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Autore: Pichichi    28/03/2011    1 recensioni
Il rapporto tra Tiziana e Dalila si basa su presupposti ben precisi, ma al contempo estremamente delicati, in virtù dei loro caratteri discordanti: l'una abituata a sottomettere e vedersi assecondata, l'altra a godere della rassicurante presenza della compagna. Cosa accade quando interviene un terzo elemento a modificare l'equilibrio?
"-Prima o poi ci beccano, me lo sento- mormorò Dalila.
Tiziana le rispose con un sorriso furbo.
-Non accadrà-
[...] Tiziana aveva notato, nei due mesi in cui aveva prestato servizio all'hotel, che la stanza numero cinque non era stata mai assegnata ad alcun cliente.
Questi erano i motivi per cui era certa che nessuno le avrebbe mai scoperte mentre facevano l'amore chiuse in quella camera."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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No, non ce l'ho fatta a pubblicare entro la scorsa settimana. Sono stata occupata con la scuola: per dirne una, il mio prof di matematica mi ha assegnato una ricerca sui motivi dell'utilizzo dell'alfabeto greco in matematica, fisica, chimica e statistica (roba per gente che non ha davvero di meglio da fare!). Ad ogni modo, ecco l'ultimo capitolo. Grazie ai lettori silenziosi, alle recensitrici, a quelli che l'han messa fra le preferite e le seguite.





Mentre dall’interno del salone proveniva una musica incalzante, Tiziana doveva accontentarsi di canticchiare fra sé mentre si dondolava sullo sgabello. Aveva mangiucchiato tutte quante le dita della mano destra, contato tutte le bottiglie poste alle sue spalle, chiacchierato del più e del meno con la ragazza della reception, ma tutto ciò non aveva contribuito a farle passare la noia.

Sapeva che non le era permesso introdursi nella sala, anche solo per controllare come procedessero i festeggiamenti, per cui era rimasta per tutto il tempo seduta al suo bancone, servendo da bere a qualche cliente dell’albergo che non aveva partecipato alla festa. Sapeva che l’apertura delle danze era stata programmata per le dieci e al pensiero di avere ancora due ore da trascorrere nella più completa inattività fece un sospiro che echeggiò nell’ingresso deserto.
Aveva sentito poco prima la ragazza della reception parlare al telefono con un tono che chiaramente non si addiceva ad una telefonata di lavoro. Aveva creduto che fosse stato il suo fidanzato a chiamarla, a giudicare dalle risatine e dalle parole a bassa voce che mormorava.
Non che avesse provato invidia, ma le aveva dato un po’ fastidio.
Quando Dalila era sbottata e l’aveva lasciata sola nella stanza numero cinque, non aveva provato il minimo rimorso e anzi si era considerata offesa dalla sua suscettibilità.
Non credeva che la sua compagna avrebbe reagito in quel modo, non pensava che tenesse a quella festa al punto da prendersela per una battuta di troppo.
Non aveva avuto rimorsi nel vederla andare via rabbiosa e ferita, ma aveva provato fastidio, lo stesso avvertito nell’origliare la conversazione privata della ragazza alla reception.
Avrebbe voluto che Dalila si trovasse lì con lei e non costretta a fare su e giù dalla cucina ai tavoli come un automa, obbedendo agli ordini dei capicameriere e del maitre.
 
Tiziana più volte aveva disprezzato in cuor suo l’inettitudine e la passività dell’altra, atteggiamenti che ispiravano certamente compassione. Lei invece aveva unito a questa commiserazione, che la figura di Dalila generava naturalmente, qualcosa di più intenso.
Aveva visto del potenziale nella ragazza e si era impegnata con tutte le sue forze per cercare di tirare fuori quel lato nascosto del suo carattere.
Più volte l’aveva stuzzicata di proposito per osservare la sua reazione, sperando magari in un suo sussulto d’orgoglio; cercava sempre di non darle troppe sicurezze, di lasciarla sempre con l’amaro in bocca in modo che fosse stimolata a lottare per conquistare la sua attenzione.
Superficialmente si convinceva che la ragione per cui manteneva quella relazione con lei fosse il desiderio di appagare il suo ego a fronte dei continui complimenti e degli sguardi adoranti da parte della compagna. C’erano però momenti in cui l’affetto e lo slancio passionale nei confronti di Dalila erano sinceri, momenti in cui Tiziana smetteva di provare pietà o di pensare al proprio tornaconto.
Allora, non negando la sua evidente bellezza, anzi riconoscendola e custodendola gelosamente badando che nessun altro se ne avvedesse, cercava di spronarla a reagire ai soprusi, alle delusioni che le riservava la vita.
Dalila spesso si confidava con lei raccontandole tutti i suoi turbamenti e le ingiustizie che era costretta a subire. Tiziana inizialmente si era mostrata indifferente a quel che l’altra le raccontava, preferendo di gran lunga sfruttarla per appagare i suoi sensi; gradualmente le si era però affezionata.
Non sopportava di vederla così remissiva di fronte ai suoi superiori, perciò aveva cercato, dandole con la propria condotta un esempio pratico, di mostrarle come farsi rispettare.
Dalila non ne era capace, lo sapeva benissimo, non era in grado di ribellarsi; per questo era rimasta stupita dal modo in cui aveva reagito prima.
