Ciao a tutti! Questa è
la mia prima fan fiction, quindi mi piacerebbe molto sentire le vostre
opinioni! Positive e negative … i primi capitoli sono
abbastanza tristi e
incentrati solo su Akito, ma presto Sana ricoprirà uno
spazio maggiore e le
situazioni più allegre!
CAPITOLO
03:
Akito
correva per le vie della città, incurante sia del
vento sia dei lamenti delle persone colpite. Correva per dimenticare.
Per
cercare di sgombrare la mente; anche se sapeva bene quanto questo fosse
impossibile, soprattutto visto il luogo dov’era diretto. A
metà percorso
rallentò e cominciò a camminare. «Hayama,
perché lo fai? » quelle parole
continuavano a tornagli in mente, a
intervalli regolari. Stupida mocciosa.
Scommetto che a casa tutti adorano la piccola attrice di talento,
sempre
allegra e sorridente. Sospirò. Era conscio che
odiarla solo perché era più
fortuna di lui era uno sbaglio, ma era così, e lui non aveva
per niente voglia
di mettersi a riflettere anche su quello, anche se le sue parole
fossero state
vere.
«
Akito! » una voce interruppe le sue riflessioni.
«
Tsuyoshi, ciao! » lo salutò.
Si
avvicinarono.
«
Dove stai andando di bello? » gli chiese l’amico.
Ad
Akito venne da ridere per la seconda volta nella
giornata, un record quasi. Dove stai andando di
bello? Anche presupponendo che in quella cavolo di
città ci
fosse un luogo bello quella parola
era sicuramente tra le meno adatta ad indicare la sua destinazione.
«
Da nessuna parte … facevo solo un giretto per rimanere in
forma! Anche a te non farebbe male, tra l’altro! »
L’altro
non si scompose, ormai abituato a quel modo di
comunicare.
«
Simpatico, davvero. Aki … dobbiamo parlare del tuo
comportamento a scuola! È inammissibile che continui a fare
tutto questo
casino! »
Si
pentì subito delle proprie parole, quando vide la faccia
dell’amico. Tuttavia, la risposta lo lasciò
sconvolto.
«
Lo sai che odio che mi chiami “Aki”. Comunque
… credi di
essere mio amico? E se sì, perché? »
Si
guardarono per dei lunghi istanti, senza dire niente.
«
No, niente, lascia stare … non so cosa mi è
preso.
Ultimamente straparlo. Adesso però devo andare! Ne
riparliamo un’altra volta,
okay? »
Si
dileguò tra la gente, di nuovo correndo. Le otto
… doveva
sbrigarsi. Si maledisse in silenzio per essere scappato, da cosa poi,
era un
mistero. Non aveva mai capito perché Tsuyoshi continuasse ad
essergli amico,
nonostante lui lo trattasse spesso in modo deplorevole. A volte, temeva
che
fosse solo compassione … era lui che da piccolo era andato a
piangere, cacciato
fuori di casa …
Sospirò,
e, molto lentamente, aprì le pesanti porte del
cimitero, con gli occhi bassi.
«
Hayama?! »
A
quella voce alzò di scatto la testa.
«
Kurata?! »
Se
il ragazzo avesse dovuto fare una lista dei posti dove
poteva trovarsi lei, di certo il cimitero sarebbe stato tra gli ultimi.
Anche
lei sembrava alquanto sorpresa.
«
Hayama, cosa ci fai qui? » chiese, curiosa.
Lui
ricambiò il suo sguardo, seccata.
«
Secondo te cosa fa di solito la gente in un cimitero?! »
Fece
per andarsene, ma lei gli prese la maglia. Quella
ragazza aveva fegato, doveva ammetterlo.
«
Io sto girando la scena di un film! Comunque mi dispiace
che così gioavne abbia già qualcuno per cui
piangere! Chi è? »
Per
un attimo rimase in certo sulla risposta da dare …
scartò subito la verità, avrebbe sollevato troppe
domande … Adesso deve rompermi le
scatole anche fuori
da scuola? Non poteva girarlo da un’altra parte il suo
stupidissimo film? La
ragazza continuava a fissarlo, la mano salda sulla sua manica.
«
Perché ti interessa? » rispose infine.
Questa
volta fu lei a stare in silenzio.
«
Perché … perché mi è venuto
spontaneo. »
Rabbia.
Una forte rabbia. Non sapeva dire esattamente come mai,
ma il fatto che lei si comportasse così in modo spontaneo
gli provocò questo
sentimento. Certo, lei può fare
tutto ciò
che le pare … scommetto che a casa sua mamma e suo padre
l’aspettano ansiosi di
farle i complimenti per il lavoro, con un’ottima cena pronta.
La odio …
«
Non sono comunque affari tuoi! » disse, staccandosi da
lei. « Ora, col tuo permesso … »
Si
girò e si allontanò, senza nemmeno salutarla, a
passo
veloce, senza correre né camminare. In qualche modo, si
sentiva osservando come
poche volte in vita sua, come se quella studentessa non lo stesse
guardando
fuori, ma dentro. Scacciò
quel pensiero
irritato, era ridicolo.