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Autore: MeggyElric___    29/03/2011    6 recensioni
Il seguito della mia ormai conclusa GOLD IN THE BLUE, è ambiantata circa 18 anni dopo.
"Eppure, per quanto segreto e rinchiuso in antiche immagini, ecco che un lume dai riflessi saettanti torna a fare capolino nella mente, ultimo breve ma bruciante graffio a un cuore ormai dolorante.
E una luce, un sole che più non esiste, torna a splendere, come se non si fosse mai estinto. Ed ecco piombare su di lui, e sul suo respiro pesante e saggio, temprato da mille avventure, una pioggia battente colma di rimorsi e parole ormai spente, illuminati da un barlume che pareva troppo lontano per essere raggiunto, ma allo stesso tempo così vicino da poterlo sfiorare, allungando un braccio al cielo, come a tentare di catturare una stella.
Una luce senza tempo."
Spero davvero in un altro successo :) Buona lettura!
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio, Winry Rockbell
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Heilà, salve a tutti! Mi scuso per aver aggiornato con un giorno di ritardo, ma ho la febbre abbastanza alta e ieri davvero non riuscivo nemmeno ad alzare la testa dal cuscino. Ringrazio di cuore ogni persona che ha lasciato una recensione! :D

Ora, dato che sto crollando sulla tastiera –ho ancora quella stramaledetta febbre >.< - i lascio all’ultima parte del prologo di questa storia.

Buona lettura! ^^

 

 

 

PROLOGO: TUFFO NELLA MEMORIA (PARTE 3)

Un fruscio ormai scomparso, in una casa avvolta in un velo di ricordi nascosti, accompagnato da quell’essenza polverosa che aleggiava nelle memorie più profonde e gettava, a grandi manciate, sale sulle vecchie ferite che il passato aveva inflitto senza pietà al suo cuore.

Eppure, per quanto segreto e rinchiuso in antiche immagini, ecco che un lume dai riflessi saettanti torna a fare capolino nella mente, ultimo breve ma bruciante graffio a un cuore ormai dolorante.

E una luce, un sole che più non esiste, torna a splendere, come se non si fosse mai estinto. Ed ecco piombare su di lui, e sul suo respiro pesante e saggio, temprato da mille avventure, una pioggia battente colma di rimorsi e parole ormai spente,  illuminati da un barlume che pareva troppo lontano per essere raggiunto, ma allo stesso tempo così vicino da poterlo sfiorare, allungando un braccio al cielo, come a tentare di catturare una stella.

Una luce senza tempo.

Era da un po’ di tempo, settimane, forse mesi, che in quella casetta, persa tra le campagne di Resembool e incorniciata da campi dal vago odore familiare, vibrava una strana atmosfera, come se un ulteriore segreto si fosse legato alla catena di bugie che aveva attanagliato Edward a una verità irrivelabile, verità che  premeva sulla sua gola, e alla bocca dello stomaco, come se tentasse di sfuggire al suo controllo.

Sulla sua lingua, indecisa, pronta a rivelare tutto a quella famiglia che aveva sempre desiderato, s’impastava un vago sapore vissuto, come se già sentisse tra i suoi denti il ferroso gusto del sangue, che già troppe volte aveva visto scorrere in passato, forse – anzi, quasi sicuramente – per colpa di ciò che stava tenendo nascosto ai suoi figli.

Per proteggerli, così si ripeteva sempre. Eppure, l’immagine di quella luce ormai lontana, di tutti i sacrifici che aveva dovuto tollerare, continuava a trafiggergli l’anima, mostrandogli scene inesistenti, frutto della sua fantasia, e che forse – forse – in qualche modo, avrebbe potuto attribuire alla realtà.

Ed ancora, un mare di dubbi, nel veder trasparire da quella porta chiusa, a quell’ora tarda della notte, uno spiraglio di luce caldo e tremolante, come la fiammella d’una candela, o una lanterna ad olio. Una diversa fitta al cuore che Edward, forse, non avrebbe mai dovuto ignorare.

E così passavano i giorni, e quella luce, che tanto lo faceva viaggiare indietro nel tempo, rendendolo nuovamente bambino, quando con Alphonse studiava l’alchimia, continuava rimanere accesa, tanto che, ad un tratto, l’ex alchimista dovette auto convincersi che, probabilmente, non stava accadendo niente, e che quella luce – così ben definita, reale – non fosse altro che una proiezione della sua mente, indebolita da quei pensieri.