Non che non ci fossero mai stati degli attriti fra loro, era già capitato che Dalila si chiudesse in se stessa in seguito ad un’umiliazione troppo grande infertale da Tiziana, oppure che delusa dalla continua mancanza di sicurezza che questa le dava, decidesse di starsene un po’ per conto suo. Probabilmente passava il tempo a piangere e commiserarsi, pensava Tiziana.
D’altra parte però doveva ammettere che quell’amorevole lagna le mancava. Avrebbe tanto voluto passare del tempo con lei piuttosto che trovarsi seduta al bar, da sola, a percorrere con la punta del dito il legno del bancone.
 
Arrivò un certo punto della serata in cui le fu difficile sopportare ancora questo distacco e, forse più annoiata che realmente dispiaciuta, scivolò giù dallo sgabello e sgattaiolò nello stanzino.
Spinse piano la porta che l’avrebbe condotta in cucina e sbirciò all’interno per controllare che ci fosse via libera. Siccome vide una cameriera dai capelli corti dirigersi verso il forno a colonna, aprì la porta e domandò:
            -Hai visto Dalila?-
Quella non la guardò nemmeno, troppo impegnata a svolgere il compito assegnatole, ma rispose:
            -Credo in bagno-
            -In bagno? Perché?- fece l’altra, stupita di quella risposta. 
            -E che ne so!- sbottò la cameriera, sciacquando una vasca di posate che dovevano evidentemente servire per il dessert e inserendole una ad una nella lavastoviglie –Secondo te che si va a fare in bagno?-
Ignorando i borbottii della ragazza su persone che invece di lavorare si preoccupavano dei bisogni fisiologici degli altri, proseguì nella sala adiacente e cercò con lo sguardo la ragazza dai capelli ricci.
Non riuscì a distinguerla nella massa di camerieri e perciò si avvicinò ad una porta posta in fondo, conducente ad una stanza adibita a toilette.
Nemmeno il tempo di bussare che la porta si aprì, rivelando una ragazza esile dai capelli raccolti in una coda.
Tiziana notò un rossore diffuso sulle guance di Dalila ed una certa animosità nel suo sguardo, dettagli che scomparirono quando la cameriera si accorse di chi aveva davanti.
Le rivolse un sorriso dolce, ma l’altra parve quasi spaventata perché impallidì e fece un passo indietro.
            -Cos’hai?- chiese.
            -Niente- balbettò lei.
Eppure a Tiziana sembrò che non fosse del tutto sincera, soprattutto dal modo in cui abbassò lo sguardo e cercò di uscire dal suo campo visivo.
Era così impaziente di andarsene che Tiziana dovette trattenerla per una mano.
            -Quanto ti manca ancora per finire?-
Al contrario della risposta vaga e titubante che si aspettava da Dalila, cosa che le avrebbe rivelato come la ragazza desiderasse smettere di lavorare per dedicarsi a lei, la sentì replicare con tono secco.
            -Tra un po’ serviamo il primo dessert. Più tardi, verso le undici, quando porteranno la torta, sarò un po’ più libera-
Detto ciò si divincolò dalla sua presa e senza guardarla per un’ultima volta le voltò le spalle, lasciando Tiziana immobile accanto al tavolo.
Questa la guardò con la fronte aggrottata e ancora incredula per il modo in cui era stata liquidata. Prima ancora che potesse richiamarla, aveva già oltrepassato con passo deciso la porta della cucina.
            -Che cosa fai qui?-
Un timbro di voce basso ed alterato la fece voltare e si trovò davanti nientemeno che Maurizio, il capocameriere.
            -Stavo...-
            -Il tuo posto non è qui! Fila via dalla cucina e non tornare!-
Poteva corrompere i camerieri, i cuochi, ma con lui non c’era molto da fare; onde evitare che la cosa degenerasse troppo e magari arrivasse alle orecchie del maitre, Tiziana pensò di fare come diceva e quindi percorse il tragitto a ritroso con rapidità fino a che non fu al sicuro dietro il suo bancone, al riparo dalle urla di Maurizio.
Una volta che ebbe riacquistato la calma, si fermò a riflettere sullo strano comportamento di Dalila.
L’aveva bellamente ignorata, non si era nemmeno fermata a lamentarsi per il suo comportamento di prima, non le aveva lanciato nessuna frecciatina, se ne era semplicemente disinteressata.
Non l’aveva mai vista comportarsi in quel modo, ragion per cui, turbata, cominciò a domandarsi quale potesse essere la causa di tanta freddezza.
Forse si era offesa a tal punto che aveva deciso di ignorarla? Poteva Dalila giungere ad una soluzione così e radicale?
No, si disse Tiziana scartando quell’opzione, Dalila non era abbastanza sicura di sé per concepire una simile vendetta.
Valutando tutte le precedenti situazioni in cui si era trovata, arrivò ad escludere quella possibilità in quanto troppo inverosimile.
Giunse così alla conclusione che Dalila doveva essere realmente piena di impegni e che non avesse trovato il tempo materiale per fermarsi a parlare con lei; certo un po’ ne era infastidita, ma decise che, se questa era la sua decisione, le avrebbe concesso una piccola vendetta.
 
Non più turbata come prima dal pensiero della reazione di Dalila, Tiziana pensò che avrebbe ignorato le sue proteste per costringerla, più tardi, quando avrebbe sbollito anche gli ultimi residui di rabbia, a mangiare assieme a lei quei cioccolatini e chiarire una volta per tutte quella faccenda.
