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Autore: Dew_Drop    01/04/2011    2 recensioni
Dal primo capitolo,
"Un foulard verde raggomitolato in un angolo, timido nella bianca luce d'estate, che se ne stava a fissarmi dal suo nero nascondiglio"
Bristol, Inghilterra: Aiolia Iracà, un ragazzo come tanti, dovrà condividere l'esistenza terrena con un nuovo, scomodo coinquilino. La storia di come un fazzoletto di seta verde gli abbia cambiato la vita.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Leo Aiolia, Virgo Shaka
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Parte seconda - de naribus




Parte seconda - De naribus

Un grosso labrador color panna schizzò fuori dal salotto con la lingua all'aria e una frusta al posto della coda. Subito, con un singulto strozzato dalla sorpresa, mi aggrappai al corrimano e guizzai indietro, di nuovo sui gradini, crocifiggendo con quel gesto l'ormai remoto torpore del sonno. Rimasi lì, avvinghiato al legno di quercia come un gatto in cima ad un albero da cui non riesce più a scendere. Quell'essere dal fiato asprigno aprì le mastodontiche mascelle e abbaiò; poi eccolo a raccogliere le zampe posteriori e zompare verso di me con la grinta di un glizzy in calore.
Mi ribaltai sotto quel peso non certo prevedibile e ruzzolai sulla schiena, le dita ancora artigliate allo scorrimano in un comico tentativo di ancoraggio. Il bel cucciolotto mi era sopra dopo aver scavalcato sgraziatamente le mie ginocchia. Quello che mi investì fu un odore insopportabilmente ingombrante. Il labrador, ignorando il mio grugnito di disapprovazione, cominciò a schiacciarmi il naso umido sotto al mento.
E poi la lingua. Un'orrenda, viscida striscia rosa che mi si spalmò platealmente in faccia.
- Per piacere, che schifo...!
Afferrai il gradino dietro di me e mi spinsi via passandomi incessantemente il braccio libero sulla guancia. Il cagnaccio fece per arrampicarmisi di nuovo sopra, ma un guaito offeso mi annunciò che qualcun altro lo stavo trascinando via dal mio corpo.
- Lia, a te proprio i cani non vanno a genio, eh?
Mi issai in piedi finendo di asciugarmi con la manica della camicia e da sotto la chioma sconvolta che avevo per capelli riconobbi una persona per niente sconosciuta.
Conoscevo Shura Delgado solo per gentile concessione di Aiolos. Gentile concessione perché erano così amici che di rado li si poteva disturbare, quando si chiudevano in camera a farsi gli affari loro. Ma da quando  mio fratello era passato a miglior vita, quel damerino spagnolo non si era più presentato a casa Iracà. Non a caso appena riconobbi lui nel mio salvatore, lo guardai come si guardarebbe un fantasma uscito dalla tintoria:
- Delgado? - chiesi. Mi sentii stupido quando lui, che aveva braccato il labrador per il collare, scoppiò a ridere.
- La regina Elisabetta. Chi altrimenti, scusa?
- Che ci fai qui?
- Lui - rispose Shura, e premette una mano sulla nuca del cane ottenendo in risposta uno zuccheroso mugolio. - Una settimana fa è arrivato qui Mudaliar, vero? - .
- Sì, e con questo?
Continuavo a non capire. La mia mattinata era stata stravolta dalla lingua umidiccia del cane e i miei sensi ancora si rifiutavano di riprendersi.
Che sacrosanto schifo.
- Diego è un cane guida - mi illuminò il moro. - Diego, saluta! -, e il labrador abbaiò un solo, profondo colpo di gola.
Il mio istinto mi suggerì di ficcarmi del cotone nelle orecchie o di scoppiare in una crisi isterica e buttar fuori di casa il damerino e quel suo brutto cagnaccio. Scesi completamente dall'ultimo gradino senza lasciare il corrimano:
- Come scusa?
- Iracà, ma sei sempre così duro di comprendonio la mattina? Tuo padre ha telefonato ieri al campo di addestramento per cani gestito dalla mia famiglia e ha chiesto un cane guida. Non pensavo tu fossi così scemo.
Stentavo a crederci. Io, condividere l'esistenza terrena non solo con un cieco dalla perpetua immobilità, ma anche con un labrador obeso? I miei occhi scapparono sulla lingua penzolante di Diego e l'animale, colta la mia espressione inebetita, ricorse a quello che mi parve un sorrisone da amico.
Che incubo. Oh Queen Elizabeth, che incubo.