Però, nel suo cuore, sapeva fin troppo bene che qualcosa, prima o poi, sarebbe cambiato, spezzando quella luminosa felicità che sembrava tanto falsa ai suoi occhi.

-          “La pietra divina che distrusse Xerxes in una sola notte”.

Citò la biondissima Rosalie, sfiorando con ammirazione ed estrema attenzione la pagina ruvida di quel libro sgualcito, probabilmente ancora più vecchio e malandato dell’amatissima palandrana rossa di suo padre.

Daniel, sdraiato sul letto e intento a rimirare il soffitto, voltò il viso verso la sorella, aggrottando un sopracciglio. Rosale non se ne accorse, continuando ad osservare il libro, affascinata.

-          La pietra divina...

Biascicò, con gli occhi che brillavano dall’emozione e dalla curiosità.

-          La “pietra divina” te la darà in testa papà se scopre che hai rubato quel libro dal cassetto segreto della libreria dello zio.

-          Non l’ho rubato.

Sbottò la biondina, irritata da una simile affermazione, sebbene non fosse esattamente infondata. Esibì un sorrisetto arrogante al fratello, che, scuotendo il capo, si chiese se davvero potesse essere così tremendamente fastidioso il modo di fare di una bambina di dieci anni come Rosalie.

-          L’ho soltanto preso in prestito.

-          Senza chiedere?

-          Santo cielo, come sei noioso! Lo zio capirà.

-          Oh, certo. E capirà sicuramente anche perché sei andata a mettere il naso nella “zona proibita”.

-          È solo un cassetto, Dan. Uno stupido cassetto.

-          Ma uno stupido cassetto proibito.

-          Proibito. Non era nemmeno chiuso a chiave.

-          Sì che lo era, ma tu lo hai aperto.

-          Dettagli, dettagli.

-          Rose, ascoltami! Ti conviene riportare quel libro dove l’hai trovato.

-          Insomma, Dan. Sei sempre più noioso. Solo perché hai due anni più di me ti senti così potente da pensare di potermi impartire ordini?

-          Era un consiglio, non un ordine, sorellina.

-          Beh, un consiglio che non ho intenzione di seguire.

-          Però dovrai farlo, non discutere.

-          Vedi? Avevo ragione, era un ordine. Ti tradisci da solo, fratellone.

Daniel si alzò di scatto dal letto, afferrando l’orologio d’argento che suo padre gli aveva donato quand’era piccolo. Lo portò proprio davanti allo sguardo, seguendo le lancette che ticchettavano infinitamente, liberate dalla copertura superiore. Avvicinò di più il viso, perdendosi in quei riflessi metallici, accorgendosi che quell’argento era talmente lucido da potercisi specchiare.

Sentì un fruscio lieve, e si  accorse che la sorella stava ancora sfogliando l’antico volume con enorme disinteresse per il discorso appena concluso. Daniel sbuffò, esasperato.

-          Senti.

Grugnì, il viso nascosto tra i ciuffi di capelli dorati che, dispettosi, giocavano sulla sua fronte, sulle sue guance, creando un gioco di ombre che ritoccava il suo sguardo intenso con una pennellata di serietà. Notando l’indifferenza di Rosalie, si allontanò di lei, grattandosi il capo con fare stizzito.

-          Fa’ un po’ come vuoi.

-          È ovvio.

Acconsentì lei, con un tono che superava di gran lunga la soglia dell’arroganza.

-          Crescerai mai o sei fermamente decisa a comportarti per sempre da bambina? Penso che a dieci anni tu possa evitare di rispondere così.

-          Ma senti un po’, e tu quanti anni hai, quaranta?

-          Piantala, Rosalie.

-          “Piantala, Rosalie.”

-          Sei davvero una bambina! Ora se papà dovesse...

-          Ma sentilo, che uomo. Mi ha appena dato della bambina e vuole subito correre a fare la spia a paparino. Oh, ma che paura!

Mimò, scuotendo le mani. Il dodicenne sentì il sangue ribollirgli nelle vene. Istintivamente, strinse i pugni, quasi a fermare se stesso dal gettarsi sulla sorella e ucciderla a suon di calci e pugni. Tremò dall’esasperazione.

-          Io non ho detto che farò la spia.