Si ricordò di averli lasciati in camera e perciò recuperata ancora una volta la chiave si avviò verso l’ascensore. Attraversò il corridoio del primo piano, calpestando il tappeto che copriva il parquet, decorato con motivi orientali e colori caldi; giunse nella rientranza in cui era situata la camera numero cinque e inserì la chiave.
Dopo essersi data un’occhiata intorno per assicurarsi che non vi fossero curiosi, entrò e richiuse la porta alle proprie spalle.
Subito alla sua sinistra aveva il bagno, mentre procedendo in avanti giungeva nella camera da letto. Un armadio enorme e dalle ante scorrevoli era posto sulla parete opposta al letto. Varie lampade diffondevano una piacevole luce all’interno, della giusta gradazione perché illuminasse e conferisse all’ambiente una sensazione d’intimità. Lunghi tendaggi bianchi ondeggiavano, a causa degli spifferi che penetravano dalle fessure, e non permettevano che dall’esterno potesse intravedersi alcunché; Tiziana si diresse proprio verso la finestra e, oltrepassato il letto coperto dal piumone rosso e dorato, scostò le tende per osservare il paesaggio.
Aveva lasciato la scatola di cioccolatini sul comodino e la afferrò distrattamente mentre ancora guardava fuori.
Non c’era il balcone e per poter godere al meglio della visuale Tiziana aprì la finestra e si sporse fuori. Il suo viso incontrò subito una sferzata di vento freddo, ragion per cui abbassò lo sguardo concentrandosi principalmente sulla piscina.
Vi si poteva accedere aggirando l’hotel sulla destra oppure direttamente dalla sala da pranzo; essendo inverno a nessuno veniva in mente di usufruirne, tuttavia era molto frequentata nel periodo estivo e contribuiva a rendere l’ambiente più sfarzoso e sofisticato. Il ricevimento doveva volgere al termine perché alcuni degli invitati, abbottonati in cappotti, passavano il tempo fumando e chiacchierando. Tiziana si concentrò per individuarne qualcuno che conoscesse.
Naturalmente scorse il sindaco, con un’elegante sciarpa lilla annodata attorno al collo e un sigaro piantato in bocca, che discuteva animatamente a suon di gesti e risate con altri due che dovevano essere comunque impresari o assessori comunali. Un gruppetto di signore aveva preso posto attorno ad un tavolino, sfidando il freddo armate di trench, pellicce e foulard colorati; coppie più variegate passeggiavano attorno al perimetro della piscina e l’attenzione di Tiziana fu catturata da un ragazzo molto alto che non sembrava patire la bassa temperatura, poiché indossava soltanto una camicia bianca corredata da una vistosa cravatta rossa.  
Accanto a lui camminava una più esile figura femminile, vestita di bianco e nero, che si spostava ripetutamente i voluminosi capelli dal volto. Lei sì che sembrava a disagio nel camminare accanto all’acqua con quella temperatura, infatti poco dopo il ragazzo le pose sulle spalle la propria giacca. Tiziana sorrise spontaneamente nell’osservare quel gesto tanto premuroso e continuò a seguire con lo sguardo quella coppia finché non si fermarono nei pressi di una siepe.
Strinse gli occhi per distinguere meglio le forme, in quanto le sembrava di aver già visto quel ragazzo da qualche parte e la sua indole pettegola la incitava a scoprire prima di ogni altro quella tresca. Già immaginava la faccia che avrebbe fatto la receptionist quando le avrebbe raccontato che un rampollo di buona famiglia aveva conosciuto un’avvenente ragazza alla festa di san Valentino.
Il ragazzo doveva essere davvero un tipo molto attento alla propria immagine, a giudicare da come teneva i capelli, piuttosto spettinati e lunghi per gli standard a cui era abituata Tiziana; inoltre, almeno da quanto riusciva a scorgere dalla finestra, non portava la barba lunga.
Si soffermò poi sulla ragazza, che immediatamente classificò come carina. L’altezza a cui era posta la stanza, non troppo elevata come quella che toccava il soffitto del ristorante, le permetteva di cogliere anche qualche dettaglio.
Non si era sbagliata, doveva essere proprio una bella ragazza: il sedere alto, un abbigliamento forse troppo semplice per i suoi gusti, la chioma voluminosa e delle movenze aggraziate lo confermavano.
La ragazza, mentre sorrideva con complicità all’altro, pensò che, onde evitare fastidi per il resto della serata, fosse meglio legare i capelli in una coda in modo che non le ostruissero la vista. Così li raccolse in una mano e con l’altra li imprigionò in un elastico.
A Tiziana cadde di mano la scatola dei cioccolatini quando si rese conto che la ragazza altri non era che Dalila.
Ebbe l’impressione che l’immagine di lei che si sistemava i capelli si fosse improvvisamente ingrandita ai suoi occhi e riuscì a distinguere tutti i dettagli, dal castano scuro dei suoi capelli alle lentiggini sulla pelle lattea, dall’uniforme di lavoro alla giacca del ragazzo che utilizzava per ripararsi dal freddo, fino al sorriso che aveva sulle labbra.
Per i primi secondi non riuscì a formulare un solo pensiero né a staccarsi dalla finestra; avvertiva solo un gran sconvolgimento dentro sé che le impediva di collegare le sinapsi e ragionare lucidamente.