 

Lasciai da parte le uova strapazzate e il mio animo ancora sconvolto mi permise di mangiare solo una fetta di pane appena sporcata con della marmellata. Per la prima volta in vita mia maledii la celeberrima English Breakfast chiedendomi come avessi fatto, per tutti quegli anni, a mangiarmi il pranzo del Ringraziamento ogni mattina. L'unica cosa che non risparmiai fu il thè, con l'aggiunta di un goccio di latte come piaceva a me. Quei primi minuti di giornata erano bastati ad assassinare nel mio vocabolario il verbo "mangiare". Rimpinzarmi di uova e bacon e fagioli al sugo e solo Dio sa quant'altro non rientrava certo nei miei desideri, non nel momento che stavo passando. O meglio, che avevo passato: un'affettuosa ed appiccicosa linguata in faccia e un tremendo colpo alla schiena, che ancora mi doleva nella zona lombare. Nemmeno un allenamento di quattro ore di cricket avrebbe saputo indolenzirmi a tal punto.
Diego si piazzò ai miei piedi e rimase a guardarmi fisso reclamando un po' di attenzione dal basso. Quando facevo per incrociare distrattamente il suo sguardo, si passava l'enorme lingua sul muso e rimaneva altri secondi a fiatare prima di abbaiare sommessamente, con il finale risultato che gli regalai l'intera portata di uova strapazzate non appena mio padre lasciò il tavolo. Quel cane mi sarebbe stato necessario come spazzatura comune. Almeno una sua utile finalità poteva averla.
Nel momento in cui fui io ad alzarmi, però, Shura Delgado mi lanciò un guinzaglio rosso:
- Fa' come se fosse il libretto di circolazione dell'auto nuova - mi disse con un sorrisone da bravo ragazzo. E poi, facendo un cenno verso la cucina: - Io vado a parlare con tuo padre.
Si allontanò mentre io fissavo intontito il guinzaglio che avevo agguantato prima che mi finisse in faccia. Diego si animò tutto d'un tratto e cominciò a frustare l'aria con la coda, srotolando quel tappeto d'ingresso trionfale che aveva per lingua, e Shaka Mudaliar, ancora seduto con la tazza di thé fra le mani, mi illuminò:
- Intende, andare a fare una passeggiata.
- Sì ma il cane dovrebbe essere tuo, Mudaliar, non mio.
- Comincia a legarlo al guinzaglio.
Scossi il capo e tenni per me un mugolio irritato, poi mi chinai e feci come mi era stato detto. Il labrador si era dedicato a una super produzione di bava causa "eccitamento da prestazione", e le sue zampe muscolose cercarono più volte di saltarmi addosso nel goffo tentativo di un abbraccio, gesto che io mi impegnai assiduamente a respingere. Quando riuscii nell'impresa, porsi il guinzaglio al biondino.
- Dammi il tempo di cambiarmi e sono da te.
Shaka abbozzò un sorriso e accettò di buon grado l'affidamente del cane. Così io fui libero di chiudermi in camera per una mezz'ora abbondante ed uscirne solo quand'ebbi indosso una camicia bianca e dei jeans sottratti ai selvaggi meandri del guardaroba.
L'unico guaio era che il parco più vicino a casa distava un quarto d'ora di macchina; e che poiché non osavo toccare un volante dai tempi dell'incidente di mio fratello, eravamo costretti ad andare a piedi. A voi i conti. Certo mi è sempre piaciuto camminare, ma l'idea di doverlo fare in compagnia di un cieco e di un cane obeso - perché obeso, credetemi, lo era sul serio - non mi andava molto a genio. Chiesi soccorso alla provvista di pazienza che immagazzinavo da anni, presi un profondo respiro e oplà!, eccomi sulle strade di Bristol con il mio coinquilino di origini indiane e un bulldozer color panna al guinzaglio.
Destinazione, city park.
Tempo stimato per l'andata, mezz'ora se non peggio.
Tempo stimato per il ritorno, lo stesso.
Tempo stimato prima del primo sbuffo? Incancolabile.
Appena fuori dalla porta, mentre passavo il guinzaglio a Shaka Mudaliar, le mie labbra si erano già arricciate in un sospiro sconsolato.