-          Sarà, comunque, io sì. È questo che conta, no?

-          Egocentrica fino alla morte, eh?

-          Umph. Idiota.

-          Dimmi.

-          Che cosa?

-          Che cos’è questa “pietra divina”?

-          Perché dovrei risponderti. Tutto ciò non t’è mai interessato, giusto?

-          Sbagliato. Dio, Rose. Quanto sei scorbutica.

-          E tu noioso.

-          Lo sei anche tu, dato che l’hai ripetuto già tre volte. Avanti, di cosa parla quel libro?

Rosalie incollò nuovamente gli occhi sulla pagina, accantonando la domanda del fratello. Si mordicchiò il labbro inferiore un paio di volte, leggendo di volata ogni più flebile parola che sfilava sotto il suo sguardo di zaffiro. Daniel seguì i suoi movimenti, aspettando una risposta.

-          Dan, mamma e papà ci nascondono qualcosa.

-          Eh?!

-          Anche lo zio Al, la zia May. E forse anche la nonna!

-          Tu... tu sei fuori di testa! Che cosa stai dicendo? E cosa centrano loro con quel libro?

-          Ma tu non ascolti mai i loro discorsi?

-          Che cosa? Certo che no!

-          Umph. Sei davvero sicuro di essere mio fratello?

-          Ah, senti un po’. Mi hai letto nel pensiero.

-          Idiota.

-          Allora, Rose. Vuoi dirmi una volta per tutte di cosa parla quel libro?

-          È una cosa che, per qualche motivo, ci stanno nascondendo...

-          Che cosa? Rose, guarda che ti ho fatto una domanda!

-          ...Avevo già sentito questa parola, ma non pensavo che fosse...

-          La vuoi piantare di dire frasi prive di qualunque tipo di logica?

-          ... Quei cerchi sul pavimento...

-          Non dirmi che li disegni ancora!

-          ... papà!

-          Papà?! Insomma, Rosalie, mi stai ascoltando?

-          Daniel...

-          A quanto pare no.

-          Hai mai sentito parlare...

Si fermò, assottigliando gli occhi celesti e osservando lo spazio circostante per assicurarsi che nessuno stesse origliando. Daniel, dal canto suo, la osservò, confuso.

-          ... dell’alchimia?

Per un lungo istante, il silenzio invase la stanza. Solo il respiro dei due spezzava quella quiete quasi irreale. Improvvisamente, Daniel espulse l’aria che teneva nei polmoni in un lungo sospiro, accompagnato da un gemito scocciato.

-          Sei senza speranza.

-          Cosa?!

-          Rosalie, smettila. Riporta quel libro dove l’hai trovato.

-          Daniel, non...

-          Piantala. Ti stai immischiando in affari che non ti riguardano, perciò ti conviene liberarti di questa “alchimia”, o quello che è.

-          Ok, ok. Riporterò il libro al suo posto appena dopo mangiato.

-          Promesso?

-          Certo... promesso.

-          Bene.

-          Bene.

Rosalie roteò gli occhi azzurri, richiudendo irritata il libro e picchiando la mano sulla copertina rigida e ricoperta da un velo di polvere. Arricciò le labbra, non appena udì la squillante voce della madre chiamarli entrambi in cucina. Poté udire in seguito anche un rumore metallico e la voce adirata di Winry avventarsi con violenza sulla testa sanguinante del marito che aveva osato negare alla meccanica l’ordine di apparecchiare la tavola.

-          Arrivo.

Disse, alzando la voce, all’ennesimo richiamo di Winry. Suo fratello era già sparito, così fece per alzarsi dal letto, quando il libro, in bilico sul bordo del letto, non cadde a terra, producendo una nuvoletta polverosa. La bambina allungò un braccio per afferrarlo, svogliata, quando si accorse che, nel precipitare, il volume si era aperto all’incirca sulla metà.

Si guardò intorno, accigliata, mentre l’ultimo richiamo della madre giungeva alle sue orecchie. Ma lo ignorò, concentrandosi sul debole raggio di sole estivo che illuminava appena il titolo del capitolo che si trovava davanti ai suoi occhi. Con un gesto veloce, strappò la pagina, nascondendo poi il libro sotto il letto.

Osservò con rapidità la pagina rovinata, gettandola poi con noncuranza nella tasca dei corti pantaloncini neri.

-          “Trasmutazione Umana”.