Poiché dopo averla riconosciuta si era sporta al limite delle sue possibilità oltre il davanzale, superato il momento iniziale cacciò la testa dentro e chiuse la finestra, continuando però a tenere lo sguardo fisso su quei due, ormai lontani.
Nel vetro vide il suo riflesso con gli occhi sgranati e le labbra schiuse per la sorpresa, si accorse di avere il respiro improvvisamente pesante, come se avesse corso per chilometri, e stando in silenzio poteva percepire il proprio battito cardiaco rimbombare. Avvertiva chiaramente il sangue pompato dalle arterie invaderla ad una maggiore velocità e la carotide pulsare a ritmo sostenuto, in sintonia col suo respiro.
Per il periodo in cui perdurò questo stato di semi-incoscienza si sedette sul letto, respirando aria a brevi fiatate per incamerare ossigeno, dato che la testa le girava un po’.
Passati i cinque minuti di totale disorientamento, riprese la percezione dei sensi e la stanza che prima sembrava quasi vorticarle attorno riassunse i suoi caratteri e colori.
Tiziana fece un respiro lungo e poi, definitivamente in sesto, cominciò a ragionare.
 
Aveva visto Dalila soltanto una decina di minuti prima, aveva notato la sua indifferenza, o meglio il tentativo di sfuggirle senza darle spiegazioni, ma lì per lì non vi aveva dato particolare importanza; aveva creduto che fosse semplicemente oberata di lavoro e volesse svolgerlo al meglio, come suo solito.
Cercò di convincere se stessa di essersi sbagliata, di aver equivocato la situazione, di non aver visto Dalila passeggiare a bordo piscina assieme ad un aitante ragazzo.
Nel momento in cui provò ad alzarsi per tornare alla finestra e realizzare che aveva lavorato troppo di fantasia, scambiando una bella ragazza per la sua amata cameriera, si rese conto di avere una gran paura; non riuscì ad affacciarsi nuovamente, perché sapeva di non aver affatto sbagliato.
Ma come? Dalila non era forse impegnata col ricevimento? Come aveva potuto tralasciare il suo dovere per accettare il corteggiamento di uno sconosciuto qualsiasi?
Eppure prima le aveva assicurato che di lì a poco avrebbe avuto un momento libero. Tiziana sentì nuovamente una sensazione di stordimento invaderla: aveva creduto che quello spazio fosse riservato a lei, quando invece era già stato promesso a qualcun altro!
Solo in quel momento la freddezza insolita con cui era stata trattata assunse un significato e Tiziana si rammaricò di non averla fermata, di non aver insistito!
Dalila non aveva mai dato adito ai corteggiatori, né ai più timidi e nemmeno a quelli più insistenti, aveva sempre cercato consiglio presso la compagna dimostrando di non concepire neanche lontanamente l’idea di poterla tradire con qualcun altro.
Ma allora cos’era successo?
Inorridendo al solo pensiero, Tiziana considerò l’ipotesi che Dalila avesse da sempre ordito simili tresche alle sue spalle, che avesse solo fatto finta di essere la vittima e in realtà fosse stata carnefice sin dall’inizio.
Subito scosse la testa spontaneamente, respingendo quella probabilità. Se ne sarebbe accorta, si disse, se Dalila avesse intrapreso una relazione con qualcun altro. Attenta com’era ai dettagli, non era possibile che potesse sfuggirle un simile tradimento.
Non riusciva a capire il motivo per cui la compagna aveva agito in quel modo.
Mentre si tormentava per arrivare ad una conclusione, le venne in mente il vaffanculo che le era stato rivolto qualche ora prima a denti stretti e volgendo lo sguardo verso la porta della camera rivide la sagoma della ragazza uscire di gran carriera senza guardarla e con tutta l’aria di stare per scoppiare in lacrime.
Trovandosi nello stesso luogo in cui aveva commesso la cosiddetta azione scatenante, sentì il bisogno di alzarsi e camminare, poiché la testa stava ricominciando a girarle.
Così fece, alzandosi in piedi e prendendo a percorrere ripetutamente quel poco tragitto che la separava dalla porta.
Dalila si era arrabbiata con lei e la stava tradendo con un uomo. Era possibile che quella volta avesse passato il limite a tal punto da indurla a compiere un gesto così avventato?
Come poteva essere sicura che non fossero andati a fare semplicemente una passeggiata al chiaro di luna? Come poteva essere sicura che in quel momento non si stessero baciando, credendola completamente all’oscuro di tutto?
Si voltò verso la finestra, ma l’impulso di affacciarsi e controllare fu scacciato di nuovo dalla paura di veder realizzata quella stessa scena. Si disse che non voleva sapere fino a quale segno Dalila avesse intenzione di vendicarsi.
Si domandò quale fosse la cosa migliore da fare.
Fingere indifferenza per valutare poi il suo comportamento? Irrompere nel giardino per umiliarla davanti a tutti?
 
I sentimenti che tormentavano il suo animo in misura maggiore erano la gelosia e la rabbia. Ciò che più di ogni altra cosa la faceva andare fuori dai gangheri era il fatto che non avesse mai dubitato, nemmeno per un momento, della fedeltà di Dalila. Non aveva mai avuto il minimo timore che potesse compiere un gesto così meschino, giocare con i suoi sentimenti a sua insaputa.
L’aveva sottovalutata, forse? Probabile, ma Tiziana era certa che niente avrebbe potuto giustificare quel comportamento. Poteva ammettere di averla mortificata di proposito, ma certo non le aveva mai mancato di rispetto.