 

 
- Non ti piace passeggiare, Iracà?
Guardai il biondino con la coda dell'occhio, camminando al suo fianco sul marciapiede miracolosamente sgombro del quartiere. - Mi innervosisce la presenza del cane, tutto qui.
- Allora non ti piacciono i cani?
- Sempre odiati.
- E perché?
- Puzzano. E leccano.
- Non se li si educa - fu la serafica risposta (e intanto Diego incalzava a velocizzare il passo trottandomi ogni tanto tra le gambe). - Questo labrador è un'ottima guida, è questo quello che conta.
- E un ottimo scarica-uova-strapazzate - finii io per lui, e mi parve d'indovinare un tiepido sorriso sulle labbra. Quasi mi fece piacere. Timidamente stavo forando la barriera fra di noi per sbirciare quello sconosciuto che stava dall'altra parte.
Shaka Mudaliar si rassettò un ciuffo dietro l'orecchio e fece silenzio. Se ne stette muto per altre due streets fino a che non ci ritrovammo sulla Christmas Steps. Ad intermittenza, tra il vociare e lo sfilare e lo snodarsi di gruppi di turisti, si intravedevano le botteghe e gli antiquari della stradicciola, la quale altro non era se non una rustica scalinata che si snodava tra basse palazzine. Più che un passaggio obbligato, quella via era per noi una scorciatoia che ci avrebbe fatto guadagnare qualche minuto. Diego scodinzolava eccitato e avanzava fiero nel goffo ballonzolare delle mascelle, tirando prima di qua e poi di là a caccia di nuovi odori. Dal canto mio, pregai perché Shaka Mudaliar non aprisse bocca, perché già solo il comportamento esaltato del cane mi dava sui nervi. E invece, squillo di trombe, aprì bocca.
- Iracà - mi chiamò tutto d'un tratto, strappandomi dalle mie mere speranze.
- Uhm?
- Delgado è uno di famiglia?
- Se per "uno di famiglia" intendi "amico della casa", allora sì.
- Era molto legato a tuo fratello, vero?
(Ti prego di startene zitto, brutto ind...)
- Sì - mi limitai a rispondere, apparentemente tranquillo, ma un fremito tradì la mia maschera. - Sì - aggiunsi per non perdere le redini della ragione, - erano molto amici. Delgado era in macchina con lui quando... quando accadde, sì.
- Ma lui non si fece nulla.
- E' così.
- Eppure si è ripreso dall'incidente, mi pare.
- Che intendi?
Shaka Mudaliar si annodò il guinzaglio al polso per limitare le avanscoperte di Diego, poi mi dedicò un sorriso pescato al momento che pur ebbe il terrificante potere di addolcirmi. - Lui sorride - disse solamente.
- Sì, spesso Mudaliar.
Non capivo cosa intendesse; come non mi rendevo conto di camminare senza guardare dove andavo, perché fissavo il mio compagno di scampagnata con la bocca appena schiusa in un'espressione intraducibile.
- Spesso - ripetei.
- Mi pareva.
- Ma, scusami la domanda... come fai a vedere se sorride o meno se sei...?
- ...cieco? - finì per me forse cogliendo il brivido che mi passò per le corde vocali. - Semplice, lo avverto. E non parlo dell'udito, parlo di questo -, e si toccò la punta del naso facendo mostra di un bel sorriso di sole. - Si respira serenità, quando lo sento parlare.
- Sì, vero anche questo.
Silenzio. E poi Shaka:
- Dovresti seguire il suo esempio.
- Co...come? - mi scappò in un gorgoglio meccanico, ma quella che voleva essere una "e" finale venne strozzata da un gridolino involontario quando incespicai nel guinzaglio capitombolando all'indietro.
E due. Seconda caduta della giornata. Aiolia il Biondo Iracà, hai vinto la medaglia d'oro!
Mi sembrò incredibile sentire la risata di Shaka Mudaliar. Più che di imbarazzo per essere caduto proprio sotto agli occhi di un sacco di persone, la sensazione che mi gonfiò il cuore fu di divertimento e di serenità. Mentre mi rimettevo in piedi, con Diego a vorticarmi buffamente attorno alle gambe, non potei trattenere un sorrisetto.
- Sì, forse - risposi dandomi una scrollata alla camicia, e ripresi a camminare ponendo in secondo piano il fatto d'essere inciampato, proprio come un cieco cronico, nella mia stessa testardaggine.