Mormorò, prima di sparire nell’ombra del corridoio al di fuori di quella stanza che, da quel momento, custodiva un segreto importante, anche se ancora lei non lo considerava tale. Il ricordo di una pagina strappata che, di sicuro, avrebbe cambiato per sempre la sua vita.

 

@#@#@#@#@#@#@#@#@

 

Era passata ormai quasi una settimana da quando Rosalie aveva strappato furtivamente la pagina di quel libro, che al momento si trovava al sicuro nella libreria di Alphonse. Nessuno poteva essersi reso conto di nulla, nonostante lei si estraniasse sempre più spesso dalla vita familiare, per concentrarsi su quel vecchio pezzo di carta.

Rosalie si passò incurante una mano tra i biondissimi capelli, traendo un lungo respiro. Seduta all’ombra di una quercia, con le spalle appoggiate al tronco robusto, infilò la mano destra nella tasca e ne estrasse il foglio “proibito”, stropicciato, che ormai si portava dietro ad ogni suo movimento.

Aveva letto quelle righe per lei incomprensibili più e più volte, ma l’unica cosa che era riuscita a capire di quel lungo argomento era che la trasmutazione umana era una faccenda assolutamente impossibile e proibita.

Distese le gambe sull’erba umida di rugiada, ripiegando malamente la pagina e ficcandola in tasca con un movimento brusco. Con uno sbuffo, si lasciò ricadere completamente sull’erba, arrancando fino al limite soleggiato che divideva la luce diurna dall’oscurità dell’ombra del grande albero.

Strinse forte le palpebre, finché due lacrime appena pronunciate non bagnarono le sue ciglia esili, aiutandola ad abituarsi alla prepotenza luminosa del sole estivo. Poco più tardi, il suo sguardo precipitò insieme al volto, solleticato lievemente sulla guancia destra da teneri ciuffi d’erba.

Era molto tempo che se n’era resa conto. Edward aveva lo stesso fresco aroma di quei prati che raccontavano la sua vita. Che fosse stata l’unica ad essersi accorta che il suo papà profumava così?

Quand’era piccola – più piccola – Rose era solita uscire con il padre e correre insieme a lui tra le campagne del loro paesello, perdendosi in giochi e risate fino a tarda sera.

Ricordò di quando lui l’aveva svegliata nel cuore della notte, alcuni anni prima, per caricarla sulle spalle e sgattaiolare fuori senza che Winry – insieme alle sue chiavi inglesi – potesse accorgersene. Quella volta, avevano trascorso la nottata all’aperto, sotto il cielo scuro, trafitto da una pioggia di luminose stelle cadenti.

Aveva un così bel rapporto con suo padre, a quel tempo.  Si sentiva quasi un parte di lui, e Edward era più che certo di non poter vivere senza la sua piccola rosellina dagli occhi azzurri.

Eppure, qualcosa stava cambiando tra di loro, come se, in qualche modo, qualcosa di impercettibile li stesse allontanando. Che fosse proprio il silenzio celato dietro quella pagina segreta che custodiva così segretamente?

-          Rosalie!

Una voce più che familiare la distolse dai suoi pensieri, catapultandola al di fuori della sinuosa spirale dei ricordi. Si rialzò, svogliata, sfregando le mani sulla canottiera nera e sistemandosi alla bell’e meglio la gonnellina di jeans.

-          Dan?

Lo chiamò, schermando la forza dei raggi del sole con le mani, cercando di riconoscere in quella sagoma che le era sempre più vicina il conosciuto volto del fratello maggiore. Strinse le palpebre e fece un passo indietro, quasi inciampando sulle radici dell’enorme quercia, quando si accorse che l’ombra che correva verso di lei faceva svolazzare una chioma cupa e nera, invece ce dorata e preziosa.

-          Ma chi...?

Si chiese, indietreggiando ancora, così da nascondere tra il fogliame la fonte di disturbo delle sue iridi dalla tinta celeste. Non passò molto tempo prima che, sul suo viso,  l’espressione confusa lasciasse posto ad un sorriso sincero, proveniente dal profondo del suo cuore.

-          Hiroki!

-          Dio, Rosalie! Finalmente mi hai riconosciuto!

-          Sono così felice che tu sia qui!

-          Oh, anche io, anche se preferisco Central City a queste vecchie campagne.