Così partendo da questo assunto giunse alla conclusione che la ragazza, per vendicarsi, avesse accettato il corteggiamento del cascamorto di turno. Ne era certa, se qualcosa fra loro era avvenuta, era stata dettata dal desiderio di rivalsa di Dalila, non da alcun improvviso slancio passionale.
Dalila aveva voluto farle uno sgarbo e Tiziana non aveva la benché minima intenzione di lasciar impunita quell’avventatezza.
            -Cosa crede?- si domandò – Che mi abbia provocato qualcosa questa sua sciocchezza? Crede forse che tornerò a supplicarla in ginocchio e le chiederò scusa?-
Tutto le apparve più chiaro e distinto e seppe cosa doveva fare.
 
In tutt’altro luogo e immersa in un’atmosfera ben diversa da quella in cui era scivolata Tiziana, Nives aveva l’impressione di galleggiare, tanto aveva la testa leggera. Non aveva mai trascorso un san Valentino migliore e aveva l’impressione che quella fosse stata una giornata più unica che rara. Solitamente la riteneva una festa patetica, ora le aveva dato l’occasione di conoscere quella splendida ragazza.
Non erano andate oltre il semplice bacio e lei stessa riconobbe che effettivamente sarebbe stato azzardato osare di più, soprattutto perché improvvisamente Dalila era sembrata molto meno sicura di quello che stava facendo.
            -Devo aver bevuto troppo...- aveva mormorato, ritraendosi e massaggiandosi una tempia, come per alleviare un mal di testa.
Ma conscia di non avere a disposizione un’altra occasione, Nives si era sporta nuovamente nella sua direzione, curvandosi per via della differenza di altezza. Una rigogliosa vegetazione aveva contribuito a tenere nascosto il loro incontro, ma dopo un po’ fu annunciata la comparsa della torta e tutti gli invitati si affrettarono a tornare nel salone.
Dalila, udita la notizia, si riscosse e si allontanò immediatamente dall’altra.
            -Devo andare, subito. Sono stata per un’ora fuori dalla cucina! Mi licenzieranno, mi cacceranno!-
Nives sorrise nel vederla così preoccupata e cercò di tranquillizzarla.
            -Ma figurati, non se ne saranno nemmeno accorti- la tirò gentilmente a sé per un braccio, ma la ragazza oppose resistenza.
            -No, no, devo andare-
            -Va bene, allora. Ci vediamo dopo?-
Prima che avesse potuto ottenere una risposta, Dalila le aveva già voltato le spalle e si era incamminata a passo veloce verso la struttura. Nives osservò ancora una volta il suo profilo confondersi con la vegetazione e il buio e si ripeté di essere stata molto fortunata, quella sera.
Più lentamente della cameriera, fece anche lei ritorno nel salone, troppo inebriata dal momento d’intimità trascorso con Dalila per notare le sue reazioni sospette.
O per meglio dire, aveva colto come d’un tratto fosse diventata insicura e come, non appena avessero annunciato il dessert e si fosse ricordata che avrebbe dovuto essere in cucina con gli altri piuttosto che nascosta nei giardinetti ad amoreggiare con una ragazza, avesse subito una sorta di scossa; come se fino a quel momento non si fosse resa conto di quel che stava facendo e il richiamo al dovere l’avesse resa improvvisamente consapevole della realtà; tutto questo però, messo a confronto con l’insperata fortuna di aver attirato l’attenzione di una ragazza così bella e aggraziata, non aveva alcuna rilevanza.
Poteva ritenersi soddisfatta anche così.
Tornò a sedersi assieme ai genitori con un sorriso che le andava da un orecchio all’altro. Suo padre si era allentato la cravatta e sbottonato i primi bottoni della camicia, evidentemente sudato, mentre sua madre si sventolava elegantemente, o con l’intenzione di apparire tale, con un fazzoletto.
            -Mai più, mai più!- affermò lui, poggiandosi allo schienale con l’aria di chi ha appena compiuto uno sforzo immane.
            -E su, che ti sei anche divertito! E poi scusa, che avresti voluto fare, rimanere seduto? Si erano alzati tutti...-
Talmente immersa nel ricordo degli attimi trascorsi precedentemente con Dalila, non seguì una parola del discorso che stavano facendo i suoi genitori. Nives perse del tutto il filo della loro discussione quando alcuni camerieri fecero il loro ingresso nel salone reggendo su un vassoio l’imponente torta, piattini di ceramica e piccole posate. Come dessert, che occupò i seguenti venti minuti del ricevimento, vennero servite fette di torta alle pere e al cioccolato, preludio del più imponente dolce che troneggiava in un angolo della sala, con i camerieri che provvedevano a sezionarlo in modo che bastasse per tutti.
            -Vado un attimo in bagno- annunciò ai genitori, inforcando gli occhiali e alzandosi da tavola.
Costeggiò il margine del salone fino a giungere al portone d’ingresso; lo spinse in avanti e poi lo accompagnò con la mano per evitare che si chiudesse troppo bruscamente.
La diversa atmosfera che regnava nell’atrio, il silenzio completo, rispetto al caos e al chiacchiericcio che prevalevano nel salone, la stordì per un momento; avvertì la testa farsi più leggera, sollevata dal continuo rumore che era costretta a sopportare nel ristorante.