Non fu troppo complicato trovare un angolo isolato di verde. Davanti a noi, o meglio, sotto di noi, dal momento che ci trovavamo sul dorso di una morbida collina, si snodavano i bianchi viali del parco, fiancheggiati da panchine maniacalmente verniciate di smeraldo. I pochi ma formosi alberi sfioravano il cielo e le loro braccia, che dondolavano alla brezza estiva, parevano spolverare l'etere dagli insistenti indizi di nubi.
Si respirava un'atmosfera fresca, appagante, vitale.
Le bricconerie del vento ci soffiavano addosso i soffici profumi dell'estate inglese. Solo sulla linea dell'orizzonte, là dove le fronde erano più folte, si affacciavano i tetti spioventi di quell'angolo verde di Bristol.
Shaka Mudaliar lasciò a Diego la libertà di procedere con le proprie avanscoperte e il labrador, salvo quegli sprazzi di momento in cui ci trottava attorno, si dilettava a rincorrere farfalle immaginarie e ad annusare gli altri cagnolini. Io e il mio compagno di scampagnata invece preferimmo sederci su quell'abbozzato dorso di collina a guardare il cielo.
Ascoltare il paesaggio imperlato da fischi di merli non fu mai più così gradevole.
- Shaka, mi dispiace proprio che tu non possa vedere quel che abbiamo attorno. Veramente un bel posto.
- Non deve dispiacerti, non è colpa tua. E poi...
- ...e poi?
- ...e poi io vedo.
Il pensiero di consegnargli il primo premio per la gara di Frasi-Senza-Senso fu immediato, ma lo tenni per me e mi limitai a rivolgergli uno sguardo appena spaesato:
- Vedi con gli altri sensi, immagino.
- Cominciamo a capirci. L'aria, questa mattina, è così limpida... eppure sento odore di pioggia, chissà perché.
- Con un retrogusto di città, anche.
Pochi minuti al parco mi erano bastati per scovare, in quella visione di Paradiso, un indizio della vita frenetica che si svolgeva dietro gli alberi. Sentivo sulla pelle i clacson delle macchine e la morsa soffocante del centro di Bristol, persino in quell'idilliaco quadro macchiato di verde. Shaka Mudaliar mi sorrise appena e si sdraiò, intrecciandosi le dita dietro la nuca.
- Solo una tua sensazione, Iracà - disse. - Le tue narici sono state plagiate dalla tua capacità di vedere.
Avevo perso interesse per il cielo. Ora la mia attenzione era totalmente dedicata a quello pseudo Messia che avevo di fianco.
- Sì... può darsi - mi limitai a rispondere, arricciando appena le labbra in un'espressione di disagio. - Può darsi - ripetei subito dopo.
- Prima goccia.
- Scusa?
- Lassù -, e alzò il braccio ad indicare un punto imprecisato della volta celeste. - Guarda bene.
- Guardare cosa?
- Seconda goccia. Terza, e quarta...
- Piove solo sopra di te, mio caro Mudaliar.
Mi venne da ridere; e con il riso mi piovve addosso anche un catino di pioggia.
Così, tutto d'un tratto.
(Gli improvvisi diluvi a Bristol... Oh quanto li adoravo)
Branchi di turisti, famiglie a passeggio, in uno scrosciare di vocio allarmato, tutti insomma filarono via con l'atteggiamento di Partigiani in fuga. Solo io e Shaka, immobili nel fradicio del cielo, rimanemmo sulla collina come statue. Diego trottò da noi grondante d'acqua e piantò le zampe lorde sul petto del mio compagno di scampagnata, sdraiandosi gaiamente come in vista di un invitante massaggio giapponese.
E io, con gli occhi intenti ad annaspare sotto i capelli spiaccicatimisi in testa:
- Sei un veggente?
- No, solo capisco l'umore della natura.
- In anticipo, pure. E dimmi, Pseudo Messia, come si torna a casa, adesso? Non mi sono portato dietro un ombrello.
Lui sorrise; proprio lui, fermo sotto il diluvio, gli abiti inzuppati e incollati al corpo, ancora comodamente sdraiato sul prato, sorrise. In quel momento capii che forse mai avrei compreso fino in fondo quei suoi sintomi di pazzia.
- A piedi, Iracà - fu la semplice risposta.
Mi sdraiai a mia volta. La mattina si era improvvisamente annebbiata e la brezza, prima fresca, si era fatta più tagliente, così come le schegge di pioggia. Buttai un'occhiata a Diego, che fiatava rumorosamente e tirava sbuffi fradici dalle grosse narici.
- L'odore dei cani bagnati è osceno - dissi senza guardarlo.
Però Shaka, rispondendomi, guardò me:
- E' quello che direbbe Diego sugli uomini se potesse parlare.



