo, ogni giorno, questo genere di storie davanti e non posso neanche oppormi perché alla maggior parte degli studenti, in piena crisi ormonale, piace. Anch’io sono una studentessa come loro, ma scrivo generi e situazioni diverse. Per quanto ci siano certe scene, non le descrivo così» finisco il mio discorso e, come la maggior parte delle volte, mi ritrovo a gesticolare, come se mi trovassi in preda ad una crisi isterica. Sfido chiunque a non infervorarsi di fronte a certe storie, in cui la dignità e il rispetto verso il genere femminile sono calpestati nel peggiore dei modi.
Mio padre mi osserva con un sopracciglio inarcato, chiedendosi chi sia la ragazza dinanzi a lui. Come contraddire la sua espressione e il suo pensiero del tutto motivato? Non posso; neanch’io mi riconosco più. Tuttavia adesso, il suo silenzio è inquietante ai miei occhi, e ciò non fa che presagire chissà quale verdetto. Io che ricevo un verdetto da mio padre. Assurdo!
Mi sento proprio una di quei criminali che lui arresta, ma è raro, poiché ogni giorno porta sempre con sé un mazzo di carte da poker. E si sa, il poker è un gioco abbastanza lungo e che richiede la massima concentrazione. Bene, potrei tranquillamente affermare che in questo momento sembra nel pieno di una partita impegnativa.
«Non le descrivi un po’ troppo duramente, Bella? In fondo, l’hai detto tu: sono solo ragazzi che si trovano in una fase in cui non è il cervello a predominare ma qualcos’altro. Anche tu sei una ragazza che sicuramente avrà il suo bel da fare con… con…» ecco, adesso lo vedo incespicare proprio nella parte più imbarazzante di tutto il suo discorso. Il suo volto - come del resto il mio - è di una certa tonalità tendente al rosso, ma preferisco non farci troppo caso. Anche il mio volto è di un rosso scarlatto, ma preferisco chiudere qui, se voglio uscire da questa casa.
Mi sistemo in modo frettoloso lo zaino in spalla e con passo svelto mi dirigo verso l’uscio, borbottando un “ciao, ci vediamo a pranzo” e rinchiudendomi nel mio amato e vecchio pick-up. Quante volte è stato insultato dalla mia amica Alice? Tante, forse troppe volte, ma finché non mi abbandonerà, io non lo farò con lui.
Appena entrata nel parcheggio dell’istituto, intravedo davanti alla scalinata ai piedi della mensa, la mia amica, insieme al resto del mio gruppo. Ok, chiamarlo gruppo e soprattutto “mio” è una follia, giacché si tratta di due coppie che sono amiche tra di loro da molto prima che li conoscessi. Gli unici single siamo Edward ed io.
Chissà se è già arrivato…
Mi guardo intorno mentre cerco di scendere dal mio mezzo senza dover avere un incontro ravvicinato del terzo tipo con l’asfalto, ma le mie abilità – sempre se ne ho avuta qualcuna in motoria - non mi permettono di sperare. Inciampo nei miei piedi e, pregando che il dolore sia al minimo dopo, attendo l’impatto che… non avviene!
I miei occhi sono ancora chiusi, ma avverto intorno alla mia vita un braccio forte, saldo, che non mi lascia anzi, mi stringe verso un qualcosa di possente, solido, tonico: il corpo di qualcuno. Un fiato caldo e leggermente accelerato mi alita in un orecchio, provocandomi strane sensazioni ma m’impongo un certo contegno: non so neanche di chi si tratta!
In un gesto involontario, poggio una mano sul petto dello sconosciuto e colta da uno scatto improvviso, cerco di allontanarlo da me, ma avverto la sua presa diventare sempre più salda, intensa. Apro gli occhi, pronta a dirgliene quattro, ma le parole mi muoiono in gola: quegli occhi verdi che cercavo adesso sono di fronte a me, a una spanna dal mio viso e mi scrutano divertiti. Sicuramente, si starà beffando di me. Cosa mi dovevo aspettare? È normale che si metta a ridere proprio come sta facendo e, come di consueto, si pieghi in due dalle risate. Sì, annuisco mentalmente: è piuttosto prevedibile. Mentre gli mostro un sorriso tirato e per nulla felice della sua reazione, si ricompone cercando di fare l’indifferente, ma basta uno sguardo tra noi per costringermi a seguirlo a ruota nel suo scoppio d’ilarità.
«Ma… come fai… a farmi… ridere… di me stessa?» gli chiedo con un tono affannato per via dei singulti che non riesco a frenare. La sua risata riesce sempre a coinvolgermi, a lasciarmi alle spalle quelle faccende fastidiose legate a Tanya e alla sua truppa di oche, specializzate nel fare la corte proprio al ragazzo di fronte a me. Un ragazzo che ora come ora, non riesco a credere che sia diventato il mio migliore amico, il mio confidente.
«Beh, devi ammettere che tu sei buffa ogni qualvolta cerchi di fare un passo. È normale che io sia sempre nei paraggi…» afferma con tono grave, come se spiegare una simile banalità sia di chissà quale importanza, ma «…per rallegrare le mie giornate con una delle tue spettacolari cadute!» mi devo ricredere. Il mio migliore amico, sì, come no! Dovrei dire forse chi si beffa di me, altro che amico fidato!
«Grazie, Edward. Sei davvero molto gentile e con tutta la mia gioia, sei anche sincero. Ma ti prego: tutta questa sincerità mi uccide. Non vorrai avermi sulla coscienza, spero?» nel mio tono cerco di far trapelare solo la parte ironica, ma mi riesce difficile davanti al suo sorriso da schiaffi, perciò tutto ciò mi è uscito come un miscuglio tra il sarcasmo e l’irritazione. Il suo ghigno – oh, scusate, il suo bellissimo sorriso – si trasforma in una linea tirata, senza inflessioni. I miei occhi non si distolgono dai suoi, perché sembrano calamite. Esistono calamite dal color smeraldo? Forse no, ma quello sguardo…
Rare volte l’ho visto in quel viso dalle fattezze angeliche. Non si tratta del solito ragazzo dall’aria snob, oppure di quello che fa di tutto per stare in vista. Lui è un ragazzo normale, con una bellezza fuori dal comune: una particolare. Chi sono io per negarlo? Chi sono io per non affermare tranquillamente che sì, ci sono cascata all’inizio nella trappola dello sguardo, della prima cotta. Una cotta che poi ho catalogato come il risultato di un’attrazione passeggera, quella che colpisce tutte le ragazze della nostra scuola e oltre non appena s’imbattono in lui: il ragazzo dai capelli ramati.