 
Non c’era proprio nessuno nell’atrio, non un fumatore, non un cliente che stesse domandando la propria chiave alla reception, non un ragazzo che avesse ordinato qualche bevanda al bar. Non aveva davvero intenzione di recarsi alla toilette, voleva semplicemente fuggire dal gran fracasso che regnava nel salone, quindi si scelse un divano e vi si sedette, beandosi della morbidezza dei cuscini.
Non avrebbe davvero potuto essere una serata migliore, per Nives; non vedeva l’ora che terminasse la festa, così avrebbe potuto intrufolarsi senza problemi in cucina e concordare con Dalila un appuntamento che avrebbe permesso loro di rivedersi nei giorni successivi.
Mentre pensieri di questo tipo affollavano la sua mente e lei, nel tentativo di distrarsi leggendo i nomi degli alcolici esposti al bar, si era tolta gli occhiali e giocherellava con le aste di colore scuro, sentì dei rumori provenire da dietro una porta di servizio.
All’inizio non vi prestò alcuna attenzione, poi fu incuriosita quando distinse due voci femminili, una più acuta e l’altra più bassa e concitata.
            -Arrivo subito, aspettami!-
La ragazza, che all’inizio della serata Nives aveva giudicato non degna di attenzioni, comparve dietro il bancone e poiché questo era situato proprio di fronte al divano che aveva scelto, ebbe modo di osservarla.
Anche l’altra notò la sua presenza, anzi, dopo aver alzato gli occhi su di lei per la prima volta, le fu difficile smettere di fissarla. Nives si domandò perché la stesse guardando con una tale intensità.
Specialmente, si domandava quale correlazione ci fosse fra il sorrisetto che teneva sulle labbra e l’espressione intensa, quasi maliziosa, con cui la stava guardando.
Nives decise quindi di disinteressarsene e portò lo sguardo sulla tappezzeria del divano. Probabilmente, pensò, la ragazza trovava divertente il suo aspetto androgino. Era abituata a questo genere di prese in giro, tuttavia non avrebbe mai potuto decidere di mostrarsi un po’ più femminile: non si riconosceva affatto, come donna, non sentiva propri i lineamenti delicati e le movenze aggraziate che, nonostante avesse cercato di nascondere, di tanto in tanto emergevano; guardava il proprio corpo nudo di fronte ad uno specchio e non si riconosceva in se stessa. A volte aveva l’impressione di essere intrappolata in un’identità che non era sua, quasi fosse stata un uomo costretto a risiedere in un corpo da donna. Quel modo di acconciarsi rappresentava dunque l’unica maniera che le permetteva di sentirsi a proprio agio con se stessa. Perfino sua madre si era rassegnata, capendo che evidentemente la figlia non riusciva proprio a farsi piacere un abbigliamento più femminile; perciò non le importava nulla dei commenti che avrebbe potuto fare la gente, o almeno, vi aveva fatto l’abitudine tanto da non darvi più peso. Considerava questa maturata indifferenza un traguardo molto importante.
 
Tuttavia Nives si era sbagliata, suo malgrado.
La ragazza del bar non era interessata al suo abbigliamento, non era questo il motivo che la induceva a tenere un sorrisetto strafottente sulle labbra.
            -Dai, sbrigati!- un’altra ragazza, a giudicare dal tono di voce, le si avvicinò, ma rimase nascosta dietro l’erogatore di birra.
Quel tono di voce sembrava familiare a Nives, ma non poteva dire chi fosse senza conoscerne il profilo; fece finta, poggiandosi col gomito sul bracciolo del divano, di osservare la piccola fontana che ripetutamente spruzzava getti d’acqua, mentre con la coda dell’occhio teneva sotto controllo la ragazza al bancone.
Era sicura di aver attirato la sua attenzione, che prima l’avesse guardata con aria strana, perciò stava attenta a quel che faceva.
La ragazza del bar prese per mano l’amica e la sistemò con le spalle al bancone, di modo che per eventuali osservatori fosse visibile soltanto la sua schiena. Il modo in cui l’aveva intrappolata col suo corpo parve già sospetto a Nives, sensazione confermata dal bacio che l’altra ragazza le poggiò sulle labbra.
La curiosità fu più forte di lei e voltandosi maggiormente col viso poté identificare la ragazza che, capelli raccolti in una coda, stava seduta su uno sgabello a bearsi delle attenzioni della barista.
Nives ebbe l’impressione che il suo cuore avesse mancato un battito nel constatare che quella ragazza altri non era che la cameriera con cui aveva trascorso i precedenti minuti.
Era proprio così: Dalila era seduta con le spalle rivolte all’atrio e non aveva occhi che per l’altra; chiacchieravano a bassa voce di qualcosa.
Tiziana si disse che non avrebbe potuto sperare in circostanze migliori: quell’ingenua della sua partner non si era accorta di star facendo il suo gioco e quel ragazzo, che dopo una più attenta analisi aveva scoperto essere una donna, pareva pietrificato.
Nel riconoscerla Nives aveva bruscamente voltato il collo e aveva avuto l’impulso di alzarsi e dire qualcosa. Ma il modo in cui l’altra ragazza aveva a quel punto circondato i fianchi di Dalila e aveva preso a parlottarle in tono confidenziale, l’aveva resa immobile.
            -Mi dispiace tanto per prima- disse a voce più alta Tiziana, con l’intento di farsi sentire.
