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Autore: La Signora in Rosso    28/03/2011    9 recensioni
"...senza quel dannato pomeriggio non sarebbe incominciato nulla."
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutte! XD
Eggià, sono nuovamente qui a tediarvi con i miei esperimenti.
Se invece c’è qualche anima pia che è ben felice di leggere il nuovo capitolo, la ringrazio con tutto il cuore.
Mi scuso del ritardo, lo so che ci ho messo una vita, ma il mio pc aveva deciso di prendersi una vacanza, e ho dovuto aspettare il suo ritorno. XD

Ovviamente, di tutto questo non mi appartiene nulla, e che gran peccato.
Buona lettura, mie anime pie ;)
Baci








Anche quella notte Gerard la passò pensando.
Non aveva nemmeno tentato di distrarsi leggendo un libro, o uno dei suoi adorati fumetti… no.
Sapeva che sarebbe stato inutile. Semplicemente, appollaiato sul suo punto prediletto del cornicione, osservò il nero più nero della notte scemare in un blu sempre più leggero e dorato, finché da dietro gli alberi del viale non era spuntata la prima luce del giorno.
Ma era sabato, nessun Mike in mutande lo avrebbe svegliato con l’incitazione di una ragazza pon-pon.
Nessuno avrebbe interrotto il fiume dei suoi pensieri.
Il sabato mattina si dormiva fino a tardi… solo i loro genitori continuavano la routine dell’alzataccia delle 6.30 per raggiungere, mai abbastanza riposati, il posto di lavoro.

Aveva sentito tutti i rumori tipici della mattina e poi osservato la coppia prendere ognuno la propria macchina e intraprendere due strade opposte.
Non avevano minimamente prestato attenzione alla finestra spalancata della camera del figlio più grande.
Se per i vicini era normale vederlo lì, a gambe penzoloni, loro non avevano il minimo sentore di quella strana abitudine.
E dire che abitavano sotto lo stesso tetto.

Ora in casa regnava il silenzio.
Non c’era più il leggero russare di suo padre, i colpi di tosse continui dovuti al fumo di sua madre, il gorgogliare del caffè, le tazze posate sul tavolo, l’acqua del rubinetto del bagno, le sottili imprecazioni per il filo prontamente tirato di quelle calze velatissime, i tacchi sul parquet, lo schiocco di un bacio sulla guancia per augurarsi una buona giornata appena prima di stendere il rossetto color pesca.
Non si sentiva più nulla.
E Gerard si sentì oppresso da quel silenzio.
Non poteva tollerarlo oltre.
Ancora vestito dalla sera prima, scrisse un biglietto per il fratello, nel caso si fosse svegliato, e infilate le cuffie dell’i-pod nelle orecchie, uscì di casa.
Le suole in gomma delle scarpe battevano ritmate il marciapiede.
Erano i piedi che decidevano dove andare, si lasciavano trasportare dalla musica. E lui si faceva portare da loro.
Con la mente immaginava luoghi lontani, dove nessun Gerard aveva salvato nessun Frank da nessun barista maniaco.
No, la visione non gli piaceva.
Immaginava luoghi lontani dove un Gerard diverso e un Frank diverso ridevano tranquilli seduti in un bar, di fronte a una tazza di caffè, la pioggia che batte sulle finestre.
La sua mente gli diceva che non gli sarebbe dovuta piacere nemmeno quella visione… ma chi era la sua mente per comandare al suo cuore?
Quel piccolo muscolo che in quel momento aveva preso a battere forte contro le sue costole, e quasi le sentiva vibrare di questi colpi forti e decisi.
No, la sua mente non era nessuno.

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Frank aveva appena letto il biglietto quando la musica trascinò i piedi di Gerard indietro verso casa.
Ma questa era solo una scusa. La musica porto il ragazzo nell’isolato successivo, quell’isolato che aveva percorso appena poco tempo addietro alla ricerca della casa di Frank.
Non se ne accorse subito.
Non se ne accorse affatto, a dir la verità.
Così non colse l’occasione che il destino aveva riservato per lui, e le note di un’ultima canzone lo riportarono definitivamente verso casa.