-          Tu ne parli sempre così Bene, Hiro. Vorrei tanto vederla!

-          Un giorno verrai tu a trovarmi! Passerete voi l’estate da noi, invece del contrario, cosa che accade ormai da anni.

-          Oh, lo vorrei tanto, credimi. Ma dubito che papà accetterà, parla sempre male del tuo. Il comandante di qua, il comandante di là. È sempre una tortura per lui, ogni volta che arrivate per passare l’estate a Resembool. Scommetto che stanno già litigando.

-          Hai fatto centro anche questa volta, come sempre, Rose.

-          Non ci vuole un genio per arrivarci.

-          Oh, non ci vuole un genio nemmeno per rendersi conto che stai diventando proprio una bella bambina.

-          Smettila di prendermi in giro, ho dieci anni, stupido adulatore!

-          E io tredici, che problema c’è?

Rosalie incrociò le braccia al petto, sbuffando indispettito dall’arroganza del ragazzino di fronte a lei. Alzò un sopracciglio, sporgendo un po’ il mento. Hiroki ammiccò.

-          Io te ne darei almeno dodici.

-          Ti dovrei ringraziare?

-          Fa’ un po’ come vuoi.

Rose ridacchiò, sfoderando un tenerissimo sorriso infantile. Hiroki le mostrò la lingua, girandosi di spalle a lei e incamminandosi verso casa Elric.

-          Hey.

Disse il moro, fermandosi. Rosalie tese le orecchie.

-          Tanto per dire, Rose. Potrai essere carina quanto vuoi, ma rimarrai sempre una bambina terribilmente sgraziata e arrogante.

-          Cosa? Vieni qui, idiota, che ti distruggo!

Così, ridendo e inseguendosi,presero la strada del ritorno, rinfrescata qua e la da qualche agguato tra l’erba, o un abbraccio tenero e nascosto. Pochi minuti più tardi, delle voci piuttosto animate giunsero alle loro orecchie. Sospirarono entrambi, nel trovarsi davanti agli occhi l’identica situazione che si erano precedentemente immaginati.

Edward e Roy stavano poco distante dalla veranda esterna alla casa, battibeccando a voce alta come ai vecchi tempi. A lato, sedute sul dondolo di legno, Riza e Winry sorseggiavano una tazza di thè, chiacchierando come due amiche di vecchia data.

Improvvisamente, Rosalie scorse la mano destra del comandante supremo compiere un semicerchio nell’aria e fermarsi a pochi centimetri dal viso, le dita pronte a schioccare. Ad osservare meglio, le parve quasi – se non fosse stato impossibile – alcune saette dai riflessi celesti liberarsi  dalla pelle tesa intorno alle unghie.

Fu un attimo. I riflessi pronti di Edward l’avevano spinto ad abbassare la mano di Roy con un gesto repentino, non appena ebbe intravisto la figura della figlia avvicinarsi rapidamente, e lo sguardo sorpreso di Mustang che, nell’attimo di un risolino divertito, aveva accusato l’ex alchimista di essere un fifone, sostenendo che no, questa volta non avrebbe dato fuoco a mezza Resembool.

Rose vide suo padre premere sulla bocca di Roy la mano destra e spingerlo inconsapevolmente all’indietro, probabilmente per zittirlo.

Ma... perché?

La scena davanti ai suoi occhi cobalto continuò, come al rallentatore, vedendo come protagonista Roy che si era chinato a terra per raccogliere qualcosa – un orologio? – e rinfilarselo in tasca, per poi inveire contro il biondo che si trovava di fronte.

Cos’era successo? Di cosa stavano parlando? Perché, vedendola, suo padre aveva reagito così? E quel... che cos’era? Quell’orologio, dove le pareva d’averlo già visto? L’oro degli occhi dell’ex alchimista si posò sulla sua figura esile, trafitta da un velo di preoccupazione.

-          Rosalie...

La chiamò Hiroki, ma lei sembrò non accorgersene. Fece slittare lo sguardo avanti e indietro, ma un turbine di pensieri ed emozioni le aveva annebbiato la vista. Ora ne era più che certa: suo padre le nascondeva qualcosa.

-          Rosalie?

E, probabilmente, dato che persino Roy ne era a conoscenza, lo doveva sapere anche Hiroki. Era sicura che fosse così. Spaventata, indignata, e con l’anima colma di questi irrisolti, placò il respiro, mordendosi convulsamente il labbro inferiore. Cosa poteva essere successo di così importante nel passato dei suoi genitori da nascondere in quel modo?

