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Autore: Marty_rurulove    26/01/2006    2 recensioni
“E il mio cuore si ritrovò in Siberia Mentre aspettava che la menzogna diventasse verità Perché è tutto così cupo e misterioso Quando vuoi qualcuno che non vuole te…”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TITOLO: Siberia

Siberia

 

“Quando tornerai a casa, io non ci sarò. Me ne vado per un po’” mi disse, per poi allungare le braccia e stringermi a sé con un’imbarazzata goffaggine.

Io l’avevo presentito nell’aria, da qualche giorno, e come se non bastasse mia madre aveva già confermato i miei sospetti.

“Guarda che non smetto di esserti vicino, anche se non stiamo sotto lo stesso tetto. Se hai bisogno di parlarmi mi puoi chiamare quando vuoi!”

*Non mi eri vicino neppure quando la tua camera era a cinque metri scarsi dalla mia…* pensai, ma non lo dissi. Mi limitai a scrollare le spalle.

Mi guardò negli occhi, con cipiglio.

“Non è colpa di nessuno, e tantomeno tua” chiarì.

“Non l’ho mai pensato” risposi asciutta.

“Ora puoi lasciarmi andare” aggiunsi divincolandomi dall’abbraccio.

“Credi di poter essere sincero, per una volta?” domandai poi.

Mi guardò senza capire.

“Beh, c’è una cosa che vorrei sapere: c’è qualcun altro al nostro posto per te, adesso, non è così?”

Chinò il capo.

“Non è colpa mia” mormorò.

La stretta al cuore che provavo da quando aveva iniziato a parlare diventò una morsa di gelo, che si allargò a raggiera dentro di me, mentre mi ripetevo che non potevo piangere e dovevo essere forte. Lo fissai con quella freddezza che mi stava invadendo, aspettando un’altra menzogna. O forse una verità, almeno stavolta.

*Certo che si fa tutto cupo e insopportabile, quando ti rendi conto di volere bene a qualcuno che non ne vuole a te…* pensai.

Ero spaccata in due. Da una parte c’era quella me che voleva pregarlo di restare, di non lasciarci, e dall’altra quella me che voleva gridargli di sparire e non farsi più vedere. L’orgoglio contro i sentimenti.

Vedevo tutto dal di fuori, vedevo le mie spalle tremare appena e il suo sguardo che non tornava più ad incrociarsi con il mio. Troppa vergogna.

Sapevo allora, come lo so adesso, che fino alla fine dei miei giorni sognerò una famiglia in cui lui non se n’è mai andato.

Una famiglia in cui le cose vanno come dovrebbero andare.

Ma questa non è quella famiglia, non lo è mai stata, eppure mi illudevo che nella sua imperfezione avrebbe vinto la battaglia col tempo e con le incomprensioni quotidiane. Ci credevo davvero.

Gli diedi le spalle.

“Tanto anche se non lo dici, l’ho capito lo stesso. Mi hai chiamata col suo nome, a volte.”

Anche senza guardarlo sapevo che si era irrigidito. In fondo mi faceva un po’ pena: il problema non era che non fosse capace di volermi bene, semplicemente non me ne voleva. Punto. Bisognava che me ne facessi una ragione, prima accettavo la cosa e prima avrei smesso di starci male.

Perché in quel momento ci stavo male, eccome. E non riuscivo ad evitarlo.

“Fai come vuoi” dissi alla fine “ma sappi che con me hai chiuso. Non voglio più avere niente a che fare con te. E ora, se vuoi scusarmi, i miei amici mi stanno aspettando.”

Non mi voltai neppure a guardarlo, afferrai lo zaino ed uscii da casa, quella casa dove dal giorno successivo avremmo imparato a vivere in tre.

*Ma in fondo sarà meglio così; non faceva che rendere l’atmosfera tesa, si litigava di continuo, per colpa sua, e poi non è mai stato granché come padre…*

Mentre la mia macchina divorava i chilometri che mi separavano da Roma, mi ritrovai a pensare che non mi aveva mai vista davvero. Ero accanto a lui, insieme a lui, dentro di lui…ma non mi ha vista.

E questo perché, fin dall’inizio, nella sua testa e nel suo cuore c’era qualcosa che veniva prima di me. Il fatto che infine il tutto si fosse concretizzato non era che un trasloco. Mi aveva chiusa fuori dal suo cuore molto tempo prima.

Quando tornai a casa, due giorni dopo, lui non c’era più.

Era andato via.

Il suo lato dell’armadio era vuoto, le sue cose non ingombravano più il tavolino del salotto.

Non aleggiava più il suo profumo sul pianerottolo.

Entrai nella mia stanza, gettando lo zaino a terra, e mi lasciai cadere sul letto.

Fissai il soffitto per un istante.

“Non è colpa mia”, ha detto.

“Se hai bisogno di parlarmi, puoi chiamare quando vuoi.”

Maledicendomi per la mia debolezza, mi ritrovai a piangere come una disperata.

 

“E il mio cuore si ritrovò in Siberia

Mentre aspettava che la menzogna diventasse verità

Perché è tutto così cupo e misterioso

Quando vuoi qualcuno che non vuole te…”

 

(Traduzione libera da “Siberia” dei Backstreet Boys che ha ispirato questo racconto)

  
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