«Averti sulla coscienza? No, proprio non posso. Non voglio addormentarmi la notte con la paura che il tuo fantasma mi venga a disturbare proprio nel secondo momento più bello della giornata» ma sentitelo! Si permette di dire che il mio fantasma sarà chi lo disturberà mentre dormirà. Come se avessi voglia di andare a trovarlo di notte! Figuriamoci.
«Di notte? Dovrei venirti a cercare anche di notte? E perché mai? Mi basta vederti qui a scuola; ne ho abbastanza dell’effetto Edward Cullen per il resto della giornata» lo sfido con lo sguardo mentre pronuncio quelle parole e so per certo che lui non si tirerà indietro. Non l’ha mai fatto, perché farlo ora con me? Sicuramente ne tirerà fuori qualcuna delle sue. Infatti, scuote platealmente la testa, in un gesto esasperato mentre al contempo allarga le braccia, per poi lasciarle ricadere.
«Beh, le ragazze farebbero i salti mortali per venirmi a trovare in certe ore della notte, ma a quanto pare, tu proprio no. E poi, scusa: come fai senza il tuo migliore amico? Ti ricordo che quando hai da fare, oppure devi sfogarti, io ci sono sempre. È il compito del “migliore amico”, o no?» che strano, proprio mentre nominava la parola “amico” ho percepito una leggera nota infastidita. Forse è stata la mia immaginazione, oppure si è stancato di me?
No, casomai è il contrario: io posso stancarmi di lui e delle sue battutine! Se ripenso alla prima che mi ha rivolto la parola, quella volta in cui si è presentato, risollevandomi dal peso della solitudine e della depressione. Sì, è proprio lo stesso ragazzo di quella volta. Peccato che a volte, faccia volentieri a meno di questo suo lato strafottente.
Con passo deciso e sicuro, mi avvicino a lui fino a trovarmi a pochi centimetri dal suo viso. Una scossa mi pervade le membra, facendomi vacillare dai miei propositi di rimanere calma e impassibile di fronte a questo ragazzo bello quanto sfacciato. «Me la saprei cavare sempre, signor Cullen. Non ho bisogno del suo sostegno. Capita a volte di voler gettare la spugna, di rinunciare a tutto ma…» poggio una mano sul suo petto e, come guidata da una forza sconosciuta, la faccio salire su fino a sfiorargli il collo, la nuca, per poi stringere leggermente i capelli alla base, «come può notare, non sono così debole» l’ultima parola è un soffio di vento, una brezza trasportata da quest’ultimo, indirizzata al suo orecchio destro, proprio dove la mia bocca si sofferma. Sento una sua mano sfiorare il mio giubbotto sul lato sinistro, nascosto agli occhi degli altri studenti che ci osservano a occhi sgranati e un po’ scioccati. Beh, di cosa mi stupisco? In fondo è la prima volta che abbiamo un contatto ravvicinato di questo tipo davanti a tutti.
Di solito sono strette di mano, abbracci dall’odore fraterno, braccia che si sfiorano inconsapevolmente alla ricerca di una figura, una spalla amica su cui piangere in caso di sconforto o di necessità. Proprio come lo è stato lui dal giorno in cui ci siamo incontrati, conosciuti, cercati a modo nostro.
La sua mano sembra delicata, effimera, quasi evanescente per il suo tocco delicato come una farfalla. Continua una lenta ed estenuante carezza, che parte da sotto il braccio per poi fermarsi sopra il fianco. Non l’ho mai sentito esitare come adesso, come se qualcosa in lui funge da freno inibitore, un comando che prima non si era mai imposto. Che cosa è cambiato, Edward? Cosa ti rende così succube di queste esitazioni?
Poi, dopo un tempo infinito, la sua mano si posa tremante sul mio fianco, stringendolo leggermente. Il suo viso nel frattempo, si è accostato al mio, tanto che il suo alito caldo mi soffia sul collo, facendo ondeggiare alcune ciocche dei miei capelli, «sì, lo so perfettamente che non sei debole, ma fino a che non arriverà quel giorno…» ed anche l’altra mano si poggia sul mio fianco, proprio all’altezza dell’altra e mosso da un impeto improvviso, mi avvicina a sé, come se quel piccolo distacco tra i nostri corpi lo infastidisse «…sarò più che felice di poter essere il tuo faro nella notte».
Sì, il mio faro nella notte. Ecco cos’è Edward per me; colui con cui condividere qualsiasi cosa, segreto, esperienze. Anche quelle sentimentali.
Il mormorio degli studenti, e compagni di scuola, si è fatto via via crescente, mentre il mio caro amico continua a dare spettacolo trascinando anche me nell’occhio del ciclone. «Forse è il caso di darci un taglio con le nostre effusioni. Non vorrei essere linciata da qualche tua ammiratrice…» e con un cenno del capo, gli indico un gruppetto di ragazze intente a lanciarmi chissà quale maledizione in una lingua mai stata inventata prima: quella dei cellulari, meglio nota come “stile sms”.
Lui, incuriosito dalle mie parole, si volta verso quella direzione e prima che riesca a capire le prossime intenzioni, alza gli occhi al cielo e fa spuntare sul volto il sorriso che una volta, ho dichiarato essere illegale per l’effetto che produce: ragazze che sospirano con sguardo sognante e occhi che brillano come i glitter di Tanya che, guardandoli da diversi punti di vista, a detta di quest’ultima, sembrano una cosa eccezionale e un’unica.