-          Rose!

Disse nuovamente il ragazzino accanto a lei, strattonando senza troppa violenza la maglietta dell’amica. Rosalie si destò, intuendo i suoi pensieri infrangersi all’espressione accigliata – e forse velatamente preoccupata – di Hiroki.

Scosse i capelli biondi, facendoli volteggiare al vento tiepido che soffiava da est. Vide Edward avvicinarsi a lei, scoccandole un sorriso talmente innocente da risultare, sul suo viso così sincero, fin troppo finto.

-          Oh, eccoti qui.

La sua voce era calma, eppure c’era una punta d’insicurezza nella sua voce. Sorrise, e in quell’istante i raggi del sole parvero illuminarsi di un alone ancora più prezioso.

-          Dove sei stata?

-          Un po’ in giro. Papà... che sta succedendo qui?

-          Oh. Niente, niente.

Farfugliò l’ex alchimista, agitando una mano, quasi volesse allontanare dal suo corpo quella domanda fastidiosa. La biondina portò una mano al petto, sentendosi ferita. Perché suo padre non voleva rivelarle il suo segreto?

Che centrasse qualcosa con quella pagina strappata che custodiva nella tasca? Ovviamente, non poteva essere altrimenti, ne era più che certa. La trasmutazione umana, l’alchimia, la pietra divina. Tutto troppo complicato per una mente sola.

-          Hiro.

Lo chiamò, senza mostrare alcuna espressione. Il moro la osservò per un istante, rendendosi conto che, quella bambina, dimostrava ben più che dieci anni. si mise scherzosamente sull’attenti, sostenuto da una divertita occhiata di approvazione del padre e da uno sguardo sconsolato della povera Riza.

-          Sissignora!

-          Idiota.

-          Hah.  Proprio come suo padre!

Si aggiunse Edward, ridacchiando e già immaginandosi lo sguardo fiammeggiante dell’ex colonnello puntato sulla sua schiena. Roy, infatti, sibilò qualcosa tra i denti, indispettito, prima di voltarsi, – ignorando completamente il biondo ex alchimista – raggiungere la moglie e sedendosi sul dondolo accanto a lei e Winry.

Edward scosse la testa e si chinò verso la figlia.

-          Stai attenta, ok?

-          A cosa?

-          Il nome “Mustang” è un sigillo di garanzia. E anche piuttosto scadente, oserei dire.

-          Sì, sì. Sempre la solita storia. Forza, vieni, Hiro!

-          Uhm. Va bene.

Edward osservò Rosalie sparire nuovamente con Hiroki – il quale gli aveva appena lanciato uno sguardo omicida vero e proprio – e li seguì per un po’ con lo sguardo, vedendoli dirigersi verso la casa della sua infanzia. Seguì con lo sguardo la loro corsa, i loro giochi, i loro battibecchi, e non poté fare a meno di commuoversi riconoscendo in quelle due sagome lui e Winry, in una corsa estiva di tanti anni prima, quando ancora non conosceva arroganti colonnelli, orridi mostri o dolori intensi provenienti da tutte quelle vite che aveva visto spegnersi davanti ai suoi occhi.

E mentre i bambini sparivano all’orizzonte, Edward si ritrovò a invidiare loro l’innocenza e l’inconsapevolezza di quello che era stato il loro vero mondo al di fuori di quella bolla di falsità, plasmata prima della loro nascita.

Ancora prima che si formasse quella sporca tela tessuta di ricordi, segreti e bugie.

 

@#@#@#@#@#@#@#@#@

 

-          Heilà, nanetto!

-          Senti chi parla!

Hiroki era fermo davanti a Daniel, e gli aveva scompigliato giocosamente i capelli d’oro, facendoli luccicare ai colori caldi del crepuscolo. Il piccolo Elric incrociò le braccia al petto, fingendo di ignorare le parole scherzose del suo migliore amico.

-          Erano ben due anni che non ti facevi vivo, qui a Resembool!

-          Eh, sai... ho avuto davvero molte ragazze di cui occuparmi...

-          Sì, sì, certo!

Scherzò, uscendo definitivamente dalla porta della casa di Pinako, seguito timidamente da una bambina di circa dieci anni, ce teneva la sguardo basso.