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Dire che fosse preoccupato era riduttivo.
Era talmente preoccupato che tentò un altro gesto non da lui: senza far rumore entrò nella stanza del fratello, e con tocco leggerò sfilò il telefono dalla tasca dei suoi jeans, abbandonati malamente in un angolo. Un attimo dopo erano nuovamente al suo posto.
Gerard uscì con un pezzetto di carta minuscolo in mano: sopra di esso, scarabocchiato con un pennarello rosso fuoco, era scritto il numero di telefono di Frank.
Raggiunse poi la finestra, e con mani tremanti compose il numero.
Suonava libero.
Un tut-tut infinito.
E poi la voce della segreteria telefonica.
Delusione.
La preoccupazione che aumentava ogni minuto di più.
Chiamò nuovamente, per cinque volte, una dopo l’altra. Niente.
Il suo sguardo apprensivo puntato verso la casa dell’altro.

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Mentre il suo cellulare squillava, Frank era sotto la doccia.
L’acqua calda si sarebbe confusa con le lacrime che continuavano a scendere ribelli dai suoi occhi ciechi, il vapore gli avrebbe riempito la testa, non lasciando più spazio ad altri pensieri.
Le parole di quel bigliettino, però, gli rimbombavano ancora nelle orecchie. La doccia non stava facendo alcun effetto.
Fu solo dopo che ebbe consumato tutta l’acqua che decise di uscire, di andare in cucina e fare colazione.
Ma nonostante la sbornia delle sera prima, non aveva fame. L’idea di farsi un caffè gli rivoltava addirittura lo stomaco.
E tremava. Forse era una conseguenza della doccia bollente, se ne convinse.
Salì e le scale e buttò l’asciugamano bagnato sul letto sfatto, notando con la coda dell’occhio una luce leggera che si spegneva sul comodino.
Si era completamente dimenticato di possedere un cellulare.
Ancora nudo lo prese e premette un tasto per illuminare lo schermo: 5 chiamate da Numero Sconosciuto.
Cinque?
Senza pensare abbassò il pollice sulla cornetta verde e fece partire la chiamata.

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Gerard non era una persona paziente.
Stava per chiamare di nuovo quando il cellulare incominciò a squillare. Sulla schermo la scritta FRANK identificava chi stava dall’altra parte.
Aveva abbastanza coraggio per rispondere? Sì, ne aveva.

Tutto poteva aspettarsi, meno che Gerard.

- Ehm, pronto? –
- …. –
- Scusa, ho ricevuto cinque chiamate da questo numero, ma non so… -
- Ciao… scusa… sono… Gerard. –
- … -

Adesso era il suo turno di tacere.
Ma anche di sperare.

- Ehm, ciao… -
- Volevo sapere come stavi, ecco… -
- Meglio, grazie… -

“Frank, forse dovresti ringraziarlo anche di qualcos’altro…”

- Frank?... –
- Eh? Ah, grazie per… ieri sera… e per la macchina… -

Un silenzio imbarazzante scese tra i due.
Ognuno poteva udire il respiro veloce dell’altro, senza però darne il giusto peso.

-… Figurati. Io… passavo di là… ehm… volevo chiederti se ti andava di andare a prendere un qualcosa assieme oggi… magari per pranzo… -

Frank non sapeva come rispondere.
Gli andava?
Certo che gli andava. Ma c’era qualcosa che gli bruciava ancora dentro e che lo rendeva restio ad accettare.
Ma poi… poi Gerard, pensando di non essere udito, sussurrò qualcosa tra sé e sé, un tiprego-tiprego veloce e bassissimo.

- Sì, mi andrebbe… ehm… dove preferisci? –
- Ehm, facciamo che ti vengo a prendere io. Ok? Perché… ecco… non mi andrebbe di farti guidare oggi……. –

Gerard aveva una voce diversa ora, più pulita e serena.
Era ancora tremendamente nervoso, ma forse quel giorno si sarebbe avverata la visione felice che aveva avuto quella mattina.
E questo non poteva non riflettersi in ogni suo gesto, in ogni sua parola, in tutto il suo essere.

- Ehm… ok. Grazie. Ci vediamo tra un po’ allora… tipo… mezz’ora? –

Nella voce di Frank invece si coglieva una disperata aspettativa, ma anche paura, paura di aver osato troppo.
Lui non vedeva l’ora di incontrarlo. Era forse lo stesso anche per Gerard?

- Certo. Ci vediamo dopo. Ciao. –

E riappese.
Entrambi tremavano, uno in piedi di fronte alla finestra, l’altro ancora nudo in mezzo alla camera da letto.
Entrambi avevano una speranza.
Per entrambi la nebbia grigia che li opprimeva si era alzata un po’ per lasciar posto a un raggio di sole.
  
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