Dal mio canto, non sprecherò il mio tempo a studiare gli effetti che i glitter provocano sulle persone. Credo bastino le già precarie considerazioni che ho su di lei; infierire sarebbe meschino e inconcludente.
«Sembra quasi che la Terra mi debba inghiottire da un momento all’altro» finisco con tono ilare e cercando di districarmi da quell’ingannevole ritratto che le loro menti hanno creato.
«Non vedo come possa infastidirmi la cosa. Non sono una loro proprietà: qualunque cosa faccio è dovuta a una mia idea, una mia testa» e sento intensificare la presa sui miei fianchi. Possibile che non ci arrivi? Non mi va di essere l’oggetto di simili sguardi e di altri che invece preferirebbero vedermi in altre braccia; possibilmente le loro. Il mio sguardo deve essere un misto tra il noioso e l’irritato. Il suo come sempre, è quello di chi non si rende conto di come la popolarità e la bellezza siano un dono ed anche una maledizione.
«Scusa Edward, ma non mi va di continuare questo gioco. Finiamola qui, prima che le ragazze intonino il rito funebre in mio onore e i ragazzi mi sognino persino mentre dormono in classe» con un gesto fluido e veloce, mi libero dalla sua stretta che dopo le mie ultime parole, si è allentata e i suoi occhi si sono posati sui ragazzi, imprecando a bassa voce.
«Sì, hai ragione. Andiamo, fra poco farai il tuo debutto sul palcoscenico, miss Swan. Qualche dichiarazione alla stampa prima del grande evento?» mi domanda imitando, con una mano stretta a pugno, il microfono immaginario e ponendola a pochi centimetri dalle mie labbra. Un sorriso tutt’altro che allegro mi sfugge dalle labbra mentre mi accingo a raggiungere i miei amici, seguita dal bel calciatore che non smette di sorridere impertinente, sapendo già quale sia il mio umore questa mattina.
«Ehm, posso avvalorarmi della facoltà di non rispondere?» domando, una volta raggiunto il mio gruppo dove un esuberante essere dai capelli corti e sbarazzini, mi avvolge in un abbraccio ancor più soffocante di quello avvenuto tra me e Edward. Alice Cullen, un tornado capace di travolgerti con la sua allegria e il suo entusiasmo per la vita da far concorrenza ai bambini di pochi anni. Incredibile come la sua passione per la moda la coinvolga, la colpisca fino al punto da ritrovarla in redazione, pronta a gestire qualsiasi situazione, argomento che abbia a che fare, seppur in minima parte, con il termine “moda”.
«Non si risponde a una domanda con un’altra. Ricordi? E poi non siamo in un’aula di tribunale, perciò non capisco perché non rispondere…» mi sussurra lui, non appena sua sorella si separa da me. Strano ma, sì: loro sono fratelli. Edward, il ragazzo simpatico, sfacciato, irriverente ma anche gentile, è il fratello maggiore della ragazza-vulcano qui presente, che si è appena ancorata al braccio del suo ragazzo e fulmina tutte quelle che osano anche solo sfiorare la sua figura. Non invidio per niente al mondo Jasper. Lui, dal suo canto, si limita a massaggiare con fare ipnotico la nuca Alice e lei miagola estasiata per le coccole. Scuoto il capo per la scena che si ripete ogni giorno da quando li ho incontrati, per non parlare di Rosalie ed Emmett che, non appena si guardano negli occhi, scappano per… insomma, è chiaro no?
Mi volto verso il mio interlocutore, pronta a ribattere: «Sì, ricordo. Sono stata io a fartelo presente. E ti risponderò, anche se già conosci la mia risposta, dopo la scenata che ti ho fatto quando sei venuto in camera mia l’altra volta» poveretto! L’ho torturato fino a tarda notte e nonostante i suoi continui sbadigli, l’ho costretto ad ascoltare la mia filippica e tutte le imprecazioni oltre ogni dire verso Tanya e suo zio, il nostro caro preside. Il suo sguardo è tutto un programma: si ricorda eccome della mia sfuriata dato la sua finta arrabbiatura.
«Ti prego, non dirmi che oggi ci sarà il secondo tempo!» magari, mi svagherei un po’ prima di quella ridicola scenetta. Faccio una smorfia di dissenso.
«No, non ha senso. Non capirebbe e soprattutto, non spreco il mio fiato per simili sciocchezze» sì, più sicura di così, non potrei essere. Senza contare che in ogni caso, non starò con le mani in mano; tutt’altro. Impiegherò bene il mio tempo sul palcoscenico: farò finta di dimenticare le mie battute, così vedremo cosa t’inventerai Tanya! Devo avere uno sguardo perfido perché Edward lo capisce immediatamente e stringe gli occhi fino a ridurli a due strette fessure. Con lentezza, incrocia le braccia al petto, in un gesto sicuramente sexy e mi studia per qualche minuto, poi le sue parole arrivano come un fulmine a ciel sereno: improvvise e veloci.
«Che cosa hai in mente, Bella?» io? No, niente. Solo rovinare questa stupida e insignificante recita. Qualcuno vuole farmi causa? Bene, che si faccia avanti, perché credo di fare un favore a tutti. Compongo il miglior sorriso e con sguardo indifferente, sistemo meglio il mio zaino sulla spalla, cominciando a salire i gradini con calciatore al seguito.
«Niente. Perché ho l’aria di qualcuno che la combinerà grossa?» si nota il mio tono volutamente svogliato?
«Sì!» ehm… sì, si nota. Eccome! Colpita e affondata? No, solo colpita.
«Sarà una tua impressione. Reciterò la mia parte come giusto che faccia, tutto qui» e un attimo dopo mi sento afferrare per il braccio sinistro e trascinare in un luogo lontano da orecchie indiscrete. Sicuramente si prepara a farmi una ramanzina che m’irriterà. Mi volto per osservare il suo viso e noto alcune piccole gocce di pioggia che cadono da alcune ciocche dei suoi capelli, simili a spine ricurve, dalle quali ricadono piccole perle trasparenti. I suoi occhi… poche volte sono stati limpidi, penetranti, ed è la seconda volta in un giorno.