I liscissimi capelli corvini le arrivavano fluidi a metà della schiena e la leggera frangetta sulla fronte nascondeva appena due luminosissimi occhi aurei, più preziosi dell’oro più splendente.

-          Ah, ciao, Yumi.

Sorrise Hiroki, inclinando la testa in segno di saluto.

Yumi era la figlia di May e Alphonse, cuginetta di Rosalie e Daniel. Era una bambina molto dolce e timida, con un carattere paziente ed altruista. Reggeva tra le mani un grosso libro di narrativa,segno che, dal padre, aveva ereditato il grande amore per la lettura, oltre ai tratti del carattere.

Era stata con la madre a Xing per qualche tempo, per andare a trovare i parenti di May e assicurarsi che il regno di Ling Yao, diventato imperatore da pochi anni, stesse procedendo bene.

-          Ciao, Hiroki!

Esordì, con un  enorme sorriso. Dan si morse le labbra, senza saperne il motivo. Il moro rispose a Yumi strizzandole l’occhio, facendola arrossire.

-          Sono appena tornata di Xing.

-          Com’è lì?

-          È tutto diverso, è davvero molto bello.

-          Mi piacerebbe davvero molto visitarlo, un giorno. Insieme a te, magari.

Yumi sì imporporò nuovamente, avanzando di qualche passo e affondando i piedi nudi tra l’erba umida. Raccolse un fiore colorato da terra, portandolo al naso e traendone un lungo respiro.

-          Certo che non è male la cuginetta, eh Dan? Sono sicuro che appena sarà un po’ più grande, diventerà una vera delizia per gli occhi!

Sussurrò Hiroki all’orecchio del suo migliore amico. Daniel s’irrigidì, sputando un rivolo d’aria troppo fastidioso, tant’era amaro. Cosa diavolo era quella sensazione?

-          Mmh.

Rispose il biondo, senza pensarci troppo. Dopo un ultimo sguardo d’intesa, il gruppo si mosse verso i prati fioriti. Circa un’ora più tardi, dopo un tramonto trascorso a  correre nelle campagne, le forze li avevano abbandonati, così avevano deciso di fare una pausa. Ai piedi di un grande albero, Daniel e Yumi si erano addormentati, l’una con la testa appoggiata sulla spalla dell’altro, il libro aperto sulle ginocchia.

Sul ramo più robusto dell’albero, Hiroki raggiunse Rosalie, che si era appostata a rimirare gli ultimi rossastri scampoli della giornata.

-          Si sono addormentati.

-          Lo immaginavo. E tu? Hai sonno?

-          No. te?

-          Nemmeno io. Sai, quando ci sei tu, non ho motivo di dormire, mi perderei del tempo prezioso. Tutto, quando sei qui, sembra più bello.

-          È così anche per me. Mi siete mancati, davvero.

-          Tornerai l’estate prossima?

-          Certo che lo farò.

-          Promesso?

-          Promesso.

-          Hiro?

-          Sì?

-          Resteremo sempre amici noi, vero?

-          Sì, per sempre. Dan sarà il mio migliore amico per tutta la vita, come tu la mia “sorellina”. Non ci separeremo mai. E anche Yumi, sarà sempre con noi.

-          Hiro... ti voglio bene.

-          Anche io, Rose.

Si avvicinò a lei, che decise di appoggiare la testa al tronco dell’albero. Pochi istanti più tardi, spostò la testa sulla spalla del moro, sospirando. Rimasero così per un po’, finché Rose non infilò una mano in tasca e ne estrasse una logora pagina strappata.

-          Hiroki.

Sussurrò, con un filo di voce. Il suo viso, illuminato dagli ultimi raggi porpora del sole, appariva come avvolto da un velo di incantato mistero.  Hiroki la guardò curioso, osservando i suoi luminosi occhi azzurri, troppo interessati a quel foglio stropicciato. Lei prese un gran respiro, prima di formulare una domanda che avrebbe frantumato ogni più piccolo dubbio della sua esistenza.

-          Tu la conosci, l’alchimia?

 

 

 

 

 

Ecco quei, il prologo si è concluso. In quest’ultima parte qualcosa è cominciato ad essere più chiaro, giusto? Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, aspetto le vostre recensioni!

 

Alla settimana prossima, baci

MEggyElric___

 

 

   
 
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