Nives poté solamente cogliere un borbottio in risposta da parte di Dalila, che suonava tanto come un “non importa”.
            -Buon san Valentino, amore-
Detto ciò Tiziana si preoccupò di unire le loro bocche in un bacio piuttosto passionale, ben sapendo le sensazioni che stava provocando nella spettatrice.
Alla vista di quel bacio Nives avvertì le proprie viscere prendere magicamente vita e annodarsi l’una con l’altra provocandole una spiacevole sensazione. La bocca le divenne secca e se qualcosa precedentemente le aveva suggerito che avrebbe fatto meglio ad alzarsi ed andarsene, in quel momento, in cui sarebbe stato opportuno onde evitare di essere scoperta, non riuscì a muovere alcun muscolo.
La sua mente continuava a suggerirle di sfuggire quella visione, tentando di rimediare alle palpitazioni furiose del muscolo cardiaco e all’improvvisa confusione che in lei si era scatenata, ma le membra di Nives sembravano esser diventate d’un tratto pesanti, essere state paralizzate e per quanto si sforzasse non riusciva a staccare gli occhi da quella scenetta.
Il suo stato d’animo sorpreso, confuso, geloso e stordito doveva ben riflettersi sul suo volto, perché Tiziana sciolse l’abbraccio e, improvvisamente brusca ma consapevole di quel che stava facendo, aggrottò le sopracciglia e domandò:
            -E tu che cazzo hai da guardare?-
Fu inevitabile che Dalila si voltasse, inizialmente imbarazzata e preoccupata per essere stata colta in quella situazione. Ma quando si accorse che era proprio Nives l’intrusa, ebbe l’impressione di sentirsi morire.
Colse negli occhi dell’altra al contempo delusione e rabbia e fece un movimento nella sua direzione, come per volersi avvicinare e spiegarle.
Ma Tiziana, che aveva ben notato il loro scambio di sguardi, avendo previsto ogni cosa, le domandò:
            -Chi è? La conosci?-
Anche Nives si alzò in piedi, stavolta incapace di star lì ferma ad osservarle, e continuò a tenere lo sguardo fisso su Dalila.
Tiziana sapeva benissimo quali erano i sentimenti che si agitavano nell’animo della sua amata: confusione, terrore, imbarazzo, una sensazione di soffocante responsabilità a cui non era abituata.
Lei dal canto suo sembrava esser diventata ancora più pallida e aver perduto l’uso della parola. Contemporaneamente all’espressione di Nives avvertì anche la presa decisa e possessiva che Tiziana esercitava sui suoi fianchi. Questa si sporse in modo da guardarla negli occhi e le domandò di nuovo:
            -Allora? La conosci?-
Non aveva il minimo dubbio sulla risposta che avrebbe dato Dalila. Quella ragazza, qualunque fosse il suo nome e qualsiasi cosa avesse precedentemente detto alla sua amante, non aveva nemmeno la più remota possibilità di spuntarla a suo sfavore.
Tiziana conosceva bene Dalila ed aveva pianificato tutto in modo da ottenere a sua volta una rivincita schiacciante nei suoi confronti. Dalila non poteva opporsi al suo volere, non era capace di schierarsi apertamente contro di lei; per quanto potesse esser rimasta delusa in precedenza, non avrebbe mai avuto il coraggio di spezzare il legame che le univa.
            -No, non so...- scosse piano la testa, lo sguardo sempre fisso su Nives, in un gesto quasi automatico.
Fu allora che Tiziana si concesse un sorriso trionfante e, afferratole il mento con una mano, ricongiunse le loro labbra, riservando a Nives un’occhiata altezzosa.
 
            -Però è stata una bella festa, no?-
            -Ho mangiato così tanto che mi meraviglio non siano saltati i bottoni dei pantaloni-
Nives era nuovamente seduta sul sedile posteriore dell’auto di suo padre, gli occhi fissi su un punto imprecisato del paesaggio e le mani che tormentavano distrattamente la cravatta rossa.
Sentiva la testa appesantirsi e prevedeva fosse in arrivo un gran mal di testa, perché le voci dei suoi genitori sembravano provenire da molto lontano, quasi fossero solo l’eco della realtà esterna a cui in quel momento non voleva prestare attenzione.
Non sapeva nemmeno dove avesse trovato la forza di alzarsi, andarsene via e camminare fino alla macchina senza inciampare o sbattere da qualsiasi parte. Le era sembrato che i suoi sensi non riuscissero più a percepire quello che le stava intorno, che le voci fossero solo un rimbombo, che ciò che vedeva facesse parte di un’altra realtà, che i propri arti lavorassero meccanicamente per condurla dove lei non aveva programmato.
Era stata come trascinata via forzatamente da quell’atrio senza che ne avesse la volontà e la forza. Se ci ripensava, riusciva a ricostruire perfettamente la scena nella propria mente: Dalila che la notava e poi, incalzata dall’altra ragazza che, a quel punto, Nives aveva classificato come la sua ufficiale fidanzata, dichiarava di non conoscerla.
Strinse le labbra e strizzò gli occhi perché non le sfuggisse nemmeno una lacrima. Ricacciò forzatamente il groppo che le era salito alla gola e l’unico pensiero che le riuscì di formulare fu “non è giusto”. Non si fa così, non è giusto, ripeteva nella sua mente con forza, come se avesse potuto urlare in faccia a Dalila quelle parole.