Cosa ti succede, Edward? Cosa succede a me? Perché il mio cuore batte forte accanto a te? Mi sono ripromessa di non innamorami di te, di seppellire questo forte sentimento, per paura di un rifiuto. Ma si può sopprimere un sentimento come l’amore? Ci conosciamo da mesi, ma ogni volta che ti guardo, sento di non voler guardare più nessun ragazzo. Anche se dico di non apprezzare questo tuo lato impertinente, è quello che mi fa sentire più viva che mai.
«Bella, non fare di testa tua. Lo sai che se mandi all’aria tutto, dovrai rinunciare alla possibilità di entrare in un buon college? Il preside non ti permetterà di passarla liscia se sua nipote non ottiene ciò che vuole?» grazie! Che bisogno c’è di ricordarmi questo fastidioso dettaglio?
«Tranquillo, non farò nulla. Sei soddisfatto?» gli chiedo osservando il suo sguardo leggermente accigliato. So cosa sta cercando, ma non lo troverà. Ha ragione, perché dovrei impuntarmi per una cosa simile? È solo una piccola recita. Posso farcela, m’intimo mentalmente.
«Okay, ti credo. Non voglio che il tuo futuro sia compromesso per questo diverbio futile» e mi concede un sorriso: il mio fantastico e stupendo sorriso. La mia risposta: le nostre mani allacciate mentre con passo svelto ci avviamo verso la palestra per gli ultimi preparativi, prima del nostro inglorioso debutto sulla scena.

***

«Non è possibile…» mormoro incapace di ciò che i miei occhi stanno leggendo, eppure è così. E’ la realtà e per quanto vorrei soprassedere alla cosa, proprio non si può. Come può proporre una trama che ha degli sviluppi a dir poco inconcepibili, per poi cambiarla con un’altra ancor più assurda?
È Tanya, Bella. Cosa ti puoi aspettare da lei? Di certo non qualcosa di normale o semplicemente, guardabile. Lo deduco dalla faccia disgustata di Alice ogni volta che osserva i suoi vestiti o perlomeno, ciò che indossa.
Quelli non sono vestiti, ma quattro stracci strappati e messi in modo tale da coprire solo lo stretto necessario. Ridicolo e disgustoso, come suggerisce la mia amica da quando ha messo piede qui nella palestra adibita a “teatro” per mettere in scena una delle storie realizzate dalla signorina Denali, che si è aggiudicata il primo premio per migliore storia. Ciò che mi chiedo è: come si valuta una storia? In base alle scene di sesso? Beh, direi proprio di sì da come la elogiano le sue amiche con fare civettuolo. Per non parlare dei ragazzi che sbavano senza contegno.
«Fra poco ci toccherà pulire pure il pavimento!» sbotto tutto d’un fiato in direzione di quegli zoticoni dei miei compagni. Il mio “collega di pulizie”, Edward, si volta di scatto nella direzione in cui puntano i miei occhi e lo sento trattenere una risata. Almeno qualcuno ride in questa disgrazia…
«Non puoi non biasimarli. Guarda com’è vestita o meglio, svestita. Invece sono convinto che ci toccherà sgomberare, perché da quanto vedo, l’inondazione sarà impressionante…» enfasi, l’ultima parola è stata detta con enfasi, per sottolineare che questa tortura durerà troppo a lungo. Un sospiro rassegnato fuoriesce dalle mie labbra e con più forza mi accingo a passare il panno sulle superfici delle piccole pareti realizzate in cartapesta per lo spettacolo.
«Come mai tu non ti comporti come loro? In fondo anche tu sei un uomo…» mi chiedo tra me e me ad alta voce, senza che me ne renda conto. Subito dopo, porto la mano alla bocca, e una risata allegra e attutita mi giunge alle orecchie. Mi volto per osservare il diretto interessato e noto che si è piegato in due nel tentativo di soffocare questo suo eccesso d’ilarità, dovuto alla mia sbadataggine che alle volte, colpisce anche la mia lingua. Mi mordo il labbro inferiore imbarazzata e nervosa e nel frattempo, mi torturo le mani sudate per l’emozione. Ecco, sicuramente sarò tutta rossa come un pomodoro. Penserà che sono stata invadente, che sono gelosa di lui. Un momento… io sono gelosa di lui?
«Dovresti vederti. Il rosso del tuo viso è ancor più vivido di un pomodoro!» come si può definire amico un tipo come lui? Non fa altro che infierire dei miei colpi di testa improvvisi e delle mie figuracce! Per fortuna, nessun altro ha sentito; chissà che strane idee si sarebbero messi in testa, soprattutto sua sorella, che non vede l’ora di celebrare il nostro matrimonio. Testuali parole: “Bella, è passato un bel po’ da quando vi siete conosciuti ufficialmente. Non provi niente per Edward? È un bravo ragazzo, bello, gentile…” dopo l’ultima parola, mi sono rifiutata di ascoltare o quantomeno, le mie orecchie. C’è poco di gentile, al momento.
«Ridi, ridi pure. Comunque non ho fatto una domanda stupida. Tu sei un ragazzo, e lei è una bella ragazza. Perché non ti metti a sbavare come loro?» e indico ancora una volta quel gruppetto che non fa altro che annuire a ogni suo gesto e fissarla con sguardo da ebete… ridicolo! «Oh, forse ho capito. Non vuoi farti notare a sbavare altrimenti le altre capiranno di non poter competere con lei» e annuisco col capo con fare saccente, mentre lui mi osserva con un sopracciglio inarcato all’insù e fermando i suoi movimenti. «O forse perché non hai il bavaglino? Giusto! Perché non ci ho pensato prima; ci tieni troppo a quella maglietta?» gli chiedo indicando con gesto svogliato la maglia a maniche lunghe che indossa. Il suo sguardo muta di colpo, come se le mie parole l’avessero colpito o semplicemente, sorpreso. Si avvicina di qualche passo e le sue mani finiscono sul bordo della maglia nel tentativo di toglierla. Sbigottita, annaspo in cerca d’aria, cercando nel frattempo di riprendere lucidità e in un lampo, poggio le mie mani sulle sue per bloccarlo, e una scossa elettrica mi attraversa il corpo. Anche lui sussulta; non è la prima volta che ci capita di toccarci, ma questi tipi di contatti, così intimi e improvvisi, ci sconvolgono sempre. Sicuramente nel medesimo modo e con la stessa intensità.