Fortunatamente quando rientrammo mio padre era fuori per lavoro. Lasciai il labrador in giardino e una volta dentro mi cambiai da capo a piedi. Gocciolavo ovunque e il mio odore era quello asprigno della pioggia.
Fu quando mi ero già fiondato in doccia che sentii il pianoforte suonare. Quello strumento era di mia madre e mai avrei voluto che Shaka Mudaliar ci mettesse mano. Ma lo lasciai fare quando avvertii, oltre lo sciacquio dall'acqua con cui mi lavavo, che fuori aveva smesso di piovere quasi come se la Turkish March di Mozart avesse ordinato al cielo di smettere.
Mi misi addosso i primi abiti che mi capitarono a tiro, strofinai un poco i capelli e piroettai giù al piano terra affacciandomi all'uscio del salotto.
Non era la prima volta che vedevo Shaka Mudaliar suonare il pianoforte, ma chissà perché in quel momento la sua musica ebbe un senso alle mie orecchie. Forse perché lo conoscevo meglio, forse perché incominciavo a capire, dopo quei suoi tanti discorsi da Messia, che cosa significasse essere ciechi e poter sbrogliare "l'umore della natura" con gli altri sensi.
Non volli disturbarlo.
Sulle note della Sonata di Beethoven squillò il telefono. Mi esibii nel mastodontico sforzo di allungare il braccio ed agguantare la cornetta, mentre mi tiravo meglio a sedere sulla poltroncina in cui ero sprofondato.
- Casa Iracà, qui Aiolia. Come posso esserle utile?
Dall'altra parte, una risata. - Figliolo, adesso rispondi sempre così al telefono?
Mi scappò un sorriso: - Così come mi hai insegnato tu, papà. Dimmi.
- Ti ho lasciato un promemoria giallo nel portalettere di fianco all'ingresso.
- Non ci ho fatto caso.
- Leggilo. Tornerò a casa per cena.
Riattaccò. Il tempo di adagiare la cornetta e nell'aria già si rincorrevano le note di Kiss the Rain di Yiruma.
Qualcosa di meno datato, finalmente.
Mi trascinai fino all'ingresso e braccai il bigliettino colorato.
Ricordo che quando lessi e capii, decisi che Shaka Mudaliar avrebbe potuto suonare quel pianoforte quanto avrebbe voluto. Nemmeno mentalmente l'avrei più ammonito come avevo fatto prima sotto la doccia.
Ancora qualche mese.
Due o tre.
Stracciai il promemoria e alzai gli occhi alla finestra. Avvertivo lo sgradevole bruciore delle lacrime.

Fuori la rugiada della pioggia cominciava a distendersi alla carezzevole melodia del pianoforte.




Nel salotto di casa Iracà...

Dopo aver spedito fuori casa Diego - lo ammetto, i cani mi piacciono, ma i cani obesi non tanto U_U -, eccomi qui per ringraziare i recensori del capitolo precedente ^^ Risponderò sempre in forma privata ^^
Spero che la storia continui a piacervi e che vi abbia incuriosito, l'importante è che io non abbia scritto strafalcioni o chissà che -lol-
Non ho intenzione di dirvi cosa c'è scritto sul promemoria di Mr. Iracà, anche perché si svelerà nel capitolo successivo. Ho deciso di optare per capitoli abbastanza lunghi, dato che saranno cinque o sei in tutto, e tra l'altro il nome "parte" mi fa pensare a un qualcosa di più esteso. Spero di non avervi annoiato. E per chi non studiasse latino - rettifico, per chi si è salvato la pelle da un suicidio XD-, il titolo "de naribus"  può essere liberamente tradotto con "l'olfatto".
Alla prossima, ci vediamo settimana prossima ^^

Dew_

 



   
 
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