A che scopo ingannarla in quel modo, per quale motivo aveva deciso di umiliarla così? Che cosa le aveva fatto? Qual era stata la sua colpa?
Nives aveva provato a farsi avanti con lei, ma se Dalila non le avesse fatto capire che era disponibile non si sarebbe mai sognata di fare nulla. Era stata lei a permetterle di avvicinarsi e baciarla, nascoste dietro una fitta siepe del rigoglioso giardino e allo stesso modo, più tardi, era stata lei a dichiarare di non averla mai vista.
Ferita e umiliata, così si sentiva Nives; soprattutto non riusciva a capire quale fosse stato il suo sbaglio, quale colpa avesse mai commesso perché le venisse inflitta una simile punizione.
Aveva creduto che quella sarebbe stata una serata per lei memorabile, ma in tutt’altro senso.
E qual era il ruolo in tutto ciò della ragazza posta al bar?
Non le aveva mai parlato né prestato attenzione, ma aveva avuto l’impressione che fosse di indole malvagia; l’aveva classificata come una voltagabbana, calcolatrice, istigatrice della ben più semplice ed innocente Dalila.
Questo, si domandava: cosa aveva da spartire una ragazza come Dalila con una meretrice del genere?
Questo aveva voluto dimostrarle, col suo atteggiamento? Aveva voluto umiliarla e dimostrarle di averla sconfitta?
Triste, con gli occhi a tratti inumiditi, quando sua madre le domandò se si fosse divertita non ebbe esitazioni a rispondere:
            -Per niente. La prossima volta lasciatemi a casa, per favore-
Torcendo il capo per osservare la sagoma imponente dell’hotel illuminato a festa, pensò che certamente non vi avrebbe fatto più ritorno.
 
Mangiare dei cioccolatini non era mai sembrato più soddisfacente, per Tiziana. Sdraiata sul letto in compagnia della sua cameriera preferita, stava con la testa poggiata sulla mano a guardare la compagna consumare uno dopo l’altro quei quadratini di cioccolata.
Era proprio così che si sentiva in quel momento, totalmente soddisfatta. Aveva riavuto Dalila accanto, aveva dato una lezione a quell’intrusa sconosciuta che aveva osato circuire la sua amante e si era contemporaneamente presa la sua rivincita.
Comandava di nuovo lei e aveva fatto in modo di ricordare a Dalila come non le fosse permesso ribellarsi.
Scoprì di provare una certa tenerezza nei suoi confronti: immaginò la sua rabbia confusa, il suo piccolo desiderio di rivalsa, di vendetta nei suoi confronti, il suo privato sussulto di orgoglio alimentato dal corteggiamento di quella ragazza. Poteva immaginarla arrossire ai suoi complimenti, rispondere in maniera vaga alle sue avances e poi, nel rivederla, prendere la decisione di compiere quel gesto avventato.
Osservando Dalila in quel momento, sdraiata accanto a lei e totalmente all’oscuro di quel che le passava per la mente, così mansueta e assoggettata e facendo il confronto con la Dalila fredda e sfuggente, chiaramente animata da sentimenti di orgoglio e vendetta, le venne quasi da ridere.
La divertiva, quel misero tentativo, forse dettato dal desiderio di emulazione nei suoi confronti. Forse Dalila aveva voluto provare ad essere come lei e questo pensiero non poteva che aumentare il suo compiacimento.
Mentre le stava attorcigliando i capelli attorno ad un dito, Dalila domandò:
            -Ti sei annoiata molto, durante la festa?-
Tiziana decise di non rigirarle la domanda, quindi rispose:
            -Solo un po’. È molto meno divertente, quando non posso vederti-
Dalila sorrise e le sue guance si imporporarono. Tiziana si abbassò per baciarla.
Aveva deciso di non rinfacciarle il tradimento e di tenerla all’oscuro della sua scoperta, perché riteneva di aver già ottenuto la propria vittoria.
Quando le aveva domandato se conoscesse quella ragazza dai capelli corti e l’aveva quasi costretta a negare, aveva potuto cogliere ogni briciola del suo senso di colpa. Dal modo in cui Dalila l’aveva seguita con lo sguardo finché questa non era rientrata nel salone, dall’aria terrorizzata e dal pallore che aveva assunto, aveva potuto capire quanto fosse all’interno devastata per quel che aveva fatto.
Dalila non avrebbe mai potuto fare del male a nessuno, perciò quale punizione poteva essere per lei migliore che obbligarla a comportarsi in quel modo?
Aveva preso consapevolezza di quel che aveva fatto, rinnegando l’altra ragazza, e ne era rimasta scombussolata, quasi disgustata.
Tiziana non era minimamente preoccupata circa la felicità della sua amante, dando per scontato che non potesse raggiungerla senza di lei. Quello era stato solo un capriccio, Dalila non era realmente intenzionata a spezzare il loro legame.
Smise di baciarla e si posizionò sopra di lei, facendo intrecciare le proprie gambe con le sue. No, non nutriva alcun dubbio in merito: ciò le era assicurato dal modo in cui l’amante la guardava, quasi trasognata e infinitamente grata per quelle sensazioni.
            -Mi ami?- le domandò Dalila.
            -Sì-
Tiziana rispose senza alcuna esitazione. L’unica certezza di cui aveva bisogno era sapere che Dalila non l’avrebbe mai preferita a nessun’altra. Questo, in verità, era ciò che maggiormente l’appagava.
 
   
 
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