«Sei impazzito! Vuoi spogliarti qui? Lo spogliatoio è troppo lontano per te?» accidenti! Se vuole farmi venire un colpo è sulla giusta strada.
«No, ma volevo farti capire il perché non sbavo dietro lei…» e solleva di poco la maglia e vedo che sotto, ne porta un’altra, oltre a quella decisa per la scena: la maglietta che gli ho regalato per la partita di fine campionato che la nostra squadra ha vinto per merito di questo bravissimo capitano, Edward. Il mio sguardo si addolcisce un po’ e un sorriso spunta sul mio viso, abbasso lo sguardo colta dallo stupore. «Non voglio rovinarla per così poco» ok, vuole vedermi stramazzata al suolo. La mia bocca starà certamente toccando il suolo. Lo vedo voltarsi e nascondere un piccolo sorriso, consapevole dell’effetto che hanno avuto le sue parole su di me. Sempre senza voltarsi, afferra il panno che mi è scivolato e la scopa, dirigendosi nel retroscena ma, mentre si allontana, mi sembra di sentire la sua voce…
«E poi… perché sbavare per Tanya quando c’è un’altra che m’interessa?» probabilmente mi sarò sbagliata, perché lui non mi ha mai parlato di una ragazza che ha catturato la sua attenzione, salvo che quest’argomento per lui non sia troppo imbarazzante o intimo. Eppure, noi parliamo di tutto. Sicuramente mi sono immaginata quest’ultima frase.
 
***

«Beh, era ora! Finalmente siamo pronti per cominciare lo spettacolo. Dovete dare il massimo di voi, ma che dico… siete soltanto degli incompetenti!» eccola che comincia a impartire ordini, conditi da insulti di ogni genere e misura. Il suo sguardo saetta dal mio viso, guardandomi con sufficienza, fino a posarvi sul volto di Edward, diventando lucido e malizioso al contempo. Le sue labbra sembrano addolcirsi, rallentare la loro corsa mentre pronunciano tutte quelle parole futili e prive di significato. Mi volto a osservare le facce dei miei colleghi di “palcoscenico” che non fanno altro che sbadigliare e osservare continuamente l’orologio in attesa dell’inizio di questa stupida recita da bambini delle elementari.
«Tranne te, Edward. Tu sei sempre il migliore, come potrebbe non esserlo?» chiede con fare retorico mentre si avvicina al suo interlocutore che la osserva con un ghigno sfacciato a fare da contorno a quella bellissima faccia da schiaffi. I suoi passi sono lenti, sinuosi ed anche un po’ volgari – ma su questo, meglio sorvolare – e intanto, sistema o meglio, abbassa quel piccolo costume di scena che indossa per recitare. Quello che mi sconvolge – e forse non dovrei – è che anche senza questa commedia di mezzo, il suo vestiario non cambia.
«Sono lieto che tu te ne sia accorta, ma anche gli altri si sono impegnati molto. Non credi che dovresti essere loro riconoscente per il duro lavoro svolto? Infondo il mio ruolo dipende anche dalla collaborazione che si è instaurata tra me e gli altri. Non mi sembra corretto insultarli…» le fa notare lui con un tono calmo e ipnotico. L’effetto Edward Cullen è in atto, e su Tanya, ancor di più il risultato sarà assicurato.
«Oh Edward. Forse hai ragione» forse? La mia espressione deve essere davvero simile a quella di una vampira sanguinaria. Non ha idea di cosa sia il lavoro di squadra ma presto se ne renderà conto. La vedo voltarsi verso di noi, guardandoci con un finto sorriso, per poi tornare ad accarezzare languidamente con gli occhi tutto il corpo del mio migliore amico che naturalmente, non perde occasione per far strage di cuori – e cervelli di oche – intorno a sé.
«Bene, è ora di iniziare. Non vedo l’ora di recitare al tuo fianco» le sussurra lei nel suo orecchio e per risposta, lui sorride e scuote la testa, osservandomi fisso.
«Sì, anch’io non vedo l’ora di recitare» i nostri occhi non si separano nemmeno per un istante mentre ci apprestiamo a prendere le nostre posizioni sul palco.
Non sai contro chi ti sei messa, Tanya! Vedremo se la tua storia sarà ricordata come tu desideri.
                      
***
 
«Tu devi essere Isabella Swan, giusto?» mi chiede Erik mentre si affianca a me e cerca di guidarmi tra la massa di studenti. Io interpreto uno dei ruoli principali: la ragazza proveniente dalle zone assolate dell’Arizona per essere “spedita” in questa sperduta cittadina, a causa di litigi incresciosi avvenuti con mia madre. Come avevo sospettato, le mie caratteristiche sono state rispettate nel copione scritto: il mio lato impacciato è stato descritto fin nei minimi particolari, così da evidenziare le grandi qualità della regina indiscussa della scuola di Forks, Tanya.
«Sì, si nota?» chiedo in un sussurro, grata dell’auricolare che non mi costringe ad alzare la voce.
«Certo, d’altronde questa città è piccola. E tu sei un volto nuovo, perciò rivolgiti a me per qualsiasi cosa, d’accordo?» e con un sorriso, mi fa segno di seguirlo e insieme ci dirigiamo verso la segreteria per ritirare il mio orario. Durante il tragitto, mi presenta alcuni amici: Mike, Tyler e Angela. Non nascondo il ribrezzo che ho provato mentre Mike Newton tentava di “ammaliarmi” con il suo inesistente fascino. Anche nella realtà è così; lo ritrovo dappertutto ma quando al mio fianco compare Edward, si dilegua come se avesse visto chissà quale essere spaventoso.
«Bene, adesso è l’ora di andare a mensa» mi dice Angela mentre recita la sua parte. Mentre procediamo in quella direzione, una voce stridula penetra la mia mente, facendomi sussultare – come da copione.
«Così tu sei la nuova!» esclama Tanya, oscillando in maniera provocante la sua gonnellina bianca con due strisce sul bordo, una blu e una gialla. La maglietta a maniche lunghe la ricopre come una seconda pelle, aderendo alle sue prosperose forme. I suoi capelli sono di un biondo platino perfetto, troppo per essere il suo colore naturale. Sicuramente è andata il giorno prima a dipingerseli, perché non ricordo avesse mai avuto un simile colore; ricordo uno più opaco, meno luminoso di questi raggi di sole. Un sorriso di scherno è tutto ciò che trovo; non si sforza minimamente di interpretare il suo ruolo. Oca nella realtà e nella finzione; il suo personaggio è rimasto inalterato.
«Sì, mi chiamo Isabella Swan» le dico porgendole la mano, mentre dentro di me impreco a più non posso. La vedo schioccare la lingua e guardarmi dall’alto in basso come se fossi un essere abbietto.
«Mi chiamo Tanya, e farai bene a tenerlo a mente. Io sono la capo-cheerleader, perciò sono anche, di conseguenza naturalmente, la regina indiscussa della scuola. Ti avverto, tieni lontano i tuoi occhi dal mio ragazzo o te ne pentirai» e dicendo questo si allontana, non prima di avermi lanciato un’occhiata di fuoco, insieme alle altre ragazze della squadra. Più tardi, vengo a scoprire che due di loro si chiamano Jessica, la pseudo ragazza di Mike, e Lauren, segretamente innamorata di quell’idiota di Tyler che sbava dietro a Tanya senza contegno. Mentre gioco con il tappo della mia limonata, vedo apparire quattro ragazzi, che poi scoprirò essere Alice, Rosalie, Emmett e Jasper. Questi sono descritti come ragazzi simili a déi scesi sulla Terra e solo Tanya e il suo ragazzo fanno parte di quel gruppo chiuso ai comuni mortali.
Man mano che la recita continua a passo sostenuto, poiché dura all’incirca due ore e mezzo, so che il ragazzo di Tanya è il fratello di Alice, Edward. L’incontro durante l’ora di biologia e, in quell’ora, i miei pensieri su di lui, sono raccontati dalla voce narrante: Leah Clearwater, una mia amica che vive nella riserva.
Edward lo descrivo come un ragazzo bellissimo, dagli occhi splendenti come smeraldi, dal corpo atletico e il più stronzo e bastardo che ci sia nella scuola. Durante la storia si scopre che Edward, nonostante stia con Tanya, mostra un interesse particolare per la ragazza nuova: io. Con il tempo, lui s’innamorerà, ma prima di ciò, sarà lei a innamorarsi e lui tratterà il mio personaggio nel modo peggiore. Il ragazzo è davvero un bastardo e la schiera di giovani donne dal cuore infranto è lunga, solo Tanya non lo capisce e gli sta affianco come la sua ragazza. Uno dei luoghi più importanti della storia è il bagno, dove si svolgono gli incontri ravvicinati del terzo tipo e il modo in cui avvengono, è disgustoso. Mi domando come il preside non abbia tagliato queste scene così volgari e stupide. Ogni volta che Edward e Tanya escono dal bagno, i due sembrano essere stati colpiti da un tornado: i loro vestiti sono sgualciti e i loro respiri sono affannati come sempre, ma qualcosa non mi convince, specialmente l’ultima volta che sono entrati nel bagno di cartapesta. Sul colletto della maglietta di Edward noto del colore… fucsia? Che lei abbia davvero approfittato di questa messinscena per provarci davvero senza essere disturbata?
Verso metà della storia, Edward e Tanya si trovano ancora una volta all’interno del bagno, ma il mio personaggio è presente così decido di attuare il mio piano di sabotaggio e comincio a recitare le mie battute, ma non come previsto da Tanya.
«Accidenti! Ma qualcuno si sente male?» domando consapevole di aver appena stravolto il copione, «chi c’è dentro? Vuoi che chiami un’ambulanza?» e dopo un attimo, vedo uscire Tanya, infuriata del mio cambio di programma, ma sembra stare al gioco e ripara la situazione.
«Secondo te? Quando si ha un fusto del genere a disposizione, si può mai star male?» e accarezza lascivamente Edward che si è calato bene nel ruolo di stronzo e dongiovanni da strapazzo. Nel copione, sembra che nessuna sia sfuggita al suo sguardo magnetico e al suo fascino da playboy, infatti, un ghigno malefico si dipinge sul suo viso mentre arpiona la vita della ragazza pompon e la avvicina a sé con fare possessivo.
«Già, Swan. Cosa si può fare quando si è chiusi in un bagno?» questa battuta non c’è nel copione ma cosa…? Alzo lo sguardo e scorgo nei suoi occhi una luce divertita, sinonimo della sua partecipazione al mio piano di sabotaggio. Sei stufo anche tu, Edward?
«Ehm, vomitare? Dai tuoi gemiti Edward, mi sembrava proprio che avessi problemi di stomaco, mi sarò sbagliata» le dico con fare innocente mentre vedo i suoi occhi dilatarsi per lo stupore. I ragazzi che stanno assistendo allo spettacolo, non smettono di ridere, mentre Edward si finge anch’esso sbigottito e lo vedo portarsi una mano alla bocca.
«Swan! Ma come hai fatto a capire? Pensavo che la nostra recita fosse stata ottima! Tanya, ti sei fatta scoprire! Ora la mia fama di emerito stronzo sarà gettata alle ortiche! Accidenti, tutte le ragazze cosa penseranno di me?» le grida lui, fingendosi scandalizzato e terrorizzato.
«Beh, posso dirtelo io, se vuoi» gli dico appoggiandomi al lavabo più vicino e guardandoli senza scoppiare a ridere. Edward si fa pensoso, mentre Tanya sembra una pentola in ebollizione. Poi, lisciandosi il mento con il pollice e l’indice m’incita con un gesto a parlare.
«Sono sicura che tutti incolperanno Tanya, perché qualunque cosa tu faccia, anche se ti porti a letto qualunque essere aventi organi femminili, nessuna ti colpevolizzerà. Andiamo! Tu sei Edward Cullen, il ragazzo più sexy, bellissimo, intelligente che tutta la scuola abbia mai avuto modo di conoscere. Non importa se tu sei stronzo, o bastardo, tutto ti è concesso. Se diventassi un santo chi ti vorrebbe più? Chi ti cercherebbe più?» gli domando avvicinandomi a lui che a ogni mia parola, sembra riflettere sempre più finché non lo sento sospirare e voltarsi con uno scatto secco verso Tanya.
«La Swan ha ragione, Tanya. Anche se è la sciocca della scuola, la ragazza più goffa e con un equilibrio inesistente, il cervello lo usa. Sì, per fortuna, sarai tu a pagare per tutto. Infondo è colpa tua se non riesco a resistere più di qualche minuto con te che subito scappo per il bagno. Chissà perché mi succede…» ma il suo discorso è interrotto proprio da Tanya che, infervorata e con gli occhi colmi di lacrime, si aggrappa alla sua maglia.
«Tu non puoi farmi questo, Edward. Io lo so che ti piaccio, che mi ami. L’ho sempre saputo che ti sei innamorato di me, ma sei un uomo, e prima che tu te ne renda conto, passa un bel po’ di tempo. Perché non smetti di essere amico della Swan e diventi il mio ragazzo? Tu ed io siamo fatti per stare insieme…» sbaglio, o non stiamo più recitando?
Edward osserva Tanya come se fosse un alieno o qualunque altra forma di vita sconosciuta sulla Terra; la sua espressione è sbigottita e incredula, mentre cerca di districarsi da quelle braccia simili a tenaglie. Io a stento, trattengo una risata di fronte alla scena. Tutto il pubblico applaude per l’improvviso cambio di copione e quindi, per la nuova storia messa in scena.
Le storie di Tanya sono note a tutti, per via della solita trama in cui una certa ragazza, appena arrivata in una nuova scuola, s’innamora del ragazzo più popolare ed anche più menefreghista; lei, naturalmente, è la vergine incallita che, nonostante la sua bellezza quasi evanescente, non ha mai avuto uno straccio di ragazzo. Il “Lui” con il tempo s’innamorerà ma ci saranno diversi ostacoli, tra cui una certa Tanya che interpreterà il ruolo della ragazza attuale del famosissimo “Lui”. La storia prosegue con il “Lui” che continua questo genere di vita, trattando le ragazze come bambole, e gettandole via. Solo Tanya, la sua famosa ragazza, non si crede bambola ma stronza come lui che si diverte nel fare sesso bollente e a più non posso con quest’ultimo, e pertanto si ritiene l’unica con cui deve stare il focoso “Lui”. Invece, in questa recita, vi è stata introdotta una variante nel finale, in cui è costretto a sposare Tanya per via di una gravidanza inaspettata, e infine s’innamorerà con il passare dei suoi anni, mentre la ragazza straniera sarebbe rimasta un flebile ricordo nel loro lontano passato, innamorata persa e caduta in depressione per via dell’abbandono. Magari facendo strage di dolciumi e diventando una balena.
Una variante comica come questa non può non divertire il pubblico. Soprattutto se la Tanya in questione si sta inginocchiando di fronte a lui. Edward è costretto a inginocchiarsi a sua volta per via di quelle braccia ancorate in modo asfissiante alla sua vita e in un istante, accade.
Edward si volta verso di me per implorarmi di aiutarlo a liberarsi di lei ed io mi avvicino, reprimendo una risata ma concedendomi un sorriso. Tanya intuisce il mio movimento e afferra con forza il volto di Edward costringendolo a guardarla, poi le sue labbra si posano sulle sue. Il mio corpo e la mia mente si bloccano. Intorno a me sento diversi fischi ma ciò non m’importa. Le labbra del mio Edward si trovano appoggiate su altre. Altre che non sono mie.
L’ho definito mio, ma è questo che ho sempre provato per lui? Un sentimento di possesso? Di…amore?
Forse sì, perché quando si avverte questo tuffo al cuore, questo dolore, non può che essere amore. La nostra è sempre stata amicizia sana, pura? Oppure un’amicizia che profuma d’amore?
Sicuramente la seconda.
Le mani di Edward la allontanano bruscamente e si volta nella mia direzione, con uno sguardo strano, mai visto. Paura… ma di cosa?
Poi, tutto accade velocemente: gli occhi di Edward si chiudono, le sue gambe si piegano in avanti. Sta per cadere, ma io l’afferro e lo sorreggo, sentendo un flebile sussurro, «Bella… io ti…» e subito dopo, crolla tra le mie braccia.
«Edward!» il mio grido disperato si espande per tutta la palestra, mentre gli altri ragazzi presenti sul palcoscenico si accalcano intorno alle nostre figure. Nella mia mente, il suo nome si ripete come un mantra, e forse non solo lì.
 
***
 
Plik… Plik… l’unico rumore qui dentro, accompagnato dai nostri respiri e battiti cardiaci.
Osservo il corpo di Edward disteso in questo grande letto d’ospedale che riposa, ignaro del pericolo corso. Anche addormentato, la sua bellezza non si può nascondere. I suoi capelli ricadono sul suo viso in maniera disordinata, le mani sono allungate lungo i fianchi.
Edward… non hai idea della paura che ho avuto ed ho tuttora.
Prendo tra le mie mani la sua e la porto alle labbra. Un leggero movimento delle dita mi fa sussultare e mi volto di scatto verso la sua direzione, speranzosa. I suoi limpidi mi osservano in maniera strana, intensa. Lo sguardo di quella mattina…
«Ciao» mi dice con voce roca. Un sorriso dolce si fa largo sul mio viso e lo abbraccio di slancio. Le sue braccia lentamente mi stringono a sé, anche se la stretta è debole, per via della convalescenza. I miei occhi s’inumidiscono mentre stringo con forza e impeto le braccia intorno al suo collo e con le mani sfioro i capelli alla base della nuca in un gesto che l’ha sempre rilassato. Una sua mano corre ad accarezzarmi i capelli mentre sento le sue labbra soffici e delicate appoggiarsi su di essi. Il soffio del suo respiro è come una carezza sui miei capelli.
«Ciao, mi hai fatto preoccupare, sai?» quanta paura ho avuto. Ho rischiato di impazzire. È mai stata amicizia tra noi? No, solo ora l’ho capito, ma ciò non cambia la situazione: lui non è innamorato di me come io lo sono di lui.
«Che mi è successo?» mi chiede con voce confusa e assonnata.
«Davvero non ricordi?» gli domando staccandomi da lui e osservandolo attenta a ogni minimo cambio di espressione. Forse ha davvero dimenticato gli ultimi avvenimenti. Il suo volto assume un’aria pensosa mentre si passa una mano tra i capelli. Emette uno sbuffo esasperato e allarga le braccia, guardandomi di sbieco.
«Ricordo che stavamo recitando, finché tu non hai deciso di rivoluzionare lo spettacolo…» e mi lancia un’occhiataccia, continuando «e poi Tanya che si aggrappa alla mia maglietta e… mi… bacia!» che ridere! La sua espressione si è fatta di colpo disgustata e, con la manica del camice bianco, tenta di pulirsi le labbra. «Oddio! Che schifo!»
Non riesco a trattenermi e gli rido in faccia senza contegno. I suoi occhi mi osservano risentiti mentre mi contraggo sulla sedia in preda ai singulti. «Dovresti vederti… sei incredibile!»
«È colpa tua se quell’oca è riuscita a baciarmi! Neanche tra un migliaio di anni sarebbe accaduta una cosa simile. Tanya… ah, avrò gli incubi per sempre» eccolo che si lamenta come un bambino piccolo. Scuoto teatralmente la testa, per fargli capire che il suo comportamento è così infantile. «E poi con il preside? Che cosa avrà in mente per noi?» mi chiede emettendo un sospiro rassegnato.
«Beh, a noi non sarà tolto un capello. L’unica che sta pagando tutto è proprio Tanya. Ha fatto credere allo zio che le storie che scriveva erano sue, quando invece mostrava le mie cambiando la firma finale. Appena ha letto il copione, la sua faccia si è trasformata. Sembrava una locomotiva pronta a dare in escandescenza…» gli confido, informandolo delle conseguenze del nostro gesto folle.
«Menomale!» esclama mettendosi una mano sulla fronte, nel tentativo di scacciare via l’ansia che si è attanagliata nelle sue viscere.
«Sai perché sei qui in ospedale?» gli domando con tono neutro. Chissà se ci arriva…
«Ehm, sono svenuto se non sbaglio» afferma con un tono titubante, mentre cerca di fare mente locale sugli ultimi avvenimenti. Forse posso divertirmi un po’…
«“E così con un bacio io muoio”» recito con tono drammatico mentre rievoco queste parole. Lui mi guarda stranito e sbatte le ciglia, confuso.
«Romeo e Giulietta. Atto cinque, scena terza» annuisco alla sua risposta e appoggio i miei gomiti sul letto, ponendo il mento su entrambi i dorsi delle mani.
«E allora?» proprio non ci arriva. Un altro sorriso spunta sulle mie labbra.
«Smettila di sorridere e dimmi perché sono qui!» sbotta tutto d’un fiato.
«Ti ricorda qualcosa il lampone?» gli chiedo con fare innocente, osservando il lenzuolo e giocherellando con la zip della mia felpa.
«Sì, è un frutto. Ed io sono allergico in maniera incredibile, basta poco per mandarmi in shock anafilattico. Ma cosa c’entra con il mio svenimento?» già, cosa c’entra? Mi domando mentalmente. Mi avvicino al cassetto che si trova accanto al suo letto, sotto il suo sguardo disorientato, ed estraggo un lucidalabbra – ovviamente con i brillantini – e glielo mostro. Lui lo afferra e legge l’etichetta.
«Ma… è al lampone. Insomma, cosa c’entra… con… il… mio… svenimento» vedo le sue sopracciglia aggrottarsi mentre lo vedo riflettere sulla mia citazione e l’ultimo oggetto mostrato. I suoi occhi s’incatenano ai miei, compiaciuti e divertiti da quell’assurda situazione.
«È di Tanya?» annuisco lentamente, mentre lui impreca in tutte le lingue possibili, «accidenti! Si saranno fatti delle grasse risate, immagino».
«Solo un po’» e scoppiamo a ridere entrambi.
«Pensavo che ti piacesse Tanya…» lui mi guarda e scuote la testa.
«Non è il mio tipo anzi, nessuna è il mio tipo. Ho già la mente e il cuore occupati» i miei occhi si fanno lucidi mentre cerco di trattenere le lacrime. Avvicino un pugno al suo petto e faccio il gesto di bussare. Due colpi.
«Io non sento nessuno, sicuro che sia occupato?» gli domando con tono ironico, ma leggermente tremante. Ha già un’altra nel suo cuore.
«Beh, non so perché non risponde. Eppure è qui, in questa stanza…» i miei movimenti si bloccano, così come le mie parole. È qui, in questa stanza…
«Ma…» balbetto.
«Perché non rispondi, Bella? Ci sei sempre stata tu qui dentro. Non hai bisogno di bussare: hai già da tempo la chiave del mio cuore» mi dice, mentre mi sento afferrare la nuca e avvicinarmi a sé. Le sue labbra sfiorano le mie e dopo un breve istante, si poggiano delicate sulle mie. Un bacio lento, dolce, vero come la nostra storia.
La nostra avventura insieme inizia da questo momento. 
   
 
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